AMORE, PALLONI, PANNOLINI
E...
… LA MAGIA DEL NATALE
Il Natale è una festa magica, perché
ognuno di noi sente il desiderio di rinascere dentro, di far fiorire nel proprio
cuore dei sentimenti nuovi, di ricevere e di donare un po’ di pace e serenità.
Ed è in questo giorno che più forte si
avverte la necessità di stare accanto alle persone che si amano, di far capire
quanto siano importanti e speciali per noi, e quanto abbiamo bisogno del loro
sostegno.
* * * * *
*
24 dicembre *
Flash elettrici e bagliori fulgidi si
stagliavano nel plumbeo cielo invernale, creando un gioco di luci e di sagome
scintillanti i cui riverberi filtravano, opachi e schermati, attraverso i nembi
violacei carichi di pioggia, che minacciosi impedivano alla volta stellata di
rifulgere.
E quelle scariche elettrostatiche lasciavano
immaginare che, al di sopra di quel manto ombroso, si stesse consumando uno
degli scontri mitici fra Zeus e qualche altra divinità, che incauta o inesperta,
aveva osato lambire l’eterea fanciulla prescelta dal sommo dio per soddisfare e
affondare in essa la lussuria della sua pur umana carne.
Sanae era seduta su una gelida panchina con
gli occhi rivolti in alto ad osservare quel tetro, ma allo stesso tempo
accattivante spettacolo naturale.
Nonostante il suo caldo cappotto, sentiva
ormai l’umidità penetrarle fino alle ossa; i piedi le dolevano dal freddo e
dalla stanchezza; le dita delle mani, per quanto avvolte nella lana dei suoi
candidi guanti, erano divenute rosse e screpolate; e anche il suo umore non
poteva dirsi dei migliori.
Quell’anno l’inverno aveva deciso di mettersi
d’impegno e scatenare temperature polari che non si raggiungevano da almeno
quarant’anni; ed erano in molti a sperare che le perturbazioni aumentassero per
passare le feste in una città imbiancata di neve.
Erano ormai le 18:45, sconfitta e
demoralizzata, torturava pensierosa l’orlo della sua gonna: non era riuscita a
trovar nulla di speciale da regalare a Tsubasa, in quel giorno di Vigilia di
Natale.
Le strade di Barcellona erano gremite di
persone: guardando l’orizzonte, una massa indistinta ed ondeggiante di volti
sorridenti avanzava lentamente, assorti davanti alle vetrine addobbate, stretti
nei loro caldi soprabiti invernali, soddisfatti degli ultimi acquisti da
sistemare sotto l’albero prima della mezzanotte.
La città era uno scintillio di luci e di
colori, che facevano da contraltare a quel firmamento offuscato ed arrabbiato.
Le lampadine fluorescenti rischiaravano a giorno le strade ed era impossibile
inoltrarsi in qualche viuzza laterale che non fosse inondata dalle musiche
natalizie e da bancarelle piene di leccornie e di piccoli souvenirs, assaltate
da esaltati astanti.
Aveva spulciato tutti i negozi del centro,
dalle piccole botteghe ai grandi magazzini, ma non era riuscita ad acquistare
nulla; pochi passi prima di raggiungere la cassa per pagare, e si accorgeva di
avere fra le mani una chincaglieria qualsiasi, spinta solo dal desiderio di non
tornare a casa senza nessun dono per il marito da mettere ai piedi del grande
abete. Così puntualmente tornava indietro per riporre sul proprio scaffale
l’insulso e banale oggetto, che sarebbe presto finito nella sporta di qualche
altro ritardatario come lei.
Per ironia della sorte, doveva constatare che
era stato molto più semplice fargli regali da ragazzina, quando non aveva che
poche centinaia di yen in tasca, e bastava qualche filo colorato da intrecciare,
o un dolce impastato con tanto amore, che adesso che, grazie al cachet stellare
di Tsubasa, avrebbe potuto con tutta tranquillità entrare nella gioielleria più
cara della città, per acquistare un rolex, un paio di gemelli con brillanti, o
qualsiasi altro monile inaccessibile ai più.
Ma che poteva importare di cose del genere al
suo capitano?
Non gliene era mai fregato nulla della moda,
dei vestiti eleganti, dei party, o di qualsivoglia altro aspetto che connotasse
la vita mondana degli altri giocatori del suo calibro. Lui era e sarebbe stato
sempre e soltanto un innamorato cronico del pallone e pensava, con una punta di
fierezza mista a speranza, della sua manager e del loro bimbo.
A che cosa gli sarebbe servito l’ennesimo
maglione o peggio ancora una cravatta?
Non certo per andare a cena fuori o al cinema,
visto che da quando era nato Daibu e con l’ossessione dei giornalisti, quelle
cose, già prima sporadiche, erano ormai ricordi lontani.
E di questo non era affatto dispiaciuta,
perché, a dispetto di quello che avrebbero potuto pensare occhi esterni, ciò non
significava affatto che la loro vita di coppia fosse monotona o che lui non
fosse una persona estremamente dolce e romantica.
Eh già! Il suo Tsubasa non era come tutti gli
altri uomini che cadevano nei più banali clichè della cena a lume di candele,
delle passeggiate sulla spiaggia al chiaro di luna o del film d’amore in una
sala vuota.
Chi poteva dire di aver
avuto per biglietto di buon Natale un intero prato sommerso di neve o una dichiarazione
d’altri tempi, con tanto di inchino regale e pegno d’amore, in uno stadio vuoto,
illuminati solo dal riflettore puntato su di loro come in una rappresentazione
di Romeo e Giulietta.
E le chiacchierate fino a notte tarda a
parlare di schemi di gioco e di nuovi talenti, o ad assistere insieme a qualche
scontro fra titani del calcio, che fosse dagli spalti del Nou Camp o dal più
confortevole divano di casa loro.
Per non parlare di tutti i goal e le vittorie
che le aveva dedicato, baciando e puntando al cielo la fede.
Certo... tutto era direttamente o
indirettamente legato ad una sfera bianca... ma lei lo amava così, se ne era
innamorata anche e soprattutto per la sua infinita passione per il calcio,
per la determinazione ad arrivare, per l'impegno profuso senza sosta, per
la volontà ferrea dimostrata negli anni.
Si ritrovò a sorridere a quei pensieri, ma un
altro bagliore foriero di pioggia, la ridestò: “Ecco sto sfarfallando con la
mente, invece di pensare al fatto che non ho nulla da regalargli…” riflettè
fra sé e sé, rialzandosi da quel duro blocco di ferro, mentre le vie
cominciavano a sfollarsi, e tutti si accingevano al rientro nelle proprie
abitazioni per i festeggiamenti.
“Stupida… così impari a ridurti all’ultimo
giorno!”
Come un cilicio per far penitenza, così con
quelle parole cercava di autopunirsi per essere stata, a suo parer, fatua e
superficiale.
Si sentiva distrutta e intravedere da lontano
il cancello della loro villa, in cui da poco si erano trasferiti, ma che già
aveva quella familiarità ritemprante, sembrò darle quel po’ di forza che le
serviva per arrivare alla porta di casa.
Già pregustava il caldo ambiente domestico, il
crepitare del legno nel camino, il profumo di pino silvestre che si mescolava a
quello di crostata alle amarene che aveva sfornato nel pomeriggio, i dolci acuti
di Daibu, e gli occhi amorevoli di Tsubasa.
Sospirò ancora una volta al pensiero di
ritornare a mani vuote.
Tra le strette sbarre riuscì ad intravedere la
macchina del marito ferma nel vialetto, ma dalle finestre non proveniva barlume
alcuno; solo al piano di sopra, si accendevano ad intermittenza le luci di quel
babbo natale opalescente attaccato ai vetri della cameretta del piccolo
Daibu.
Ma per il resto nessun altro segno di vita si
scorgeva nel buio della notte.
Entrata all’interno si diresse subito verso l’
ingresso e girate le chiavi nella serratura, aprì la porta e infilò la mano alla
ricerca dell’interruttore.
“Tsubasa” gridò, mentre gli appliques
risvegliavano dal buio il salone e la sua voce produceva una piccola eco che si
perdeva prima di raggiungere il piano superiore.
Il camino era spento e la casa, in quelle ore
di assenza, si era raffreddata.
Guardò sul ripiano di marmo del mobile accanto
alla porta d'ingresso, sul quale Tsubasa riponeva solitamente le chiavi, dopo
averle tolte dalle tasche.
Al loro
posto un piccolo post-it portava la grafia del calciatore: “Arrivo in centro a fare gli auguri a
Gonzales e ad altri amici, torno presto. Tsubasa”.
Dunque, dopo essere rientrato, era uscito di nuovo,
questa volta a piedi.
“Speriamo solo che abbia coperto bene Daibu,
fa così freddo stasera!”
Ma, in effetti, Tsubasa era un padre
premuroso, che sapeva prendersi cura del figlio molto più di quanto sapesse fare
di se stesso. Per questo, c’era piuttosto da domandarsi se lui si fosse
ricordato di prendere per sé i guanti e la sciarpa.
Ravvivato il camino, dopo aver smosso la
cenere e riportato in vita i tizzoni ancora ardenti che attendevano soltanto
qualche virgulto secco da divorare nelle fiamme, Sanae prese a preparare la
cena, che quella sera doveva essere tradizionalmente speciale, canticchiando un
allegro motivetto, sulla base del rumore di pentole e piatti.
E quasi senza accorgersene, indaffarata nelle
sue adorate attività culinarie, le lancette dei minuti dell’orologio compirono
un giro completo, segnando un’altra ora in quella frenetica giornata.
Quando però se ne rese conto, decise
di fare una chiamata sollecitatoria al suo maritino, dato che,
conoscendolo, avrebbe potuto perdere la cognizione del tempo essendo con persone
con cui poteva lasciarsi andare ai suoi discorsi preferiti… calcistici
ovviamente.
Si affacciò nel salone e vide che il cordless
non era la suo posto, anzi, riflettendoci, non lo vedeva in giro da un
po’.
Pigiò il pulsante sulla base, e solo tendendo
l’orecchio, riuscì a sentire impercettibilmente il trillo che proveniva di certo
dal piano superiore.
