La
reverenda Madre del convento di Santa Caterina sospirò
profondamente
e si prese la testa fra le mani. Era esausta. Il concerto era finito
e Sua Santità il Papa se n'era andato.
Ci fu
un leggero bussare alla porta, come se la persona dall'altra parte
sapesse quale terribile mal di testa le stesse facendo pulsare le
tempie. Ebbe voglia di non rispondere, perché desiderava
soltanto
rimanere da sola.
«
Avanti », disse invece, nonostante le intenzioni. Persino lei
percepì la stanchezza nella propria voce quando il vescovo
O'Hara
entrò nel suo ufficio. Gli sorrise debolmente, chinando la
testa in
saluto.
« Va
tutto bene? » chiese O'Hara, preoccupato.
«
Sono un po' stanca, » gli rispose onestamente. « Ma
sono fiera di
loro. Hanno cantato magnificamente, stasera. »
« Sì,
davvero. » Le sorrise. « Dovrebbe riposare, madre.
»
« Oh,
no, ho ancora del lavoro da fare... »
O'Hara
si spostò dietro la sua sedia e le posò le mani
sulle spalle.
Mentre le massaggiava riusciva a sentire la tensione che pian piano
si allentava.
«
Troppo lavoro, » commentò mentre lei si adagiava
all'indietro nella
sedia.
«
Mmmm, » mugolò lei, incoerentemente, chiudendo gli
occhi. « Questa
è una concessione pericolosa... »
«
Cosa? » chiese, divertito. « Rilassarsi? »
«
Godersi questo, » mormorò. « Godersi
questo è una concessione, un
peccato. »
«
Buon Dio, Margaret, hai bisogno di rilassarti e divertirti, ogni
tanto! »
Lei si
voltò ed alzò su di lui gli occhi spalancati.
«
Nessuno mi chiamava più Margaret da anni, » disse
con incertezza.
Studiava il viso dell'uomo che conosceva da così tanti anni.
« Lo
so. Ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta? Padre Maurice,
tu ed io. Ci siamo divertiti, non è vero? » Tanto
bastò a farla
ridere piano.
« Oh,
sì, suppongo di sì. Di certo abbiamo fatto
passare al vescovo
O'Malley più di una notte insonne. Oh, Joseph, è
diventato tutto
così convulso e... Non ci riesco, Joseph! » Una
lacrima solitaria
le scivolò lungo la guancia. « Non sono
più in grado. Sono un
relitto, non sono adatta alla chiesa moderna. »
Joseph
O'Hara la tirò verso di sé, facendola alzare
dalla sedia per
accoglierla fra le braccia. La tenne stretta contro di sé,
accarezzandole la schiena rassicurante.
« Oh,
mia cara, ma non sei un relitto. Sei una stupenda Madre Superiora e
le tue sorelle ti amano. Te ne sei sempre presa tanta cura ed
è
ovvio a chiunque quanto tu tenga a loro. Sei troppo dura con te
stessa. »
«
Tutto è di colpo diventato troppo
con Maria Claretta – Deloris – e... Sono
così orgogliosa di
loro, certo, ma... » singhiozzò contro la talare
dell'uomo.
«
Sursum corda, mia
cara, » le sussurrò, e lei alzò gli
occhi verso di lui. O'Hara
odiava vederla in quello stato, con gli occhi rossi e la scia delle
lacrime lungo le guance. Sapeva che ben poche persone l'avevano mai
vista in quello stato e certamente fra quelle non c'era nessuna delle
sue consorelle. Prendendole il viso fra le mani, le asciugò
via le
lacrime. « Ti prego, Margaret, non piangere. Non sopporto di
vederti
piangere. Ricorda, Dio è sempre un passo dietro di te...e
anch'io. »
«
Grazie, » rispose, tirando su col naso. Si asciugò
gli occhi con le
ampie maniche dell'abito. « Mi dispiace, monsignore.
»
«
Non devi. Non deve mai dispiacerti, essere te stessa con me. Siamo
amici da troppi anni, per queste cose. Sono sempre qui per te.
»
«
Lo so. »
Con
un ultimo sorriso e un bacio sulla guancia della reverenda madre,
O'Hara lasciò l'ufficio. La Superiora si lasciò
pesantemente cadere
sulla sedia, sentendosi emotivamente e fisicamente prosciugata.
Poteva sentire senza difficoltà il coro che continuava a
celebrare
il proprio successo, cantando lungo i corridoi. Non poteva dar loro
torto. Era stata una notte davvero fuori dall'ordinario.
…Just
call my name
I'll be there in a hurry
You don't have to worry
'Cause
baby,
There ain't no mountain high enough
Ain't no valley low
enough
Ain't no river wide enough
To keep me from getting to
you…
Le
voci scemavano man mano che il coro oltrepassava la sua porta e lei
sorrise a se stessa. Sapeva che quella canzone esprimeva ciò
che
provavano per Dio, ciò che lei provava
per Lui. Ma qualcosa,
dentro di lei, obiettava che forse, forse, l'Onnipotente non era il
solo per cui lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
«
Oh, è ridicolo! » tagliò corto e
lasciò la stanza.
