Ed
eccomi qua, dopo quasi un anno dall’ultima pubblicazione. Potrei iniziare
dicendo che mi dispiace da morire, e che
sono imperdonabile. Ho avuto talmente tanto da fare che le cose mi sono
sfuggite di mano, e ho letteralmente abbandonato questa storia. Ma ora sono
tornata, più carica di prima, con questo nuovo capitolo. Ok, non è all’altezza
di altro che ho scritto, né di quelli che verranno dopo. Mi scuso anche di
questo. Comunque, se ancora tra voi c’è qualcuno che mi segue, questo capitolo
è per voi.
Grazie
a tutti, sono tornata :D buona lettura J
CAP. 4: RIFLESSI D’UN RICORDO NEGATO
-
Ciao Rin! Atsushi! Ci vediamo domani!
Rosalie sventolò una mano al vento, sopra la
testolina bionda, saltellando fuori dal cancello ferroso della vecchia scuola
di Resembool con una borsa tra le mani. L’estate non si era ancora conclusa e i
raggi intensi del sole di mezzogiorno faceva risaltare l’oro dei capelli di
Daniel, che seguiva la sorella a passo lento, con la cartella posata su una
spalla. La scuola era finita presto, quel giorno, e i pochi ragazzi si erano
riversati per le vie della campagna già alle dieci del mattino.
Attraversarono il ponticello che sovrastava il
ruscello limpido, continuando per la stradina ghiaiosa che costeggiava il cimitero
nel quale loro padre era solito recarsi per portare dei fiori freschi sulla
tomba della nonna e... del nonno. Un nonno del quale, né Edward né Winry,
avevano mai parlato più di tanto.
-
Dan!
Lo chiamò Rose, fermandosi a cogliere stizzita una
margherita che le ispirava mille ricordi. Il fratello la superò appena,
gettando la testa all’indietro con fare annoiato, tanto per dare alla sorellina
la soddisfazione di sentirsi ascoltata.
-
Ah? Che vuoi?
Rispose, continuando a camminare. Rosalie lo
raggiunse con qualche balzo, lasciando che il fiore delicato che reggeva tra le
dita si posasse a terra silenzioso. La ragazza riflettè per un istante,
scordando la domanda che avrebbe dovuto porgere al ragazzo.
-
Niente.
Si limitò a mormorare, schermando i raggi del sole
con le dita sottili. Daniel borbottò qualcosa di indecifrabile, aumentando il
ritmo dei passi per allontanarsi dalla sorella.
-
Niente.
Ripetè il ragazzo, in un sospiro, come per
sottolineare l’inutilità del discorso troncato da Rosalie, la quale aveva rotto
la sua silenziosa pace mentale. Avanzarono, svoltando per la via ghiaiosa che
li avrebbe ricondotti a casa.
-
<< Resembool! Stazione di Resembool!
>>
Gracchiò l’altoparlante della stazione, alcuni
metri alla loro destra, vuota e spenta come il cielo in un giorno di pioggia.
Un paio di vecchi contadini, che reggevano sulle spalle grossi sacchi di tela,
o trascinavano imponenti casse di legno, scesero faticosamente dal treno del
secondo binario. Rosalie proseguì per la sua strada, senza darvi troppa importanza,
finché, nell’aria mite dell’inizio di settembre, un altro suono disturbato non
giunse alle sue orecchie.
-
<< Partenza del treno diretto per Central
City! >>
La ragazza si volò di scatto, tendendo le orecchie
nella speranza d’aver capito bene.
-
<< Ultima chiamata per Central City!
>>
Un veloce sguardo al fratello maggiore, che non
fece in tempo a rendersi conto della situazione, che già Rosalie correva – con
i capelli al vento, e la leggera gonna nera che veleggiava nella stessa
direzione – verso la ferrovia, in cui venivano richiamati i pochi passeggeri.
-
Rosalie!
