Sarebbe un what if...?
del film "Thor", ma, poiché la trama si basa anche su una
delle ultime scene di "Iron Man", in cui si vede Mjolnir, la posto in
The Avengers e taglio la testa al toro XP
Mi sono innamorata del Frostiron, perciò sappiate che ci
incontreremo (?) ancora sulle pagine di EFP <33 Intanto, se
commentate mi rendete felice :D MOLTO felice :D E rendete felice anche
Loki, naturalmente <3 (E chi è che non vuole renderlo
felice? :D)
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Twenty Questions
Dopo aver abbandonato Thor in ginocchio, disperato, piegato come
non aveva mai avuto prima la squisita occasione di vederlo, Loki si
sistemò con cura il colletto dell’impermeabile a
doppio petto e si
stropicciò il volto, atteggiato a un’espressione
triste, con una
mano, come a volersi strappare di dosso una maschera.
Se qualcuno avesse potuto vederlo, negli interstizi tra le sue
dita avrebbe scorto occhi ridenti e labbra increspate in un sorriso
crudelmente felice.
Poiché però aveva deciso di passare inosservato,
nessuno degli
insetti che lo attorniavano avrebbe avuto il potere di sopraffare la
sua volontà di essere divino e nessuno, pur camminandogli
così
vicino che avrebbe potuto sfiorarlo allungando una mano, prestava la
minima attenzione alla sua presenza.
Stupido, stupido Thor.
Se fosse stato meno egocentrico e scapestrato, anche lui, ora,
avrebbe potuto ricorrere senza difficoltà a quei piccoli
accorgimenti che gli avrebbero permesso di evitare ogni fastidioso
contatto con gli abitanti di quel mondo.
E invece – come sempre – era al
centro dell’attenzione,
ma – per una volta – non tutto
era andato come lui avrebbe
voluto.
Non avrebbe fatto la figura dell’eroe, non quella volta.
Nessuno
l’avrebbe osannato, nessuno l’avrebbe ammirato,
nessuno gli
avrebbe ricordato quanto era bello e bravo: avrebbe ricevuto solo
occhiate stranite, strette di spalle e l’etichetta di folle.
Adesso, finalmente, era Loki a essere in vantaggio, non soltanto
perché aveva il completo controllo di Asgard e anche dello
stesso
Thor, a sua insaputa, ma anche perché, quando Odino aveva
stabilito
che prendessero lezioni sulle altre dimensioni, lui aveva studiato
assiduamente la Terra e coloro che vi dimoravano, mentre suo fratello
andava a divertirsi a Jötunheimr con i suoi amici.
Era quasi sul punto di cedere a uno scoppio di risa
incontrollabile, quando, con sua estrema sorpresa, qualcosa di duro
urtò contro il suo fianco con tanta forza da scaraventarlo
attraverso il corridoio di plastica, contro una delle sue pareti e
oltre, a rotolare supino nel fango, sotto la pioggia battente, troppo
confuso per concentrarsi sul mantenersi nascosto all’occhio
umano.
Incredulo ma non sprovveduto, allungò entrambe le mani verso
l’alto, alla cieca, e afferrò i polsi del suo
assalitore.
Attraverso la cortina d’acqua che gli annebbiava la vista,
riusciva
a intravvedere i contorni della sua figura, sebbene indistinti.
Udì una voce che sbraitava “chi diavolo
sei?” a voce
alta, per farsi sentire sopra al frastuono dei fulmini e dello
scrosciare della pioggia, e una delle mani si liberò dalla
sua presa
e gli colpì lo zigomo con un pugno che lo lasciò
stordito per
qualche secondo.
Gli esseri umani erano pazzi.
«Fermo!» Sciolse anche la stretta
sull’altro braccio e levò
in alto le mani in segno di resa: non era il caso di attirare troppo
l’attenzione su di sé con un combattimento.
«Sono un amico».
«Nah, impossibile» fu lo sbuffo scettico che
ricevette in
risposta. «Mi hanno già presentato tutto lo staff
e sono sicuro di
non averti mai visto… credo». Credeva?
Loki lo lasciò
parlare, massaggiandosi il mento – quantomeno aveva smesso di
prenderlo a pugni. «Ma che diavolo ci facevi con il biondone
isterico?»
“Biondone isterico”: Loki impiegò
diversi istanti a collegare
quell’interessante epiteto a suo fratello. Del tutto fuori di
testa, quegli umani.
