Frammenti di storia
“Fai attenzione, fai attenzione…” L’uomo teneva gli occhi puntati sul
piccolo frammento che la donna stava estraendo dal muro. Trattennero entrambi
il respiro mentre con delicatezza la dottoressa Donini
posava l’involto in un recipiente.
“Cosa credi che sia?”
“Non lo so, potrebbe non essere nulla…” La dottoressa sorrise al
collega, malgrado le parole prudenti i suoi occhi scintillavano.
***
“Allora?” La dottoressa Donini sorrise al
collega mentre posava la pinzetta che le aveva permesso di distendere la
delicata pergamena.
“Abbiamo il testo completo, ti aspettavo per leggere, la grafia è
femminile ed è stato usato il volgare. Curioso non trovi?” L’uomo annuì poi
tutti e due si immersero nella lettura.
18 ottobre 1439
Credo abbia avuto pietà di me, ha
solo dodici anni, è giovane, il suo cuore non è ancora stato indurito dalle
privazioni e dalla sofferenza che questa vita le riserverà. Guardandola mentre
con gli occhi bassi mi porgeva la pergamena e l’inchiostro che le avevo
domandato, non avevo potuto fare a meno di chiedermi se la sua storia fosse
simile alla mia. Ma come potrebbe essere diversa? Suo padre l’avrà portata al convento
per lasciarvela per sempre? Avrà potuto dire addio alle sue sorelle? A sua
madre? Io non ho potuto.
Non ha importanza, nulla ne ha
più ormai, su questa pergamena non voglio raccontare i rimpianti o ciò che non
mi è stato concesso, voglio dire ciò che mi è stato donato.
Domani la mia vita finirà, non so
se Dio mi accoglierà tra le su braccia o se sarà, come sembra essere sicura la
Madre Superiore, Satana ad artigliarmi per trascinarmi all’Inferno, però ho una
certezza, l’unica cosa che ho fatto è stato amare. E, Dio mi perdoni, lo farei
ancora.
Per tutto il secolo precedente la
peste aveva flagellato le nostre terre, ma erano ormai alcuni decenni che non
appariva. Speravamo che l’ira di Dio si fosse placata, che le preghiere, le
processioni, le donazioni alla chiesa avessero finalmente posto fine a quel
flagello, ma ci sbagliavamo.
Ricordo quando ci giunse la
notizia: eravamo nel refettorio, il silenzio, rotto solo dal leggero raschiare
dei cucchiai di legno nelle ciotole, era stato infranto dal suono della
campanella. La Portinaia si era alzata e quando era tornata aveva con sé un
messaggio. Era vietato alzare lo sguardo, ma ricordo che sbirciai l’espressione
della Madre Superiore, nulla passò su quel volto, nessuna emozione poteva intaccare
quel cuore divenuto da tempo di pietra.
E così lasciammo il convento che
sbarrò le porte dietro di noi, loro avrebbero rispettato l’isolamento, mentre
noi avremmo portato ai malati la carità cristiana, come voleva il nostro
ordine, e come chiedeva il Vescovo, mittente del messaggio. Eravamo un gruppo
di venti suore, non so perché fui scelta, forse era l’ennesima punizione,
eppure il mio cuore gioiva all’idea di tornare nel mondo. Accolsi quella
piccola gioia con colpa, la peste colpiva la nostra città, molti sarebbero
morti, nostro compito era dare sostegno e aiutare dove possibile. Nessuno
voleva farlo, la paura del contagio prevedeva l’isolamento più totale, ma noi
eravamo protette da Dio.
Mi accorsi di quanto fosse debole
quella protezione quando vidi morire le mie compagne, una dopo l’altra. Ben
presto rimanemmo solo in sette. Malgrado ciò non mi venne mai in mente, e
nessuna delle altre lo propose, di ritornare al convento, al sicuro tra le mura
che ci avevano nascosto per tutti quegli anni. Forse tutte noi sapevamo,
intimamente, che eravamo già morte, molto tempo prima, il giorno in cui avevamo
attraversato il grande portone di quercia del convento.
Perdonatemi, sono stanca e la
luce è sempre più fioca, non dovrei indugiare, il mio unico desiderio è parlarvi
di lei, lei sola occupa ogni mio pensiero, eppure la mia mano mi tradisce, trema
al pensiero di vergare in chiare lettere quello che a lungo ho nascosto anche a
me stessa. Ma è per questo che ho chiesto la pergamena.
La vidi per la prima volta vicino
ad un pozzo, gli abiti eleganti la ponevano in alto nella gerarchia sociale
della città, eppure era lì. Forse non potete immaginare quanto questo mi stupì,
ma dovete sapere che la città era stata abbandonata, non c’erano più nobili o
signori, persino i borghesi avevano superato le mura prima che la città venisse
chiusa. Avevano case di campagne pronte ad ospitarli e tenerli al sicuro dalla
malattia. Eppure lei era lì e quello che faceva la rese ai miei occhi ancora
più strana: stava lavando un bambino.