E quasi come una caccia al tesoro salì le
scale cercando di avvicinarsi alla fonte, fino a giungere in bagno, dove il
rumore era più insistente: con sua meraviglia lo ritrovò nella cesta della
biancheria dove riponeva, pronti all’uso, gli asciugamani puliti.
Agitandolo con una mano, esclamò: “Ah ora
ricordo come sei finito qui dentro..."
* 21
dicembre *
Drinn drinn…
Il sonoro squillo del telefono echeggiava per le stanze
di casa Ozora.
“Pronto” fece la voce profonda e rasserenante del
giovane capofamiglia.
All’altro capo del filo, risuonò un’argentina ugola:
“Tsubasa sei tu sono la mamma di Sanae, come stai.. tutto
bene?”
La signora Nakazawa era probabilmente la donna più
bonaria e pacata della faccia della Terra, sempre allegra e spensierata, ai
limiti della frivolezza secondo Sanae, non aveva mai in alcun modo tentato di
intralciare il loro rapporto, nonostante ce ne sarebbero stati di buoni motivi
per dissuadere la figlia diciannovenne a chiudere dentro una valigia i suoi
sogni e portarsela dietro in giro per il mondo al seguito del capitano
giapponese.
“Bene, grazie… volete parlare con Sanae vero… spero non
si sia già infilata sotto la doccia”
Così dicendo si diresse lesto verso il bagno patronale
annesso alla camera da letto.
Sanae proprio in quel momento stava richiudendo dietro
di sé la porta in plexiglas del box, ma la voce di Tsubasa richiamò la sua
attenzione e con la testa sporta all’infuori vide il marito tenderle il
cordless.
“Pronto… ehi mamma…”
Era contenta… sapeva che i genitori li avrebbero
raggiunti per il Natale, rivedendo così finalmente Daibu, visto che la prima e
l’unica volta era stata poco dopo la sua nascita.
Sanae poi amava particolarmente le festività natalizie,
l’allegria che inondava le strade,
i canti, le nenie, i regali, gli addobbi, e soprattutto il fatto di
circondarsi del calore della famiglia e delle persone care, in un momento in cui
si ha più voglia di tenerle strette a sé.
Mentre ascoltava la madre con un gomito appuntato al
fianco, si accorse che Tsubasa era rimasto lì a guardare il suo corpo
completamente ignudo e non dava impressione di volersene andare e non certo
perché desideroso di ascoltare la conversazione fra le due donne.
“Quindi dovreste arrivare il ventiquattro … fra tre
giorni?”
Arrossita come se fosse sotto la lente di un
microscopio, con la mano richiudeva il box con aria eloquentemente volta a far
capire che lo spettacolo era terminato.
Non che le dispiacesse tutto quell’interesse, ma vederlo
lì a scandagliare ogni centimetro della sua pelle, avrebbe finito per farle
dimenticare quanto di importante aveva da riferire alla madre.
Ma un ginocchio furfante le impediva di far scorrere lo
sportello sul suo binario.
“Mamma non ti scordare di portami le cose che ti ho
detto… ti faccio tornare in Giappone a piedi.. ti ho fatto la lista, non puoi
sbagliare”.
Con la mano libera cercava di fare il solletico su un
fianco a Tsubasa per fargli perdere l’equilibrio e nell’attimo in cui scostò la
gamba, con violenza tirò la porta, andandola a richiudere proprio su una mano di
lui, che era rimasta attaccata alla struttura in allumino, che formava lo
scheletro della cabina.
Il capitano non potè trattenere un urlo di
dolore.
“Sanae
ma cos’era…” chiesela signora
Nakazawa.
“Niente…era.. era Daibu”.
Con titubanza si riavvicinò al portello, e lo riaprì
molto lentamente, cercando di sbirciare fuori per valutare la situazione...
Tsubasa doveva essersi fatto "alquanto" male.
E infatti era lì a tastarsi la mano dolente, con
sguardo truce e le lacrime agli occhi per il male
infertogli.
Sanae, mortificata, allungò il braccio e
catturategli le dita le portò alla bocca, sfiorandogliele con le labbra in un
bacio lieve e consolatorio.
Ma lasciatagli andare la mano, e riconcentrandosi sulla
telefonata, richiuse di nuovo decisa il portello di vetro.
“Si… si mamma sto sentendo… ah e non dimenticare che
Yukari deve portarti il mio regalo di Natale… ovviamente tu le darai quello che
io ti ho spedito per lei...”
"Sanae guarda che non mi sono ancora rincitrullita..."
"Beh con te non si sa mai.." fece ilare.
Intanto però cercava di capire se Tsubasa fosse
ancora lì fuori: infatti, il vetro del box con le sue
cesellature impediva di vedervi attraverso... tutt’al più avrebbe potuto
scorgerne l’ombra... ma l'assenza di movimenti percettibili la portarono a
concludere che evidentemente se ne era andato via un po’ offeso, a leccare le
sue ferite come un cane bastonato.
“Va bene allora ci vediamo il ventiquattro… ciao mamy, salutami
papà!”
Guardò per qualche secondo il cordless... non vedeva l'ora che loro
arrivassero... per Daibu, per la casa nuova, per la cena luculliana che aveva
intenzione di preparare la sera della Vigilia.... e anche semplicemente perchè
le mancavano tanto.
Riaprì la porta del box, ma prima che riuscisse a metter
piede fuori, si ritrovò Tsubasa avanti, nudo, che strappatole il telefono di
mano, lo fece atterrare nel cesto della biancheria.
“Ma, che stai facend…” borbottò Sanae, mentre veniva
spinta, senza troppi complimenti, all’interno della
cabina.
“Faccio la doccia insieme a te!” disse, con una
spontaneità disarmante, aprendo l’acqua, e facendole così finire il getto caldo
giusto in faccia.
Sanae avvilita da quell’improvviso spruzzo, buttò avanti le mani,
nel tentativo di difendersi: “Scemo...”
Riavvitò subito il pomello, mentre scostava le ciocche di
capelli che le si erano appiccicate agli occhi: "…e se si
sveglia Daibu… chi lo sente…”
“Dai non ti preoccupare.. si è appena addormentato…
rilassati” e afferrando il docciaschiuma e il guanto di crine le sussurrò, con
aria maliziosa: “.. girati che ti insapono la schiena… tesoro!”
E intanto faceva scorrere a fiotti il fluido denso e
profumato sul palmo guantato.
Sanae, con le braccia incrociate, lo guardò inarcando un
sopracciglio: “Mi sa che ti ha fatto male vedere ieri sera Casablanca…” e con aria fiera, quasi come
se gli stesse concedendo un grande onore, si voltò di spalle: “…comunque cerca
di fare almeno un buon lavoro… Humprey”
Avvertì il contatto ruvido e stimolante del guanto sulla
natica: “Ma non dovevi lavarmi la schiena!” chiese, reclinando un po’ il capo
verso lui.
Tsubasa, continuando con lenti movimenti circolari,
passando da un gluteo all’altro, si fece più sotto, vicino al suo orecchio: “Lo
sai che io parto sempre dal fondo…” disse con voce languida.
E risalendo lungo la colonna vertebrale, con tocco dolce
ma deciso: “… per poi tirare dritto per il centrocampo ..”
Sentiva le sue dita, al di sotto del guanto, percorrere
lente ogni piccolo anello vertebrale, ed ogni volta una scarica di piacere le
pervadeva tutto il corpo, tanto che le sue mani puntate sui fianchi, scivolarono
docili lungo il bacino, prive di forza per resistere.
La sua mano arrivava al collo, il suo viso si spostava
all’altro lobo: “… e quando sono circondato dagli avversari…” e intanto aveva
solcato la spalla e compiva lente rotazioni intorno a un seno “… allora con un
dribbling, penetro in profondità…” stringendole l’altra
mammella.
Sanae in silenzio, ascoltava rapita la strategia del suo
capitano, la cui lingua deliziosamente assaggiava ogni punto raggiungibile
del suo collo.
“… poi quando meno se l’aspettano…” e scendendo giù
verso l’ombelico “..entro in area di rigore e…”
E mentre l'altra mano si posava sul suo fianco,
lentamente, giunto col guanto fra le sue gambe, esercitò una decisa pressione:
“… e insacco la rete!”
Sanae, completamente lasciatasi andare a quella danza di
fuoco che sul suo corpo si era scatenata al passaggio di quella mano grande e
forte, sussultò al tocco energico nella sua intimità.
E come risvegliata di colpo si staccò da lui e si voltò, finendo con la
schiena contro le mattonelle fredde della parete.
“Girati” gli disse con aria maliziosamente imperativa,
accompagnando la voce al movimento della dita “è venuto il mio turno…” prendendo
il docciaschiuma.
Tsubasa accogliendo di buon grado quell’ordine le tese
la spugna.
“No no… non mi serve” gettandosela
all'indietro.
E lasciando che il liquido schiumoso le riempisse una
mano, cominciò a sfregarle stuzzicante: “Allora vuoi
voltarti!”
E non appena Tsubasa fu di spalle, con tutte e due le
mani afferrò i suoi glutei sodi da adone.
“Sai… io invece preferisco il gioco aggressivo..” e così
dicendo lasciava che le sue unghie si sostituissero al tocco gentile dei
polpastrelli.
Non per graffiare la pelle, ma per tormentarla
dolcemente, per stimolare ogni vaso sanguigno, per far sì che ogni centimetro
della cute dilatasse i suoi pori: “…senza troppe perdite di tempo in palleggi e
giochi di gambe…”
E risalendo i lombi, passando sotto le sue braccia,
arrivando all’addome solido: “… senza lasciarsi irretire dagli schemi difensivi
degli avversari…”
Con le labbra morbide sfiorava le sue scapole, facendolo
rabbrividire ad ogni contatto, premendo con i seni su di lui. Le dita invece
giocherellavano birichine nei solchi dei suoi
addominali.
“… da buon centravanti di sfondamento, che arriva rapido
in area…” e intanto i palmi, impavidi e audaci scendevano più
giù…
Ma un attimo dopo lo aveva sciolto da quell’abbraccio: “Ops… il triplice
fischio…” rivolse il bocchettone della doccia verso di lui “… mi spiace
l’incontro è finito…” aprendo l’acqua e inondandolo col suo zampillo.