«Controllavo lo squilibrato in attesa che il signor Coulson
tornasse a interrogarlo» mentì con una smorfia,
ancora incerto se
ucciderlo lentamente o dargli una morte rapida e fuggire prima che
qualcun altro lo vedesse e si facesse troppe domande. Infilò
una
mano nella tasca interna dell’impermeabile, ne trasse un
documento
plastificato dello S.H.I.E.L.D., decorata da nome falso e fotografia
di qualcuno che gli somigliava molto, e gliela sventolò
davanti.
«Vedi?»
Il suo misterioso aggressore gli strappò la carta di mano,
la
esaminò per un lungo momento e finalmente si decise a
togliersi da
sopra la sua cassa toracica e a porgergli un braccio perché
si
rialzasse.
«Okay, sembri a posto» commentò con il
fare innocente di chi
sia convinto di aver agito in modo impeccabile. «Ah,
ovviamente mi
scusi il pugno, vero? Stavo lavorando».
Loki non lo degnò di alcuna replica; si limitò a
drizzarsi a
sedere, ravviarsi i capelli e rassettarsi gli abiti, del tutto
incurante della mano che quello ancora gli tendeva. Lo sconosciuto
dovette capire in fretta l’antifona, perché
lasciò perdere e si
dedicò invece ad annunciare al capannello di agenti riuniti
nei
pressi del foro nella parete in plastica che aveva “commesso
una
piccola svista”.
Piccola svista – la guancia pulsava
fastidiosamente e lui
sentiva montare l’irritazione, ma se non altro
l’assalitore stava
allontanando gli altri membri dello S.H.I.E.L.D. e di conseguenza
sviando da lui ogni sospetto.
Per la verità trovava strano che nessuno svolgesse ulteriori
indagini, ma, considerando che poteva non essere la prima volta che
l’uomo commetteva “una piccola svista”,
ebbe l’impressione
d’intuire il motivo della generale assenza di stupore. Forse,
dopotutto, non tutti gli esseri umani erano folli, forse a lui era
toccato uno dei peggiori.
Dopo che si fu alzato in piedi, l’aggressore gli
restituì il
documento falso e gli diede un amichevole colpetto sulla spalla.
«Suvvia, un errore ogni tanto capita anche ai migliori,
giusto? E se
ti offro una doccia per fare ammenda?»
«No, grazie» si affrettò a rifiutare
Loki e contemporaneamente
si sottrasse al contatto con lui con uno scatto fulmineo di non
troppo velato disgusto. «Ho molto da fare».
«Anche io ne ho ancora per un po’, non ho
fretta».
«Oh, in realtà ho già finito e devo
andare via subito»
rettificò Loki, impaziente di scollarsi di dosso lo
sconosciuto.
Perché insisteva tanto? «Magari un’altra
volta, grazie lo
stesso».
«Ma che fortuna, il mio turno finisce proprio
adesso» osservò
l’aggressore in tono allegro dopo aver sollevato un polso,
probabilmente per occhieggiare l’orologio.
E Loki comprese due cose.
La prima era che era in trappola e, se non voleva destare
sospetti, avrebbe fatto meglio a cedere. La seconda era che,
più o
meno occultamente, l’altro lo stava prendendo in giro e che,
malgrado le inappuntabili credenziali che gli aveva mostrato, non si
era lasciato ingannare.
«Sì, che fortuna» gli fece eco, la
mascella rigida e un sorriso
forzato dipinto sulle labbra sottili.
L’uomo ammiccò in un gesto teatralmente
cavalleresco alla
fenditura che avevano provocato nella plastica, Loki si
limitò ad
assecondarlo, precedendolo con il suo incedere svelto e aggraziato,
l’impermeabile che frustava l’aria con un sibilo a
ogni passo.
Se si trattava di una sfida, non sarebbe stato lui a tirarsi
indietro.
Non aveva nulla da temere da un umano qualunque soltanto
perché,
in un suo momento di distrazione, era riuscito a vederlo e a
coglierlo alla sprovvista. Al contrario, avrebbe goduto nel
sopraffarlo e servirsi di lui, manovrare senza pietà proprio
colui
che aveva tentato di raggirarlo a proprio piacimento.
Intimamente si compiacque d’essersi procurato un posto nello
S.H.I.E.L.D. e di avere pianificato tutto molto prima di mettere in
atto il proprio progetto e, a mano a mano che entrambi espletavano le
procedure necessarie per lasciare l’organizzazione dopo la
fine del
proprio turno di lavoro, non si trattenne dal rifilare più
di
un’occhiata di sottecchi al suo misterioso assalitore, non
soltanto
perché senza la pioggia a ottenebrargli la vista poteva
studiarlo,
ma anche per cercare segni di delusione nella sua espressione, dal
momento che la sua presenza in quel luogo non era affatto sospetta.
