Learning To Breathe
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SUO Second Ground –
6.
Some days I wake up dreaming
Feels like I've never even woke
I answer life's big questions
As if it's one big joke
Jeremy Kay – Have it all
La mattina era ancora giovane quando
Ron aprì gli occhi spostandosi dall’innaturale posizione in cui
dormiva.
Si stiracchiò leggermente le membra doloranti, con un
pigro sorriso contento stampato sul viso.
Hermione era decisamente la donna
perfetta.
Si rotolò tra le lenzuola color pastello abbracciando
affettuoso il cuscino di lei.
Sapeva di buono.
Sorrise di nuovo scendendo dal letto con uno scatto atletico
e mettendosi qualcosa addosso. Ignorando i muscoli
indolenziti di diresse saltellando verso la cucina,
canticchiando una canzone vecchia chissà quanto che cantava solo quando
era particolarmente di buon umore.
“Hermione?” chiamò facendo capolino nel
salotto deserto.
“Qui!” urlò una voce squillante dal
piccolo cortiletto adiacente alla cucina.
Ron la trovò appoggiata allo stipite della piccola
porticina gialla sul retro, godendosi l’aria d’autunno.
Le circondò a vita con le braccia e poggiò il
mento nell’incavo del suo collo.
Hermione sorrise, serena.
“È arrivato il momento di dirti
il motivo di quello che è successo ieri sera” mormorò,
mentre lui le baciava la guancia.
“Vai! Sono pronto a tutto!”
Hermione sospirò, sperando fosse davvero così.
“Sono incinta. Per davvero, ho anche controllato
stavolta!”
Hermione percepì un piccolo miagolio indistinto
uscire dalle labbra di Ron.
Si slacciò dal dolcemente dal suo abbraccio,
girandosi per guardarlo negli occhi.
“Qualcosa non va?”
“Un altro!” disse solo, e Hermione non
riuscì a capire dal suo tono se era una buona notizia o no.
“È...è qualcosa di buono no?”
chiese, titubante.
Ron sembrò svegliarsi dal torpore e un lampo gli
illuminò lo sguardo.
“CERTO CHE LO È!”
Hermione sorrise, sollevata.
Ron emise un altro miagolio (stavolta più entusiasta)
e l’abbracciò talmente forte da sollevarla da terra senza neanche
accorgersene.
“Hermione! Un altro Weasley morbidoso!”
“Sì!” rise lei,
contenta.
“Mandiamo un gufo ai ragazzi! Chiamiamo mamma e
papà! Vestiamoci! Io corro da Harry e Ginny e tu lo dici a Luna e Nev
alla locanda! Forza sbrighiamoci!”
squittì, rosso d’entusiasmo.
Hermione lo bloccò un attimo, in dubbio.
“Vuoi dirlo a tutti proprio ora?” chiese, con
uno sguardo che rifletteva con ovvietà il fatto che lei non era
d’accordo.
“Non vuoi dirlo? Ma...ma fra
un po’ cominceranno ad avere sospetti non ti pare?”
“Certo che voglio dirlo, Ron! Solo, non ora! E non a tutte le persone che conosciamo!”
“Io non voglio dirlo proprio a
tutti, ora!” convenne lui. “A Dean,
Seamus, Calì, i
membri dell’Ordine, Fleur, i miei fratelli, Gabrielle e a Vicky manderei un gufo o qualcosa del genere!”
Hermione lo fulminò.
“Lo diremo a tutti a Natale” disse,
con una voce tale da non ammettere repliche.
Ron spalancò gli occhi.
“Ma Natale è fra poco
meno di un mese! E poi non ce la faccio a mantenere la
bocca chiusa per tutto questo tempo!”
Hermione sembrò pensare per qualche secondo.
Che Ron se lo sarebbe fatto scappare con qualcuno, di
proposito o no era un dato di fatto.
“Beh...possiamo dirlo a Harry e Ginny! E...e a David! Vive con noi, lo capirebbe”
Ron annuì tutto contento.
Rimasero qualche istante in
silenzio.
Poi Ron parlò facendo trasalire Hermione.
“E stavolta non
discuto!” esordì, guadagnandosi la prima occhiataccia di lei.
“Lo chiameremo Romuald!“
“RON!”
“Che c’è?!
È un nome bellissimo!”
“Non chiamerai mio figlio in quel modo!”
Il tono di Hermione suonava come un
minaccia che Ron colse al volo.
“È un nome bellissimo” borbottò.
Hermione sospirò.
Poi sorrise, guardandolo borbottare di sottecchi.
Un’altra nottata e quel nome se lo
sarebbe dimenticato.
*
L’aria del mattino era ancora fredda
quando Jolie entrò nell’aula di astronomia.
