Cindy prese la pila di magliette
piegate dal letto e le ripose nel cassetto dell'armadio. Rimise il
tappeto sul pavimento che aveva appena spazzato, e con uno sbuffo si
stiracchiò contenta di aver appena finito di sistemare la
sua
stanza, come d'altronde faceva ogni Domenica sera. Solo che quel
giorno aveva fatto più tardi del solito. Diede un'occhiata
all'orologio che stava sopra la sua piccola scrivania, e si accorse
che le lancette fluorescenti segnavano le undici e mezzo circa. Amava
l'ordine quella ragazza, amava essere organizzata e sempre pronta ad
ogni evenienza. Appuntava ogni Lunedì mattina il programma
settimanale su un foglietto che poi appiccicava al frigorifero, in
modo da avere sempre tutto sotto controllo. E quando, per qualche
piccolo inconveniente che poteva tranquillamente capitare, ritardava
nella tabella di marcia sgridava sé stessa con
severità
e si riprometteva che se lo avesse fatto ancora una volta sarebbero
stati guai seri. Ovviamente ciò era tutto un monologo
interiore, ma bastava a tenerla sempre in riga. Tutti in quella
piccola cittadina di campagna la consideravano come la diciannovenne
modello, ordinata, gentile, piena di forza d'animo e che riusciva a
farsi rispettare quando era ora, una buona guida per il fratellino
più piccolo Pete, chiamato da tutti Amadeus. Era proprio una
giovane da sposare, questo dicevano tutti. Più volte i
bellocci della cittadina inglese avevano cercato di corteggiarla con
mazzi di rose e cioccolatini, con bigliettini d'amore rinchiusi in
piccole buste o frasi carine, oppure, nella maniera meno sdolcinata
possibile, di trascinarla dietro a una siepe per rubarle qualche
bacio e, chissà, anche qualcosa di più. Ma lei
non si
era mai piegata a tanto, era arrivata anche al punto di picchiare qualcuno; mai aveva dimostrato interesse di legare con qualsiasi uomo:
l'unica cosa nella sua testa, da quando aveva avuto sedici anni in
poi, era la sua famiglia mutilata. Nonostante la morte dei genitori
in quell'incidente, era riuscita a mantenere un freddo autocontrollo,
sorprendendo tutti, e la prima cosa che aveva fatto era pensare al
suo piccolo Amadeus, all'epoca di soli sei anni e mezzo.
Cindy si raccolse i capelli con uno
stecchino colorato, ed uscendo dalla sua camera fu ben accorta a
spegnere la luce. Andando verso le scale che portavano al piccolo e
comodo salottino al piano di sotto si accorse che nella stanza
accanto alla sua, quella che era comunemente destinata ad ospiti che
non arrivavano mai, la porta finestra sbatteva di tanto in tanto
contro il muro, lasciando che la vaporosa tenda azzurra volteggiasse
nell'aria notturna.
-Deve essere ancora in piedi- pensò
indecisa se entrare a controllare o meno. -anche se a dire il vero
non l'ho mai visto dormire...- continuò portandosi l'indice
al
labbro inferiore in modo quasi infantile. Si fermò
sull'uscio
ad osservare quella stanza oscura, dentro la quale si intravedeva
giusto un letto sfatto da chissà quanti giorni e dei vestiti
colorati sparsi qua e là per il pavimento. Come se si fosse
appena risvegliata da un sogno, si rese conto che fuori aveva
cominciato a piovere. Le goccioline tamburellavano contro i vetri e
contro le mattonelle del balcone sul quale dava la porta finestra.
Aguzzò di più la vista e scorse la sua sagoma
scura
appoggiata al terrazzo fresco. Entrò in punta di piedi
facendo
scricchiolare appena il pavimento in legno, si bloccò un
momento per accertarsi che non l'avesse sentita, poi, trattenendo il
respiro per fare più silenzio possibile, si
avvicinò
ancora un pochino, quanto bastava per lasciarsi accarezzare le guance
da quella dolce brezza. Si sporse un po', e spese qualche istante di
quella Domenica sera a guardarlo.
Se ne stava con il muso contro la
pioggia, lasciando che le gocce fresche gli attraversassero la
carnagione chiara, gli zigomi scavati, le labbra rossastre, la punta
del mento. Teneva quei suoi splendidi e magnetici occhi fissi contro
la notte scura, come se fosse affascinato da essa, quella notte senza
neanche una nuvola. Sembrava quasi contare le stelle una a una, quei
puntini bianchi e lucenti che tanto lo attraevano e che si
riflettevano nelle sue pupille diverse. La luce pallida della Luna
rischiarava in lui uno sguardo fiero, quell'espressione che sempre
aveva, ma anche così maledettamente infantile, presuntuosa e
di chi ce l'ha col mondo intero. La ribellione dominava l'animo di
quella creatura caduta dal cielo, la illuminava tutta, ed usciva
prepotente dai suoi occhi magnifici. Cindy sapeva bene che non
apparteneva alla razza umana, eppure c'era qualcosa in lui che gli
diceva il contrario. Dopo la sua caduta sulla Terra, la ragazza aveva
svolto accurate ricerche nei libri che teneva in casa propria e nei
polverosi volumi custoditi nella biblioteca principale. In quel luogo
ci aveva passato tre giornate piene, sfogliando pagine su pagine,
persino dizionari, nella speranza di trovare un termine che potesse
identificare quell'essere che sapeva comprendere e parlare
perfettamente la sua lingua. Finché, il terzo giorno, non si
arrampicò su una delle scalette della biblioteca ed
afferrò,
dall'ultimo vecchio scaffale, un librone sulla cui copertina pesante
campeggiava un “Libro di astronomia e altre scienze”.