Con sua estrema delusione, però, il volto dello sconosciuto
non
mostrava altro che placidità.
Mentre completavano i minuziosi controlli necessari per essere
liberi di uscire dal laboratorio dell’organizzazione, Loki
notò
per la seconda volta come, alla giustificazione “è
stata solo una
svista”, i colleghi dello sconosciuto si limitassero a
scuotere
stancamente la testa e persino a indirizzare a lui uno sguardo
solidale, quasi fossero abituati a quel genere di incidenti con
quell’uomo.
Quella reazione lo rassicurò – se non altro, era
riuscito a
mantenere la copertura senza danni.
Fuori dal perimetro protetto, si fece più cauto e
circospetto nel
seguirlo fino alla sua auto, fortemente consapevole del numero di
persone che li circondavano, che calava a gran velocità di
secondo
in secondo.
Era probabile che l’uomo volesse attirarlo in un luogo dove
sarebbero stati soli con l’intenzione di estorcergli
informazioni
e, eventualmente, di catturarlo.
Sfortunatamente per lui, se da un lato Loki era in netto
svantaggio a causa del proprio fisico smilzo, contrapposto a quello
robusto e possente dello sconosciuto, dall’altro poteva
vantare
un’intelligenza fuori dal comune e senza dubbio superiore
alla sua
– sempre ammettendo che ne possedesse una. Non aveva modo di
stupirlo un’altra volta.
«Io sono Tony, comunque» fu lui a spezzare il
silenzio, una mano
intenta a rovistare in una tasca, probabilmente in cerca delle chiavi
dell’auto. «Tony Stark».
«Eric» lo liquidò Loki, laconico, senza
quasi degnarlo di uno
sguardo.
Tony premette un pulsante sulla chiave elettronica che aveva
estratto dai pantaloni e, a pochi metri di distanza, da una lussuosa
macchina sportiva nera si levò uno squillo e in
contemporanea si
accesero i fari anteriori. «Prego» gli
indicò con un cenno la
portiera del sedile del passeggero.
Loki raccolse l’impermeabile con una mano per evitare che
strusciasse sul terreno mentre si chinava, salì
sull’auto e si
chiuse lo sportello alle spalle; Tony lo imitò,
infilò la chiave
nel cruscotto, la girò con un agile scatto della mano e, una
volta
che il motore ebbe manifestato il proprio risveglio con un ringhio,
prese il volante come se volesse accarezzarlo e si immise
sull’autostrada deserta.
«Allora, Eric,» stese un
braccio sulla spalla del proprio
sedile e si volse a guardarlo con un sogghigno beffardo «ti
dispiacerebbe dirmi il tuo vero nome?»
Loki scelse in fretta la strategia da usare: accontentarlo e
fingere di essere messo in difficoltà dalla sua astuzia.
«Il mio
vero nome?» Dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere e
limitarsi
a un sorrisetto nervoso. «Stai scherzando, ho già
detto che…»
«Dai, basta stronzate» lo interruppe Tony con il
fare benevolo
di un padre indulgente. «Prometto di non farti troppo male,
se mi
dici chi sei e cosa ci facevi nel laboratorio con il gorilla».
“Il gorilla”: Thor, di nuovo.
Stava cominciando ad abituarsi al suo linguaggio primitivamente
colorito.
Il sorriso abbandonò immediatamente l’espressione
di Loki,
sostituito da una rigidità che simulava preoccupazione e
allarme.
«Perché dovrei essere un nemico?»
domandò, sfoggiando la propria
migliore voce turbata.
Tony levò gli occhi al cielo ed emise un teatrale sospiro di
sopportazione. «Non fare il difficile. Stavi parlando con
quella
Barbie con troppa peluria, ti ho visto: il problema è che
nessun
altro vedeva te. Non sei il primo tipo strano che
incontro,
sai?» Il suo viso si aprì in un sorriso che non
aveva nulla di
rassicurante – o almeno così avrebbe dovuto
essere, se Loki fosse
stato davvero il nemico indifeso e impotente che stava interpretando.
«E io non sono qualcuno che tu possa rigirarti come
vu…»
Squisito.
Loki dovette quasi ammettere con se stesso che era valsa la pena
di finire nel fango con un livido violaceo sullo zigomo.
