Titolo:
Dipendenza
Summary:
Penso
che la cosa più difficile da fare per liberarsi di
un'abitudine sia volersene liberare. Voglio dire, ci sarà un
motivo se abbiamo una dipendenza, no?
Pairing:
Sherlock/John
Rating:
PG
Words:
1701
Desclaimers:
Blabla. Non. Semplicemente non.
Notes:
Partecipa alla Sherlothon dello
SFI, col prompt #2 (http://pics.livejournal.com/med_cat/pic/0008c0s3)
del Team Canon.
Dipendenza
“I
tried to give you up,
but
I'm addicted.”
(Muse)
Dal blog di John H.
Watson:
In ospedale abbiamo
sempre a che fare con delle dipendenze. E' pazzesco quanti tipi di
dipendenza esistano. Sarebbe troppo facile se fossero solo da droga,
da alcolici e da sigarette. Penso che la cosa più difficile da
fare per liberarsi di un'abitudine sia volersene liberare. Voglio
dire, ci sarà un motivo se abbiamo una dipendenza, no?
John si chiuse la porta
alle spalle, stranamente rilassato. Ebbe giusto il tempo di salire le
scale ed entrare nell'appartamento per godersi quella sensazione.
Entrando vide Sherlock appoggiato al vetro della finestra, lo sguardo
assorto fuori. Non era mai un buon segno quando aveva quello sguardo.
«Che stai
facendo?»
«Ammiravo la tua
nuova fiamma.» disse.
Si voltò verso
di lui, mostrandogli quello che aveva in mano.
«Ti è
caduto mentre ti affrettavi a scendere.»
Era un fiore rosso, uno
di quelli del mazzo che aveva comprato qualche ora prima.
«Grazie. Per
averlo raccolto, intendo.»
«Figurati.»
replicò «Questo era il primo appuntamento, vero?»
John annuì,
avviandosi verso la cucina. «Già, ma non ti chiederò
come l'hai scoperto. Non lo voglio sapere.»
«E' abbastanza
semplice, John. E' la prima volta che la vedo qui, e di solito porti
sempre fiori ad un primo appuntamento. In questi ultimi tempi ne ho
visti parecchi.»
John si fermò
nell'atto di aprire il frigorifero e si voltò lentamente. Non-
Non era quello che pensava, vero?
«Cosa hai detto,
scusa?»
«Ho detto che
ultimamente ti stai dando molto da fare con le donne.» precisò
lui, impassibile, prendendo il violino. «Questa è la
terza che vedo solo questo mese. L'aver smesso di essere scopamici ti
ha fatto andare in astinenza.»
Con l'ira che montava,
John gli si parò davanti, ergendosi in tutta la sua
assolutamente mediocre statura.
«Non credo che
siano affari tuoi, Sherlock.»
«Io credo di sì,
invece. E' davvero imperdonabile il modo in cui ti stai comportando.»
«Curioso. Non
ricordo di averti chiesto di perdonarmi.»
«La prossima chi
è? Sally Donovan? O Molly Hopper? Magari preferisci Anthea,
l'assistente di mio fratello. Non hai che l'imbarazzo della scelta.»
Sherlock mise il
violino in posizione, ma John gli prese il braccio destro prima che
potesse cominciare a suonare. Non poteva avere l'ultima parola anche
stavolta.
«Tu non hai il
diritto di darmi della puttana.» disse guardandolo dritto negli
occhi. «Non devo dare conto a nessuno della mia vita privata, e
meno che mai a te. Tu hai lasciato me. L'ultima volta sei
stato tu a dire che non eri in grado di sostenere una
relazione, e tutte quelle stronzate lì. Non ho intenzione di
chiedere scusa per come ho deciso di riparare quello che tu
hai rotto. Per questo tu non hai alcun diritto di darmi della
puttana.»
Sherlock lo fissò
con gli occhi ridotti a fessure, la rabbia che scintillava dalle
pupille, le labbra strette.
«Questa cosa
tra noi è finita.» sentenziò.
John sospirò.
«Finalmente.»
«E' finita.»
«E' finita.»
John si allontanò
verso la porta, prese la giacca e sparì per le scale. Aveva
mai amato veramente Sherlock? O era solo dipendenza da dolore? Lo
squisito dolore nell'essere attaccati a qualcuno che non vuole
legami. Adesso era libero, ma in questo non c'era niente di squisito.
(1)
Spesso, troppo
spesso, le cose che all'inizio erano solo parte della tua vita a un
certo punto passano il limite e diventano ossessioni, compulsioni. Ti
fanno perdere il controllo. E' l'ebbrezza che inseguiamo. L'ebbrezza
per cui tutto il resto svanisce.
«Uno normale
senza zucchero, e uno nero con due zollette, grazie.»