Gridò il biondo, inseguendo la sorellina lungo la
via. Veloce, lei saltellò sulla banchina, pronta per salire sul treno. Con un
piccolo balzo, mise i piedi sulla carrozza e ricominciò a correre per i
corridoi del veicolo, con la mente annebbiata, seguita a ruota da Daniel.
-
Fermati, stupida!
Urlava lui, scavalcando abilmente le grosse valigie
dei rari passeggeri seduti sulle poltrone scarlatte del vagone. Rose pareva non
sentirlo nemmeno, colta com’era da un istinto estraneo al suo corpo,
combattendo tra un sentimento di collera e qualcosa che non riusciva a definire
in alcun modo.
-
Rose!
Strillò alla fine Daniel, afferrando saldamente il
polso della sorella e strattonandola verso di lui, in un vano tentativo di
riportarla alla realtà. La scosse violentemente un paio di volte, facendo
ondeggiare ritmicamente all’aria i suoi lunghi capelli color miele. Rosalie
chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel movimento e lasciandosi poi cadere tre
le braccia del fratello.
-
Che cosa diavolo cercavi di fare, me lo spieghi?
Grugnì il povero ragazzo, reggendola con le
braccia, mentre lei ancora ciondolava, con la testa bassa, appoggiata appena al
suo petto. Dan boccheggiò, cercando le parole giuste per esprimere tutto il suo
disappunto, ma decise di tacere per un istante.
Rosalie alzò o sguardo, nel quale sembrava
intravedersi il riflesso di una lacrima, e si ridestò dal suo stato di trance,
rendendosi conto solo in quel momento di ciò che stava accadendo.
-
Daniel.
Sputò la parola a fatica, prendendogli la mano e
correndo verso la porta del treno più vicina, a un vagone di distanza. Il
ragazzo si lasciò trascinare, confuso e muto, ma non riuscì a trattenere un
grido strozzato quando la porta si richiuse con uno scatto, proprio davanti ai
suoi occhi – doveva essere stato il capotreno – e il mezzo cominciò a muoversi
con sempre maggiore velocità, ritmato dal rumore scattante dei freni e della
canna fumaria.
Rosalie si lasciò cadere a terra, i piedi posati
sul gradino rientrato della porta, rinfrescata da uno spiffero di vento che
proveniva dalle fessure dell’uscita. Daniel in piedi accanto a lei, posò una
mano sulla porta tremolante e si gonfiò il petto di un lungo respiro.
-
Bene, perfetto.
Borbottò il diciassettenne, passandosi una mano tra
i capelli dorati. Sospirò, tendendo una mano alla sorellina. Lei lo fissò senza
capire; Daniel roteò gli occhi.
-
Dai.
La intimò.
-
Non sei arrabbiato con me?
-
Ovvio che lo sono. Ma ora..
Gettò uno sguardo sconsolato al paesaggio che scorreva
sotto i suoi occhi, per poi tornare a quelli luminosi di Rosalie.
-
Ora è inutile cominciare a litigare, ormai il
danno è fatto. È un treno diretto, figuriamoci se il conducente si sogna di
fare fermate intermedie. Per cui, conviene stare calmi. Non arriveremo a
Central City prima di sei o sette ore di viaggio. Perciò, dobbiamo rassegnarci.
Forza, andiamo a cercare un posto a sedere e speriamo che non passi il
controllore. Per ora, non possiamo fare altro che aspettare.
Rosalie sorrise debolmente, pentita del suo momento di follia, e afferrò la mano
di Daniel, percependone il calore. Lo seguì a piccoli passi attraverso il
vagone, sedendosi poi silenziosa sul sedile accanto a lui. Posò il braccio
sull’incavo del finestrino, accomodandosi, sopra la mano, con il mento. Lasciò
che la sua mente sciogliesse ogni pensiero, mentre le dolci colline dell’est
scivolavano veloci lontano da lei.
Dopo alcuni minuti, Daniel avvicinò il viso al suo,
richiamando la sua attenzione.
-
Rose?
-
Mmh?
-
Mi puoi spiegare, per cortesia, che ti è saltato
in mente?