L’espressione di Tony era impagabile, ora: quel sorrisetto
sardonico gli era morto sulle labbra e il suo corpo si era teso come
quello di un animale sotto attacco.
«Vedo che non sei stupido come sembri»
commentò, la voce
improvvisamente cambiata, non più ansiosa ma placida,
vellutata,
come di un gatto che si lecchi i baffi prima di divorare il topolino.
La sua mano, sinuosamente scivolata sino alla gamba di Tony, ne
aveva sfiorato la coscia con la punta delle dita e quel contatto
effimero era stato sufficiente perché l’arto fosse
stretto in una
morsa di ghiaccio.
Poiché Tony non si muoveva e per una volta taceva,
Loki si
prese quanto più tempo possibile per esaminare il cassetto
del
cruscotto e ogni altro possibile nascondiglio per un’arma,
che
tuttavia non trovò.
«Sprovveduto. No, mi correggo, superbo,» riprese a
parlare,
scandendo ogni sillaba con studiata calma, un sogghigno divertito a
sfregiargli il volto «ma non troppo stupido».
Appurato che la vettura non nascondeva nulla che potesse essere
usato a suo svantaggio, i suoi occhi incrociarono quelli di Tony, li
incatenarono nella loro prigione di ghiaccio e sarcasmo.
«Posso fare
peggio di così. Posso farti morire congelato in un istante,
se me ne
dai motivo. Altrimenti, possiamo fare le cose nel modo più
semplice.
Portami da te, se l’offerta della doccia è ancora
valida».
Un informatore gli avrebbe fatto comodo, non avrebbe dovuto
correre il rischio di fare ritorno al laboratorio e avrebbe avuto
l’opportunità di monitorare Thor tramite altri
occhi, al sicuro ad
Asgard.
Tony non ribatté nulla, si limitò a schiacciare
l’acceleratore,
gesto che Loki interpretò come un muto assenso. Compiaciuto
della
buona riuscita del suo progetto, si rilassò contro lo
schienale e
indulse pigramente nell’ammirare il profilo scultoreo del suo
compagno di viaggio, alla ricerca del punto debole di quel fisico
muscoloso, cullato da quel silenzio delizioso.
Stava studiando con attenzione il leggero rigonfiamento
all’altezza del cuore, incuriosito, nel momento in cui, di
nuovo, Tony Stark decise di aprire bocca.
«Allora è il ghiaccio, hm? Interessante. Cosa sei,
una specie di
mago? Tipo Harry Potter?»
Il suono della sua voce lo lasciò interdetto. Dopo aver
messo in
chiaro la propria superiorità, non credeva che Tony avrebbe
più
aperto bocca, ma che avrebbe chinato la testa e obbedito come gli
spettava.
Indubbiamente non credeva che avrebbe parlato di letteratura
fantasy per adolescenti.
Tirò un sospiro, si passò una mano tra i capelli
e gli rifilò
un’occhiata penetrante. «Perché dovrei
rispondere?»
«Così, per fare conversazione».
«La conversazione tra noi non è strettamente
necessaria».
«Oh, sì invece». Tony azzardò
un sorriso beffardo. «Altrimenti
perché saresti ancora qui, se non per farmi delle
domande?»
Loki inarcò le sopracciglia e lo fissò, facendosi
immediatamente
serio e intento. «Domande cui sei intenzionato a
rispondere?»
Tony finse di riflettere sulla richiesta, poi scosse il capo con
fare di scusa. «Non esattamente»
replicò, enigmatico. Loki dovette
attendere il tempo di una delle sue pause da attorucolo prima che si
decidesse a soggiungere: «Ma potrei farlo, se tu accettassi
una
sfida».
Loki aggrottò la fronte. «Non ho tempo da sprecare
in giochi
infantili».
«Nessun gioco infantile» lo rassicurò
Tony con fare
innaturalmente grave. «Ti propongo una sfida a Twenty
Questions».
Loki lo squadrò, il volto imperturbabile, ma dentro di
sé era
meravigliato e – sebbene non volesse ammetterlo nemmeno con
se
stesso – ammirato. Nonostante avesse avuto una prova del suo
potere, che in meno di tre secondi gli aveva quasi congelato la
coscia, quell’uomo non lo temeva. Non si piegava. Dietro alle
sue
proposte apparentemente puerili si celava un avversario ben
più
temibile di quanto apparisse.
«Twenty Questions?» gli fece eco, senza riuscire a
reprimere un
moto di scetticismo.