Un sorriso le illuminò il volto notando un groviglio
di capelli rossissimi che si muoveva accarezzato dalla brezza di fine autunno.
“Ti ho cercata dappertutto”
mormorò facendo qualche passo avanti.
Ellie non si girò neanche per vedere chi stesse parlando.
“Non sei neanche tornata in dormitorio stanotte...”
Jolie esitò qualche istante prima
di affiancarla. Appoggiò le braccia sulla balaustra rivolgendo lo
sguardo verso l’altra.
Sembrava…assente.
Gli occhi tristi erano rivolti verso un punto imprecisato
della Foresta Proibita, il respiro appena accennato, le mani gelate dal vento.
“Dovremmo rientrare…” propose Jolie,
mettendole le mani sulle spalle immobili.
Ellie si scostò lievemente, quanto bastava per
liberarsi dalla debole presa dell’altra.
“Tu rientra” soffiò solo, con la voce
impastata di pianto.
Jolie la guardò dispiaciuta.
“Andy mi ha detto
tutto” disse, controllando le reazioni
dell’altra. “…e…beh, lo sai
che non pensava tutte quelle cose” mormorò, cercando di sorridere.
Solo allora Ellie si girò verso di lei, uno sguardo
duro e triste allo stesso tempo.
“E tu ovviamente gli credi! Che novità!” rise, furiosa.
Jolie la guardò, senza capire.
“Io non…”
“Oh, ora non farai la finta tonta,
vero?” disse, alzando notevolmente il tono di voce. “Mi ha infamato,
ha detto cose orrende, quando io sono
sempre stata l’unica a stargli vicino!”
“Non essere ingiusta ora…” mormorò Jo, incrociando le braccia al petto.
“Io non sono
ingiusta! Sono realista, che è di gran lunga
differente”
“Sai bene quanto me che Andy
ti vuole bene!”
“E tu non riesci a
sopportarlo, vero?”
Jolie sbuffò per trattenere una risata nervosa.
“Cosa c’entra ora, con quello che è
successo?!”
Ellie la guardò, stringendo i pugni dalla rabbia.
“C’entra eccome! Scommetto tu abbia
fatto salti di gioia quando hai saputo del nostro litigio! Quale
occasione migliore per metterti in luce, no?”
Jolie sgranò gli occhi dalla sorpresa.
“Non sarai seria, vero!? Ti
rendi conto di quello che dici?!”
“Me ne rendo contro eccome!”
“El, io ero venuta qui
perché ero preoccupata!...”
“Potevi risparmiarti la fatica!”
“Tu…tu non sai quello che stai
dicendo…” mormorò Jolie, gli occhi pieni di lacrime e le
guance arrossate dal freddo.
“Ti ripeto che so esattamente quello che dico! Sei solo patetica! Scommetto perfino che tu sia mia amica solo per stare vicino a Andrew!”
“IO ERO VENUTA QUI PER
CONSOLARTI!” urlò, mentre la prima lacrima scendeva pesante lungo
il suo viso. Se l’asciugò veloce con la mano,
mentre un singulto la fece tremare quasi completamente.
“DIMMI COSA TI DA IL DIRITTO DI PARLARMI COSì! TU NON PUOI!
IL MONDO NON è AI TUOI PIEDI E IO SONO STANCA DELTUO
EGOCENTRISMO!” respirò a fondo, mentre un
altro singhiozzo le riempiva il petto.
Ellie, di fronte a lei, la guardava in silenzio.
“Tu non sei l’unica a capire le cose, non sei
l’unica ad avere problemi, non sei l’unica a trovare la vita
difficile e non sei l’unica a tenere a Andy nel modo che intendi tu” disse poco dopo, con
voce meno tremante possibile. “...magari ai ragione…sono
patetica! Contenta ora? Hai ragione tu!...ma non ti permetto di parlarmi così.”
La guardò negli occhi, prima di avviarsi verso la
porta. “Io ti voglio bene El.” Mormorò, frazionandosi le
braccia con le mani. “Ma temo dovrai scendere a compromessi,
perché se continui con questo atteggiamento
presto non avrai più nessuno attorno da comandare”.
Jolie chiuse la porta, alle sue spalle, lasciando Ellie di nuovo sola.
Un singhiozzò sordo
uscì dalle labbra di lei, subito bloccato da una mano tremante.
Si appoggiò e scivolò
lentamente contro il muro, desiderando intensamente di essere inghiottita.
Si massaggiò leggermente il polso dolorante, tirando su con il naso.
Il vento
soffiò più forte, scompigliandole violentemente i capelli.
Ellie respirò a fondo l’aria gelata.
Quello – ne era sicura
– sarebbe stato vento di cambiamenti.
*
Quando tuo fratello è
innamorato della tua migliore amica, non è mai una cosa buona.