-
Non lo so, semplicemente.
-
Come sarebbe a dire “non lo so”? non puoi non
saperlo.
-
È così.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, indecisi
sulle parole giuste da pronunciare. Daniel le si avvicinò ultreriormente, assottigliando lo sguardo.
-
Hiroki.
Sussurrò, con una punta di acidità nella voce.
Rosalie non rispose. Rimase in silenzio, ancora una volta, spostandosi una
ciocca di capelli biondi dagli occhi. Sospirò, sentendo il cuore cominciare a
battere pesantemente, come se fosse oppresso da un peso dal quale non riusciva
a liberarsi, e avvertì gli occhi pizzicare un po’, ma alcuna lacrima luccicò
sulla sua guancia. Il passato tornò ad infierire nella sua mente, accompagnato
da un insistente rumore che pulsava alle sue orecchie.
Hiroki, Hiroki, Hiroki.
Come le pareva strano immaginare quel nome, e il
suo volto, chiedendosi quanto fosse cambiato nel tempo. Concepiva con la
fantasia i suoi capelli neri come la notte, più lunghi. Arrivavano a
solleticargli il collo, appena le spalle, a coprire leggeri gli occhi
conosciuti, colore del cioccolato al latte.
riuscì quasi a costruire un’immagine virtuale tra i suoi pensieri, un’immagine
alla quale, però, non riuscì ad assegnare una voce, o un nome.
In un attimo, con la stessa sorprendente rapidità
con la quale si era dipinto, quel volto scomparve, infrangendo i pochi cocci di
ricordo contro la lucentezza di una lacrima, intrappolata, senza apparente via
d’uscita, tra gli occhi azzurri della ragazza.
No, non poteva essere lui. Hiroki, il ragazzo con
il quale aveva, pochi anni prima, un legame talmente forte da sembrare
indistruttibile. Non era ovviamente più solido di quello che custodiva con
Daniel, era semplicemente ... diverso.
Era totalmente convinta che qualcosa di strano
fosse accaduto, quella sera. Qualcosa che aveva distrutto – a colpi calibrati
ma irregolari, quasi folli – tutto ciò che si era creato nel corso della loro
infanzia. Eppure, Hiroki non si era mai fatto sentire. Non una telefonata, non
una lettera. Soltanto una valanga di ormai antichi insulti contro suo fratello
e forse, inconsapevolmente, contro il suo cuore. Perché quel bacio, tra lui e
Yumi, aveva bruciato, con una sola terrificante fiammata, qualcosa che lei non
conosceva, ma era sicuro di custodire all’interno di sé.
Posò una mano sul finestrino, rendendosi conto di
quanto fosse stato stupido archiviare quell’accaduto e non andare fino in fondo
alla questione. C’era qualcosa che puzzava in quel ricordo e nell’improvviso
cambiamento d’umore di Hiroki, e della stessa cugina. Possibile che lei non
avesse mai sentito il bisogno di affrontare l’argomento? Che lei sapesse
qualcosa in più, riguardo a quella sera, qualcosa per cui avesse deciso di
nascondersi dietro al silenzio? Era tutto esageratamente oscuro, per i suoi gusti.
Avrebbe dovuto approfondire quella storia, il prima possibile. Non poteva
permettere che quella bugia, ossia quell’eterna amicizia che si erano promessi
all’ombra di quella grande quercia, rimanesse impressa nella loro storia come
una dolorosa verità. A pensarci, avrebbe anche dovuto fare qualcosa per suo
fratello, decifrare ogni avvenimento della sera incriminata.
Il sole scomparve dietro ad un monte dalla cima
nascosta dalla nebbia, e un cono d’ombra avvolse il viso chiaro di Rosalie,
facendola sorridere per un solo, minuto istante. Si sedette più comodamente
sulla poltroncina, facendo slittare lo sguardo sul fratello, per poi riposarlo
nuovamente al paesaggio veloce, decisa a tenere le sue riflessioni silenziose
ancora per un po’.
-
No.