«Modificando un po’ le regole»
specificò Tony, quasi fosse
quello il dubbio più naturale a riguardo. «Una
domanda per ciascuno
al giorno, non di più. E le risposte devono essere
sincere».
Loki tacque per un lungo istante, soppesò la proposta con
attenzione, gli occhi chiari socchiusi, due lame di ghiaccio vitreo
che trafiggevano il profilo del suo interlocutore, intento a scrutare
la strada immersa nella notte. «Come si vince?»
Tony levò le mani a palmo in su per un secondo prima di
riafferrare il volante. «Non si vince in tutti i giochi. In
questo
no, per esempio. Diciamo che ci facciamo favori a vicenda?»
L’affermazione gli strappò un sorriso, il suo
sguardo scivolò
dal viso dell’altro a un punto imprecisato di fronte a
sé, oltre
il parabrezza. «Perché suggerire una cosa del
genere?» volle
sapere dopo un’altra pausa di silenzio in cui
ponderò con cura
l’idea in cerca di una falla, di qualcosa che potesse
dimostrarsi
un ostacolo per lui in qualsiasi modo. Non trovò niente.
«Che cosa
ci guadagneresti?»
Un sorriso sfrontato piegò le labbra di Tony.
«Soddisfo la mia
curiosità, tutto qui».
Sembrava la verità. Pur impegnando ogni singolo anfratto
della
propria mente nella ricerca di un punto a suo sfavore in quel
suggerimento, non individuava alcuna minaccia. Tony non sapeva niente
di lui e non poteva sospettare nulla più che avesse un
legame con
Thor – e in ogni caso Loki avrebbe sempre potuto eludere i
quesiti
più pericolosi.
«Come vuoi, Stark» si decise infine ad accettare,
si volse per
ricambiare il suo sorriso e scoprì che l’uomo si
era girato a
propria volta, quasi simultaneamente. Rimasero a squadrarsi, entrambi
preda di una strana sensazione, fino a che Loki non si rese conto che
era la prima volta che pronunciava il suo nome.
“Stark”. «Ma, se
dovessi tentare di prendermi in giro…»
«Mi spari un freeze ray come Gru di
Cattivissimo Me, è
chiaro» lo interruppe Tony con una scrollata di spalle, Loki
si
limitò a rifilargli un’occhiata turbata.
A volte aveva l’impressione che parlasse una lingua molto
diversa dalla sua.
«… Sì» scelse di
assecondarlo. «Precisamente».
«Okay, comincio io» tergiversò Tony,
nient’affatto turbato
dalla prospettiva di essere ucciso. «Qual è il tuo
nome? Quello
vero, voglio dire».
Non era niente di più che un gioco infantile, come aveva
sospettato. Avrebbe dovuto piegare quell’umano alla propria
volontà, non indulgere in simili sciocchezze che mettevano a
rischio
il progetto di una vita. Eppure non riusciva a impedirselo.
«Loki».
«Avevo detto quello vero».
Loki non batté ciglio, al contrario parve persino offeso
dall’incredulità del suo interlocutore.
«Loki».
Tony era sul punto di commentare con un’altra battuta, ma la
serietà di Loki lo convinse che non lo stava prendendo in
giro.
«Okay. Loki». Quel nome gli suggeriva qualcosa, ma
non riusciva a
ricordare cosa di preciso. «Tocca a te».
Sulla destra, sul ciglio della strada, incontrarono uno degli
sparuti alberghi che si trovavano su quella autostrada. Rispetto agli
hotel di New York era piccolo e poco curato, ma senza dubbio il
meglio che si potesse trovare in quel luogo sperduto e Tony Stark non
si accontentava mai di niente di meno del meglio. Finché
avesse
continuato a studiare il martello piovuto dal cielo, la suite di
quell’albergo gli sarebbe bastata.
Tony svoltò nel vialetto dal quale si accedeva a un piccolo
parcheggio, tirò la leva del freno e spense il motore.
«Qui?» Loki arricciò il naso,
palesemente poco entusiasta.
«O in macchina. Cosa preferisci, Harry Froster?»
Gli scagliò una maledizione a denti stretti, esasperato
dalla sua
passione per i soprannomi idioti, ma scese dalla vettura e lo
seguì
all’interno della locanda.