Tsubasa, ancor più eccitato da quel getto caldo, rivoltatosi verso di
lei, la spinse contro le pareti: “Guarda che la partita è appena iniziata!” e
tirandole una gamba sul suo fianco, le catturò le labbra in una morsa stretta e
voluttuosa.
E continuarono quel gioco d’amore sotto lo scroscio dell’acqua
bollente,
nella schiumosa essenza di vaniglia e pesca, fra spinte infuocate, baci
ardenti, gemiti soffocati, mani desiderose e insaziabili di ogni intima
esplorazione, sensi esaltati e deliziati del massimo piacere.
Si ritrovò con i gomiti poggiati sul marmo del
lavandino e il volto piuttosto arrossato, persa in quei suoi pensieri,
proibiti e sospirati.
Ma riprendendo coscienza di sé, compose
rapidamente il numero del cellulare di Tsubasa: “Va bene.. ora mi
senti”.
La voce registrata le comunicava che il
telefono non era raggiungibile. E prima di spazientirsi decise di attendere
altri dieci minuti, consentendo al marito di salvarsi in calcio
d’angolo.
Riscese al piano di sotto e camminando nella
penombra, rischiarata dalle linguelle di fuoco del camino, dribblando
l'arredamento del salone, si avvicinò alla finestra. Scostata la
sottile tenda di lino, gettò l’occhio in strada sperando di veder
arrivare un giovane dal passo svelto, con in braccio un piccolo
ranocchietto.
Ma salvo qualche macchina che sfrecciava
sull’asfalto e qualche passante distratto, di Tsubasa e Daibu neppure
l'ombra.
Riprovò almeno altre tre volte a comporre il
numero del cellulare: niente… sempre quella affettata voce femminile, che si
rammaricava per la non raggiungibilità del telefono.
“Ti avevo detto che avremmo cenato alle otto e
mezza... E’ mai possibile che anche la sera della Vigilia pensi al calcio…” non
trovando altre spiegazioni in quel ritardo.
Ma all’irritazione andava sostituendosi,
abbastanza inconsapevolmente, un latente stato di agitazione.
Erano quasi le nove… in strada probabilmente
c’erano rimasti lui, quell’altro fanatico di Gonzales, e il suo povero
piccolino, coinvolto già a quella tenera età in discorsi astrusi di schemi,
tecniche di gioco e strategie; e non era un caso che le prime paroline che aveva
imparato, dopo mamma, papà e pappa, erano palla, goal, e passa…
Lo stava deviando spudoratamente… aveva già
tre palloni e una porta a misura di bambino prima ancora che imparasse a
camminare…
“Deve iniziare subito… il pallone sarà il suo
migliore amico” ripeteva divertito Tsubasa, mentre lei gli rispondeva mordace
che avrebbe preferito che Daibu fosse più sensibile al fascino femminile
che ad una palla, in modo che la sua futura manager non avrebbe dovuto
faticare a conquistarlo com’era stato invece per la manager del
padre.
Dopo un vano tentativo di intrattenersi in
qualche inutile faccenda, si ritrovò di nuovo avanti alla finestra, con le
braccia incrociate e gli occhi incollati alla strada, mentre la sua figura
veniva ogni tanto proiettata sui vetri dai fari delle poche auto in
movimento.
Anche il cellulare di Gonzales era
spento o non raggiungibile.. magari così potevano chiacchierare
indisturbati e tranquilli delle loro importantissime e evidentemente
improrogabili questioni, quali l'imminente partita con il Real o i prossimi
quarti di Champions League.
Il suo respiro caldo aveva formato uno strato
sottile di condensa; con un dito disegnò un piccolo cuore, seguendo un istinto
della sua adolescenza, con all'interno tre lettere. Un tempo ne erano solo
due... ma adesso, accanto alla S e alla T, c'era anche, più piccolina, la
lettera D.
Il piede cominciò a tamburellare nervoso sul
pavimento, mentre, all’incirca ogni venti secondi, il suo sguardo
cadeva ora sull’orologio a pendolo, ora sul display del lettore dvd, come se
così potesse far scorrere il tempo meno velocemente.
Un’idea forse strampalata, forse no, le stava
maturando nel cervello, nonostante cercasse di tenerla a freno..
Ma quando lesse sul video lampeggiante la
scritta 21:15, senza pensarci più, afferrò il cappotto, le chiavi e il cellulare
e si precipitò fuori casa, soddisfando quel richiamo che non poteva più essere
represso.
Montò in macchina, quella di Tsubasa perché la
sua era giù nel garage, e si avviò in strada.
Raggiunse quello che per il marito poteva
essere il centro di Barcellona... scrutando attentamente ogni angolo, buio o
illuminato che fosse.. soffermandosi su ogni figura le si parasse di
fronte.. seguendo un percorso dettato puramente dagli impulsi del suo
istinto.
Effettivamente le vie non erano completamente
deserte e desolate come se le aspettava; ma probabilmente chi era per la strada
aveva già cenato e si avviava a trascorrere la mezzanotte da qualche
amico..
Ad un tratto qualcuno attirò la sua
attenzione: schiacciò violentemente il pedale del freno, facendo incollare gli
pneumatici all'asfalto. E sentendo sgommare dietro di lei, vide dallo
specchietto retrovisore l’auto che seguiva, inchiodarsi a sua volta al suolo per
evitare di tamponarla, e l’uomo che era al volante imprecare.. perlomeno da
quanto le pareva dal labiale.
Ma ributtò l’occhio verso quanto l’aveva
portata a bloccarsi: abbassò il finestrino dal lato del passeggero e diede un
paio di colpi di clacson. Una donna dalla carnagione olivastra, con accanto un
uomo slanciato e un paio di pupi al seguito, fu richiamata dallo
strombazzamento.
L’allegra famigliola Rivaul si avvicinò
all’auto.
“Sanae, ciao… ma che fai in giro a quest’ora
tutta sola?” chiese la donna.
“Ciao ... ecco sono in pensiero per Tsubasa e
Daibu, sono usciti verso le sette, credo, e non sono ancora rientrati” e
rivolgendosi con voce speranzosa all’asso brasiliano “… mi ha lasciato un
biglietto in cui diceva di andare a salutare Gonzales e altri ragazzi della
squadra, ma si è fatto tardi e sono un po' preoccupata”
“Ah sì mi avevano detto che dovevano vedersi
per gli auguri” fece con la sua solita aria austera l’uomo “… io non sono
andato, perché noi siamo abituati a cenare presto.. sai con i bambini… e poi
perché abbiamo appuntamento con amici…” dove in quel momento evidentemente si
stavano dirigendo.
Un’espressione di delusione si disegnò sul
volto della ragazza, anche se cercò di non lasciarla troppo a vedere: “Beh
grazie lo stesso, e Buon Natale” agitando la mano in segno di saluto.
La moglie di Rivaul poggiò una mano sulla
portiera, abbassandosi per guardare meglio Sanae: “Sta tranquilla, si saranno
messi a chiacchierare e avranno perso la misura del tempo… la famiglia di
Gonzales non è qui e probabilmente essendo solo, neanche lui si è reso conto che
si è fatto un pò tardi… lo sai come sono fatti questi qui” disse sorridendo
in direzione del marito, che ricambiò dolce.
“Si deve essere così” risuonò la voce di Sanae
per nulla convinta delle sue stesse parole e di certo non rincuorata da quel
tentativo di conforto.
Dopo averli salutati e aver di nuovo augurato
loro buone feste, riprese il suo giro di perlustrazione.
Ma con la rabbia che cominciava a rifarsi
viva, e questa volta più impetuosa e dirompente: “Gonzales è solo…. non si
sarà accorto… tanto non ha nessuno che lo aspetta” diceva a voce alta,
stringendo forte il volante fra le mani “…sono tutti uguali questi calciatori…”
scimmiottando la moglie di Rivaul “…. un corno… tuo marito era là con te… sono
io l’unica deficiente in giro per Barcellona la sera della Vigilia, perchè ho un
marito incosciente… eh no… ma stavolta non te la faccio passare liscia…” e
modulando la voce con un'intonazione dolciastra “..oh scusami tesoro, mi
dispiace tanto… non avevo l’orologio…” per riprendere subito dopo un tono
furente “.. e io come la stupida che subito mi faccio intenerire dai tuoi occhi
strappabaci… ah ma se viene la febbre a Daibu, come minimo ti faccio dormire sul
divano per una settimana!”
Presa dalla rabbia e dalla stizza di quei
pensieri, il suo piede premeva deciso sul pedale dell'acceleratore,
come a voler scaricare l'adrenalina che aveva in corpo.
Ma si bloccò nuovamente nel trovarsi di
fronte al parco dove solitamente portava Daibu, nelle loro passeggiate
mattutine.
Sembrava così inanimato in quel momento, senza
le strida gioiose dei bambini, e con il vento che lasciava mestamente
oscillare l'altalena di legno, dalla quale Daibu non voleva mai scendere per far
divertire anche gli altri. Afferrava con una tale forza la catena che reggeva il
sedile, che per staccarlo ce ne voleva, così come per calmarlo dopo.
Guardò afflitta intorno a sè, per poi lasciar cadere in avanti la
testa, sul volante.
Certo Tsubasa era
distratto, ma non a qual punto. E poi perchè il cellulare era spento...
possibile che non si fosse reso conto che lei poteva essere maledettamente
preoccupata da quel ritardo.
E senza più scuse, senza
continuare a mentire a se stessa, dovette sconsolatamente accettare
quell'ipotesi che il suo cervello aveva avanzato da un pò e che le ronzava
come un moscone fastidioso nelle orecchie, ma che lei per tutto quel tempo si
era ostinata ad ignorare.
Era possibile che fosse
capitato qualcosa che gli impedisse di contattarla...
Il solo pensiero di un
incidente la gettava in uno stato di disperazione totale, al quale le sembrava
di non riuscire a reagire.
E restò con il capo
rivolto sul volante per qualche minuto.
Chi poteva
chiamare...
Lì a Barcellona non
avevano nessuno di così intimo, salvo Pinto e sua madre, che probabilmente a
quell'ora stavano aprendo il panettone.
Avvisare i genitori di
Tsubasa sarebbe stato folle... come minimo gli faceva venire un colpo... e poi a
che pro, visto che erano all'altro capo della terra.