Si limitò a rispondere, arricciando le labbra in
un’espressione annoiata, fingendo disinteresse.
-
Non stavo pensando a lui.
Concluse, facendo schioccare la lingua sul palato.
Daniel, la imitò, posando il mento sulla mano destra e lanciandole uno sguardo
ironico. Gli angoli delle sue labbra morbide si piegarono lievemente verso
l’alto, in un sorriso compiaciuto.
-
No?
Domandò retoricamente, alzando un sopracciglio e
arricciando a sua volta le labbra, tentando di imitare la sorella, che si
spazientì all’istante. Scontenta, Rosalie sbuffò, stringendo al petto la borsa
che ancora conteneva i suoi libri di scuola. Si morse un labbro, assottigliando
le palpebre e osservando il fratello con aria di sfida.
-
No.
Ammise, sicura, sbadigliando quando il sole
ricomparve ad illuminarle il viso. Gettò la testa all’indietro, accomodandosi
sullo schienale e socchiudendo gli occhi. Daniel roteò gli occhi, scostandosi
dalla fronte una fastidiosa ciocca di capelli dorati.
-
Rosalie, che succede?
-
Niente, Dan. Solo che non capisco perché.
-
Perché?
-
No, no. dimentica. Stavo pensando a voce alta.
-
Tu sa di essere strana, non è così?
-
Mh.
Annuì, senta tener realmente conto delle parole del
fratello. Daniel gettò uno sguardo al vagone, circospetto: c’erano solamente
dodici persone e il treno era parecchio silenzioso. Forzò sulle braccia,
alzandosi dal suo posto ed andando a sedersi a fianco della sorellina.
Sorprendendola, l’abbracciò, posando il mento sulla sua spalla. Rosalie
sospirò, chiedendosi l motivo di un così improvviso slancio d’affetto.
-
Ricordi quand’eravamo piccolo, e tu ti cacciavi
sempre nei guai?
-
Ma non..
-
Rose!
-
Si, ricordo. Ricordo.
-
Abbiamo sempre affrontato i problemi insieme,
giusto?
-
Giusto. E allora?
-
E allora, anche questa volta, non ho intenzione
di abbandonarti.
Gli occhi della ragazza luccicarono, inteneriti.
Sorrise.
-
Grazie, fratellone.
-
Figurati. Ah, Rose! Senza di me saresti persa!
-
Oh, questo è sicuro, Dan. Continua pure a
crederci. Illuso!
Risero insieme, scherzando su questo e su quello.
Mentre le colline verdeggianti cominciavano a sparire, lasciando spazio ad un
paesaggio ben più roccioso e austero. Alcune ore più tardi, il sole era ancora
alto e filtrava attraverso le poche grigie abitazioni della periferia,
spruzzate qua e là da una macchia verdastra, un albero, un cespuglio. Rosalie storse
le labbra, posando una mano sul finestrino. Accanto a lei, Daniel sonnecchiava
tranquillamente, con il cappuccio della felpa calato sul volto, i ciuffi che
uscivano in modo disordinato ai lati del viso. La ragazza l’osservò per un
istante, seguendone lentamente il profilo. Si mosse un po’, allungando la mano
verso la borsa e infilandovi una mano all’interno. Alzò un lembo dell’apertura,
scoprendo un foglio di carta antico e rovinato intrappolato tra le sue dita
sottili.
-
Alchimia.
Sussurrò, assicurandosi che il fratello maggiore
non potesse sentirla. Lesta, estrasse la mano e posò la borsa sul sedile di
fronte a lei, tornando a guardare fuori dal finestrino.
-
Central City.
Sibilò, tornando a puntare lo sguardo ai primi
palazzi smunti della capitale. Sorrise, alzando lo sguardo e assottigliando gli
occhi.
-
È qui che troverò quello che sto cercando.
#@#@#@#@#@#@#@#@#@#
-
Wow.
