Non ridere
Titolo:
Non ridere
Autore:
Fiorediloto
Pairing(s):
House/Wilson; James/David (meglio conosciuto come “il fratello scomparso”)
Rating:
(lievissimo) R
Warning:
Incesto.
Spoiler:
Seconda stagione ed episodio 3x01. Molto, molto lievi sull’episodio 3x10 e sulle
anticipazioni del 3x11. Ma davvero, leggendo non vi rovinate niente.
Disclaimer:
Non possiedo bla bla bla. David però è mio.
Dedicata a:
Eryslash e Nakanna Lee. Ery, la parte dedicata specialmente a te
sai già qual è.
NdA:
Di solito evito di scrivere fic di Natale perché cerco di dare a questa festa la
minore importanza possibile, ma in fondo Natale è sempre Natale e anche
quest’anno mi è toccato farlo. Ammetto che l’ho fatto con gioia e con piacere, e
soprattutto con una sferzata di ispirazione. Buon Natale a tutti!
NdA2: Volete vedere la
cravatta che David regala a James? Qui.
---
Hanukkah
1990
Non che ci fosse propriamente
niente da ridere.
A ben pensarci, la cosa non
faceva ridere, no, neanche un po’.
E non era neppure una
questione di principio: nella vita c’erano cose di cui ridere e cose di cui non
ridere.
C’erano migliaia di cose per
le quali era lecito lasciarti andare a una grassa, liberatoria risata – una di
quelle che ti fanno tremare la pancia finché non resti senza respiro, e il
diaframma ti duole con fitte intermittenti in corrispondenza degli scatti più
violenti del tuo divertimento.
E c’erano cose… be’, cose di
cui non si rideva.
Non che queste seconde
dovessero necessariamente essere tristi. C’erano un mucchio di cose non
tristi di cui non ridere.
Una vecchia zia
che inciampava su una gobba del tappeto crollando sul suo non proprio leggiadro
sedere, ad esempio – Avrebbe potuto
rompersi qualcosa!
Una passante che
finiva inondata da capo a piedi dal passaggio di una macchina maleducata, col
bell’abitino Armani pronto ad essere buttato nella spazzatura –
Avrei voluto vedere te al suo posto!
Una scintilla della
menorah che cadeva sulla frangia del tappeto e appiccava fuoco a quello, a
un lembo della gonna di Amy e alla gamba della sedia della zia…
James Wilson, non c’era
proprio niente da ridere in proposito.
Quando tutto si era calmato,
avevi dovuto cercare rifugio in un angolo ragionevolmente lontano dalle facce
sconvolte dei tuoi parenti. La finestra, sul momento, ti era parsa una buona
scelta. Potevi fingere di guardare la neve cadere a fiocchi nel giardino già
immacolato, e piangere e gemere in silenzio sulle miserie di questo Hanukkah
andato allo sfascio – mentre in realtà avevi solo una gran voglia di ridere, e
ringrazia Dio che sei riuscito a soffocare i primi sbuffi ilari che ti uscivano
dalla bocca.
La tua immagine riflessa nel
vetro ti guardava con i lineamenti deformati nello sforzo di trattenere le
risate.
Nella sala da pranzo
aleggiava ancora una vaga puzza di bruciato mista alla schiuma sintetica
dell’estintore. Il tappeto era da buttare, la sedia probabilmente non avrebbe
più retto l’augusto peso di alcuna matrona della famiglia Wilson; la cugina Amy
aveva pianto calde lacrime sulla gonna pagata chissà quanto, e chissà quanto
inutile, ormai – la sua fine sarebbe stata quella del vestito Armani di cui
sopra.
Gli ospiti erano tornati a
casa, rattristati, mentre tua madre copriva il disappunto di circostanza con un
coraggioso sorriso di circostanza. Ti aveva sempre sorpreso constatare come una
persona possa fingere di soffrire solo per poi fingere di essere abbastanza
forte da tentare di nasconderlo. Eppure credevi che le dispiacesse sul serio –
se non altro per il tappeto. Forse è solo l’abitudine ai sorrisi di circostanza
che disinsegna alla gente il sorriso naturale.
