Steven “Steve” Rogers è una persona particolarmente cara e paziente. “È
un bravo ragazzo” dicono un po’ tutti, enfatizzando il “ragazzo”, o il
“giovanotto”, ignorando totalmente il fatto che all’anagrafe il presunto
baldo giovine si aggiri tipo sui novant’anni o giù di lì. Che è un bravo
ragazzo lo dice la signora Margaret Scott, l’adorabile vecchietta
sull’ottantina (con un principio piuttosto avanzato di Alzheimer) che lo
attende ogni sacrosanto giorno sotto la mastodontica, discutibilmente
guardabile Stark Tower solo per attraversare la strada, e lo dice pure a mo’
di mantra il signor Alfred Irwin, secco come un ramoscello e con la dentiera
scrocchiante, che con i suoi settant’anni suonati non ha più tanta voglia di
rincorrere il cane quando quello riesce a levarsi inspiegabilmente il
guinzaglio di dosso, darsela a gambe e aggredire il venditore di hot dog
della piazzetta.
Non succede mai che Steve Rogers perda le staffe o abbia reazioni
inconsulte, perché insomma, Steve Rogers è un soldato, è un tipo
all’antica, ed in quanto tale è cresciuto con ben precisi valori
d’educazione da rispettare, con un bel “la pazienza è la virtù dei forti”
che gli lampeggia ad intermittenza nel cervello anche quando vorrebbe urlare
dritto dentro l’orecchio molliccio e raggrinzito della signora Margaret
Scott che la strada l’hanno già attraversata quindici volte e che casa sua è
dall’altra parte del marciapiede, oppure prendere il cane grugnoso del
signor Alfred Irwin e inculcargli nella sua dannata testa pelosa che dentro
quegli strani panini oblunghi un giorno o l’altro ci finirà anche lui,
perché se si chiamano “hot dog” ci sarà pure un motivo. Nonostante
tutto poter aiutare le persone lo rincuora moltissimo, gli mette addosso una
gran voglia di vivere e lo aiuta a convincersi del fatto che è ancora lì, in
quel mondo, pronto per vivere quei settant’anni che sono rimasti congelati
nel ghiaccio.
Ogni tanto, però, ci sono le giornate in cui Steve Rogers non si dà né alle
azioni benefattrici né allo sfoggio inconsapevole del proprio didietro
(perché sì, la signora Margaret per quanto rimbambita apprezza soprattutto
quello), e allora mantenere la calma diventa sostanzialmente una
necessità. Una disperata necessità. Giusto per evitare un inutile
spargimento di sangue che possa implicare il percuotere violentemente Tony
Stark contro il muro e trovare in seguito un modo per occultarne il
cadavere. Come in quel momento.
Tony sbatte un paio di volte le palpebre e arriccia lentamente le labbra,
poggiandosi contro lo stipite della porta con un languido movimento che ha
un ché di sensuale. Steve sa che quella è la posa che assume quando deve
necessariamente fare l’idiota o tentare necessariamente di fare
colpo su qualsiasi cosa che respiri, ma il modo orridamente, maniacalmente
divertito in cui sta fissando ora la sua biancheria intima gli fa pensare
che, forse, i circuiti mentali stanno stavolta ingranando verso altri tipi
di obbiettivi arcani. Arcani perché la sua biancheria non ha niente
che non va, ovviamente.
« Signor Stark, dovrei farmi la doccia », dice Capitan Pazienza, stizzito.
Ed è circa la quinta volta che lo fa, ma Tony non gli risponde manco per
niente, e la cosa comincia a diventare snervante, innervosente,
destabilizzante, soprattutto per quell’abbozzo di sorriso sulle sue labbra
che si fa sempre più marcato e di cui Steve, personalmente, non coglie
ancora minimamente il senso. Tony continua semplicemente a fissarlo
dall’entrata del bagno, le braccia conserte e una spalla poggiata contro la
porta, le labbra irritantemente piegate verso l’alto e un baluginio negli
occhi che non pronostica nulla di simpatico – non che da Tony Stark sia
possibile aspettarsi qualcosa che vada oltre l’irritazione, o lo spavento, o
la preoccupazione, o la voglia indomita di urlare a squarciagola “PER DIO
STARK SMETTILA DI ESSERE COSÍ IRRITANTE”, comunque.
« Signor Stark— ».
« Chiudi il becco, Rogie », gli risponde finalmente Tony, sollevando
stizzito una mano per interromperlo, « Sto cercando di trovare un senso alle
tue altamente inguardabili mutande patriottiche ».
Steve rimane qualche istante in ponderante silenzio, assimilando in maniera
piuttosto lenta l’insulto che è appena stato rivolto alle sue
normalissime mutande. Abbassa lo sguardo, poi lo rialza, indignato. « …
Cos’ha la mia biancheria intima che non va? ».
Tony smette di scandagliare la zona intimo-inguinale del proprio
interlocutore e solleva gli occhi, rimanendo immobile contro la porta e
sfoggiando un’espressione il cui grado di coinvolgimento emotivo corrisponde
più o meno allo zero assoluto.
« Biancheria intima. Biancheria intima », ripete, schifato, « Senti,
so che sei un attempato, ma contieniti. Invecchio solo a sentirti parlare,
te ne rendi conto? », scuote la testa, platealmente indignato, e Steve lo
guarda storto. « “Mutande”, Cap. Ripeti con me. Muuuutande. Non è una parola
indecente, tranquillo. Capirei se ti avessi appena chiesto di dire “mi piace
un sacco il sesso anale”, ma— ».