L’ingresso era vuoto, il banco della reception deserto, da
dietro una porta socchiusa provenivano lampi di luce – forse
una
televisione – e grida concitate di uomini ubriachi; Loki si
strinse
nelle spalle, ormai ansioso di ripulirsi dal fango che gli
appiccicava i vestiti al corpo e i capelli alla nuca, e si
accodò a
Tony, che salì le scale fino all’ultimo piano,
dove si trovava un
solo battente – quello che dava sulla suite.
L’appartamento era di gran lunga migliore di quanto lasciava
immaginare la prima impressione che l’hotel dava di
sé – d’altra
parte, le sistemazioni dei dipendenti dovevano essere approvate dallo
S.H.I.E.L.D., che di solito garantiva pulizia e sicurezza, se non
altro perché gli elementi con cui gli impiegati entravano in
contatto non si disperdessero in un ambiente lurido dove avrebbero
potuto fermentare e diventare qualcosa di pericoloso.
Era costituito da un ampio soggiorno, una camera da letto
spaziosa, una piccola cucina e un bagno scintillante. La soglia si
affacciava sul salotto, dove il pavimento era lucido e riflettente,
come uno specchio, e un’intera parete era occupata da una
vetrata
che mostrava il deserto avvolto dai tentacoli
dell’oscurità; il
mobilio era dei più classici che si potessero trovare in un
albergo,
un sofà di pelle, un tavolino basso, una televisione a
schermo
piatto e un piccolo frigobar, uno sfizio concesso a chi occupava la
suite per un prezzo che – ipotizzò tra
sé Loki – doveva essere
di gran lunga superiore a quello per una stanza comune.
Profondamente irritato dalla consistenza dura dei suoi capelli
intrisi di fango e dalla sporcizia sui suoi indumenti, si
ritirò in
bagno senza una parola.
Tony osservò la sua figura alta e snella sparire oltre
l’uscio
del bagno, si soffermò più a lungo del dovuto a
scrutare la porta
che scivolava sui cardini alle sue spalle e si rese conto che essa
non si chiudeva del tutto, ma rimaneva socchiusa – una svista
dell’occupante della stanza.
Loki. Un nome assurdo e un incontro ancora più improbabile.
Forse, se avesse chiesto informazioni a Fury, avrebbe trovato
qualche risposta, ma per il momento decise di evitare di
coinvolgerlo: Nick poteva diventare straordinariamente invadente e
petulante quando c’era di mezzo un potere disumano come
quello di
cui Loki gli aveva dato un assaggio in macchina.
D’istinto, mentre si chinava ad aprire il frigobar e prendere
una lattina di birra fresca, si sfiorò la gamba, laddove si
era
stretto il morso di ghiaccio, e un lieve brivido lo
attraversò da
capo a piedi.
Era stato pericoloso, molto pericoloso.
Se non fosse stato capace di attirare l’attenzione di Loki al
punto che l’uomo aveva posticipato il suo omicidio, sarebbe
già
morto.
La lattina si aprì con un sibilo, Tony la sollevò
alla bocca e
bevve un lungo sorso. La birra ghiacciata gli rinfrescò la
mente,
provata dall’insopportabile calura di quel luogo, che
persisteva
malgrado l’acquazzone di quella sera.
Fino a quel mattino era stato impaziente di tornare alla Stark
Tower. L’avevano costretto a venire in quel deserto in culo
al
mondo e non gli permettevano neppure di sfiorare il martello,
l’unico
elemento che l’aveva indotto ad accettare di presenziare agli
studi. Se però non volevano lasciarlo studiare
– Nick
poteva diventare anche molto infantile quando veniva toccato qualcosa
che riteneva gli appartenesse, specialmente se veniva toccato da una
persona speciale come Iron Man –, non
vedeva alcuna ragione
di rimanere.
Poi era apparso Loki.
Tony non aveva idea di come fosse possibile, ma l’uomo si era
mosso tra gli agenti dello S.H.I.E.L.D. come fosse trasparente,
quando invece lui lo vedeva senza difficoltà.
Per il momento, aveva messo da parte la fretta di tornare a New
York.
Lo scroscio dell’acqua che all’improvviso taceva
attrasse la
sua attenzione, si voltò verso il battente dischiuso e
attraverso lo
spiraglio intravvide Loki che si avvolgeva un asciugamano intorno
alla vita.
La luce del lampadario in soggiorno, insieme alle tenebre in cui
al contrario era immerso il bagno, disegnavano arabeschi di
chiaro-scuro sulla sua pelle nuda, così chiara, quasi
translucida.
