“Shattered Lives”
Prologo.
Una casa buia. Le tende
tirate, le finestre accuratamente chiuse, le luci spente … Nessun rumore, se
non quello, udibile solo alle orecchie di una giovane venticinquenne, di un
cuore … il suo cuore … che batteva all’impazzata, spaventato quanto lei
per ciò che sarebbe accaduto nel giro di qualche ora, mentre con la mano destra
si rigirava nervosamente un costoso anello di brillanti attorno all‘anulare
sinistro. Improvvisamente un altro suono si aggiunse a quel battito furioso,
rumore di passi che si avvicinavano lentamente e si fermavano alle sue spalle,
poi due braccia che si serravano attorno ai suoi fianchi con dolcezza.
«Sei pronta, Sana?» chiese una voce calda e rassicurante all’orecchio
della ragazza. Lei si voltò, recitando per l’ennesima volta nella sua vita un
tenero e falsamente sicuro sorriso.
«Sì, Nao … andiamo.»
E tenendosi per mano,
mentre nell’altra portavano dietro di loro alcune valigie, i due uscirono dalla
porta d’ingresso di una grande villa newyorchese, chiudendosela momentaneamente
a chiave alle spalle.
aha
«Ragazzi! Siete pronti?!» una voce femminile dal tono autoritario chiamò con
impazienza i suoi amici dal salotto di una graziosa casetta del centro di
Tokyo.
«Sì, Fuka, arriviamo!» rispose un’altra voce, dal timbro decisamente più
timido di quella precedente, e una ragazza minuta fece il suo ingresso nel
soggiorno, seguita da un’altra sua amica e due ragazzi.
«Dai, Aya! Muoviamoci! L’aereo
arriverà tra meno di un’ora!» sbraitò
ancora la prima, e prese le chiavi di casa spingendo tutti i suoi amici fuori
dall’appartamento e chiudendolo frettolosamente, prima di precipitarsi verso un’auto
parcheggiata di fronte al cancello d’ingresso. Quando tutti furono a bordo,
Fuka mise in moto e partì, direzione: Aeroporto di Tokyo.
«Pensate che lui verrà?» chiese uno dei ragazzi dopo alcuni minuti, quasi
con timore.
«Non lo so, Gomi …» rispose con sincerità l’altro, abbassando lo
sguardo nascosto dietro un paio di grandi occhiali da vista.
«Oh, sarà meglio per lui
che ci sia, Tsuyoshi!» esclamò Fuka
mentre attendeva che un semaforo diventasse verde. «Anzi, andiamo proprio a prenderlo a casa sua!»
«Sempre decisa, eh,
Fuka?» le sorrise una ragazza dal
sedile posteriore.
«Certo, Hisae. Deve
smetterla di comportarsi ancora come un dodicenne …!» ribatté lei, dandole uno sguardo nello specchietto
retrovisore rispondendo anche se debolmente al sorriso.
Pochi minuti, e avevano
raggiunto una piccola casetta sul cui cancello una targhetta recitava: Hayama. Fuka
parcheggiò alla meglio l’auto e scese, raggiungendo la porta d’ingresso. Bussò
un paio di volte, ma come d’altronde si era aspettata non ricevette risposta. Riprese
a battere il pugno con un po’ più forza, aggiungendo questa volta anche la
voce:
«Akito! Lo so
che sei in casa! E so anche che sai benissimo perché sono qui! Esci, per
favore!»
Ma ancora dall’interno
non sopraggiungeva alcuna voce, né la porta si aprì. Fuka rinunciò a bussare,
ma non smise di chiamare l’amico:
«Hayama, ti
prego! Non puoi fuggirle in eterno! Sai benissimo che tra una settimana la
dovrai vedere per forza! Non ti sembra sia il caso di venirla a salutare all’aeroporto?!»
Ma un silenzio ostinato
seguì le sue parole. Aya le si avvicinò.
«Fuka … dopotutto, è pur
sempre una sua scelta. Non possiamo fare nulla se non è lui a volerlo …» le disse timidamente, e la ragazza non poté far
altro che lanciare un ultimo sguardo alla porta chiusa prima di arrendersi.
«Sappi solo che Sana ci
rimarrà molto male …» disse ancora,
questa volta con un tono leggermente più basso, poi si voltò e salì nuovamente
in macchina, guidando verso l’aeroporto.
aha
Dentro una piccola
villetta, sdraiato su un letto un po’ disfatto, un ragazzo guardava
ostinatamente il soffitto, le mani dietro la nuca, mentre cercava in tutti i
modi di impedire che le parole che gli venivano urlate dall’ingresso potessero
raggiungerlo, ma nonostante ciò la voce della sua migliore amica penetrava nel
suo cervello con violenza. Le sue parole lo ferivano …
«Non puoi fuggirle in
eterno! Sai benissimo che tra una settimana la dovrai vedere per forza!»