Sputò ironicamente Rosalie, con un marcato accenno
d acidità nella voce. Alzò gli occhi verso i palazzi dinnanzi a lei, contornati
da strade -grigie- che puzzavano di smog in una modo incredibile. Alcune auto
dai colori smunti le sfrecciarono davanti, con un borbottio roco. Tossicchiò un
paio di volte, comprendosi la bocca con una mano per non respirare il fumo
scuro che avevano liberato quegli aggeggi fin troppo rumorosi. Voltò lo sguardo
al cielo, grigio anche quello, constatando che, sebbene non fosse ancora del
tutto finita l’estate, del sole caldo a cui era abituata, non v’era l’ombra.
-
Ma che meraviglia.
Sbuffò di nuovo, sventolando una mano davanti al
viso, come ad allontanare quel paesaggio austero dal suo sguardo. Daniel la
raggiunse, con stampato sul viso un sorrisetto che spaziava tra il nauseato e
il divertito, picchiettandole una mano sulla spalla.
-
Central City.
Rise Daniel, con voce possente, posando le dita
agli angoli della sorella e tirando le labbra verso l’alto, forzandole un
sorriso. Rosalie ringhiò indispettita, allontanando le mai e fratello con un
gesto di stizza. Il biondo rise nuovamente.
-
E dai, sorridi, Rose! Sei nella capitale, non è
questo che volevi?
-
Ti conviene piantarla di fare l’idiota, Dan.
-
Ma guardati in giro! Non vedi com’è bello?
-
Ma piantala, non ti viene bene la parte del
sarcastico. Riesci a stento a trattenere le risate.
Daniel avanzò di qualche passo, prendendo per mano
Rosalie e trascinandola dall’altro lato della strada. A quel punto, lei si
liberò violentemente dalla presa, voltandosi dalla parte opposta e stringendo
forte la borsa a sé.
-
Forza.
Disse lei, ad un tratto, cominciando a camminare
lungo il marciapiede dissestato. Il ragazzo la raggiunse velocemente,
affiancandola nel suo percorso.
-
Dove pensi di andare?
-
Non lo so. Sei tu il genio della situazione, non
io.
-
E allora per quale assurdo motivo di sei
incamminata in questa direzione?
-
Perché ne avevo voglia.
Daniel preferì non rispondere. Continuarono a
camminare seguendo la strada tra gli edifici fumosi, avvicinandosi sempre più a
quello che sembrava essere il centro della città. Rosalie saltò su un rialzo
del terreno, camminando in equilibrio sulla muretta biancastra. Daniel la
guardò storto, allontanandosi appena da le e scontrandosi con un uomo
sconosciuto, il quale indossava una divisa blu.
-
Mi scusi!
Balbettò immediatamente il giovane Elric, aiutando
l’uomo a sistemarsi il cappello sulla corta chioma biondiccia, macchiata qua e
la da qualche accenno di capelli bianchi.
-
Non c’è problema.
Ammise l’uomo, spolverando la spallina della
divisa, che si era sporcata con la cenere della sigaretta che teneva tra le
labbra. Daniel lo squadrò, notando le due stelline dorate cucite proprio sulla
spalla che l’uomo aveva toccato. Doveva essere un militare.
-
Scusi comunque, ufficiale.
-
Oh, davvero, davvero. Non è stato niente.
Il militare dette un tiro alla sigaretta,
osservando attentamente i tratti del viso del ragazzo, che nel frattempo aveva
liberato la testa dal cappuccio. L’uomo spalancò gli occhi, e la sigaretta
cadde a terra silenziosa, mentre le sue labbra si incurvarono in un’espressione
molto sorpresa.
-
Non è possibile.
Mormorò l’ufficiale, ammirando l’oro degli occhi e
dei capelli del ragazzo, un oro che gli riportava alla mente milioni di
immagini e di ricordi.
-
Acciaio!
Daniel sbatté un paio di volte le palpebre,
osservando l’espressione sbigottita di quell’uomo, che pareva riconoscerlo nella figura di un altro. Acciaio. Che lo
stesse scambiando per una sua conoscenza?
