Autore: Haibara Stark
Titolo
della fanfiction: I
need more time.
Pairing:
Sherlock/John.
Personaggi:
Sherlock Holmes, John Watson.
Generi: Sentimentale, Malinconico.
Warnings: Slash, spoiler sulla
seconda
stagione nel finale.
Credits:
I personaggi ovviamente non mi appartengono.
Note: Questa storia ha partecipato
al contest Physicology indetto sul forum Collection of
Starlight, classificandosi seconda.
I prompt utilizzati sono la citazione di Sigmund Freud “A
volte
un sigaro è solo un sigaro” e la
formula per calcolare la velocità media.
I
need more time.
Quello che si chiama
felicità nel
senso più stretto
corrisponde all'improvviso
appagamento di bisogni accumulati e
per sua stessa natura può
esistere soltanto come fenomeno episodico.
Sigmund Freud.
Il disagio della civiltà.
Il
tempo scandiva svelto il suo scorrere ticchettando con le lancette
dell’orologio da polso di John, il quale riteneva la cosa
piuttosto a suo
svantaggio. Le buste della spesa scricchiolavano fastidiosamente contro
le sue
gambe ad ogni passo fatto col puro intento di battere in
velocità quel
maledetto orologio, mentre il sole si spegneva dietro ai palazzi,
testimone
anch’egli di un ritardo ormai annunciato. Se Sherlock Holmes
fosse stato un
coinquilino comune probabilmente non solo il frigorifero non sarebbe
apparso
come un deserto innevato dell’Alaska, cosparso di oggetti
alquanto discutibili
e dalla dubbia provenienza, ma si sarebbe anche preso la briga di andar
a fare
la spesa per conto proprio invece di elargire brontolii e assurde
scusanti,
evitando a John quella corsa contro il tempo. Da quando aveva iniziato
a
scendere i primi gradini dell’appartamento, il dottore non
aveva smesso un
attimo di darsi dell’idiota poiché era pienamente
cosciente che Sherlock gli
aveva dato questo oneroso compito – parole sue
– solamente per
farlo arrivar tardi al suo appuntamento. Ma, purtroppo, per quanto
potesse
opporsi, alla fine cedeva sempre. Aprì frettolosamente la
porta d’ingresso e in
un batter d’occhio si trovò già a
metà scala, inveendo a mezza voce contro il
detective. Quando spalancò anche quella che dava sul
soggiorno, però, si fermò
di colpo. La stanza era interamente ricoperta da post-it gialli
fittamente
scritti. John ricongiunse le labbra, che aveva involontariamente
dischiuse, e sbatté
le palpebre un paio di volte per accertarsi che non fosse solo uno
scherzo
della sua immaginazione. Naturalmente non lo era e lui si
ritrovò a sbuffare ad
occhi chiusi. Possibile che non potesse lasciarlo solo un attimo?
“Sherlock?!”
Chiamò, avanzando nella stanza. “Cosa diavolo
è tutto … Questo?”
Posò
le buste in terra e con due dita prese uno dei foglietti, sul quale,
nella
calligrafia stretta e storta del detective, vi era scritto “ V= d/t ”.
[1] Lo
rimise al suo posto e recuperò le buste per poi voltarsi
verso la cucina.
Sherlock stava seduto sul tavolo, le mani congiunte e le punte delle
dita a
sfiorare il mento, mentre guardava attentamente il muro di fronte a
sé. John
entrò a passo svelto nella stanza.
“Si
può sapere cosa stai facendo?”
“Se
non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo
so” [2]
Il
dottore si accigliò. “Prego?!”
Sherlock
sbuffò e si voltò a guardarlo, visibilmente
infastidito dalla situazione. “Sto
studiando il tempo, John”
“Il
tempo?”
“Sì,
il tempo. E dimmi: era una vecchietta o una cassiera
prolissa?”
“Una
cassiera… Ma che diamine! Come ci sei arrivato --
?”
“Hai
impiegato più tempo del previsto a tornare. Quindi, o
davanti a te hai trovato
una povera vecchietta indifesa che
per poter vedere e contare egregiamente i soldi ha bisogno di una lente
d’ingrandimento, oppure hai beccato la cassiera che va lenta
come un bradipo”
“Le
tue parole nei loro confronti sono ingiuste. E poi cosa stavi facendo?
Mi stavi
monitorando? …” Quando finì di
pronunciare quella frase, John si rese conto di
aver centrato il punto. “Era un esperimento! Mi hai mandato a
fare la spesa per
un esperimento!!”
“Se
vuoi chiamarlo così…” Mosse con
noncuranza una mano.
John
era furente. “Dio, Sherlock! Per colpa tua adesso sono in un
ritardo
mostruoso!”
“Non
è certo colpa mia se hai incontrato qualche ostacolo nel
tornare puntuale”
“L’unico
ostacolo che ho incontrato sei tu!”