Per prima cosa, l’esaurimento nervoso della malcapitata
cresce fino a sfiorare limiti dell’umana sopportazione inimmaginabili.
Lui è irritante perché diventa zuccheroso e
stramaledettamente sentimentale.
Lei è tranquilla e pacata,
ignara dell’intera situazione.
L’altra è sull’orlo della crisi di nervi
perché non sa come comportarsi.
Decisamente una brutta situazione.
Lily Potter si massaggiò nervosamente la tempia, al
culmine dell’ennesimo racconto di Helen Paciock
sulla leggendaria collana di sua madre, ereditata giusto l’estate scorsa.
“…E così me la
diede. Ero così contenta quando avevo quella
collana tra le mani” disse Helen con voce piatta e un sorriso sereno sul
volto.
Lily non poté impedirsi di sorridere.
Rivolse uno sguardo distratto alla finestra e
incrociò lo sguardo di James, intento a spiarle abbarbicato alla sua
scopa.
Lily emise un urletto
disarticolato.
Helen salutò James con la mano, con
tranquillità inaudita.
James per poco non cadde.
“Ma da quand’è che è lì?!” squittì Lily portandosi una mano al petto e
lanciando un’occhiataccia al fratello, che giudicò saggio
cominciare a svolazzare un pochino più lontano.
“Almeno da metà racconto” disse Helen,
con voce meditabonda.
Lily la guardò.
“E non hai detto niente?! Merlino quell’idiota sembrava
un maniaco!”
“Sarà stato interessato anche lui alla storia
della collana” mormorò lei, sicura.
Lily fece cadere il discorso,
psicologicamente esausta per ribattere.
L’ennesimo passaggio di James e una nuova occhiataccia
ricordarono a Lily che non poteva
lasciar cadere il discorso.
Lei era lì per un motivo preciso,
non bisognava scordarlo.
Mettere in buona luce il suo fratello
idiota di fronte agli enormi occhi all’infuori della sua più cara
amica.
James sapeva essere convincente quando
voleva.
E se voleva davvero era anche
pedante, isterico, ossessivo e inverosimilmente appiccicoso.
Tutte cose che – state certi
– lo aiutavano a raggiungere la sua meta.
Lily sospirò, girandosi con un sorriso stanco verso Helen,
assolutamente concentrata nella creazione di una nuova collana a immagine e somiglianza di quella di Luna.
“Hel…ehm…che ne
pensi di James?” chiese, quasi avendo paura della reazione
dell’altra.
Helen la guardò con i suoi enormi occhi chiari,
più dilatati del normale, mentre un rossore appena accennato le colorava
le guance.
“È buffo” disse semplicemente, tornando a
concentrarsi sulle collane.
Lily annuì meditabonda.
Buffo era un buon
modo di iniziare se si parlava con Helen Paciock.
“Oh, mio fratello è molto buffo!” disse, enfatizzando le parole in maniera
esagerata.
Rivolgendo uno sguardo distratto a James che svolazzava
ancora fuori dalla finestra, Lily non sentì di
stare mentendo.
Più che altro le sembrava che
‘buffo’ fosse un complimento confrontato al suo gemello scemo.
Sospirò, di nuovo.
Si girò verso Helen, decisa a continuare quello che
aveva iniziato.
Via il dente via il
dolore…poi se la vedono loro!
“…Sai…oltre che
buffo, la maggior parte delle volte è anche molto simpatico! Sono certa
che ti trovi favolosa!”
Helen rivolse un’occhiata a
James fuori dalla finestra.
Il sorriso di
lui si allargò da un orecchio all’altro.
“James è buffo”
ripeté. “…credo gli farò una collana”
Lily squittì, mettendosi le
mani sulla bocca.
Helen non faceva mai collane se
non come segno d’affetto profondo.
“Davvero!?”
urlò quasi, spalancando gli occhi.
Helen annuì, arrossendo in
maniera leggera.
“Allora…”
mormorò “Meglio tappi di burrobirra o di idromele?”
Lily fissò i tappi praticamente uguali con espressione basita.
Forse…forse non sarebbe
stato così difficile come credeva.
“Idromele...”
rise. “Senz’altro idromele!”
*
Sweet boy, come in
I am the dark side of you
Die for my sins
Like the One once did
Cinnamon bed
For your unashamed appetite
A figurant
This dance will hurt like hell
Nightwish – Bare Grace Misery
Rex si passò una mano sugli occhi, massaggiandoseli
in maniera stanca.
Ogni cosa stava diventando davvero troppo per lui.
Era una vita che combatteva contro qualsiasi cosa.
Combatteva, perché era giusto che lo facesse e
perché il ghiaccio benché impossibile da modellare a proprio
piacimento, poteva essere quanto di più facile da annientare.