Sherlock accanto a lui
sbuffò. «Quanto dobbiamo aspettare?»
«Il tempo che ce
li preparano, Sherlock. Poi possiamo tornare a tutti i casi che
vuoi.»
«John?»
Lui si voltò
cercando con lo sguardo la voce familiare, quando incrociò due
occhi verdi sorridenti. «Kat? Cosa ci fai qui?» esclamò
sorpreso.
«Prendo un caffè
con le amiche.» disse la ragazza indicando un tavolo alle sue
spalle. «La stessa cosa che fai tu, credo.»
«Ovvio.»
sussurrò Sherlock tra sé.
John si girò a
lanciargli un'occhiataccia. «Scusami, Kat. Questo è
Sherlock Holmes, il mio coinquilino. Sherlock, lei è la mia
dentista.»
La ragazza allungò
la mano. «Stiamo anche uscendo insieme.» precisò.
Sherlock alzò un sopracciglio mentre gliela stringeva, facendo
il sorriso più falso del mondo. «Interessante.»
commentò laconico.
John decise di cambiare
argomento. «Come hai fatto a vedermi? C'è un sacco di
gente.»
«Mi pareva la tua
voce, ho sentito che facevi due ordinazioni.» spiegò lei
«Sai anche quella del tuo coinquilino, come in When Harry
met Sally?»
«Certo!»
esclamò subito lui. Lei fece una faccia strana, e sott'occhio
vide Sherlock corrugare le sopracciglia, in una silenziosa domanda. O
una silenziosa maledizione. Pensandoci, forse non era così
ovvio. «Voglio dire, viviamo insieme. Lo so per forza. Ma non
siamo Harry e Sally.» aggiunse.
Lei annuì
vigorosamente. Troppo vigorosamente. «Giusto! Logico! D'altra
parte siete sempre insieme-»
«Caffè,
John.» si intromise il cervellone.
Grazie a Dio.
«Scusami, Kat,
dobbiamo proprio andare.» disse prendendo il suo bicchiere.
«Capisco, non
preoccuparti.» rispose lei agitando la mano «E' stato un
piacere, Sherlock.»
Sherlock tirò le
labbra in una smorfia senza dire nulla e seguì John fuori
dalla caffetteria.
«Non la chiamerai
mai più, vero?» chiese sorseggiando il suo caffè
nero.
«Ma che dici?
Certo che la chiamerò.» rispose lui indignato.
«Perché è
la tua dentista? Hai paura che possa toglierti tutti i denti?»
«Fatti gli affari
tuoi, cervellone!»
Sherlock sorrise,
contagiando inevitabilmente anche John.
«John?»
«Sì?»
«Chi sono Harry e
Sally?»
John si voltò a
guardarlo, rassegnato.
«Non hai mai
visto quel film?»
«Quale film?»
«When Harry
met Sally.»
«Non è il
mio campo.» sentenziò alzando le spalle.
John sospirò,
scuotendo la testa. Non poteva aspettarsi niente di meno, d'altra
parte.
«Allora,
cervellone.» spiegò paziente «E' la storia del
rapporto tra i due protagonisti, Harry e Sally-»
«Avevo intuito
che i due protagonisti si chiamassero così, John. Non sono
stupido.»
«Non avevo dubbi,
Sherlock. Fammi finire prima di prodigarti a darmi dimostrazioni
della tua intelligenza. Stavo dicendo che parla dello sviluppo della
relazione tra questi due-»
«Fammi
indovinare: prima si odiano, poi diventano amici e poi si sposano.
Noioso.»
«Ti assicuro che
è più originale e divertente di come lo descrivi tu.»
«Noioso!»
ripeté imperterrito.
«Pensa quello che
vuoi. Anzi, no!» ci ripensò John fermandosi di botto.
Sherlock si fermò
qualche passo più avanti e si girò verso di lui.
«Cosa “no”?»
fece.
«Non voglio che
tu pensi questo, per cui adesso passiamo dal negozio, prendiamo il
dvd e stasera lo guardiamo.» annunciò categorico,
riprendendo a camminare.
Sherlock non lo seguì
subito. Lo osservò mentre lo superava a testa alta. John
sentiva il suo sguardo concentrato dietro la sua nuca e provò
a tenere il suo concentrato sul marciapiede.
Sherlock lo affiancò
in un paio di falcate senza smettere di guardarlo, sorridente.
«Andiamo,
allora.» disse «Ma non ti assicuro che mi piacerà.»
«E' già
qualcosa.»
John gli sorrise di
rimando, nonostante il pensiero improvviso che lo colse. Loro non
potevano essere Harry e Sally. Avrebbero finito con l'innamorarsi
l'uno dell'altro. Di nuovo. E non se lo potevano permettere.
John non se lo poteva
permettere.