Su di essa le ciocche color dell’inchiostro apparivano
frustate,
l’azzurro degli occhi, per quanto pallido, sembrava a un
tratto un
cupo blu notte in confronto al candore di quella carnagione.
Tony provò uno strano miscuglio di sensazioni che
impiegò
qualche secondo a classificare.
Assenza di salivazione, sudorazione, fremiti involontari, tensione
muscolare: sintomi di un inaspettato aumento di produzione di
testosterone. Attrazione sessuale.
Loki alzò il capo, lo vide, i loro sguardi si inabissarono
l’uno
nell’altro. Loki capì.
Un sorriso affilato si disegnò lentamente sulle sue labbra
sottili, la sua voce si levò melodiosa e beffarda.
«Che cosa stai
guardando, Stark?»
Sebbene colto in fallo, Tony mutò subito espressione in una
canzonatoria e tronfia. «Mi dispiace, hai già
oltrepassato il tuo
limite di una domanda al giorno» gli fece notare in tono
placido,
vuotando la lattina in un altro sorso.
Loki batté le palpebre, perplesso.
«Cosa?»
«Prima, in macchina, mi hai chiesto se ci saremmo fermati
qui»
gli ricordò Tony, divertito nel vedere come cambiava il viso
di Loki
di istante in istante, a mano a mano che si accorgeva del suo errore.
«Hai sprecato la tua domanda, per oggi».
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Tony sarebbe morto. In una
smorfia che gli scoprì la dentatura, Loki sibilò
un “bastardo”
e sbatté la porta, che Tony temette sarebbe andata in pezzi.
Il battente resistette all’urto, lui sorrise.
Aveva tanto tempo per tornare alla Stark Tower.
Nonostante l’impulso omicida che gli fece accarezzare
l’idea
di torturare Tony Stark nelle peggiori maniere possibili per averlo
ingannato, vinse l’orgoglio e Loki tornò da lui,
la sera dopo,
perché non poteva esistere umano – in nessuna
dimensione –
capace di averla vinta contro di lui.
La notte successiva fu molto più oculato nella scelta della
sua
domanda.
Aveva sbagliato a sottovalutare quel gioco, Tony ne aveva
approfittato: semplice, lineare. Ma poteva fare ammenda facilmente a
quel piccolo errore.
«Allora, Stark, che cosa ti rende così speciale da
averti fatto
finire nello S.H.I.E.L.D.?»
Erano seduti sul divano, Loki con le gambe elegantemente allungate
e accavallate, Tony, stravaccato, brandiva un bicchiere di whisky.
Prima di rispondere, quest’ultimo bevve un lungo sorso e
rifletté
sulla replica.
Loki attese con pazienza, la sua domanda era troppo precisa
perché
si potesse escogitare una trovata per eluderla.
Alla fine Tony afferrò il manico della valigia di metallo al
suo
fianco – la portava con sé ovunque anche la sera
precedente,
ricordò Loki, inarcando un sopracciglio –, se la
pose in grembo e
ne sollevò il coperchio, che rivelò una serie di
pezzi di metallo
rosso e oro e, in un angolo, una piccola tastiera che si accese con
un ronzio.
«Signore?»
Loki si affrettò a mascherare il suo sussulto di stupore nel
rendersi conto che quella voce metallica – eppure, al tempo
stesso,
straordinariamente umanoide – proveniva dalla valigia.
«Tranquillo, Jarvis» lo rassicurò Tony
con fare quasi
affettuoso – Loki non l’aveva
ancora mai visto manifestare
qualcosa di diverso dall’autocompiacimento.
«È tutto okay».
Sollevò poi lo sguardo dalla valigetta a quello curioso di
Loki e
spiegò, dando un colpetto amichevole a uno dei frammenti
dorati: «È
un’armatura ad alta tecnologia che ho costruito io
stesso». Era
tornato all’autocompiacimento, ma perlomeno quello era un
atteggiamento che Loki aveva imparato a prevedere.
«È per questo
che Nick mi vuole nello S.H.I.E.L.D. Manie di controllo,
fondamentalmente. Dovrebbe prendersi più
camomille». Fece una
pausa, quasi fosse meditabondo a riguardo, prima di cambiare
argomento. «E tu? In che rapporti sei con il gorilla
biondo?»
Loki aggrottò la fronte. «È mio
fratello».
Tony sembrava sinceramente stupito e Loki non seppe se
considerarlo o meno un complimento. «È un pazzo
isterico, non sai
quanti casini ci sta procurando al laboratorio».
Loki si strinse nelle spalle. «Fratello adottivo».