Lo stesso valeva per i
suoi, anzi, probabilmente sua madre avrebbe fatto bene ad attaccarle il
telefono in faccia, visto come l'aveva trattata due giorni prima.
E cominciò a farsi strada
l'idea in lei, che forse, tutto quello che le stava capitando, fosse la
punizione per quella sceneggiata infantile e stupida.
* 22 dicembre *
"Come non venite più... mamma stai scherzando
vero!" esclamò rabbiosa, ma anche incredula, come se non riuscisse a convincersi
di aver compreso bene quelle parole.
"Sanae... dai.. non farne una tragedia, non è colpa
di nessuno, tuo padre ha un impegno di lavoro il 24, che è venuto fuori
solo oggi e che non può rimandare purtroppo..."
"E chi è questo stupido che ha scelto proprio
la
Vigilia di Natale.... e poi credo che la famiglia debba avere
una certa priorità sul lavoro "continuò imbestialita come non mai "..avete anche
già comprato i biglietti..."
Ma ormai la sua voce era velata da una profonda
delusione perchè, quantunque stesse insistendo e sbraitando, sapeva
perfettamente di non poter far nulla per cambiare le cose. Non c'era nessuno da
convincere. La decisione era stata presa.
"Magari vediamo di venire a gennaio!" fece
dispiaciuta la donna.
"Si come no, gennaio del 2019, quando Daibu sarà già
maggiorenne!"
Si sentiva profondamente ferita, perchè quei giorni
erano stati carichi di attesa per il loro arrivo programmato da tempo e passati
a fare preparativi per una degna accoglienza.
"Va bene... ci sentiamo allora!" e così dicendo
riagganciò senza neanche aspettare la risposta.
Tsubasa, sul divano con Daibu fra le braccia, aveva
assistito impotente alla conversazione, rammaricato di dover vedere gli occhi di
Sanae ricoprirsi di un velo di tristezza e delusione.
E dopo che aveva riagganciato collerica, come un
dardo che schizza fuori dalla sua balestra, si fiondò in camera da letto,
richiudendo, anzi sbattendo violentemente, la porta alle sue spalle, con così
tanta forza da far tremare i lampadari e far sobbalzare il piccolo Daibu,
assorto nei suoi pensieri inconcludenti di bimbo.
"Mi sa proprio che dobbiamo andare dalla mamma!"
mormorò greve Tsubasa, alzandosi e caricandoselo su di un braccio.
Diede due delicati colpetti all'uscio, prima di
aprirlo e ritrovarla seduta sul letto, con lo sguardo rivolto al pavimento
e le braccia conserte.
"Posso?" domandò con garbo.
"E' anche camera tua... non devi chiedermi il
permesso" rispose senza nemmeno voltarsi a guardarlo, con voce piatta.
Entrato, Tsubasa le si avvicinò e mise giù Daibu,
che ne approfittò per sedersi subito a terra, atterrando sul soffice
pannolino, mentre continuava a stringere la pallina di stoffa che aveva per
le mani.
Si affacciò col viso, per cercare di sbirciare i
suoi occhi nascosti sotto la frangetta: "Hai voglia di parlarne?"
"No" fu la risposta lapidaria che gli diede,
mentre voltava il capo dall'altro lato per impedirgli di guardarla in
faccia.
Ormai conosceva la sua Sanae a menadito, e per
questo decise di non insistere e restare in silenzio seduto accanto a lei,
perchè di lì a qualche secondo sarebbe esplosa come una granata a cui era stata
tolta la linguetta.
E quando nella sua testa con il count down
arrivò a zero, lei cominciò il suo sfogo.
"Ma ti pare possibile una cosa del genere? Non
vedono Daibu da mesi... la loro figlia da mesi... e che fanno.. mandano tutto
all'aria, per un appuntamento di lavoro, manco che mio padre fosse il Primo
Ministro del Giappone, da cui dipendono gli equilibri del mondo.."
La voce stava cominciando a tremare dal
nervosismo.
Sentì la mano dolce di Tsubasa accarezzarle i
capelli "Sanae dai, non è colpa loro, sarà sicuramente qualcosa di importante,
altrim..."
Ma non riuscì a finire quel pensiero.
"Importante... importante... più della propria
famiglia.." urlò balzando in piedi "..sai mi sembra di tornare indietro...
quando saltavano i nostri appuntamenti per i tuoi di impegni... forse perciò sei
coì comprensivo tu... c'è sempre qualcosa di più importante di Sanae!"
Ma una lacrima, cogliendola impreparata, le rigò il
volto, perchè si rese conto di aver tirato fuori una cattiveria gratuita, fatta
apposta per prendersela con l'unica persona con cui poteva, che invece era lì a
cercare paziente di consolarla.
Per quanto quella frecciata l'avesse colpito in
pieno, Tsubasa si levò dal letto e le afferrò il viso con le mani. Tirandola
verso di sè, la cinse con un braccio, mentre con le dita, ancora sul suo volto,
asciugava quella perlina trasparente: "Facciamo così, se i tuoi genitori entro
gennaio non riescono a venire a Barcellona, ti porto io in Giappone prima di
primavera.. che ne dici?" disse convinto.
Sanae nascose la faccia nel suo petto stringendosi a
lui, sentendosi ancor più vile e meschina: "Scusami... me la sono presa con te
quando non c'entravi proprio nulla... mi spiace..."
E dopo aver tirato su col naso, alzò gli
occhi: "Non voglio che mi fai queste promesse... hai il campionato e non
devi distrarti con le scemenze che mi girano per la testa!"
"La promessa te l'ho fatta e resta valida.. però tu
cerca di stare tranquilla e goderti il Natale... d'accordo?" mentre con le dita
le sfiorava la pelle del viso.
La risposta fu un bacio schioccante sulla sua bocca:
"Va bene.. e poi almeno verranno i tuoi e Daichi per Capodanno... almeno Daibu
starà un pò in compagnia" fece sorridendo.
Sanae era fatta così: capace di perdere le staffe
improvvisamente e tirare fuori la grinta di un leone che non mangia da dieci
giorni.. ma allo stesso modo di acquietarsi e ritornare docile e tenera, nel
giro di qualche secondo.
E mentre Tsubasa stava per riappiccicarsi alle sue
labbra, lei si staccò sobbalzando: "Cavolo il dolce è ancora in forno..." e
slegandosi da lui, corse via, sparendo dietro la porta.
Lui la seguì con lo sguardo, per poi rivolgersi al
piccolo: "Eh Daibu, mi sa proprio che dobbiamo fare alla mamma un bel regalo di
Natale!"
Il bambino, dopo aver ascoltato attento le parole
del padre, tirò via il ciuccio: "mà-mà.. talè".
Tsubasa sorrise, riafferrandolo da terra: "Bravo...
dai proviamo... Bu-on Na-ta-le"
"Bò.. talè" ripetè deciso.
"Bravissimo" facendolo volare in alto, e
riacciuffandolo saldamente, per poi avviarsi verso la porta: "Bu-on
Na-ta-le"
"Bò.. talè" continuò divertito.
Rimmessasi in movimento,
si ritrovò, non per puro caso, di fronte all'ospedale Saint Paul, dove
erano stati spesso lei e Tsubasa, sia per gli acciacchi di quest'ultimo, sia
quando aveva partorito il suo dolce angioletto.
Deglutì nel vedere
l'insegna luminosa e quella croce rossa, che in quel momento rappresentava tutte
le sue paure che prendevano forma.
E per quanto tremasse al
solo pensiero di entrare lì dentro, fermò l'auto e facendo appello a tutto il
suo coraggio si incamminò verso l'ospedale, mentre una pioggerella sottile si
posava delicata sul suo capo formando uno strato sottile come
di brina.
Entrando avvertì subito
quel pungente e inconfondibile odore di disinfettanti.
Si avvicinò alla
reception, guardandosi attorno con aria smarrita e disorientata, senza avere in
testa neanche cosa chiedere a quell'infermiera che già aveva rivolto lo sguardo
verso di lei.
"Buonasera" disse
cordialmente la donna.
"Salve.." e dopo qualche
secondo d'indecisione, l'espressione materna e bonaria di quegli
occhi che la puntavano, la spinsero a continuare ".. ecco.. volevo sapere se per
caso al pronto soccorso sono arrivate.. due persone.."
Sentiva un nodo alla gola
che le impediva di continuare. Pronunciare quella frase a voce alta e
non sottovoce nel suo cervello, gliene faceva cogliere davvero il
significato.
La donna dovette
comprendere lo stato di agitazione di Sanae: "Aspetti un attimo.." e così
dicendo si concentrò sul monitor posto di fronte a lei "Guardi nelle ultime
cinque ore sono arrivate al pronto soccorso sei persone e tutte con nomi
occidentali.. vuol dirmi chi cerca?"
La ragazza si sentì
immediatamente più leggera: "No, non fa nulla... ma non è che avete collegamenti
anche con gli altri ospedali della città.. sa per.." "No... non possiamo sapere chi giunge nelle altre
strutture... mi spiace.."
"Non fa nulla... non si
preoccupi... grazie e... buon Natale".
Infilò le mani nelle
tasche del cappotto, stringendosi nelle spalle e affondando il viso nella
sciarpa, mentre allontanatasi dal nosocomio, si dirigeva verso la
macchina.
Per quanto sapere che non
erano lì poteva essere consolante, soltanto una delle sue mille preoccupazioni
era stata così dissipata, visto che, oltre al fatto che vi fossero altri
ospedali sparsi per la città, ciò non escludeva possibilità ugualmente
preoccupanti.
Ancora la pioggia stava
venendo giù, ma questa volta con goccioloni grossi e pesanti.
Sanae sembrava non farci
caso di nuovo assorta sul video del suo cellulare con la speranza che le desse
qualche segno di vita.
E senza capire come,
sentì soltanto i piedi slittare in avanti e il terreno mancarle sotto.. e dopo
un attimo di
senso di vuoto, ricadere pesantemente sul proprio sedere.
Qualche secondo di
smarrimento, in cui non aveva ben capito se era lei ad aver cambiato
prospettiva, o erano i palazzi ad essere divenuti improvvisamente più grandi,
dopodichè ebbe la forza di maledire ancora una volta il destino: “Dannazione ci
mancava solo questo ora..” mentre le mani affondavano in pochi millimetri di
acquitrino.