Avevi salutato i parenti,
esternato la tua contrizione, espresso parole di timido ottimismo, senza
smettere di trovare tutta la situazione incredibilmente comica. Poi eri tornato
alla finestra. Nel riflesso vedevi tuo fratello Paul affaccendarsi con le ceneri
del vostro Hanukkah, abbandonato nella sua missione di salvataggio perfino dalla
moglie Christine e dal primo figlio, che riposava ancora nel pancione.
Poi anche Paul aveva
rinunciato.
«Sto andando, Jimmy. Lascio
le luci accese?»
«No, spegnile, grazie.»
Fuori dalla finestra, le luci
del giardino illuminavano anche il tuo piccolo angolo di salotto e la tua
faccia.
Nella penombra luminescente
di questo Hanukkah qualche passo lento, poi più rapido, aveva attraversato la
stanza per poi fermarsi accanto a te.
«Si è bruciata solo la carta,
per fortuna.»
Avevi preso il pacchetto con
un sorriso, mormorando un ringraziamento, ma non avevi fatto in tempo a
scartarlo del tutto che le mani di David avevano spostato le tue, tirato fuori
il regalo dal suo involto massacrato e te l’avevano passato intorno al collo.
Tuo fratello restava alle tue spalle, a tenerti la cravatta appoggiata al petto,
col lembo più largo tremendamente vicino al cuore.
Poi la cravatta aveva
continuato a pendere da sola dalle tue spalle, e le braccia di David ti
stringevano la vita e le sue labbra ti cercavano l’orecchio. Tu avevi smesso di
ridere, e non perché David non dovesse fare ciò che stava facendo, ma perché ci
sono molte cose non tristi di cui non si deve ridere, e una di queste è tuo
fratello che ti bacia nel buio del salotto di famiglia.
La tua mano che accarezzava
la sua era una forma di vago incoraggiamento, ma le sue dita che si
intrecciavano con le tue erano una preghiera. Nel momento in cui piegavi il capo
indietro per lasciargli lo spazio che voleva, sapevi che David avrebbe chiesto
altro. Che non si sarebbe accontentato. Mai.
Doveva essere il suo bisogno
a far sì che ti chiedesse sempre di più, e il tuo a far sì che non riuscissi a
negargli niente.
«Ti amo.»
Tra le luci e l’alone di
bruciato, aveva avuto quasi il sapore di una formula sacrificale.
Natale
2010
Non che ci fosse propriamente
niente da ridere.
Lo sai adesso come lo sapevi
allora: ridere nel momento sbagliato può causare danni irreparabili. E tuttavia
sai anche che le tue spalle, da cui un tempo pendeva una cravatta Regimental
azzurra, ora sono più larghe, forse più stanche, ma in qualche modo più felici –
e non sarà una risata sfuggita al momento sbagliato a cancellarne mille altre al
momento giusto. Non è la lealtà, né la fiducia, ad essere in discussione tra
voi.
Tuttavia avresti potuto
evitare di scoppiare a ridergli in faccia.
Tra le cose di cui non
ridere, adesso, puoi aggiungere “zoppo con bastone che scivola sulla carta del
suo regalo di Natale”. Un po’ come la vecchia zia Betty, hai pensato mentre lo
vedevi volare sul pavimento di casa. Solo che House è molto più divertente.
Mentre si rialza, il suo
sguardo gronda confusione, e tu non puoi fare a meno di ricordarti di quando il
suo bastone si è rotto in due pezzi, facendogli fare un volo nel mezzo del
corridoio dell’ospedale. C’entravi qualcosa, forse?
Da uno sguardo hai dedotto
che la gamba lesa è rimasta salva, e lì non ce l’hai più fatta. Il dolore era
l’unica cosa che potesse frenarti dal ridere, l’unica per la quale avresti
mostrato un compunto rispetto.
Non ridevi così tanto, non
ridevi così bene, da almeno sei anni.
C’è un Natale, sepolto nella
tua memoria, che ricordavi di aver catalogato come orribile – Julie lasciata
sola ai suoi ospiti, tu a bere e mangiare cinese e guardare House festeggiare
con doppia razione di Vicodin. Due anni dopo, mentre guidavi sotto l’acquazzone
e le mani ti tremavano sul volante al pensiero che gli fosse accaduto qualcosa,
quel Natale ti era sembrato un ricordo inestimabile.