Però lui lo manteneva
solido.
Compatto.
Imperturbabile.
Perché ne andava della sua
vita.
Solo entrando a contatto con il fuoco, il ghiaccio si
scioglie irrimediabilmente.
Lui per anni si era guardato bene dall’avvicinarsi al
fuoco, per anni era sopravvissuto con la convinzione di non aver neanche lontanamente
bisogno di quello che lentamente lo avrebbe ucciso se solo ci si fosse
avvicinato.
Le emozioni uccidono.
Rendono deboli.
Lui lo sapeva e si proteggeva da quel fuoco che così
apertamente minava a distruggerlo.
Non si sarebbe piegato a cose tanto futili e stupidamente
controllabili.
Eppure nonostante anni e anni di pratica, qualcosa di inaspettato, un fuoco improvviso, stava attentando al suo
cuore ghiacciato.
Rex si morse il labbro inferiore, incattivito da quella
sensazione incontrollata che gli faceva dolere il petto.
Dio, quanto la odiava.
E la odiava perché era tutta
colpa sua.
Lo aveva completamente soggiogato e mai lui avrebbe permesso
una cosa del genere se solo se ne fosse reso conto in
tempo.
Odiava lei e odiava ancora di più se stesso per la
leggerezza con cui aveva preso l’accenno di desiderio che lo aveva
vagamente riscaldato quando gli si era insinuato nel
petto.
Desiderio di lei.
Rex inspirò profondamente, appoggiando la testa
contro lo schienale della poltrona della Sala Comune.
Un mano sconosciuta gli
accarezzò appena le spalle, un lieve ticchettio risuonò nella
stanza silenziosa e deserta.
Rex aprì gli occhi cerulei pur sapendo a chi appartenessero quei passi.
“È stata una giornata dura” il tono di
voce di Morgan non era interrogativo.
I suoi occhi mostravano sicurezza e neanche una traccia di
dolore al ricordo del loro ultimo incontro.
Incredibile
quanto l’amore possa provocare.
Morgan aveva sentimenti, emozioni, paure, e di certo non
aveva dimenticato quello che Rex le aveva detto nella
sua camera qualche tempo prima.
Eppure era lì.
Di nuovo.
Con lui, in attesa di un qualche
segno d’amore, che lei sapeva, non sarebbe mai arrivato.
Rex però aveva ragione.
Il suo cinismo e la sua protezione dai sentimenti erano in qualche modo utili.
Lei era una Serpe.
E se lei non poteva averlo, avrebbe
tratto la sua voglia d’amore dalle debolezze dell’altro.
Il suo vantaggio era quello di conoscere a fondo Rex,
più di quanto lui stesso si sarebbe mai aspettato.
Era solo questione di trarre da parte l’orgoglio,
rinchiuderlo in un cantuccio quanto più nascosto possibile e continuare
a fingere.
Perché in fondo questo si fa sempre.
Nella vita si finge.
“Dovresti rilassarti” un tono stucchevole,
zuccheroso, minimamente ostile e accondiscendente.
Morgan iniziò a massaggiargli le spalle in maniera
delicata e appena accennata.
Era uso reciproco, in fondo.
Rex non si sentiva in colpa nel trattare male Morgan
semplicemente per il fatto che lei, tornando da lui ogni volta, era come se
chiedesse di farlo.
Lui era fatto così, e se veniva
accettato per quello che era, bisognava tenere in conto ogni cosa.
Morgan non si sentiva in colpa nel trarre popolarità
da lui.
Era infamata, usata e violata da lui in qualsiasi momento e
in qualsiasi accezione questi termini potevano essere
usati.
Si meritava quello per cui
soffriva.
Lui sospirò compiaciuto, quando lei lo fece stendere.
Morgan lo baciò appena sulle labbra, passandogli le
mani sul petto lentamente e in maniera costante.
“Sai piccina, potrei abituarmi a queste smancerie...” mormorò, mentre le
labbra di lei indugiavano sul collo di Rex.
Improvvisamente un’immagine diversa si fece largo
nella mente di lui.
Un’immagine inizialmente sfocata, indistinta,
ma provocante ed inaspettatamente esaltante.
Mise prepotentemente le mani sui fianchi di Morgan,
sollevandola e portandola su di lui.
Lei lo baciò con maggiore intensità e questa
volta l’immagine nella mente di lui si fece
più chiara e dolorosa.
Eleanor Weasley.
Rex spalancò immediatamente gli occhi, spingendo via Morgan violentemente.
“Che ti prende?!” disse
lei reggendosi al bracciolo.
Lo vide respirare affannosamente, passarsi una mano sulla
fronte imperlata di sudore.