Era scivolata in una
pozzanghera formatasi in un punto sconnesso del marciapiede e ora sentiva
l’acqua limacciosa, penetrarle nella gonna e nelle calze, fino a raggiungere la
pelle calda.
Cercò di far leva su un
braccio per tirare su almeno la schiena, ma si rimise in piedi più facilmente di
quanto potesse pensare… troppo facilmente.
Infatti accanto a lei una
figura alta e smilza la aveva aiutata a rialzarsi.
“Ehi stai bene?” fece una
voce gentile.
Era un ragazzo più o meno
della sua età, che le sorrideva quasi a volerla confortare del capitombolo
occorsole.
Si portò una mano sul
dolorante fondoschiena e con voce fievole rispose al suo interlocutore: “Grazie…
si… si” fece con le lacrime che le salivano agli occhi, un po’ per la botta, un
po’ per la vergogna, un po’ per la gentilezza del passante, ma soprattutto per
il peso che portava nel cuore.
Il giovane si accorse
chiaramente che quella piccola ragazza orientale era turbata fortemente da
qualche cosa.
Afferrò l’ombrello che
aveva lasciato cadere a terra per aiutarla a rialzarsi e la ricoprì, nonostante
rassomigliasse già ad un pulcino bagnato.
“Senti io sto andando da
degli amici a giocare a carte. Abitano qui vicino… se vuoi puoi salire ad
asciugarti!”
Sanae fece un mezzo passo
indietro, un po’ frastornata dalla proposta che alle sue orecchie risuonava
piuttosto ardita.
E lui se ne accorse
perché subito precisò: “E’ casa di una amica.. ci sono anche donne” fece con una
mano avanti quasi per scusarsi della sua impertinenza.
Sanae abbozzò un mezzo
sorriso: “Ti ringrazio ma non fa nulla… ora andrò a casa.. e…” ma le parole le
morirono in bocca. Andare a casa… senza aver trovato Tsubasa e Daibu… come
poteva….
“Ti è successo
qualcosa... se posso aiutarti…” disse gentilmente l'uomo, colpito dal viso
sconvolto di Sanae.
E come se fosse una
liberazione poterlo dire a qualcuno, anche se ad un perfetto
sconosciuto... come se quell'angoscia tenuta repressa per tutto quel tempo
potesse finalmente balzare fuori libera e incondizionata... cominciò a
piangere disperatamente portandosi le mani al volto: “Ecco… io.. io non riesco a
trovare mio marito e mio figlio..”
Si erano seduti su un
muretto lì vicino.
Sanae aveva tentato di
scrollare via un po’ di acqua dai suoi vestiti e di riprendere un po’ di
compostezza.
“Se vuoi ti accompagno al
Commissariato di Polizia, qui vicino c'è una delle sedi… magari lì possono
aiutarti” le propose dopo aver ascoltato la sua storia.
“Mi dispiace è
la
Vigilia di Natale e tu dovresti essere dai tuoi amici… magari
se puoi indicarmi come arrivarci..”
“No dai insisto… a Natale
dobbiamo essere tutti più buoni” fece, ridendo e portandosi una mano sulla testa, in una
posizione a lei molto, molto familiare.
“Grazie.. Almandos"
mormorò, mentre i battiti del suo cuore erano accelerati di fronte all’immagine
di Tsubasa, che all’improvviso le si era parata avanti agli occhi.
Erano giunti davanti al
portone d’ingresso della locale sede di Polizia.
Sanae, come avvinta da
una sorta di timore riverenziale, restò un attimo ferma a guardare l’imponente
palazzo ottocentesco, in cui il rosso pompeiano delle pareti, smunto
dall’incedere del tempo, si mescolava ai non meno sbiaditi colori dei fregi, e
dei trionfi floreali che un tempo dovevano essere di un vivo giallo paglierino
ed oro.
Nei toni cupi di quella
uggiosa notte, la sua facciata imponente sembrava essere pronta a prender vita,
per inghiottirli nelle sue fauci.
Ma, scacciata quella
sensazione, entrò decisa.
Un agente,
dopo averli identificati indicò loro l'ufficio al quale
rivolgersi.
Entrarono in una stanza
non molto ampia, piuttosto umidiccia. Era arredata scarnamente; in molti punti
sulle pareti, la pittura lasciava intravedere l’intonaco sottostante; qualche
foto di appartenenti all’arma, affissa al muro rompeva la monotonia di quel
bianco un po’ sdrucito.
Ma su due oggetti cadde
l’attenzione della ragazza.
Giusto di fronte
all’entrata era affisso il gagliardetto blaugrana del Barcellona F.C.
Quei colori non potevano
che ricordargli ancora una volta i volti amati: quello di Tsubasa, imperlato di
sudore, che sfrecciava concentrato nel Campe Nou, e quello del figlioletto, che
già aveva la sua maglietta su misura con la scritta Daibu Ozora ed il numero 10,
per l’orgoglio del suo papà.
Sul lungo bancone che
divideva in due la sala, era invece poggiata una rigogliosa Stella di
Natale.
Un impiegato corpulento
appollaiato sul proprio sgabello, con gli occhiali da presbite calati sul naso,
leggeva svogliato un librone che aveva avanti a sé, con la testa flaccida, retta
pigramente dalla mano, mentre con l’altra portava alla bocca una tazza fumante
di chissà quale intruglio. Dietro di lui un altro agente, cliccava concentrato
di fronte al proprio notebook.
“Buonasera” fece
timidamente Sanae.
Ma forse la sua voce uscì
troppo fioca.
Anzi sembrava che il loro
ingresso fosse stato del tutto impercettibile ai loro sensi, perché nessuno dei
due diede segno di essersene accorto.
“Prego” risuonò nella
stanza la voce afona dell’addetto. Ma non alzò lo sguardo dalla carta che stava
leggendo, rimanendo nella stessa identica posizione.
Almandos si accorse che
Sanae era ancora piuttosto intimorita: “Agente, buonasera, la signora è qui per
denunciare una scomparsa” fece sicuro, rivolgendole un’occhiata
fiduciosa.
“Da quant’è che non si fa
vivo?” chiese quasi infastidito dell’interruzione delle sue cose, alzando lo
sguardo sulla giovane, da sopra le lenti.
Il ragazzo fece un cenno
col capo in direzione di Sanae, incoraggiandola, affinché lei stessa rispondesse
a quella domanda.
“Ecco… sono più o meno..
un’ora e mezza… forse due ..”
“Ahhhh…”.
L’agente si lasciò andare ad una risatina soffocata, mentre il
collega, di dietro, abbozzò un sorriso, sempre imperturbabilmente rivolto al
monitor.
La ragazza sentiva le
lacrime nuovamente fremere per venir fuori dagli occhi, e solo la vergogna le
trattenne.
“Un’ora e mezza!
Signorina, ma lo sa che ci vogliono almeno ventiquattr'ore per iniziare a
decidere se intervenire o no… e poi, è sicura che il suo fidanzato non volesse
trascorrere la Vigilia di Natale con qualcun'altra?”
disse grossolanamente, con un filo di malizia negli occhi.
“Non è il mio fidanzato…
sono mio marito e mio figlio” rispose in preda ad un sussulto di
collera.
“Ebbè, magari avete
litigato e lui è tornato da sua madre!”
Sanae era sconvolta da
come quell’uomo stesse formulando una serie di stupide e, fra l’altro,
impossibili congetture senza neanche degnarsi di ascoltare la sua storia. Il
cuore le batteva forte. Il suo labbro inferiore era scosso da un fremito, che a
malapena riusciva a controllare. E si stava convincendo che i suoi tratti
somatici, il suo accento molto incerto, i suoi vestiti in disordine, per non
dire sporchi, sminuissero ancor di più la sua credibilità di fronte a quello
strafottente agente.
“Mi scusi ma lui non è il
tipo da farmi stare in pensiero, Tsub…”
Fu interrotta
violentemente dall’uomo: “Uhhhh… signora è la vigilia di Natale, già è pesante
stare qui a lavorare… vada a casa, tanto adesso non possiamo intervenire…
vedrà che domani mattina a suo marito gli passa e torna col bambino e
trascorrerete un bel Natale tutti insieme..”
Almandos irritato anche
lui dall’insolenza dell’uomo, intervenne deciso, piuttosto accalorato: “Senta,
ma non mette in conto che possa essergli accaduto qualcosa!”
“Si… magari è stato
investito dalla slitta di Babbo Natale!” fece scoppiando in un’altra fastidiosa
risata, questa volta supportata da quella del suo collega, che per la prima
volta alzava gli occhi dallo schermo.
Improvviso, inaspettato e
autoritario un pugno ben piantato sul bancone, fece sobbalzare tutti i presenti,
nonché la piccola Stella di Natale che vi si trovava sopra, che oscillò
pericolosamente sul suo sottovaso, e la tazza ormai vuota dell’agente, il cui
cucchiaino restò lì a vibrare per qualche secondo.
La piccola Anego non si
sarebbe fatta mai trattare in quel modo irrispettoso e volgare, specie se c’era
in gioco la sicurezza delle persone che aveva di più care al mondo.
La sua voce decisa e
arrabbiata fece tremare le pareti: “Mi ascolti bene… ora lei si prende il nome
di mio marito e di mio figlio, e fa quello che la sua veste di agente di Polizia
le impone, altrimenti
le assicuro che le farò passare una Vigilia di Natale, che non avrebbe
potuto immaginare nemmeno nel più mostruoso dei suoi incubi” fece col dito
puntato alto contro di lui.
L’uomo deglutì, alquanto
frastornato, di fronte al repentino cambio di tono di Sanae e alla
determinazione che aveva nell’espressione del viso; e dopo un attimo di
esitazione, riassumendo il suo fare indolente, afferrò un pezzo di carta e una
penna, con tutta l’aria di chi voleva far finta di accontentarla, pur di
togliersela dalle scatole: “Va bene mi dia il nome di suo marito… anche se prima
di domani non si può fare niente..”