Nella tua memoria, House
rideva.
«Chissà perché sospetto che
sia colpa tua» borbotta adesso, rialzandosi.
«Non sono stato io a farti
cadere.»
House guarda il pavimento,
vedendo su cosa è inciampato. «È la carta del tuo regalo» ti dice,
accusatorio.
«Ricordo distintamente di
averti detto di non buttarla per terra.»
«E io ricordo di averti detto
di raccoglierla, così potevo guardarti il sedere.»
Si lascia cadere sul divano
accanto a te, mentre i titoli di coda del film proseguono nel loro corso
illeggibile. Ti ricordi improvvisamente che dovresti farti controllare la vista.
A distanza non hai problemi, ma quando leggi devi tenere il libro sempre un po’
più lontano dagli occhi.
Distrattamente ti chiedi come
staresti con gli occhiali.
House ti appoggia una mano
sul ginocchio, e tu appoggi la tua sulla sua.
Nessuno dei due aveva voglia
di fare l’albero, quest’anno, e tu credi di aver visto la tua ultima menorah
accesa quando ancora stavi con Julie. Già allora, comunque, era lei ad
occuparsi delle decorazioni.
Hai assistito a troppi
Hanukkah in famiglia per credere che un albero o una menorah possano
farti sentire a casa – che le lucine danzanti delle fiammelle o intermittenti
delle lampadine riscaldino davvero l’atmosfera. Quanto a calore, tu preferisci
di gran lunga quello umano.
Gli stringi distrattamente la
mano, accarezzandone le lunghe dita.
Il tuo regalo giace sul
tavolo, per il momento dimenticato.
L’hai ripescata da una
scatola in fondo all’armadio di House, la cravatta rossa, e sul momento ti ha
stretto il cuore pensare che fosse stata gettata lì perché il suo proprietario
se ne dimenticasse l’esistenza.
Poi hai visto che nella
scatola c’erano altri oggetti: il bastone spezzato in due, la palla rossa e
grigia, lo skateboard. Il biglietto di uno spettacolo dei Monster Trucks a cui
c’eri anche tu, a giudicare dalla data.
L’hai fatta incorniciare,
anche se il commesso ti ha guardato come se fossi pazzo.
House non ti ha guardato come
se fossi pazzo. Il suo commento è stato: «È un modo velato per dirmi che è
meglio che non la indossi mai più? No, perché sai, non l’ho scelta io».
«È un modo velato per dirti
che non voglio dimentichi perché te l’ho regalata.»
«Per farmi sembrare un
idiota?»
«Avevi bisogno di
sembrarlo?»
Lui ti ha sorriso, e tu hai
pensato che non ti importava se il regalo gli era piaciuto o meno. L’importante
era che avesse capito.
«Un altro film?» proponi
adesso, senza molta convinzione.
«Andiamo a letto.»
«Non è neanche mezzanotte.»
«Appunto. Festeggiamo.»
Invece festeggiate sul
divano, anche se è scomodo e lo spazio è poco, perché vi ricorda la prima volta
che l’avete fatto. Era estate, allora, il sudore vi scorreva lungo il corpo come
fuoco liquido, e House sembrava seriamente intenzionato a sperimentare tutte le
nuove possibilità offertegli dalla ketamina. Non avevi dovuto fare attenzione
alla gamba lesa, allora, perché il dolore se n’era andato.
Ma anche se ora devi misurare
i movimenti per non fargli male, sai che in qualche modo avete raggiunto il
livello massimo di felicità concessavi. Il pensiero ti inebria e ti sconforta
allo stesso tempo. Non che quello che avete non ti basti – sei felice, e
chiedere di più sarebbe ingordigia.
È solo… il pensiero di aver
raggiunto un limite. La consapevolezza che d’ora in poi le cose potranno solo
restare come sono, o andare peggio.
Al diavolo, Jimmy Wilson, ma
quando mai è stato diverso?
Smetti di pensare e goditi la
serata.
E buon Natale.
|