“Sei
più suscettibile del solito. Questa Kimberly deve piacerti
molto”
“Ti
sbagli, sei tu che sei più insopportabile
del solito. E poi posso sapere il perché di questo
esperimento?”
“Volevo
valutare la veridicità riguardo al fatto che il lavoro dura
sempre quel tanto
che è necessario a colmare il tempo disponibile per
farlo” [3]
“E
dovevi porti proprio stasera questa domanda?!”
“Oh
no, me la sono posta qualche giorno fa. Ho approfittato del tuo
appuntamento
solo per confrontare i tuoi tempi di stasera con quelli
usuali”
John
si passò una mano sugli occhi. “Non posso
crederci… Anzi no, ci credo eccome!
Tu sei completamente folle”
“Il
termine giusto è geniale, John”
Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo e fece
dietrofront. “Comunque stai facendo una tragedia per un
nonnulla. Quando sei
arrivato eri ancora in tempo per arrivare in orario” Il
dottore rispose con un
brontolio indistinto, molto simile ad un grugnito, mentre afferrava con
forza i
manici delle buste ed immaginava che si trattasse del collo
dell’amico. Rientrò
velocemente in cucina e dispose tutto nel posto più
appropriato sotto lo
sguardo attento di Sherlock, il quale era sceso dal tavolo, ma non
aveva
accennato una sola volta ad aiutarlo. Non che John se lo aspettasse.
Probabilmente l’Universo sarebbe imploso su se stesso nel
caso in cui il
detective avesse preso simili accorgimenti per l’altro. A
compito fatto, corse
nella sua stanza e si cambiò d’abiti il
più velocemente possibile. Indossò due
gocce di colonia e scese di nuovo in tutta fretta, incespicando su
alcuni
oggetti sparsi sul pavimento. Fu mentre cercava di indossare la sua
giacca
buona schivando il corpo inerme di un bulldog di peluche [4]
– ma che diamine ci faceva lì??
– che lo notò. Era un post-it leggermente
più grande degli altri ed era
applicato, seminascosto, sul terzo cassetto del mobile. Quello che
attirò
l’attenzione di John, però, non fu nessuno di
questi piccoli particolari, bensì
quello che vi era scritto:
[5]
Lo
staccò accuratamente e lo lesse un paio di volte, alquanto
perplesso. Cosa ci
faceva il suo nome in una formula fisica?
“Sherlock”
Chiamò ancora una volta il compagno di avventure, come
accadeva quasi ogni
attimo della sua esistenza. “Cosa significa?” Si
voltò, tenendo alto e in bella
mostra il post-it. Holmes era rimasto tutto il tempo a guardarlo con
falso
disinteresse dalla poltrona senza muovere un solo muscolo, come solo
lui sapeva
fare.
“E’
una formula” Rispose con ovvietà.
“Questo
lo vedo anch’io” Ribatté
l’altro un po’ piccato. “E non hai
risposto alla
domanda che ti ho posto, Mr. So-tutto-io.
Ti ho chiesto cosa significa, non di che cosa si tratta!”
“Sei
più suscettibile del solito”
“Smettila
con questa storia e non cambiare argomento”
“Non
lo sto facendo”
“Ah
no?”
“No.
E se tu prestassi più attenzione a ciò che
leggi” Poggiò i palmi sulle
ginocchia e si alzò. “non avresti bisogno di
perder altro tempo facendomi
domande inutili” Gli si avvicinò.
“Ma
davvero?” Chiese John con ironia e tornò a leggere
il foglietto, incurante
dell’eccessiva vicinanza che si era venuta a creare tra lui e
l’amico. Rifletté
per un po’, ripetendo la formula a mente.
“Assomiglia
alla formula per calcolare la velocità media”
Asserì infine. Sherlock annuì
leggermente, con un sorriso compiaciuto.
“Cosa
ne deduci?”
Il
dottore alzò lo sguardo ed aprì la bocca per
parlare, ma le sue labbra non
ebbero il tempo di far uscire alcun suono poiché vennero
taciute da quelle
perfette e carnose di Sherlock. Sgranò gli occhi per la
sorpresa e si aggrappò
alle sue braccia con l’intento di respingerlo. Ma non lo
fece. Il suo cervello
venne inondato da una marea di emozioni, che portarono al definitivo
spegnimento di esso e all’impossibilità di
rispondersi alla domanda “perché
non dovrei farlo?”. Muovere le
labbra sulle sue gli parve la cosa più naturale al mondo,
come se fosse sempre
dovuto esser così. Allentò la presa e fece
scorrere i palmi aperti lungo le sue
braccia fino a giungere alle spalle, mentre con la lingua si prendeva
più
libertà e spazio. In quello stesso istante, Sherlock si
allontanò da lui,
provocandogli uno spontaneo mugolio di disappunto.