Guardò per un attimo il vuoto, più che disgustato
dai suoi istinti selvaggi e incontrollabili; poi rivolse il suo sguardo
ghiacciato a Morgan, che ancora lo fissava intimidita.
Si avvicinò a lei con uno scatto, baciandola con
irruenza.
Doveva cancellarla dalla sua testa.
Lei lo avrebbe ucciso.
Doveva precederla oppure soccombere.
Accarezzò fugace le guance di lei,
scendendo lungo il collo fino ad arrivare alla cravatta, diligentemente legata
sulla camicia ancora del tutto allacciata.
Si liberò velocemente della cravatta, concentrandosi
sui bottoncini della camicia candida.
Quando fu completamente aperta e la sua attenzione venne catturata dalle bretelline
ricamate del reggiseno, di nuovo l’immagine di Eleanor
comparve veemente nella sua testa.
Piccola e calda tra le sue mani callose e
violente, la riusciva a sentire in maniera vivida sotto di lui, mentre cercava
di trattenere sospiri rubati.
Le sue mani viaggiavano lente sul corpo di Morgan
completamente arresa nella sua stretta, ma la sua
mente era schiava di una fantasia che era malcelata e velenosa.
Affondando il viso nell’incavo del suo collo,
sentì un brivido di piacere attraversare tutta la lunghezza della sua
spina dorsale, accarezzando i suoi fianchi un senso di
forza, di vittoria s’impadronì del suo petto, mentre il confine
tra realtà e fantasia diventava ogni secondo più labile e
difficile da gestire.
“Rex...” la voce
strascicata di Morgan, lo fece riscuotere per la seconda volta nel giro di
pochi minuti.
Aprì gli occhi sottraendosi al suo corpo, per incontrare lo sguardo profondo della sua vera
amante.
Un moto di disprezzo nei confronti di se stesso e di lei lo
fece scostare con ancora più violenza dal corpo seminudo di Morgan.
La spinse via, come fosse un
qualcosa di orribile e detestato.
Morgan cadde a terra, ma Rex non
sembrò preoccuparsene particolarmente.
La guardava con terrore, ma non la vedeva realmente.
Lui stava combattendo contro se stesso e contro la sua
mente, e stava perdendo inesorabilmente contro il suo stesso desiderio di
calore.
Un singhiozzo soffocato di Morgan, lo fece tornare alla
realtà.
Rivolse uno sguardo verso il basso e la vide in tutta la sua
fragilità.
Lei si alzò con le lacrime agli occhi, coprendosi alla bene e meglio per cercare di avere un’uscita
più dignitosa possibile.
“Io...” un singhiozzo
la costrinse ad arrestarsi. “Io...non so davvero come non farmi odiare da
te” mormorò, guardandolo negli occhi e studiandolo con una
profondità che lo mise a disagio.
Morgan andò via, raccogliendo qua e là le sue
cose, senza guardarsi indietro.
Rex si accasciò sul divano, mettendosi entrambe le
mani tra i capelli.
Aveva commesso un grave errore di valutazione.
Lei lo aveva già
ucciso.
*
Robin, si mosse nervosamente sulla sedia, guardando Sylvie
piangere distesa sul suo letto.
Vedeva il suo corpo tremare, piegato a violenti singulti, e
non una parola era uscita dalla sua bocca da quando
lei era entrata nella sua camera.
Era solo andata lì, aveva guardato Robin negli occhi
e lui l’aveva fatta sedere.
Poi lei aveva cominciato a giocare con i lembi della sua
coperta e ben presto – Robin non seppe mai in
che momento di preciso – lei iniziò a piangere, dando sfogo a
tutto quello che aveva dentro.
In una situazione normale, lui l’avrebbe certamente
abbracciata, o almeno avrebbe cercato di fare qualcosa per consolarla, ma se il ‘lui’ in questione, si chiamava Robin Paciock, è chiaro che la situazione cambia
radicalmente.
Incapace di fare qualsiasi cosa – tranne un piccolo
colpetto sulla spalla che le diede all’inizio
– si era semplicemente seduto poco lontano, lasciandola a se stessa.
Senza contare che a dirla tutta Robin non aveva del tutto
digerito il trattamento che lei gli aveva riservato qualche
tempo prima.
Ma non aveva importanza.
Robin si sentiva troppo un perdente per credere di avere il
diritto di portare rancore.
Quasi un’ora dopo il suo arrivo, senza un’apparente motivo, Sylvie si alzò a sedere, mentre
l’ennesima lacrima le scendeva rapida lungo la guancia.
“Mi dispiace per quello che ti ho detto l’altro
giorno…” cominciò lei, con gli occhi fissi sul pavimento.
“È solo che non era esattamente un buon momento…”
accennò un sorriso, alzando leggermente lo sguardo.
