Ecate
“And I will
show you something different from either
your shadow at morning
striding behind you
or your shadow at
evening rising to meet you;
I will show you fear
in a handful of Dust.”
[T.S.
Eliot, The Wasteland\\ Burial of the dead]
1. Cloto
[I told another lie today
And I got through this day
No one saw through my games
I know the right words to say
Like "I don't feel well"
"I ate before I came"]
La
prima volta è una voce che non c'è.
Non un pensiero
formato, concreto – no: per quelli non ha tempo. Vivono di
sprazzi fugaci e istanti, senza spazio per fermarsi davvero.
Eppure, l'idea si fa
strada in lui con una prepotenza inaudita. Spinge da parte anche quella
strana quiete che da un po' avvolge casa Yagi e i suoi occupanti.
“Sono
pronto.”
Kondou saggia la presa
sulla shinai. Il legno liso, consumato, è piacevole nel suo
palmo. Sorride, si mette in guardia.
“Iniziamo.”
Souji alza la shinai.
La punta segue il polso sottile, il braccio non trema. Quando scatta in
avanti il suo è lo slancio della freccia appena scoccata
– una spinta e un colpo che gli riverbera fin nelle ossa.
Kondou stringe i denti, blocca l'attacco.
Ogni movimento
affilato, penetrante. Ogni respiro appena un sibilo tra i denti.
Si dividono.
Ricominciano.
Gli occhi di Souji
sfavillano. Quando sono arrivati a Kyoto, era la gioia di combattere,
di faticare ad illuminarli.
Ora...
ora.
C'è
qualcos'altro.
Ecco. La scintilla
è scoccata, la paglia ha preso fuoco. Una piccola idea
è nata – minuta, leggera, ma sotto il suo alito
freddo Kondou Isami aggrotta la fronte.
Souji è
diventato più forte, più veloce. Quando si muove
non è il concetto aggraziato che regola i kata a guidarlo.
È
un'urgenza estranea.
Sembra
quasi che-
Attacco. Parata. Un
nuovo riverbero fin nelle ossa. Sono viso a viso e quegli occhi verdi
sono ad un soffio dai suoi, ridenti.
-che
Souji si muova-
Ancora una volta,
Kondou respinge-
per uccidere?
Crack, fa la
shinai. Si fermano entrambi a guardare quella piccola crepa disegnata
sul legno: uno con sconcerto, l'altro con incertezza.
Ma sotto il
disappunto, Kondou percepisce una piccola soddisfazione in Okita. Una
fame per qualcosa di più.
E il sospetto affonda
le sue radici sottili come capelli, stringendogli il cuore.
[and for a moment
For a moment I am happy
But when I'm alone...]
***
2. Lachesi
[I don't know the first time I
felt unbeautiful
The day I chose not to eat
What I do know is how I
changed my life forever
I know I should know better]
La
seconda volta è una verità, ed è dalle
labbra di un altro.
Quelle screpolate di
Souji non vogliono aprirsi, quando lo vede passare nel cortile la
mattina: sorridono, ma è un sorriso che non si allarga agli
occhi. Souji è troppo occupato a nascondergli il futon
fradicio di sudore.
Sudore gelido, quello
che si raggranella lungo la sua schiena quando quelle parole arrivano.
“Cosa...?”
Matsumoto –
sensei non è un uomo crudele. Non lo sta tenendo in sospeso
per cattiveria: la sconfitta è terribile anche per un medico.
Colui che dovrebbe
salvare vite si trova a dare un annuncio orrendo.
[There are days when I'm okay
And for a moment I find hope]
Kondou
si volta verso Souji – lì, nell'angolo, appiattito
contro il muro. Una gamba piegata e le mani intrecciate dietro la
schiena, come quando era bambino.
Ma questo è
un bambino dal riso fragile come cristallo, anima d'acciaio o no. E
Kondou si sente uno stupido, perché vede davvero.
Vede quello che non
riusciva a scorgere prima.
I polsi sottili.
Le ossa sporgenti.
La linea della
mascella, dura nello sforzo di ingoiare la frustrazione.