Come un pavone che apre
la sua ruota variopinta, per mostrarla agli occhi stupiti degli spettatori, così
il petto di Sanae si gonfiò, per pronunciare quel nome nel modo più tronfio che
potesse, per meravigliare gli orecchi di chi finora l’aveva soltanto derisa:
“TSUBASA OZORA”
La biro dell’agente
sporcò impercettibilmente di china il foglio: “Tsuba…”
Si fermò
interdetto.
Alzò gli occhi
inebetito.
E con voce tremula:
“Tsuba.. Tsubasa Ozo..Ozora.. il calciat….”
“Si” continuò ancor più
vanagloriosa “TSUBASA OZORA, IL REGISTA DEL BARCELLONA!”
Almandos si girò verso la
ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite e il mento che quasi arrivava alle
ginocchia: “Tu sei la moglie di Tsubasa Ozora… porca putt..” tappandosi la bocca
con la mano, per evitare che venisse fuori un’esclamazione non proprio
principesca “..dicevo io che ti avevo visto da qualche parte!”
Sanae, ormai in preda
alla forza della disperazione, incrociò le mani al petto: “Sa… non credo proprio
che la dirigenza del Barça sarà contenta di sapere che è accaduto qualcosa ad un
suo giocatore… ANZI.. al fondamentale pilastro della squadra, visto che Rivaul è
infortunato… pagato fior di quattrini… per non parlare dei tifosi.. e tutto ciò
a causa di un agente privo di zelo!”
L’uomo, assolutamente
spiazzato e rintronato dalla rivelazione, cambiò decisamente atteggiamento:
“Signora si calmi… ora vediamo che possiamo fare..”
L’altro poliziotto
guardava ancora in direzione di Sanae con la stessa espressività di un pesce
lesso o di una trota marinata.
“Senta non mi metta nei
guai con i superiori… lo so.. sono stato sgarbato…ma vede spesso viene gente che
vuole solo farci perdere tempo” fece non nascondendo il timore di prendersi un
bel congedo a tempo illimitato.
E le parole pronunciate
in modo così supplichevole fecero subito breccia in quel cuore puro e innocente,
che di certo non era abituato ad andare in giro a fare minacce e a tirar fuori
il nome di Tsubasa per avere trattamenti speciali. Anzi, la cosa la imbarazzava
non poco.
“Io non ho nulla contro
di lei… voglio solo trovare mio marito e mio figlio!”
La voce della ragazza
uscì di nuovo tanto dolce e remissiva, che dovette far sentire
l’agente davvero un verme per il comportamento di poco prima: “Signora, facciamo
così, avverto subito una volante… se suo marito è ancora in giro per
Barcellona, lo troveranno…” e sorridendo “.. poi.. non c’è bisogno neanche
dell’identikit!”
Sanae, dopo aver spigato
quanto era successo, tirò fuori dalla tasca un foglietto di carta:
“Va bene.. questo è il mio numero di cellulare… se dovesse esserci qualche
novità. Allora … grazie” sussurrò col capo chino, facendo per andarsene, ma
aggiunse “..mi spiace per prima… davvero..”
Ma l’uomo non la fece
finire: “Mi devo scusare io… comunque ora vada a casa, vedrà che si è trattato
solo di un contrattempo”
Sanae accennò un sorriso:
“Beh, anche se state lavorando… Buon Natale”
“Buon Natale a lei
signora” esclamò sincero l’agente, realmente toccato da così tanta dolcezza e
forza unite insieme in quei profondi occhi a mandorla.
Sanae prese una profonda
boccata, come a voler rinvigorire di quell’aria pungente il proprio
spirito.
Si voltò verso il ragazzo
che aveva accanto: “Almandos, io ti ringrazio, la mia macchina è lì” disse
indicandola col dito “ti ho già fatto perdere troppo tempo”
“Non lo dire neanche
Sanae… e poi cavolo sei la moglie del mio mito!” fece divertito.
“Beh quando vorrai
venirci a trovare… così te lo farò conoscere…”
“Magari… sai come
moriranno dall’invidia i miei amici quando gli dirò di essere stato invitato
personalmente dalla moglie di Tsubasa Ozora…” ma nel finir di pronunciare quelle
parole vide il viso della ragazza incupirsi nuovamente.
Le prese le mani:
“Sanae.. sta tranquilla… tuo marito è uno che non si arrende mai… che si rialza
sempre, anche con le ossa rotte, e che continua a giocare con la stessa
determinazione fino all’ultimo secondo… per questo è così amato da noi tifosi…
ed è per questo che sono sicuro che lui e tuo figlio stiano bene” disse con
convinzione.
“Grazie Almandos” rispose
alla sua stretta “… grazie veramente!” senza riuscire ad aggiungere altro, per
paura di ritornare a piangere.
“Beh io vado allora…
buona fortuna Sanae” indugiando ancora un attimo, dopo averle liberato le mani
“… se non fossi sposata.. con Tsubasa Ozora.. ti avrei lasciato il mio numero di
telefono… ciao” disse correndo via, alzando il braccio in segno di saluto e
subito dopo prendendo a cantare a squarciagola l’inno del Barça **“Tot el camp és un clam
som la gent blaugrana, tant se val d'on venim, si del sud o del nord ara estem
d'acord…” **
Sanae guardò andar via
quel così gentile e simpatico ragazzo, pensando che in circostanze diverse,
sarebbe di certo arrossita di fronte a quell’ultima frase.
Ma non in quel
momento.
Cos’altro poteva fare a
quel punto.
Telefonare per l’ennesima
volta sarebbe stato perfettamente inutile: la segreteria di casa probabilmente
era andata in tilt per tutti i messaggi lasciati e il cellulare di Tsubasa aveva
registrato senza dubbio i suoi tentativi di chiamata.
L’unica scelta logica e
sensata era quella di ritornare a casa e sperare di risvegliarsi nel suo letto,
accorgendosi che in realtà tutto quello che le era successo era solo un sogno….
un brutto sogno.
Rimessasi alla guida
dell’auto, si avviò verso la sua abitazione.
Le strade, lentamente,
stavano tornando a ripopolarsi: piccoli gruppi che si apprestavano a raggiungere
altri amici per festeggiare e per giocare a carte, si mescolavano a famigliole
felici che si recavano alla Messa di mezzanotte, mentre giovani innamorati si
incontravano dopo aver cenato con i propri parenti.
Tutti volti sorridenti,
allegri, sereni.
Ed era in mezzo ad essi
che ogni tanto le sembrava di scorgere il suo piccolo Daibu o Tsubasa… ma era un
attimo… un solo attimo prima che i tratti occidentali del viso facessero cadere
quella momentanea illusione e la rispingessero di nuovo giù, in quel baratro di
angoscia e disperazione.
Ma una sensazione di
estasi e smarrimento la rapì all’immagine di lontano della Sagrada Familia,
che si ergeva maestosa come una montagna innevata in mezzo al
deserto.
Sontuosa nelle sue torri
che svettavano verso l’alto nell’aspirazione al divino; mistica nei tanti
personaggi tormentati ed emaciati delle decorazioni che circondavano il Cristo
crocifisso; sacra nelle parole della liturgia e delle Scritture, ricamate e
incastonate nelle facciate imperiose.
L’istinto, ormai unico
padrone del suo corpo, le dettò di fermare l’auto e di incamminarsi verso
la cattedrale.
Entrò.
Un penetrante profumo di
incenso misto a quello delle fioriture che adornavano gli ambulacri colpì il suo
olfatto, quasi al punto di farle lacrimare gli occhi.
Si udiva il suono
dell'organo, ma non duro e squillante come avveniva nelle chiesette di campagna,
ma ovattato e diffuso, perchè le onde sonore si perdevano in quegli anfratti
della complessa struttura e in quelle mille cavità scolpite nel
marmo.
Sanae sentiva quasi
mancarle il respiro per la sacralità e il misticismo che si avvertiva
nitido.. in quella chiesa.. in quella notte.
Si avviò in una delle
navate laterali, per arrestarsi di fronte ad un ritratto della Vergine con in
braccio il Bambin Gesù.
Si inginocchiò sulla
panca che era posta ai piedi della pittura, e incrociò le mani sulla
bocca...
... pregando che non fosse accaduto loro
nulla...
... supplicando che Tsubasa e Daibu stessero
bene...
... implorando di lasciarle quanto di più prezioso avesse
nella vita.
"Signora" sentì una voce
fine alle sue spalle.
Si voltò. Era un uomo
alto e grosso, con barba lunga e cappello, piuttosto sporco in viso: "Signora,
mi dai qualche moneta..."
Sanae guardò quegli occhi
gentili e si frugò nelle tasche: "Mi spiace... non ho altro..." fece,
porgendogli pochi centesimi.
"Signora... non essere
triste... stai tranquilla" e rivolgendosi al dipinto "Lei ascolta sempre le
preghiere di tutti... specie quelle delle altre mamme" disse, strizzandole
l'occhio, per poi allontanarsi subito dopo.
La ragazza lo seguì con
lo sguardo, mentre si allontanava barcollando, chiedendosi quali altri
singolari incontri avrebbe fatto in quella notte.
Ma preferì tornare un
altro po' su quei profondi occhi di speranza e amore, di carità e dolcezza
infinita.
Uscì in
strada.
Guardando in alto
intravide qualche sprazzo di firmamento stellato comparire fra le nuvole
scure.
Si era chiesta spesso
perchè, da quando era a Barcellona, si sentiva ancor di più legata alle
festività del Natale.
Solo ora aveva
compreso.
In Giappone, dove la
maggior parte della popolazione era di fede scintoista, il
Natale era semplicemente una festa pagana, in cui si attendeva l'arrivo di
quel vecchietto canuto e bianco, che portava doni ai bambini buoni, e in cui i
negozianti erano felici di incrementare i loro introiti.
Ma in Spagna era
diverso... era in quella terra profondamente cristiana che poteva respirarsi il
vero significato della Nascita: davvero si avvertiva la voglia di far fiorire
dentro di sè nuovi sentimenti, di essere più gentili e aperti agli altri. E lei
quella sera lo aveva constato personalmente, grazie ad Almandos, che si era
offerto spontaneamente e generosamente di aiutarla... grazie a quell'agente, nei
cui occhi era riuscita a leggere vero rammarico... grazie a quel barbone, che
senza nemmeno conoscerla le aveva saputo infondere speranza e
sollievo.