“E’
la velocità di un bacio” Soffiò sulle
sue labbra, per poi voltarsi e tornare
alla sua poltrona. “Ora sei ufficialmente in
ritardo” Concluse, sedendosi.
John
rimase un attimo interdetto, non capendo a cosa si riferisse. Le lebbra
ancora
umide pulsavano leggermente e sulle mani poteva ancora sentire il suo
calore.
Fu per questi motivi, probabilmente, che il cervello ci mise un
po’ a
rimettersi in moto e a fargli ricordare l’appuntamento con
Kimberly. Guardò con
orrore l’orologio. Le otto e
venticinque.
Aveva venti minuti di ritardo!
“Cristo!”
Prese il portafoglio e le chiavi ed uscì di corsa fuori
dall’appartamento. Fermò
un taxi e gli diede le indicazioni per raggiungere il ristorante, ma,
dopo aver
percorso solo qualche chilometro, gli chiese di cambiar strada. Non
riusciva a
togliersi dalla testa Sherlock. Sherlock e quel bacio del tutto
inaspettato,
che il dottore si rese conto di aver inconsciamente da sempre
aspettato.
C’erano stati dei sintomi – se così si
posson chiamare - che lui aveva
prontamente glissato fino a quel momento, ma che adesso non poteva
più
ignorare. Perché adorare le mani di un uomo, il modo in cui
brillano e cambian
di colore i suoi occhi, l’ondeggiare leggero dei suoi capelli
al vento, non
eran certo cose che un etero convinto, come lui si era sempre
dichiarato, avrebbe
dovuto provare. Eppure il suo corpo vibrava nel guardare quei dettagli
e nel
petto gli irradiavano un calore mai provato. Aveva messo tutte quelle
emozioni
da una parte – forse anche lui aveva una specie di palazzo
mentale come
Sherlock – convincendosi che non c’era nulla di
sbagliato in lui. Sbagliato?
Provare qualcosa per un altro uomo era sbagliato? No. Provare qualcosa
per
Sherlock Holmes? Sì. Lui non era come le altre persone. Non
provava emozioni di
ogni tipo ed era il suo migliore amico. Ma se la faccenda delle
emozioni era
vera, perché lo aveva baciato? Un altro esperimento, senza
dubbio.
Vagò
per Londra fino ad ora tarda, senza curarsi troppo dei numeri del
tassametro
che aumentavano inesorabili. Quando rientrò al 221B, i
post-it erano
completamente spariti ed il detective stava sdraiato sul divano ad
occhi
chiusi. John fece qualche passo nel salotto, togliendosi la giacca.
Sulla punta
della lingua una domanda insidiosa.
“Sherlock?”
Chiamò esitante, col timore che fosse uno di quei casi in
cui era caduto addormentato.
“Sai,
giornalmente dici in media venticinque volte il mio nome”
Rispose invece
l’altro.
John
sorrise. “Davvero? Non me ne sono mai reso conto”
“Come
potresti”
Il
dottore sorvolò su quell’ultima osservazione e si
avvicinò ancora al divano.
“Non
sei andato all’appuntamento” Constatò
Sherlock, senza nemmeno aprire gli occhi.
“No,
è vero”
“Perché?”
“Ero
in ritardo ed avevo altro in testa. Non sarei stato una buona
compagnia”
Calò
il silenzio e Watson decise che era arrivato il momento di togliersi
ogni
dubbio.
“Cosa
è stato … quello che avvenuto prima che
uscissi?”
“Sono
abbastanza sicuro che si chiami bacio e mi sconcerta il fatto che tu
non lo
sappia”
John
questa volta si indispettì.“Sai benissimo che non
era questo a cui mi riferivo!
Smettila di fare il saccente e dimmi chiaro e tondo quello che volevi
dimostrare!”
Sherlock
aprì gli occhi e voltò il capo nella sua
direzione. “Dimostrare?”
“Sì,
dimostrare! Qualunque cosa tu faccia, c’è sempre
dietro un qualche esperimento
o roba simile a giustificarla. Quindi, se anche questa volta
è così, dillo e
basta”
Il
cuore gli martellava all’impazzata contro le costole,
rimbombando fino ai
timpani. Si rese conto di aver paura. Una paura matta di sentirsi dire
che
aveva ragione, che era solo un capriccio dettato da un esperimento. Conosceva troppo bene Holmes
per poter
escludere questa possibilità. Sherlock, dal canto suo, era
rimasto impassibile,
con gli occhi di ghiaccio puntati sulla figura del dottore.
Voltò nuovamente il
capo, osservando il soffitto.
“Era
un esperimento” Soffiò.
In
quel momento qualcosa in John si incrinò. Si
sentì uno sciocco nell’aver
sperato, anche solo un poco, in una cosa impossibile. Sorrise
amaramente ed
aprì la bocca per parlare, ma Sherlock proseguì.