“Non…non devi scusarti…”
mormorò lui con poca convinzione. “Capitano
momento no!” le sorrise, sedendosi su una sediolina
accanto alla finestra.
Lei non sembrava particolarmente consolata.
Non sembrava neanche particolarmente toccata dal fatto che
lui l’avesse perdonata, a dire il vero.
“C’è…c’è qualcosa che
non va?” chiese lui, guardandola di sottecchi, non del tutto sicuro di
volerlo realmente sapere.
Lei tirò su con il naso.
“Cos’ho che non va?” chiese semplicemente,
guardandolo fisso negli occhi come se volesse perforargli l’anima.
Robin rimase spiazzato.
Si mosse nervosamente sulla sedia, arrossendo e schiarendosi
la voce senza un apparente motivo.
Tu non hai nulla che
non va.
“Non saprei…perché dovresti avere
qualcosa di sbagliato? Tu non hai proprio nulla che non vada!”
assicurò, sorridendo timidamente.
Sylvie distolse lo sguardo.
Si alzò dal letto e Robin la vide studiare
attentamente una foto sua e delle sue sorelle, poggiata sul grande
cassettone insieme a molte altre dei suoi compagni di stanza.
“Non sono certa tu possa capirmi” disse solo.
Per lui sortì l’effetto simile ad una pugnalata.
Si sforzò di controllare le sue reazioni, mentre un
moto di rabbia inaspettata gli saliva nel petto, squarciandolo.
“Beh…potresti provare…io…sono un
buon ascoltatore!” sussurrò lui, quasi avendo paura delle sue
reazioni.
“Va bene” disse con voce stranamente indurita.
“Venus Malfoy ha vinto” ringhiò, con voce
incattivita.
Mentre lo diceva non guardava
né lui né qualcos’altro nella stanza. Sembrava fuori da quel posto, astratta da quella situazione.
Robin boccheggiò, non sapendo cosa dire.
“Chris sta con lei” continuò, mentre un
nuovo singhiozzo le riempiva il petto.
Di nuovo, come sempre nella sua vita, Robin sentì di
aver perso.
Rise di se stesso nella sua testa, per aver anche solo
pensato per un secondo di poter avere qualche possibilità con lei.
I perdenti non vincono
mai, idiota.
È un dato di fatto.
Visto sotto un certo punto di vista è anche giusto
che sia così.
La gente vince,
la gente perde.
È il caso – o il destino – che decide il
chi e il come.
Dettagli irrilevanti per un disegno tanto grande.
Sylvie alzò gli occhi su di lui, in
attesa di un qualche commento.
Robin non alzò lo sguardo per fronteggiarla, ma seppe
che i suoi occhi erano su di lui, in attesa di un
qualcosa.
“Mi…mi dispiace” mentì.
La perversa consolazione che la gente trova
quando si sta male è che anche gli altri lo siano allo stesso
modo.
Perverso, ma equo.
Nella sua maschera di perdente, Robin aveva trovato una
sorta di fuga dalla vita.
Era arrivato ad una sorta di conoscenza; ogni reazione, ogni opinione, ogni gesto nervoso, lui riusciva a
riconoscerlo e a decifrarlo in qualsiasi persona.
Sapeva che quando sua madre era preoccupata per qualcosa o
pensava a cosa preparare per cena, faceva collane solo con tappi di burrobirra.
Sapeva che quando sua sorella Emily saltava la cena aveva
litigato con Ben.
Sapeva che quando Ben faceva indigestione aveva litigato con
Emily.
La solitudine lo aveva portato a conoscere più
persone di chiunque altro.
Erano le persone che non conosceva lui.
Sylvie emise un suono strano, risvegliandolo dai suoi
pensieri.
La vide ridere, innervosita.
“Sapevo che non avresti capito!” disse
sprezzante.
“Cosa?!”
“Cosa credi che basti un
‘mi dispiace’ poco convinto per tirarmi
su di morale?! Ti vanti tanto di essere mio amico, ma
credo tu sia davvero poco capace!”
Robin rimase in silenzio, guardandola urlare.
“Non sai proprio fare altro?” chiese, rabbiosa.
“Sai cosa sono gli amici Robin? Gli amici sono quelli che ti sostengono!
Sono quelli ti abbracciano quando piangi, sono quelli
che ti tirano su o almeno provano a farlo! Robin la persona che amo, che sogno
la notte da quando avevo dodici anni, la persona per
cui io respiro si sta sbaciucchiando con la puttana che odio di più al
mondo!”
“BASTA!” urlò lui,
improvvisamente, un tono duro e inaspettato nella sua voce solitamente insicura.
Sylvie lo guardò, attonita, asciugandosi velocemente
la guancia bagnata.
“C-cosa?”
“Mi hai sentito!” urlò, alzandosi.