Le corde con cui
Sherlock l'aveva legato erano segregate in un posto lontano, in uno
sgabuzzino angusto della sua mente. Uno sgabuzzino che non era il
caso di riaprire.
Certe volte gli
facevano ancora male i polsi. Quando si girava, lo guardava, e poi
gli sorrideva.
Il brutto della
dipendenza è che non finisce mai bene. Perché ad un
certo punto qualunque cosa sia quella che ti fa stare bene smette di
farti bene, e comincia a farti male. Eppure dicono che non ti togli
il vizio finché non tocchi il fondo, ma come fai a sapere
quando l'hai toccato?
John mise piede a casa
sua quella sera sentendosi immensamente stanco. Sospirò,
posando chiavi e giacca.
«Sono tornato.»
annunciò.
«Come sta Harry?»
chiese la voce di Sherlock dalla cucina.
John trascinò i
piedi fin lì. «Sta bene. E' caduta dalle scale, ma non
si è fatta niente. La tengono solo in osservazione.»
Sherlock staccò
gli occhi dal microscopio un attimo e gli sorrise. «E' una cosa
buona, no?»
John si appoggiò
al tavolo, guardandosi insistentemente i piedi. «Certo.»
«Allora cosa c'è
che non va?»
John lo guardò,
senza ricordare quando avesse tolto la chiave dalla porta e riaperto
quello sgabuzzino. In realtà, si domandò se l'avesse
mai chiuso.
«Sherlock, non
possiamo farlo.» disse.
Lui tornò al
microscopio, senza veramente occupandosene. «Non so di cosa
stai parlando.»
«Sai
perfettamente di cosa sto parlando.»
Strinse le labbra,
puntando gli occhi verso il soffitto.
«Non possiamo
farlo.» ripeté John «Non di nuovo. Non ci riesco,
non ce la faccio ad affrontare tutto dall'inizio ancora una volta. E'
troppo difficile, sia per me che per te.»
A quella menzione
Sherlock si voltò verso di lui, di scatto. Ma lui era già
tornato a fissarsi le punte delle scarpe. Se l'avesse guardato
sarebbe stato tutto inutile.
«Sappiamo
entrambi come andrebbe a finire.» aggiunse «Come le altre
volte, come sempre, quando si tratta di noi. Ci ripeteremmo
all'infinito.»
Sherlock si alzò
e gli si parò di fronte, sempre senza smettere di fissarlo.
John si sentiva bruciare il viso per quello sguardo.
«Stai dicendo che
è finita.»
John annuì,
convinto. «Sì. Qualunque cosa fosse iniziata, è
finita.»
Il suo errore fu alzare
gli occhi e incatenarli ai suoi. Un errore madornale e fatale.
Sherlock si mise a
scrutarlo, come se volesse decifrarlo dentro, vedere se quello che
stava dicendo avesse un senso. Forse non ne aveva. No, non ne aveva
affatto, anche se John si era ripetuto il discorso parola per parola
durante tutto il tragitto dall'ospedale a Baker Street.
Sherlock giunse alla
sua stessa conclusione. Avvicinò il viso al suo, piano. John
provò a voltare la faccia dall'altro lato, eppure non ebbe la
forza di fermarlo quando le labbra si posarono all'improvviso sulle
sue. Lasciò che lo baciasse senza opporre la minima
resistenza, e lasciando che lo stomaco si facesse poltiglia. Poi si
staccò a fatica da lui, e gli prese il volto fra le mani.
«Era il bacio
dell'addio.» mormorò. «Il bacio dell'addio.»
Sherlock annuì,
come se ne fosse convinto davvero, e se lo tirò di nuovo
contro, mischiando il suo fiato con il proprio, baciandolo come se ne
dipendesse, come se fosse una droga. John, nel frattempo, non solo
aveva riaperto lo sgabuzzino, ma aveva anche preso la corda con cui
Sherlock lo teneva legato, stretto fino a fargli male.
«E questo è
il sesso dell'addio.» sussurrò mentre Sherlock gli
apriva la cintura e lui gli sbottonava la camicia.
«Assolutamente.»
gli soffiò sulle labbra.
Così gli porgeva
quella corda su un piatto d'argento ancora una volta.
La verità era
che probabilmente non l'aveva mai messa via.
Ma non importa
quanto una cosa ci faccia male. Certe volte rinunciare a quella cosa
fa ancora più male.
Notes, again:
Grey's Anatomy.
Grey's Anatomy everywhere. La
citazione del blog, in particolare, è dalla 4x02. Andate e
amatene tutti. Solo (1) è da Sex and the city,
adesso che ci penso. °° E la citazione iniziale è da
Time is running out dei
Muse.
Vabbeh.
Prostituirsi per la Sherlothon non ha prezzo. Per tutto il resto c'è
Sonia. (Grazie.)
Sia
maledetta Luisella. Perché sì.
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