“Sono
mesi ormai che quando mi addormento sogno di baciarti. Volevo saggiare
cosa si
prova e cercare di scoprire cosa significa”
Il
dottore riusciva a stento a credere a ciò che aveva udito.
Ingoiò a vuoto.
“E
ci sei riuscito?”
“No”
Calò
di nuovo il silenzio.
“A
volte un sigaro è solo un sigaro” [6]
Disse John.
“Sono
d’accordo” Il detective si voltò a
guardarlo, con negli occhi una luce nuova.
“Ma perché tutto questo?
Cos’è che lo rende speciale?”
Watson
sospirò leggermente, sorridendo, ed andò a
sedersi sul bordo del divano accanto
a lui.
“Perché a volte non si può vivere solo
di emozioni, così da non dover per forza capire?” [7]
Sherlock
lo squadrò per un periodo che parve infinito.
“Hai
ragione”
Il
dottore era stupito. “Ho ragione?”
“Sì”
“E
cosa ti porta a dire una simile rarità?”
L’altro
parve pensarci su. “E’ stato bello”
John
sorrise di cuore e si sporse verso di lui per lasciare un leggero bacio
a fior
di labbra, ringraziando Dio – o chi per lui – che
gli stava dando
quell’opportunità …
“Venticinque
pounds”
Con
un battito di ciglia il ricordo si spense. La voce della cassiera
riportò John
alla realtà, a quell’orrendo presente.
Pagò la spesa e lasciò il supermarket
con passo lemme, come se l’uscire di lì avesse
implicato il dimenticare
quell’evento. Che assurdità. Non c’era
alcuna probabilità che si potesse
scordare di quel giorno e non era certo che la cosa fosse un bene. Si
ritrovò
in strada senza neanche accorgersene. Il pensiero di quel bacio aveva
ancora
tutta la sua totale attenzione. Qualcuno una volta disse che la vera
felicità è
la realizzazione del tutto inaspettata di un bisogno ed è un
avvenimento del
tutto occasionale. [8]
Lui non poteva
essere più d’accordo, poiché
quell’episodio,
per John, fu il più felice della sua intera esistenza, ma fu
anche l’unico. Non
ci furono più baci né emozioni da capire. Solo
una caduta. [9]
E il nulla.
Erano
ormai passati due anni da allora – più
precisamente due anni, tre mesi, diciotto
giorni, sette ore e trentadue minuti –
e il dottor John Hamish Watson si era arreso da tempo alla crudele
verità: che
il mondo andava avanti anche senza Sherlock Holmes, ma che lui non era
il mondo
e non riusciva a farsene una ragione. Aveva frequentato altre persone,
andando
cercando di quella stessa felicità, ma fallendo. Il suo
cuore era chiuso in una
scatola e l’unica chiave per aprirla era precipitata nel
vuoto insieme a lui. E si dava
dello sciocco , John, per
essersi negato quella gioia che aveva sempre avuto sotto gli occhi, ma
che il
suo orgoglio lo aveva portato ad ignorare. Avrebbe
voluto avere più tempo.
Ora
era lì, che camminava lentamente verso casa, che rimuginava
sulla sua stupidità
e su alcuni strani
sogni ricorrenti che faceva
durante il sonno. Uno in particolare – tra i più
fortunati, in cui non vi era
il Barts – Sherlock si presentava alla sua porta e gli
raccontava di come si
fosse in realtà fatto beffe del mondo e avesse vissuto tra
la Francia e
l’America aspettando il momento giusto per tornare. Il
dottore lo trovava in
assoluto il più strano di tutti e riusciva a ricollegarvi
solamente un
desiderio inconscio – ma non troppo – che Holmes
fosse sempre in vita. Ed era
proprio in quelle occasioni in cui si ricordava di quel felice giorno e
della
loro conversazione. Perché a volte un sigaro è
solo un sigaro. Ed un sogno può
rivelare più cose che la realtà stessa. Ma questo
John Watson non poteva ancora
saperlo, mentre camminava ignaro verso casa, sotto lo sguardo vigile di
due
occhi di ghiaccio.
Note:
[1]
Formula della velocità. Essa si ottiene dividendo la
distanza per il tempo
impiegato (d/t)
[2]
Affermazione di S. Agostino.
[3] Northcote
Parkinson.
[4]
Omaggio a Gladstone.
[5]
E’ sulla base della formula per calcolare la
velocità media.
Per essere precisi, i nomi dei nostri beniamini
sarebbero dovuti essere le appendici di s, ma ho ritenuto che fosse
più di
impatto così strutturata.
[6/ 7] Sigmund
Freud.
[8]
Rielaborazione della citazione all’inizio della storia.
[9]
The Reichenbach falls (2x03).
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