-
Che ci fai qui, ragazzo? Certo che non cresci
proprio mai eh! E poi hai tagliato i capelli, pensavo non t’avrei mai visto
senza l’amata treccia bionda!
Il militare rise, spettinando giocosamente i
capelli di Daniel, il quale era sempre più sgomento. Accortosi del silenzio e
soprattutto della confusione che animava il ragazzo, l’uomo si zittì,
accendendosi un’altra sigaretta.
-
Andiamo, non mi dirai che non ti ricordi di me!
È vero, è passato un bel po’ di tempo, ma sono io, il tenente Havoc!
Daniel inclinò la testa di lato, raccattando
pensieri sconnessi. Era giunto alla conclusione che il tenente Havoc – aveva detto
di chiamarsi così? – doveva seriamente averlo scambiato per un’altra persona. Ma
chi? Chi mai poteva assomigliargli tanto da essere confuso per lui? cercò
Rosalie con lo sguardo, la quale li raggiunse con un paio di saltelli. Che avesse
sentito tutto?
-
Acciaio? Acciaio! Che succede?
Chiese ancora il tenente, sventolandogli una mano
davanti al viso. Rosalie aggrottò la fronte, tirando la manica della divisa
dell’uomo, che voltò la testa verso di lei.
-
Ho paura che lei abbia scambiato mio fratello
per qualcun altro, signor tenente.
La ragazza ricevette una gomitata sul fianco dal
fratello, il quale le lanciò successivamente uno sguardo duro, mimando con le
labbra qualcosa che avrebbe dovuto suonare come “signor tenente?!”. Rosalie alzò
le spalle, ignorando totalmente l’inquietudine del fratello e tornando a
concentrarsi sul viso dell’uomo.
-
Tuo fratello? Ma Edward, tu ..
-
Edward?!
Esclamarono all’unisono i ragazzi, strabuzzando gli
occhi, mentre Havoc fece un passo indietro, intimorito. Daniel s’illuminò. Perché
il tenente l’aveva scambiato per suo padre? E soprattutto, perché l’aveva
chiamato “Acciaio”? Aveva troppi dubbi irrisolti.
-
Lei conosce nostro padre?
Continuò Rosalie, stringendo il bracco del
fratello. Havoc sussultò, finendo la sigaretta e gettandola a terra, per poi
pestarla distrattamente con lo stivale nero.
-
Vostro padre? Aspettate, aspettate. Quel piccoletto
ha figli? Saranno vent’anni che non lo vedo! In effetti, sarebbe stato
impossibile ritrovarlo così giovane! Come vi chiamate, ragazzi?
-
Siamo Rosalie e Daniel Elric, signore.
-
Oh, per favore. Non sono più giovane come ai
tempi della guerra civile del ’14, ma non fatemi sentire così anziano! Sono il
tenente Jean Havoc, ma potete chiamarmi per nome, se preferite.
-
Grazie, Jean!
Rispose subito Rosalie, scoccandogli un sorriso
smagliante. Daniel scosse la testa, arrendendosi al carattere fin troppo
estroverso e irrispettoso della sorellina. Jean però rispose al sorriso,
spostandosi il cappello.
-
Che ci fate qui a Central City?
-
Già, che ci facciamo qui a Central City?
Cantilenò il ragazzo allusivo, guardando Rosalie,
che gli mostrò la lingua.
-
Nulla di che, tenente. Solamente, la ragazza qui
presente ha avuto un attacco di follia, alcune ore fa, e si è letteralmente
fiondata sul treno. Ed io, tentando di fermarla, come uno stupido, l’ho seguita
senza raggiungere il mio obiettivo. Così, ora, ci troviamo qui.
Rosalie borbottò qualcosa, scavando indifferente
nella borsa. Jean alzò un sopracciglio, sospirando. Doveva ammettere che quel
ragazzo era proprio identico a suo padre. Però, quel guizzo di sfida, di
disprezzo e determinazione che avevano lo sempre caratterizzato, l’aveva notato
riflesso negli occhi azzurri di Rosalie. Mise una mano sulla spalla ad
entrambi, osservandoli.