È così che la ricordo meglio,
l’elegante abito blu scuro a cui aveva rimboccato le maniche, l’orlo che ormai
era inzuppato, tra le mani uno straccio che lei stava strofinando vigorosamente
su un fanciullo di strada.
Lo stupore mi aveva
immobilizzato, ero sola, per visitare i malati ci dividevamo ogni mattina
eravamo così poche ormai, e lei mi vide.
Non riesco più a vedere nella mia
mente, il volto di mia madre o quello delle mie sorelle, così come non riesco
più a ricordare i visi delle decine di persone che trovai morte nelle loro
case, nei loro letti, i volti stravolti dal dolore, i corpi ricoperti dalle
piaghe della peste, eppure ricordo con estrema chiarezza i suoi occhi: verdi. Un
verde meraviglioso. Li fissò nei miei e sorrise, mentre si passava il braccio
sulla fronte nell’inutile tentativo di allontanare dagli occhi i suoi scuri
riccioli ribelli.
Non so chi ispirò il mio cuore,
se Dio o il Diavolo, ma so che fece un balzo.
Fuggii, ma il giorno seguente i
miei passi mi riportarono di nuovo lì e provai un brivido nell’accorgermi che
lei c’era.
Non so quanto tempo ci misi per
parlarle, scoprii che donava una moneta ad ogni bambino che accettava di
sottoporsi ad un bagno. La Madre Superiora dice che fu la stessa curiosità che
spinse Eva ad assaggiare la mela quella che fece sì che io fossi spinta a
conoscerla, so che è una menzogna, la mia non era curiosità, era desiderio, lo
voleva il mio cuore, non la mia testa.
Dopo quelle prime parole parlai
con lei molte altre volte, scoprii chi fosse, come avesse deciso di ribellarsi
al padre e all’idea di partire per rimanere in città ed aiutare i malati. Era
convinta che lavarsi avrebbe tenuto lontano la peste, aveva letto molti saggi e
ne aveva tratto quella particolare nozione, così attirava i bambini con la
promessa di una moneta e, loro malgrado, li proteggeva dalla peste, o almeno
così lei credeva. Ogni sua parola, ogni suo sorriso, ogni suo gesto la rendeva
per me più amabile. Era colta, intelligente, eppure sapeva ridere, qualcosa che
non avevo più sentito fare al convento e in quella città colpita da quotidiani
lutti.
Mi vergogno di dire che iniziai a
trascurare i malati pur di aiutare lei nei bagni quotidiani che offriva ai
bambini della città. Ora so che si sbagliava, ma allora le credetti, avrei
creduto ad ogni sua parola, le credetti anche quando mi disse che l’amore che
provavamo non poteva essere un peccato.
Mi trema la mano, so che queste
parole andranno perdute o saranno bruciate, so che nessuno vi poserà mai gli
occhi, eppure la semplice idea che qualcuno possa leggerle mi getta nel
terrore, è il mio cuore che metto a nudo. L’ho amata, sì, vorrei che questa
pergamena fosse più lunga e che l’inchiostro fosse di più, perché ora che l’ho
scritto vorrei poterlo fare ancora e ancora.
L’amai, le donai il mio cuore e
il mio corpo.
Furono i giorni più belli della
mia vita, finalmente respiravo, finalmente ero viva, come non ero mai stata
prima. Vedevo la morte ogni giorno, eppure malgrado provassi un forte senso di
colpa, acuito quando non ero con lei, io ero felice. Insieme leggevamo i
trattati che tanto amava, ma non solo, mi lesse poesie d’amore, mi mostrò un
mondo di parole, grazie alla sua voce delicata scoprii per la prima volte che
le parole potevano essere usate per esprimere sentimenti meravigliosi e non solo
preghiere e sermoni.
La luce ormai se ne è andata,
avrei voluto dirvi di più, di come la peste uccise quasi la metà della
popolazione della città, di come fummo scoperte da una mia consorella,
incuriosita dalle mie lunghe assenze. Ma soprattutto avrei voluto dirvi di come
la peste si è portata via lei e di come io, già rinchiusa in questa minuscola
cella, non abbia potuto salutarla, baciarla un’ultima volta.
Domani mattina sarò giustiziata per
crimini contro Dio e la natura, non ha importanza, domani sarò con lei.
I due archeologi rimasero in silenzio a lungo, poi la donna sorrise.
“È meraviglioso. È per questo che ho scelto questo lavoro, per secoli
queste parole sono rimaste nascoste, poi oggi nel 2012 a causa di uno scavo, si
ritrova un muro del quattrocento, uno studente nota qualcosa di strano, ci
chiamano ed ecco: la storia ci restituisce intatte, come se non fossero mai
morte, emozioni così intense e uniche.” L’uomo annuì, sul volto della collega
scorreva una lacrima.
Note
Questa piccola storia è stata
scritta per il contest “A spasso nel tempo” indetto da Talismaa
in cui ha ottenuto il sesto
posto. Ho voluto condividerla con voi, perché a me piace un sacco!
Spero vogliate commentarla e
dirmi cosa ne pensate…
Grazie.
Revisionata nel novembre 2016