« Signor Stark », ringhia Steve, con un tono di voce che tenta
di essere minaccioso e si presenta invece come quello di una donna rabbiosa
in fase pre-mestruale. Mette su una faccia truce – anche se più che
arrabbiato si sente dannatamente, semplicemente imbarazzato, col sangue che
pulsa nelle orecchie e i sudori freddi su tutto il corpo per il disperato
tentativo di dominare il rossore sulle guance –, si copre il cavallo dei
boxer e assottiglia lo sguardo, indignato. È matematicamente certo
che Stark, al momento, stia trovando tutta quell’assurda situazione un vero
spasso, e la cosa non fa che imbarazzarlo ancora di più. « Credevo avesse
hobby più costruttivi che sparare sentenze sulle mu—sulla biancheria
intima altrui! », esclama, sfoggiando un sorrisetto storto che dovrebbe
essere l’incarnazione dell’irriverenza ma che si rivela solo altamente
spastico.
Tony inarca le sopracciglia, e lo fa in modo piuttosto eloquente. « Rogers,
Rogie, Stevie caro », gli si avvicina e fa per poggiargli una mano
sulla spalla, ma lui si scansa prontamente, allarmato, « Indossi un paio di
mutande a stelle e strisce con “I LOVE AMERICA” scritto a caratteri cubitali
sul Capitan Pene. Io DEVO sparare sentenze in merito ».
Steve s’irrigidisce, e l’indignazione divampa nel petto come un incendio. «
La mia è biancheria intima normalissima! », sbotta, aggrottando le
sopracciglia.
« Certo, certo », mulina l’aria con la mano, sospirando platealmente come se
avesse appena concesso la ragione ad un chiaro minorato mentale. « Comunque
puoi stare tranquillo, Rogie. Non sono uno di quei loschi individui che
giudica la gente dalle mutande che indossa ».
Steve apre la bocca, poi la richiude, poi la apre una seconda volta, pensa
che forse quella del giudicare le persone dalla biancheria intima è una
battuta e farebbe bene a non umiliarsi più di quanto non abbia già fatto
fin’ora, e la richiude di nuovo. Sospira pesantemente, massaggiandosi
sofferentemente la tempia pulsante. « Stark, cosa vuoi? », geme. Ha appena
usato la seconda persona, il che indica che è arrabbiato. Giusto un po’.
Giusto perché Steve dà a Tony del “tu” solo in due occasioni specifiche:
quando è arrabbiato, o quando si rotolano selvaggiamente tra le lenzuola. E
di certo al momento non si stanno rotolando tra le lenzuola.
Tony ciondola sul posto con la stessa espressione imperturbabile di prima. «
Niente di ché, in verità », mormora. Tace per un secondo, lo squadra per
cinque ed improvvisamente i suoi occhi s’illuminano di un bagliore poco
raccomandabile. « Anzi, una cosa ci sarebbe. Dimmi, hai un fetish? Non so,
ti eccita sessualmente la bandiera americana? Perché se così fosse potrei
anche decidere di vestirmi da soubrette anni quaranta una volta ogni tanto
».
Steve sgrana talmente tanto gli occhi da sentire i bulbi oculari far male. E
dopo i bulbi oculari che implodono sente le gambe molli, e lo stomaco che si
contorce, e le tempie che pulsano, e mantenere la calma gli risulta
difficoltoso. Particolarmente difficoltoso. E gli duole ammettere che non sa
esattamente se è per la rabbia o per il fatto che immaginare Tony vestito in
una certa maniera lo sconvolge piuttosto nel profondo.
« Su su, placa l’ormone », si raccomanda Tony con sguardo trionfante,
tentando di schiaffargli sulla spalla nuda un paio di affettuose pacchette che lui si premura istantaneamente di
scansare.
« Stark, non sei affatto divertente ».
« E le tue mutande sono orrende, ma non per questo te lo dico brutalmente in
facc—ops, l’ho appena fatto ».
Steve abbassa le palpebre e freme con insofferenza, serrando spasmodicamente
i pugni e stringendo le labbra. Vorrebbe stampare le proprie nocche
esattamente sul brutto muso irriverente dell’altro, ma anziché mollargli un
cazzotto o baciarlo poco educatamente (perché sì, quand’è arrabbiato lo fa,
visto che è l’unico modo efficace per zittirlo) si limita a sollevare le
braccia e a lasciarle ricadere mollemente lungo i fianchi, esasperato. «
D’accordo. Hai vinto. Va bene. Non le metterò più. Ora potresti
andartene, visto che vorrei finire di lavarmi? ».
Nonostante il cortese invito a levarsi dai piedi, Tony ovviamente non si
muove di un passo. Sarebbe stato strano il contrario.
« Sei fuori di testa, Rogie? », domanda ridacchiando, poi fa un passo in
avanti e molto seraficamente comincia ad armeggiare con la cintura dei
pantaloni sotto al suo sguardo orripilato, « Ho parlato per venti minuti di
soubrette e mutande con te semi-nudo davanti, ora urge una doccia fredda ».
Steve lo fissa levarsi i pantaloni con movenze tanto lente e rilassate che
si ritrova a provare vergogna per entrambi, con la punta delle orecchie che
pare prendere fuoco e gli occhi che vorrebbero guardare un po’ tutto fuorché
ciò che stanno effettivamente guardando. Fa per dire qualcosa ma poi
s’interrompe di scatto, passando tutt’un tratto dall’imbarazzo galoppante
all’incredulo stupore, la bocca schiusa e gli occhi sgranati, perché Tony
con addosso un paio di slip con Capitan America ritratto sopra è senza
dubbio l’ultima cosa che si sarebbe mai immaginato di trovarsi davanti.
« … Stark », ringhia, frustrato.
« Cosa? Oh. Belle, vero? ».