Ecco, doveva proprio
ricordarglielo … doveva per forza fargli tornare alla mente che di lì a sette
giorni l’avrebbe vista, lei, la sua Sana, come ancora la considerava,
nell’abito più bello e puro che le avrebbe mai visto addosso, camminare
lentamente e con un sorriso sulle labbra che solo lui avrebbe voluto ricevere,
verso il suo peggior nemico …?
Chiuse gli occhi,
sperando con tutto se stesso che Fuka volesse risparmiargli qualche altra frase
dolorosa. Ma non era ancora abbastanza, a quanto pareva …
«Sappi solo che Sana ci
rimarrà molto male …»
Certo … era sempre colpa
sua se Sana soffriva …
Non poté trattenersi
dallo sferrare un pugno violento alla parete che aveva accanto, mentre sentiva
il motore di un’auto accendersi e allontanarsi dalla sua casa pochi istanti
dopo. Maledisse Fuka, e la verità di tutto ciò che gli aveva detto. Era così,
era tutto stramaledettamente vero. Non avrebbe potuto fuggire in eterno a Sana,
nonostante fosse riuscito, per così dire, a farlo per cinque anni. Be’, per così
dire perché era sfuggito a lei, ma non certo al suo ricordo … quello lo
rincorreva spietatamente ogni istante della giornata, rendendogli la vita
sempre più un inferno …
Ed era anche
dannatamente vero che se non fosse stato lì, quel giorno, a salutare Sana
quando sarebbe scesa dall’aereo che finalmente l’aveva riportata in Giappone,
forse lei ne avrebbe sofferto …
Ma lui allora? Lui non
avrebbe sofferto nel rivederla, dopo cinque anni, al fianco di Naozumi Kamura,
l’uomo che più odiava su tutta la faccia della Terra, per il solo fatto che le
avesse messo un anello al dito … che avesse compiuto il gesto che lui,
Akito Hayama, avrebbe voluto fare?! Sì, certo, ne avrebbe sofferto, e non poco …
ma per lui la felicità di Sana veniva sempre prima di tutto. E se ciò avesse
voluto dire andare in aeroporto, salutarla come se niente fosse, stingere
amichevolmente la mano al suo compagno, sorriderle come fanno due … amici -
aveva sempre difficoltà a pensare quella parola quando parlava di loro due - be’,
se renderla felice avesse significato questo, non poteva fare altro che alzarsi
da quel maledetto letto, farsi una doccia, vestirsi decentemente e infilare la
porta di casa per raggiungere l’aeroporto in tempo, sperando che tutto il tempo
passato insieme ad un’attrice gli sarebbe servito a qualcosa …
E così fece …
Ciao ragazze! Caspita, da quant’è che non scrivo una fic su Kodocha??
Mi sembra un’eternità, come mi sembra ieri quando ne sfornavo una dietro
l’altra…!^^ ma non perdiamoci in chiacchiere, se non per parlare di questa
storia. Pensare che è da mesi che ho il prologo scritto, nonché abbozzi di
alcuni capitoli, e ancora da prima che so già l’intera trama, come voglio
svilupparla, come voglio farla finire … ci pensavo già mentre ancora lavoravo a
“Due calciatori e una showgirl”! e ora, finalmente, mi sono decisa a pubblicare
l’inizio. Non so perché, forse ero stanca di lasciarla lì in sospeso sul mio
pc, forse perché volevo soprattutto un vostro parere su quest’idea che mi
tormenta da secoli, non lo so. Fatto sta che ora è qui, e non attende altro che
le vostre recensioni! Ne ho davvero bisogno per continuarla!
Ultima cosa: non so se sarò in grado di aggiornare molto
velocemente, per via di vari impegni (tra una settimana la scuola …) e perché
mi devo dedicare anche all’altra fic che sto scrivendo su Twilight, il mitico
libro della Meyer. Ce la metterò comunque tutta, anche se sarà difficile, visto
che l’avevo quasi abbandonata e devo “riprendere il ritmo” e la confidenza con
questa trama.
Bene, ho finito di annoiarvi! Ora tocca a voi: ditemi
che ne pensate, anche se so che è solo un prologo e servirà almeno il primo
capitolo per iniziare a capire qualcosa. Prometto di farvelo avere presto,
magari anche entro domani!
- Daisy -