Dimmi
che non è vero.
Le labbra, sottili,
che stavolta si schiudono per il giudizio.
“Ho la
tubercolosi.”
E il mondo crolla,
devastato da una bruciatura senza ritorno.
La seconda volta,
Kondou – san pensa sia la peggiore.
Per il dolore che,
cieco, lo colpisce sotto le costole – il dolore che non
sarebbe lecito provare, ad un maestro di spada, ma solo ad un padre.
Per lo scintillio che
non vacilla negli occhi segnati dalle occhiaie di Souji.
Per il sorriso felino,
implacabile, senza misericordia.
Kondou
– san, andrà tutto bene alla fine.
Kondou
– san, se non va bene, vuol dire solo che non è la
fine.
Ce
la farò ancora.
Per te.
[But there are days when I'm
not okay
And I need your help
So I'm letting go
I need you to know
I'm not through the night
Some days I'm still fighting
to walk towards the light
I need you to know
That we'll be okay
Together we can make it
through another day]
***
3. Atropo
[You should know you're not on
your own
These secrets are walls that
keep us alone
I don't know when but I know
now
Together we'll make it through
somehow]
La terza volta la voce
è coperta dagli spari e le grida distanti dei moribondi.
Sottile, eppure così forte, così prepotente.
Sorride, il demone.
Kaoru, si chiama – ha il viso di porcellana di Chizuru, ma
è tutto quello che la ragazza non sarà mai.
C'è così tanto odio, nel suo sguardo, che
potrebbe dare fuoco al mondo.
Eppure sorride.
Così.
Crudelmente.
“Mi
meraviglio che tu riesca a muoverti dal letto, Okita – san!
Che tormento dev'essere combattere sotto il sole a picco...”
Le katana si
scontrano, si respingono. I capelli di Souji sono una fiamma bianca
sotto il cielo. Le iridi, come rubini, non hanno nulla di diverso da
quelli dell'oni.
Sono spettri ad
affrontarsi sotto questo sole impietoso, eppure la fronte di Souji
è imperlata di sudore e le sue mani tremano mentre si sforza
di mantenere una presa decente sulla katana.
In piedi. Alzati. Vallo ad
aiutare. Kondou ci prova, ci prova davvero, la rabbia che
divampa sotto l'umiliazione e l'orrore di aver osato troppo, di aver
perso – lì, a Koufu. Si alza, si puntella sulla
katana.
Yukimura, al suo
fianco, disperata.
“No! Kondou
– san, no! È pericoloso!”
Non importa. Vai. Vai!
Se la scrolla di dosso, deve aiutare Souji-
E poi
e poi
l'accesso di tosse
il conato
il sangue. Sulla
pelle. Di. Souji.
“L'Ochimizu
non guarisce la tubercolosi, Okita – san,” flauta
Kaoru. “Te l'ho già detto.”
Non
guarisce-
La bocca della
verità ha labbra soffici e morbide di bambino rifiutato.
Souji arretra,
piegato. Sotto il rosso delle iridi balugina un lampo di rimorso
– ed è tutta lì, la risposta.
Forse sapeva che non
avrebbe avuto effetto, ma ha bevuto lo stesso quell'elisir infernale.
Per lui.
E quando Kondou Isami,
per la prima volta, capisce, il suo cuore ha un attimo di esitazione,
come se stesse per vacillare.
Che io sia per te la lama,
Kondou – san.
Un
battito, due, poi prende fuoco.
[Some days I'm still fighting
to walk towards the light
I need you to know
That we'll be okay
Together we can make it through
another day
We'll be ok]
N\A:
Request
di Shinkutsuki. Voleva qualcosa su Kondou e Okita, e il risultato
è stata questa raccolta di tre drabbles. La canzone che fa
da cordone ombelicale è "Courage" del gruppo Superchick;
riguarderebbe l'anoressia femminile, ma il testo era tanto calzante con
gli sviluppi della tubercolosi che non ho potuto resistere alla
tentazione.
-w-
prima o poi prometto di scrivere roba meno deprimente.
Kei
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