Entrò
con un sospiro nella sicurezza della propria cella e si
appoggiò
contro la porta per qualche istante prima di chiudersela alle spalle.
Era fisicamente ed emotivamente distrutta ma non appena si fu
sdraiata a letto, ed ebbe recitato una preghiera silenziosa e chiuso
gli occhi per addormentarsi, scoprì che il sonno non voleva
arrivare. Fissò il soffitto per quelle che le parvero ore,
senza
pensare a nulla ma incapace di prendere sonno.
Le
notti successive furono identiche; era stanca, esausta, eppure il
sonno non arrivava mai quando finalmente riusciva ad andare a letto.
Erano passate due settimane dal concerto e ancora non era riuscita a
dormire un sonno decente. Occhiaie scure si stavano formando sotto i
suoi occhi e la donna, già sottile, lo diventava sempre di
più man
mano che perdeva peso.
Eppure
fingeva di non notare le occhiate preoccupate delle consorelle. Ma
non poteva – e non aveva importanza con quanto impegno
provasse –
ignorare i momenti in cui vedeva la preoccupazione negli occhi
dell'amico. Sapeva che monsignor O'Hara era in pensiero per lei anche
se lui non vi aveva fatto cenno – ma dal momento che non
aveva
spiegazioni da dare neppure a se stessa, non diede peso alla cosa.
Un
pomeriggio, il vescovo O'Hara entrò nell'ufficio della
Superiora
solo per trovarla piegata nella propria sedia, con la testa
abbandonata sulla scrivania, profondamente addormentata. Sorrise ma
il sorriso fu presto rimpiazzato da un brivido nel notare quanto
apparisse tirata. Realizzò che quella non era davvero la
posizione
più confortevole e si spostò accanto a lei.
Provò a svegliarla
scuotendo gentilmente la sua spalla.
«
Margaret? Margaret? Sveglia, » disse sottovoce, ma lei non lo
fece.
Riprovò. Un'altra volta. E ancora lei non volle saperne di
svegliarsi. O'Hara sospirò. « Va bene, l'hai
voluto tu... »
La
sollevò di peso dalla sedia, ringraziando silenziosamente
Dio del
fatto che fosse sempre stata una donna minuta. Si scoprì un
po'
preoccupato, tuttavia, che fosse così leggera. Doveva aver
perso più
peso di quanto lui avesse pensato.
Con
la suora addormentata fra le braccia, non gli restava che
preoccuparsi di raggiungere la sua cella senza che nessuna delle
sorelle se ne accorgesse. Sapeva però che sarebbe stato
impossibile,
così si rassegnò a percorrere i corridoi tenendo
stretta la sua
amica d'infanzia. Lei gemette dolcemente nel sonno e una suora che
passava arrossì.
Raggiunta
finalmente la sua cella, la adagiò sul letto, sistemandole
poi le
coperte. E si sedette sul pavimento accanto al suo letto per
guardarla dormire. Non sapeva quanto a lungo fosse rimasto
lì seduto
ma sapeva che non gli importava davvero. Dopo qualche ora lei gemette
di nuovo e lui la guardò attentamente per vedere se si
stesse
svegliando. Gli occhi della donna si aprirono e lo guardò
per
qualche istante, distrattamente.
«
Buongiorno, Madre Dormigliona, » le disse con dolcezza, un
sorrisetto che gli stuzzicava le labbra.
«
Non dirmi buongiorno, so che non sono sveglia, » fu la sua
sola
risposta. I suoi occhi sembrarono di nuovo riempirsi di lacrime e
O'Hara fu di nuovo colto dalla preoccupazione.
«
Ma lo sei senza dubbio, mia cara. »
«
No. Tu sei nella mia cella e non potresti mai esserci se io fossi
sveglia. Mi faresti un favore? »
«
Certo, qualsiasi cosa, » rispose, non del tutto sicuro di
cosa
stesse accadendo.
«
Baciami, » disse semplicemente.
«
Scusa? » esclamò sbigottito.
«
Baciami. Ti prego. Baciami. »
«
Margaret, hai fatto voto di castità, » le disse,
serio, desiderando
di poterla baciare. Ma erano membri della Chiesa e
avevano
entrambi dei voti da rispettare.
« Lo so... Ho mentito, » sorrise. «
Dopotutto difficilmente un
semplice bacio potrebbe rompere quel voto, non pensi? »
« Margaret, non sei nemmeno del tutto sveglia, non sai cosa
stai
facendo. Torna a dormire, ora. Chiudi gli occhi, » le
ordinò.
« Ti prego, Joseph, baciami, » mormorò
prima che il sonno avesse
di nuovo la meglio su di lei.
« Vorrei poterlo fare, » sussurrò O'Hara
con tristezza, poi si
alzò e raggiunse la porta. Quando era ormai sul punto di
girare la
maniglia, tornò sui propri passi e fece ritorno al suo
letto. Qui si
chinò per sfiorare con dolcezza l'angolo delle sue labbra.
« Ecco qui, » mormorò prima di lasciarla
al suo sonno.
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