E quegli attimi in chiesa
erano riusciti a farla sentire un pò alleggerita dal peso della
disperazione.
Portò una mano alla
bocca, mentre con l'altra teneva saldamente il volante: "Un momento... ma come
faceva quel barbone a sapere che sono mamma..."
La fede era nascosta dai
guanti, e per di più tutti le davano non più di diciott'anni...
E un pensiero, balordo
e improvviso, la turbò nuovamente.
Si chiese se non fosse a
lei che era successo qualcosa... se non fosse morta e vagava per la città come
un'anima in pena...
La sua casa sembrava
circondata da un velo di tristezza, avvolta com’era in quel raggelante e buio
silenzio.
Non fece caso al fatto
che le lanterne in giardino erano spente, neanche quando disattivati i fanali
dell’auto, nessuna altra luce restò ad illuminare la piccola villa.
Si tirò fuori dalla
macchina, cercando di non farsi assalire di nuovo dal panico, specie dopo la
delusione di ritrovare l’abitazione come l’aveva lasciata, perché, per quanto
fosse certa che Tsubasa non fosse rientrato, la speranza nel suo cuore non aveva
mai smesso di pulsare fiduciosa.
E si ritrovò a ricompiere
quei gesti, che aveva fatto già tante volte, ma che in quel frangente assumevano
un valore del tutto nuovo e diverso.
Girò le chiavi nella
toppa, infilò il braccio per fare luce...
Questa volta però
l’interruttore non diede il suo impulso elettrico: Sanae riprovò ad accendere e
spegnere, in un gesto convulso e stizzoso, ma non ottenne risultato
alcuno.
Ma prima che la cogliesse
una nuova crisi di pianto, vide una luce, un fioco e flebile albore proveniente
dalla camera da letto al piano superiore, che seppur timido, balenò nei suoi
occhi come un raggio di primavera che penetra prepotente fra i bianchi e soffici
cirri.
E senza pensare a nulla,
senza aver paura di trovar pericolo, corse in direzione di quella fiammella di
speranza.
Salì rapida le scale,
senza aver nemmeno chiuso l’uscio di casa, tirandosi sul corrimano, con la parte
posteriore ancora dolorante, e con il cuore che batteva furioso.
Entrò nella stanza
custode dei momenti più intimi della sua vita coniugale, e la ritrovò illuminata
alla pallida luce di una candela rossa, posta accanto all’abatjour, dal suo lato
di letto.
Decifrare le sensazioni
di quei momenti non sarebbe stato per lei possibile, perché ormai le sembrava
quasi di sognare e di non aver più cognizione e padronanza del suo
corpo.
Un piccolo foglietto
bianco spuntava di sotto la bugia.
Si avvicinò a quella
piccola fonte di luce, si sedette sul letto, tirando fuori quella che aveva
tutto l’aspetto di una lettera, e quando lesse sul retro le parole “Per
Sanae”, riconoscendo la grafia di Tsubasa, calde lacrime sgorgarono
abbondanti, battendo per quei sentieri ormai già indelebilmente
tracciati.
Ma questa volta quelle
piccole sfere luminose, che bagnarono la carta porosa che aveva fra le mani,
erano di sollievo… e di consapevolezza che il suo piccolo Daibu e il suo papà
stavano bene… e che tutti i suoi incubi si erano dissolti per
incanto.
Estrasse il foglio
racchiuso nella busta, e cominciò a leggere, dopo aver cacciato via le lacrime
con il palmo della mano.
Mia cara Sanae,
spero che in questo momento non sarai troppo arrabbiata con
me, per ascoltare quello che ho da dirti, perché davvero sento, più che mai, il
bisogno di aprirti il mio cuore.
Sarà che nella vita non ho avuto troppo tempo per fermarmi
a riflettere e per dedicarti tutte le attenzioni che avresti meritato, ma in
questo momento così magico, in cui null’altro potrei chiedere alla vita, perché
ho una donna e un bambino meravigliosi, e la mia carriera è ai suoi massimi
splendori, sento che è giusto bloccarsi un attimo per tracciare un bilancio
della mia... della nostra esistenza.
Purtroppo sono perfettamente consapevole di non poter far
nulla per te, che ricambi tutto l’amore e la dedizione che mi hai dato in questi
anni.
Perché non c’è modo di ripagarti di tutte le difficoltà che
hai passato a causa mia: dall’amore a distanza quand’ero in Brasile, a tutti i
momenti in cui ti ho trascurata per i miei impegni, fino all’averti trascinato
per mezzo mondo, lontano dalla tua patria e dai tuoi affetti.
Soprattutto perchè so che non hai mai rimpianto un solo
secondo di esserti innamorata proprio di uno che non poteva accontentarsi di
fare l’impiegato o qualsiasi altro lavoro “normale”, ma che si era messo in
testa di diventare il calciatore numero uno al mondo.
Vederti triste in questi giorni, mi ha fatto davvero male,
perché so quanto ami il Natale e come avresti desiderato passarlo con la tua
famiglia e con i tuoi amici, perché per quanto ti piaccia vivere a Barcellona, o
meglio per quanto ti piaccia vivere sotto lo stesso tetto con me, capisco quanto
la lontananza dalle altre persone a cui vuoi bene ti pesi.
Ed è per questo che spero veramente che questo mio piccolo
regalo di Natale riporti quel sorriso sul tuo volto che amo sopra ogni altra
cosa.
Quindi amore mio asciuga quei lacrimoni che sicuramente
stanno bagnando questa lettera, e che di certo non saranno i primi né gli ultimi
della giornata, e vai alla finestra.
Tsubasa
Ripiegò il foglio
poggiandolo sul letto.
Si avvicinò a piccoli
passi... non avvertiva più la stanchezza di quella serata passata in giro per la
citta, e aprì la finestra che dava sul giardino, sul retro della casa,
lentamente, nello scombussolamento più totale dei suoi organi.
Avvertì tagliente
l’aria fredda e ancora carica di umidità sugli occhi e sulle guance
bollenti per tutte le lacrime spese.
Il giardino era
completamente al buio. Senza l'illuminazione delle lanterne non si riusciva
a distinguere nulla con poche stelle.
Guardando meglio, le
sembrò di poter vagamente scorgere qualche ombra… nulla di più.
Ma una piccola luce si
accese in un angolo del giardino.
Due persone reggevano in
mano una candela e Sanae dovette strofinarsi gli occhi per mettere a fuoco i
loro visi.
Un sussulto fece
sobbalzare il suo petto: “Mamma… papà…”
Fu la madre a parlare a
voce alta: “Bambina mia.. buon Natale. Pensavi veramente che non saremmo venuti
a trovare te e Tsubasa, e soprattutto a vedere il nostro splendido nipotino? Te
l’avevamo promesso e siamo qui, perché ricordati che ci manchi tanto anche tu e
che non è facile neanche per me e per tuo padre saperti lontana. Ma siamo sicuri
che te la cavi magnificamente, perché sappiamo quanto sei in gamba..” e senza
riuscire a celare l’emozione “.. e sappi che siamo orgogliosi di te”.
Sanae, ancora una volta,
non potè impedire ai suoi occhi di dare sfogo a tutti quegli stati d'animo che
si agitavano convulsi, sollevando e abbassando il suo petto in respiri affannosi
e mozzati.
“Buon Natale” aggiunse il
signor Nakazawa, anche lui con voce tremante di commozione.
Dopodichè soffiarono
sulla candela e il giardino sembrò ancor più buio di prima.
Non ebbe il tempo però di
mettere in ordine i suoi pensieri che una nuovo chiarore, dal lato opposto, fece
luce.
Questa volta Sanae
riconobbe subito i genitori di Tsubasa e il piccolo Daichi: “Sanae, buon Natale.
Credo che dei genitori non possano augurarsi di meglio per il proprio figlio.
Grazie di esserti sempre presa cura di lui, di consigliarlo per il meglio, e di
amarlo in modo così assoluto e incondizionato. E grazie di averci dato un
meraviglioso nipotino!”
Alle parole della donna,
si aggiunsero gli auguri del signor Ozora e di un sorridente Daichi.
E di nuovo la candela fu
spenta.
Sanae sentiva di non
poter dir nulla…. era così forte l’emozione, che sole le lacrime calde sul viso
e i singhiozzi incontrollati le permettevano di mantenere il contatto con la
realtà.
Un nuovo bagliore in
fondo al giardino.
"Yukari!" urlò nella
sua mente.
Aveva i lucciconi agli
occhi e le mani incrociate avanti: “Amica mia, buon Natale dal profondo del mio
cuore. Sono qui per ricordarti che potrai fuggire anche nel posto più sperduto e
nascosto della Terra, ma non riuscirai mai a liberarti di me, perché sarai
sempre la mia migliore amica e io ti voglio troppo bene”
Ma allo spegnersi
di quella fiammella e all'accendersene di un'altra, gli occhi si Sanae si
sbarrarono dallo stupore.
Accanto a Pinto che le
urlò un rimbombante buon Natale, e a sua madre, un uomo alto e grosso si ergeva:
era quel barbone che aveva incrociato in chiesa.
E quando afferrò quella
barbetta ispida tirandola via, contemporaneamente a quel cappellino di lana
calato sugli occhi non potè che stupirsi ancor di più: "Gonzales".
"Eh eh... te l'avevo
detto che sarebbe andato tutto per il meglio... buon Natale Sanae!" esclamò con
il pollice in alto, puntato verso di lei, prima che il soffio di
Pinto spegnesse la candela.
Neanche cento milioni di
parole avrebbero potuto rendere il senso delle sue emozioni quando la nuova
candelina che fu accesa, fu messa nelle mani di un piccolo, tenero fagottino
imbacuccato di tutto punto, da sciarpa, cappello e guanti che con la sua vocina
deliziosamente acuta, gridò: "mà-mà... bò talè" mentre la nonna guardinga stava
attenta a non farlo scottare,
"Buon Natale amore mio.."
sussurrò fra le lacrime.
Non potè godere per molto
di quella magnifica vista, che aveva cercato spasmodicamente per tutta la sera,
perchè Daibu, come tutti i bimbi, adorava spegnere i fuocherelli di candela,
fiammifero, accendino o di qualunque altra natura. E così subito dopo averle
augurato buon Natale, soffiò rapido sulla fiamma, riportando il giardino
nell'oscurità.