-
Immagino che a casa nessuno sappia che siete
qui.
-
Esattamente.
-
Ah, era tipico di Edward non avvisare mai,
quando decideva di partire.
-
Partire per dove? Chi avrebbe dovuto avvisare?
-
La lunga storia dei fratelli Elric è molto
conosciuta nella regione, ma suppongo che l’abbiate sentita ripetere fino alla
nausea, non vi annoierò ulteriormente.
Rosalie prese una grande boccata d’aria,
spalancando gli occhi. Fece per schiudere nuovamente le labbra, quando un’occhiataccia
di Daniel la fece desistere dal chiedere ulteriori informazioni. “non
complicare le cose” sembrava averle sussurrato, mentre annuiva falsamente al
militare. La ragazza s’incupì, riflettendo a fondo e tentando di sopprimere
ogni quesito che nasceva nella sua mente affollata.
-
Venite con me.
Disse ad un tratto Jean, facendo cenno di seguirlo.
I due si mossero, svoltando per una via appena più affollata.
-
Dove siamo diretti, tenente?
-
Al quartier generale, Daniel. Central City è un
posto pericoloso, specialmente per chi non la conosce. E qui, in periferia, il
problema è ancora più persistente. Dove andremo sarete al sicuro e potrete
tranquillamente telefonare a casa tramite la linea militare.
-
D’accordo. Grazie mille, signore.
#@#@#@#@#@#@#@#@#@#
Rosalie camminava per il corridoio deserto, con lo
sguardo puntato al pavimento lucido. Daniel, seduto comodamente su una
poltroncina, la seguiva con gli occhi, infastidito, scacciando una mosca
ronzante con la mano destra. Jean si avvicinò ad entrambi, dopo essere entrato
nell’ufficio di un suo superiore per comunicare il ritrovamento dei due ragazzi
-
È tutto a posto, potete telefonare.
Rosalie voltò il capo verso Daniel, che scosse la
testa in segno di negazione. Si alzò dalla sua postazione e raggiunse la
sorellina, dandole un pizzicotto sul braccio sinistro. La ragazza tirò un urlo
esagerato per la situazione, poi si massaggiò il braccio con movimenti un po’
troppo violenti.
-
Che ti prende, idiota?!
-
Te lo meriti. E non pensare nemmeno che sia io a
telefonare a casa. Tu sei corsa sul
treno e tu affronterai papà.
-
Ma...
-
Niente “ma”, Rose. Muoviti. Comincia a
rinfrescare, lì fuori, e noi dobbiamo tornare in fretta in stazione.
Rosalie sbuffò, raccattando la cornetta. Compose il
numero con mano tremante, affiancata dal fratellone. Il telefono rimase muto
per alcuni istanti, finché, all’altro capo, non rispose una voce fin troppo
familiare.
-
Pronto? Parla Edward Elric.
Il suo tono pareva lievemente più acuto del solito,
forse per la preoccupazione che vibrava tra le sue corde vocali. Rosalie
deglutì, pronta ad affrontare suo padre.
-
Papà?
Balbettò Rosalie, con voce roca. Edward rimase
muto. Solo il suo respiro pesante giungeva all’orecchio della ragazza. Prese un
grande respiro, pronta – di nuovo – a parlare.
-
Papà, sono io. Rosalie.
-
Rosalie?! Cosa? Dove? Tu e tuo fratello, dove
siete?!
-
Dan è qui con me, papà, e stiamo bene. Però ci
sarebbe un piccolo problema.
-
Dimmi subito dove siete, dannazione!
-
Ecco, appunto. È un po’ strano da dire però,
ecco, noi siamo a Central City.
Ed eccolo, di nuovo, quel temutissimo silenzio.
Rosalie sospirò, se l’aspettava. Era estremamente sicura del fatto che suo
padre sarebbe potuto spuntarle davanti da un momento all’altro, solamente per
fargliela pagare. Eppure, la cornetta continuava a rimanere muta.