“Chi diavolo ti credi di essere, eh? Io so cosa
vuol dire essere amico di qualcuno! Io lo
so! Ma tu, invece?! Tu che ne sai, eh? Ti reputi
un’amica?!”
“Robin, ma…” squittì lei, gli occhi
increduli fissati sul suo viso rabbioso.
Lui si passò una mano fra i capelli, nervoso,
prendendo a camminare avanti e indietro per la stanza.
“Ti sei mai chiesta…” continuò,
girandosi verso di lei. “…cosa possono provare quelli che ti
circondano?! No, vero?” rise, distogliendo lo
sguardo. “Non te ne frega un cazzo degli altri,
come potresti! Basta che tu sia in pace con il mondo con la tua vita perfetta,
no? Poi che il povero scemo qui, muoia dietro ogni parola che mormori non
importa!”
Lei ridusse gli occhi a due fessure.
“Cosa vuoi dire, ora?! Mi
darai anche tu della viziata egocentrica? Non avete proprio fantasia, voi! Mi infamate,
quando neanche vi disturbate a conoscermi!”
“Io ho provato!
HO PROVATO AD ESSERE TUO AMICO! HO PROVATO A CAPIRTI, HO
PROVATO A CONSOLARTI! MA TU, VIE?...TU HAI MAI PROVATO A FARLO?!”
Sylvie boccheggiò.
“Non darmi colpe che non ho!
Non te lo permetto” rispose, dura.
Robin, rise furioso.
“Lungi da me l’idea di rovinare la giornata alla
nostra reginetta!” rise di nuovo, guardandola assumere
un’espressione furiosa. “È bello quando
tutti ti ascoltano, no? Vedere tutti che pendono dalle tue labbra, sapere che
qualunque stronzata ti passerà per la testa verrà sicuramente apprezzata! Poi però che
succede? Il mondo crolla. E allora corriamo dallo scemo di turno, giusto?! E qui entro in scena io! Quello stupido, quello sfigato…magari simpatico, ma decisamente da evitare
quando si è in giro per il castello!”
“Non mi sono mai
vergognata di te!”
“Vie…da quanto esattamente hai notato la mia
esistenza? Quando, qualche settimana fa mi sei venuta
addosso, non è vero? Lascia che ti svegli, principessa, noi viviamo
nello stesso luogo, frequentiamo le stesse lezioni da
cinque anni!”
Sylvie rimase zitta, guardandolo fisso.
Robin la guardò, sconfitto.
“Eppure sono stato qui,
quando ne hai avuto bisogno! Ti ho vista piangere, ti ho provato a consolare,
anche se non sono abbastanza per te…non sono alla moda, non sono bello,
non sono particolarmente ricco…non sono nulla! Eppure sono stato qui. E…”
s’interruppe, pesando bene le parole. “E
nonostante…” mormorò infine, appena un sussurro si riusciva
a percepire. “…nonostante
Chris ti abbia spezzato il cuore tu continui ad amare lui anziché me.”
Sylvie cercò a tentoni il
comodino dietro di lei, provando a sostenersi.
Robin sembrò tornare improvvisamente in sé.
“Scusa” disse solo lui, abbassando lo sguardo.
“Non ho il diritto di dirti quello che devi o
non devi fare…”
“Io…io non credo di aver…”
“Oh già…” mormorò.
“Quando dici che nessuno ti
capisce…beh…ora sai che non è vero. Io capisco.” Disse non trovando il coraggio di guardarla
negli occhi. “Capisco tutto, anche se credi il contrario.”
“Tu dovevi dirmelo!” disse lei, le lacrime
minacciarono di ricominciare a uscire.
“L’ho fatto!”
Sylvie sbuffò camuffando una risata nervosa.
“Non mi aspetto nulla da te” mormorò, riaccasciandosi sulla sediolina.
“Non ne ho il diritto! Neanche nei miei sogni più belli, avrei il
diritto di sperare…” la nota di amarezza
nella sua voce, le fece male.
“Robin, io ti voglio bene…” mormorò
lei, la voce impastata di lacrime.
Lui le sorrise.
“Lo so!”
Lei sorrise, continuando a piangere.
“Però mi lascerai
anche tu” nella sua voce non c’era interrogativo.
Sylvie sapeva bene quanto lui quanto potesse
essere difficile.
“Non dipende da me, né da te…sono umano Vie! Non riuscirei a sopportare quello che tu
provi per lui, esattamente come non lo sopporteresti tu”
Lei annuì, consapevole.
Lo vide alzarsi e dirigersi verso la porta.
“Io…credo che andrò a prendere una
boccata d’aria” mormorò, lasciandola sola nella stanza.
Sylvie si accasciò sul letto di lui,
stringendosi le coperte al petto, in cerca di calore.