Solo un suo urletto
divertito, continuò a scaldare il cuore della sua mamma.
Con gli occhi scorse
rapido il giardino, in attesa di quella che doveva essere l'ultima candela...
Quella di colui che aveva
progettato tutto quello...
Quella dell'amore della
sua vita....
Ma sentì un brivido
correrle lungo la schiena... e nel vetro della finestra vide un'ombra riflessa,
dietro di lei.
Quando, nel rigirarsi,
trovò di fronte a sè l'uomo che riusciva sempre a stupirla e farla innamorare
ogni giorno di più di lui, senza smettere mai, scoppiò in un pianto dirotto,
portando entrambe le mani alla bocca, nel tentativo di porre un freno ai
singulti.
"Beh.. io volevo farteli
in privato gli auguri... anche se ormai penso che mi resta soltanto da dirti ...
che.. ti amo"
La voce di Tsubasa era
molto emozionata... vederla piangere così disperatamente di gioia, gli stringeva
il cuore... sentiva un nodo alla gola e non riusciva a muovere le gambe per
avvicinarsi a lei.... quelle stesse gambe che non avevano mai tremato nemmeno di
fronte all'avversario più temibile.
Ma non fu importante...
perchè Sanae si gettò al suo collo, e solo nell'attimo in cui ritrovò quelle
braccia forti, potè dire di aver veramente cancellato via ogni paura e
preoccupazione.
"Tu sei pazzo... sei
completamente pazzo... e io ti amo ancor più pazzamente"
Ora sentiva solo le calde
labbra di Tsubasa sulle sue guance, che baciavano le lacrime una per una, per
asciugare il suo viso e scaldare la sua bocca.
"Mi dispiace Sanae" disse
staccandosi da lei "..non doveva andare così... l'aereo dal Giappone ha fatto
ritardo... contavo di arrivare molto prima.. e farti preoccupare giusto un
pochino... per rendere più dolce la sorpresa".
E con la mano le
carezzava il capo ancora freddo per tutta l'acqua e l'umidità che aveva
preso.
"L'idea mi è venuta pochi
giorni fa e solo per un puro caso siamo riusciti a organizzare la
cosa..."
Sanae allungò le dita sul
suo volto, per carezzare la diafana pelle di Tsubasa, guardandolo come se
niente di più meraviglioso potesse esistere al mondo.
"Per questo ti ho messo
alle calcagna Gonzales... perchè controllasse che non ti accadesse nulla..." e
mettendo una mano avanti "... però non chiedermi dove ha preso quella barba
finta... io non ne so niente e stata tutta inventiva sua... " mormorò
divertito.
"Non è vero..." sussurrò
delicatamente.
Tsubasa non capendo a
cosa si riferisse, scosse la testa: "Cosa.. non è vero?"
"Quello che hai scritto
nella lettera... che non puoi ricambiarmi... non è vero... perchè nessuno mi
avrebbe fatto mai felice, come riesci a fare tu..." e lo baciò
profondamente per fargli capire quanto fossero vere e sincere quelle parole
"...nessuno potrebbe farmi sentire amata come mi fai sentire
tu..."
Ma nello stringerla forte
a lei, Tsubasa inconsapevolmente andò a tastare il suo fondoschiena livido.
Al suo sussultò allentò
la presa.
"Ecco... sono caduta"
spiegandogli poi come quella pozzanghera impertinente le avesse tirato quel
brutto scherzo.
Inevitabilmente Tsubasa
non potè non sorridere, di fronte al suo cipiglio di bambina imbronciata per la
bua.
"Povera
piccolina" prese a baciarle il collo e a carezzarla dolce sulla parte
dolorante "...allora dopo ti devo fare un bel massaggino.." fino ad arrivare di
nuovo alle sue labbra, baciandole con trasporto e passione.
Si staccò malvolentieri e
restando ad un millimetro da lei le sussurrò: "Dobbiamo scendere per
forza, dagli altri?" chiese sospirando.
Sanae sorrise,
strofinandosi ancora contro la sua bocca: "Beh hanno fatto solo diecimila
chilometri di viaggio... possono aspettare un altro pò"
"A proposito" con un tono
molto più serio ed accigliato, l'afferrò per i fianchi, scostandola un
pò "Gonzales mi ha detto che guidi come una pazza scatenata... e che per
starti dietro ha dovuto fare un centinaio di infrazioni..."
Sanae arrossì un pochino:
"Ma ero preoccupata... potevo mai stare a pensare al tachimetro o ai
cartelli stradali... mi sarà sfuggito qualcosa...ero troppo concentrata a
cercare te e Daibu!"
Tsubasa mugugnò ancora
severo.
Ma lei nel ripensare
a quanto veramente era stata preoccupata, esclamò rabbuiata: "Se fosse successo
qualcosa a te o a Daibu... io.."
Si sentì sollevare in
aria da Tsubasa, che la alzò all'altezza del suo viso: "Ehi...
non le voglio neanche sentire queste cose.. chiaro"
E la risposta fu un cenno
con la testa, prima di rifinire rincollata, ancora una volta, ancora come
sempre, sulle sue labbra.
Dei passettini veloci si
udirono nel corridoio avanzare lesti per raggiungere la camera da letto:
"Mà-mmà"
Daibu correva con
andatura sbilenca e dondolante, con la nonna dietro pronta a placcare ogni
eventuale perdita di equilibrio.
"Tesoro della mamma..."
Sanae si inginocchiò per
cingere il suo tenero piccolino e riempirlo di baci fino a consumarsi le labbra,
mentre le lacrime si mischiavano all'umore della sua boccuccia di rosa sempre
rorida.
"Mà-mma bò
talè"
"Amore, buon Natale anche
a te" disse stringendolo forte a sè e rialzandosi con lui in
grembo.
E con avvinto il suo
dolce fardello, si avvicinò alla sua di madre e la circondò con un braccio:
"Mammina scusami..." fece, poggiando il viso sulla sua spalla "... ti ho
trattato proprio male.."
"Oh... non ti
preoccupare.. tanto so che sei una brontolona..." abbracciandola a sua volta,
col tepore che solo una madre può emanare.
"Ora però scendiamo, che
anche gli altri vogliono vederti... e poi c'è il camino da accendere, che in
giardino ci siamo congelati" e tirandosi in braccio Daibu "Vieni dalla
nonna passerotto, così la mamma si riposa un pò.." e si incamminò fuori in
direzione delle scale.
Sanae si voltò verso
Tsubasa, tendendogli la mano: "Allora scendiamo?"
Lui prontamente gliela
afferrò: "Andiamo" disse dopo averla baciato sulla fronte.
E qualche altra
lacrimuccia finì per scendere ancora nel ritrovarsi in mezzo a tutte le persone
che amava, a quelle che c'erano e ci sarebbero sempre state nella sua vita..
anche se in un altro continente... perchè determinati legami non
temono neanche distanze incommensurabili.
Abbracciò stretto prima
il suo papà, poi Yukari... poi la famiglia di Tsubasa. Colpì con un
buffetto Gonzales, che con la sua trovata le aveva fatto
addirittura pensare di essere morta... strinse a sè il piccolo Pinto e
la sua mamma.
E ogni tanto cercava in
quel salone, gremito come doveva essere la sera della Vigilia di Natale, lo
sguardo di Tsubasa, che la osservava con occhi scintillanti di felicità e
amore.
*****
Un melodioso canto, che
giungeva da fuori, nonostante il vociare allegro di casa Ozora, arrivò a
solleticare l’udito di Sanae.
Senza essere vista, si
avviò verso la porta d’ingresso e uscì fuori nel vialetto.
Erano le campane che
annunciavano la mezzanotte… che annunciavano che Lui era venuto al
mondo, col suo messaggio di pace e di speranza.
E la mente di Sanae volò
a quella dolce
Signora, a quella Vergine Madre che le aveva dato consolazione e
conforto, e che come lei poteva stringere ancora una volta fra le braccia Suo Figlio.
“Grazie….” sussurrò,
portandosi le dita alle labbra.
In quel momento avvertì
un’avvolgente sensazione di calore: Tsubasa le aveva circondato le spalle con
uno scialle di lana. E la tenne stretta per un po’, ascoltando insieme a lei il
dolce suono delle campane che riecheggiavano per le strade di
Barcellona.
“Tsubasa…”
“Dimmi”
“Io… non ti ho regalato
nulla….”
Si sentì stringere più
forte: “Vederti felice.. è questo il regalo più bello che puoi
farmi..”
Sanae, dopo aver raccolto
il suo sguardo ricolmo d'amore, poggiò il capo sul suo petto, come già
mille altre volte aveva fatto, che fosse per trovare sollievo, gioia, passione,
sfogo o protezione, o come in quel momento, semplicemente per ascoltare i
battiti del suo cuore insieme ai rintocchi di quella notte magica di
Vigilia.
Alzarono gli occhi in
alto.
Un fiocco di neve stava
scendendo, dondolando ai flutti leggeri del vento, lottando per evitare di
dissolversi prima di arrivare a toccare il suolo.
Sanae allungò la mano per
farlo finire sul suo palmo: immediatamente al contatto tiepido della pelle si
sciolse, trasformandosi da bianco cristallo in liquida perla
trasparente.
Sorrisero di fronte a
quel piccolo dono del cielo.
“Buon Natale
Sanae!”
“Buon Natale… amore mio!”
*** Anais ***
Credit:** Il verso è tratto dall''inno ufficiale del Fútbol Club Barcelona, "Cant
del Barça" . Testi di Jaume Picas e Josep Espinàs.
Tanti auguri di felice anno nuovo a tutti i lettori di EFP,
specie al fandom di CT e in particolare.. ad Alex_Kami: ti auguro che
l'anno nuovo ti porti tutti i successi che meriti, grazie di avermi accolta
affettuosamente; a Sakura_chan, a Lithys e a Rossy: grazie ancora per gli
incoraggiamenti a continuare; a Riru, Shelia, Elisa, Eos75 grazie per le
recensioni all'altra ff, e anche a Erika_B. che mi ha contattata
personalmente.
E un augurio speciale alla cara Betta
(OnlyHope).
FELICE 2007!
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