-
Papà?
Lo chiamò, tanto per assicurarsi che Edward non
fosse morto d’infarto. Niente, ancora non rispondeva. Premette di più il
telefono sull’orecchio, così da captare meglio i suoni, quando una bomba
scoppiò dall’altro capo del filo.
-
A Central City?! Cosa diavolo ci fate a Central
City, razza di idioti?!
Rosalie fece un salto all’indietro, e il telefono
volò via dalle sue mani, per poi picchiare contro il muro e penzolare, retto
dal filo, verso il pavimento. Daniel la raggiunse, imprecando qualcosa di
sconnesso tra i denti, ed aiutandola ad alzarsi. Havoc, con uno scatto
atletico, raccolse la cornetta e la portò all’orecchio, cominciando a parlare
scherzosamente ad Edward per spiegargli la situazione.
Alcun minuti più tardi, il tenente chiuse la
conversazione con una strana espressione in volto. Era come se avesse un grosso
peso sullo stomaco e Rosalie se ne accorse.
-
Ragazzi.
-
Sì, tenente? Ci potrebbe riaccompagnare in
stazione? Immagino che nostro padre ci desideri a casa il prima possibile.
-
Mi spiace deluderti, Daniel, ma temo che ciò non
si possibile. Non ci sarà un altro treno che potrà riportarvi a Resembool se
non tra tre giorni. Sarete costretti a fermarvi qui nella capitale, fino ad
allora.
Rosalie e Daniel si guardarono spaventati, non
sapendo che fare. Jean ridacchiò, prendendoli sotto braccio e attraversando
tutto il corridoio, per poi fermarsi davanti alla porta di un ufficio.
-
Tranquilli, ho già provveduto io a trovare
qualcuno che vi potrà ospitare. E dato che siete i figli di Acc... Edward, vi
ho trovato una residenza a cinque stelle. Ora devo solamente trovare ... Oh,
eccolo!
Jean fece un paio di passi avanti, attirando l’attenzione
di una sagoma scura che stava varcando la soglia di una stanza non molto lontana
dalla loro posizione.
-
Eccolo qui. Sarete ospiti della sua famiglia,
per questi giorni.
La sagoma s’avvicinò con una camminata annoiata e
dondolante. Era un ragazzo sui diciotto anni, con la pelle chiara, i capelli
color della notte. Sul mento, si poteva intravedere l’ombra di una barba scura,
in tono con i capelli. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta
larga, color vermiglio acceso. Dalla tasca destra dei pantaloni pendeva una
catenella argentea, che andava a fissarsi sulle fasce della cintura. Nell’altra
tasca s’intravedevano appena dei guanti bianchi, stropicciati, cacciati in quello
spazio ristretto con poca grazia. Una sigaretta – ormai ridotta ad un mozzicone
– tra le dita, un enigmatico sorrisetto da teppista stampato sul volto.
-
Lui è il figlio del comandante supremo Roy
Mustang.
Disse ancora Jean, mentre i due oceani turchi nidi Rosalie
entravano in contatto con le iridi cioccolato del ragazzo di fronte a lei. Fu come
se una saetta li avesse trafitti entrambi, in quel momento: l’espressione del
moro fu inequivocabile.
Rosalie indietreggiò di un passo, mentre il suo
cuore – e anche quello di suo fratello, era certa di sentirlo – cominciava a
battere all’impazzata, sempre più veloce. Si ritrovò incapace di calmarlo, di
tornare a respirare adeguatamente. Aprì la bocca, sentendo il sangue pulsarle
nelle vene, la gola chiusa in una stretta morsa. La voce scappò fuori roca,
come se fosse soffocata da una fune spinata, indistruttibile.
-
Hiroki.
Così, è finito anche questo capitolo. Wow,
era davvero molto tempo che non aggiornavo Timeless Light, e averlo fatto mi ha
fatto ricominciare a sperare. Spero sia di vostro gradimento. Come sempre,
riferitemi ogni critica con un commento. Vi voglio bene J
MeggyElric___