Vi
trovò importanti notizie sugli astri e sulle costellazioni,
tanto che all'inizio aveva pensato che il suo nuovo ospite potesse
essere una cometa. -Sì, diciamo che sono proprio una cometa-
le aveva risposto -sono un pezzetto di luce caduto per sbaglio su
questo pianeta. Sono una cometa dai fili dorati-. Ma lei, prendendo
ciò che le aveva detto come una semplice presa in giro,
aveva
continuato a cercare e ricercare, fino a quando non si
imbatté
in termini come “oggetto non identificato”,
“forma di vita
extraterrestre”, “pluralità di
mondi”, “classificazione
Hynek”. Da quel giorno la sua visione dell'Universo si estese
più
di quando potesse esserlo prima, e capì che la Terra altro
non
era che una briciolina in una tovaglia molto, molto più
grande. Ma detto fra noi, nonostante avesse ormai compreso che
quell'essere era un extraterrestre come dicevano i fumetti che leggeva suo
fratello, non aveva mai smesso di considerarlo come una
cometa. Era la forma che meglio si adattava a quella figura bianca e
magra che brillava di una profondità mai vista. Se fosse
stato
un umano, gli avrebbe dato sui venticinque anni. Era affascinante
oltre ogni dire. Forse perché era un diverso, forse
perché
lo erano in due. Con la differenza che lui faceva di tutto per
continuare ad esserlo. Continuò a spiarlo dalla finestra
semi
aperta. Non diceva nulla, si limitava a guardare quel cielo dal quale
proveniva, a sognare casa, qualunque forma avesse, a desiderare
magari di poter riassaggiare quella polvere lunare della quale era
ricoperto la prima volta che lo aveva incontrato. L'aria fresca gli
scompigliava appena i ciuffi color arancio vivo e gli donava quel
senso di libertà che tanto agognava.
Improvvisamente Cindy capì che
era arrivato il momento di farsi coraggio e di avvicinarsi a lui per
fare due chiacchiere. Così uscì un po' intimidita
alla
pioggia e gli si avvicinò, cercando comunque di non rompere
la
sua pace. Incantata, osservò anche lei quel cielo ricco e
misterioso, e la domanda le salì alle labbra in maniera del
tutto spontanea.
-Ti manca casa?-
Lui tirò un sorriso, abbassò
le palpebre ed indirizzò il suo sguardo verso il suo volto.
Quei suoi occhi la mettevano sempre a disagio, ma era come se fosse
una situazione piacevole. Quei suoi occhi enigmatici nei quali amava
perdersi ogni tanto. Non le rispose. Si limitò a guardarla
per
qualche istante. Così la ragazza continuò con la
conversazione.
-E' buffo...-
-Che cosa?-
-E' buffo il fatto che tu sia qui già da cinque giorni... e
che io non sappia ancora il tuo nome...-
-E' importante averlo?-
-Beh, qui tutti hanno un nome-
-E' una cosa stupida. A me sembrate in fondo tutti uguali.
Perché etichettarvi con degli inutili nomi?-
-I nomi non sono inutili, e devi avercelo per forza anche tu!-
-E' la cosa più stupida che mi sia mai stata detta!-
-Wow, che gentile che sei stasera...-
-Non meno di una giovane hyppie che mi spia da dietro la finestra-
-Io ero lì per caso! E se ti do così tanto
fastidio posso anche andarmene!-
-Quanto siamo acidi, ragazzina! -
-Cosa?! Sei davvero un maleducato!!!-
-E' il complimento più grande che una mosca come te potesse
farmi, mocciosetta!-
-Ah e va bene! Ti accontento subito! ME NE VADO! E scusa se volevo solo
dialogare un po' con te! Per la miseria volevo solo sapere come ti
chiami!!- e detto ciò, ricolma di rabbia, fece per
ritornarsene al piano di sotto. Affascinante oltre ogni dire.
Sì! Un bell'arrogante altro che!!
Scese le scale mugugnando qualcosa del
tipo -stupido insolente!- e si gettò letteralmente sul
divano,
stringendo un cuscino per scaricare la rabbia. Dopo meno di mezz'ora,
il cuscino le scivolò di mano e cadde addormentata.
Sonnecchiava, indifesa, mentre l'alieno, due ore più tardi,
le
si avvicinava in punta di piedi. La osservò per un attimo,
osservò quel ciuffo di capelli nascondergli appena un
occhio,
poi, sempre con molta cautela in modo da non svegliarla, le porse un
bigliettino vicino al viso.
Quando Cindy si risvegliò nel
cuore della notte, percepì un angolino di quel messaggio
solleticargli una guancia. Lo prese, lo lesse confusa, e sorridendo
lo mise sotto al suo cuscino.
Quella calligrafia sottile e bluastra
diceva semplicemente: -Scuse
dovute. Firmato, Ziggy
Stardust-.
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