«Ah».
Non fu la loro ultima sera insieme.
Loki era sempre più preso da quel loro gioco: Tony era
astuto,
più astuto della media degli esseri umani, e la sfida lo
coinvolgeva
più di quanto lui stesso fosse disposto ad ammettere. Non si
trattava più soltanto di monitorare Thor, come si ostinava a
ripetere persino a se stesso. Non si trattava più soltanto
di
togliersi lo sfizio di schiacciare Tony Stark come un moscerino.
C’era dell’altro.
C’era l’espressione di Tony quando riusciva a
coglierlo alla
sprovvista, priva, anche se solo per pochi momenti, di tracce di
altezzosità.
C’era il sorriso ammiccante di Tony quando ammetteva di
essere
stato sconfitto, per una volta.
C’era il guizzo d’interesse che aveva scorto nel
suo sguardo
che scrutava il suo corpo.
Sebbene le domande venissero meno, notte dopo notte, Loki non
riusciva più a considerarla una ragione abbastanza pregnante
per
interrompere il loro – il loro cosa? Gioco? Scontro tra
menti?
Legame?
A poco a poco i quesiti presero a vertere su un argomento ben
diverso dai rispettivi poteri: la loro vita privata. Loki chiedeva di
Tony per scoprire le sue debolezze, Tony chiedeva di Loki
perché
ormai aveva soddisfatto ogni curiosità circa il suo
coinvolgimento
con Thor e lo S.H.I.E.L.D. Così, almeno, avevano preso
l’abitudine
di ripetersi.
Tony fissò il liquido ambrato che colmava metà
del bicchiere
trasparente. «Continuo a domandarmi da dove tu venga. Quando
arrivo
qui ci sei sempre, quando esci scompari… Siamo nel deserto,
non ci
sono molti altri hotel in giro».
«Asgard» fu la laconica risposta.
«Asgard?»
«Asgard».
«Va bene» si arrese Tony. Da quando gli aveva
chiesto il suo
nome, aveva smesso di sorprendersi riguardo la sua identità.
«Prego,
a te».
Non aveva idea di che cosa avrebbe voluto sapere, dopo che
l’ultima volta gli aveva dato anche una dimostrazione pratica
del
funzionamento dell’armatura, ma senza dubbio, tra tutte le
possibili curiosità, non era preparato a quella.
«Hai una donna?»
Loki si accorse subito che esitava a rispondere, sgomento, e
arricciò le labbra in un leggero sorriso.
«Beh…» C’era Pepper. Si
ostinava nel suo atteggiamento
ritroso, ma era soltanto questione di tempo prima che si decidesse a
soccombere al suo fascino. Fino a poche settimane prima era stata uno
dei suoi pensieri più ricorrenti. «Si chiama
Pepper Potts. È…
beh, è circamenoquasi la mia ragazza,
diciamo così».
Nonostante lo conoscesse da poche settimane – in
realtà lo
conosceva meglio di molti altri – Loki riconobbe senza
difficoltà
l’incertezza nella sua voce. Il sorriso si ampliò
di qualche
millimetro.
«Davvero?»
«E tu?» gli ritorse la domanda Tony.
Loki scrollò le spalle con noncuranza. «No. Le
donne non fanno
per me». Gli riservò un’occhiata
penetrante, le palpebre
socchiuse che gettavano un’ombra nera sulle iridi di cielo.
«Ora
però mi spetta un’altra domanda». Prima
che Tony potesse
ribattere alcunché, si allungò su di lui con
un’aggraziata
torsione del busto e indugiò a pochi respiri di distanza
dalla sua
bocca. Il sorriso – adesso apertamente malizioso –
si mescolava
alla sua smorfia incredula. «Vuoi…?»
La sua voce accarezzò voluttuosamente le labbra di Tony nel
porgli quel nuovo quesito, si esacerbò in una delle sue
risatine,
sibilanti, intriganti, quando Tony lo afferrò poco
delicatamente per
la nuca e lo costrinse ad annullare quei pochi centimetri che ancora
li separavano, e infine si spense quasi del tutto in ansiti e sospiri
sommessi.
«Alla fine ho capito chi sei».
«Ah, sì?»
«Loki di Asgard. Il dio dell’inganno e della
discordia, nella
mitologia norrena».
«… Vuoi parlarne ora?»
«Ci tenevo solo a precisare che spero tu non abbia
quell’elmetto.
Voglio dire, senza offesa, ma le corna sono passate di moda
da— da
sempre».
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