Sola di nuovo.
Non avrebbe resistito a lungo stavolta.
*
“...e quell’idiota
si è fatto scappare la pluffa, che per poco
non colpiva la mia scopa! Capisci, è stato
terrificante! E lo ha fatto apposta, ne sono sicuro!
Chris Bennet è un imbecille!”
James sembrava davvero troppo preso dal suo avvincente
racconto – che ormai stava arrivando alla sua terza ora di fitta
narrazione – per accorgersi che Emily Paciock
aveva cominciato a sospirare in maniera decisamente
troppo sognante per ascoltare la sua storia.
“...e lo sai perché mi voleva colpire?! Perché mi stavo avvicinando in
maniera compromettente a Steve!”
Emily si corrucciò leggermente.
“Chi è Steve?”
chiese, sbattendo le ciglia in maniera esagerata.
James non sembrò averlo notato.
“Il boccino! Noi lo chiamiamo Steve!”
Lei annuì, benché non sembrasse del tutto convinta.
“...Comunque dicevo...Bennet mi aveva colpito per far prendere a Malfoy il
boccino! Mi ha lanciato la pluffa deliberatamente
addosso! Ed è contro le regole!”
esalò concitato.
“Ma...” mormorò lei, quasi dispiaciuta di doverlo contestare.
“...Bennet è Serpeverde...non dico che sia ovvio che infrangano le regole, ma...insomma ci
sarebbe da aspettarselo!”
James sembrò riflettere a quelle parole.
“Non ci avevo pensato” disse infine,
sorridendole.
Emily arrossì in maniera pressoché totale.
“Comunque abbiamo vinto, no?
È questo che conta!”
Il sorriso di lui si allargò
maggiormente.
“Già!”
“Sei...sei stato fantastico in campo!”
biascicò Emily, con voce stridula dall’imbarazzo.
Lui, sembrò a disagio.
Emily lo vide spalancare gli occhi e muoversi nervosamente
nella poltroncina, guardando qualcosa che era dietro di lei.
Lei si girò, ritrovandosi Ben di fronte.
Scattò in piedi, guardando prima James e poi di nuovo
Ben.
“Io...io credo...credo che
andrò a letto” disse solo, quasi correndo su per le scale del
dormitorio femminile.
James e Ben, rimasti soli, si scambiarono un lungo sguardo.
“Allora...” esordì
Ben, incrociando le braccia al petto e sorridendo, irritato. “Avete
già deciso la data?”
James ridusse gli occhi a due fessure.
“Prego?”
“E lei ha già scelto
il vestito, le damigelle e tutto il resto? È impegnativo!”
“Non fare l’idiota! Sai benissimo che Em e me non c’è niente!”
Ben sbuffò, camuffando una risatina nervosa.
“Certo! Io lo so! Em,
invece?”
James lo guardò, senza capire. “Lei non sa che
ti piace la sua gemella, vero?! Nessuno si preoccupato
di dirle che tu non stai facendo altro che prenderla
in giro!”
“Ben, calmati ok? Non ho
intenzione di litigare con te per qualcosa che non ho fatto!” gli occhi
di Ben cominciarono a scurirsi di rabbia.
“Tu lo fai in continuazione.”
“Cosa di grazia?! Emily
è una mia amica!”
“Sfoderi i tuoi sorrisi, le tue
occhiate, sembra che tu ti concentri in maniera spaventosamente attenta nei
tuoi tentativi di rubarla a me!”
James rimase spiazzato e Ben sembrò rendersi conto di
quello che aveva effettivamente detto solo dopo che gli uscì di bocca.
“Io...” mormorò
James, “...io non voglio rovinare la mia amicizia con te! Sei come un
fratello! E...e...io, davvero, non sapevo
che...”
“Senti, lascia stare” disse Ben, duro.
Si passò una mano tra i capelli, respirando
furiosamente, mentre le sue orecchie si tingevano inevitabilmente di rosso
acceso.
“Io ho occhi solo per Helen, lo sai!” ribadì James, con voce stridula.
Ben annuì.
“E io sono solo un idiota
invidioso”
“Non sei idiota, né invidioso! Sei solo
innamorato!”
Ben emise un miagolio molto simile a quelli di suo padre
durante i momenti di nervosismo.
“Io non sono innamorato!”
squittì, schifato.
James cercò in tutti i modi di trattenersi dal
ridere.
“Emily è irritante! E...e
molesta! Senza contare che è arrogante e saccente! È
insopportabile!”
“Immagino che zio Ron non ti abbia mai raccontato la
sua storia con zia Hermione, vero?”
Ben si corrucciò.
“No! Perché avrebbe dovuto?!”
James agitò un mano in aria.
“Lascia stare. Lo saprai quando
sarà tempo”
Ben alzò le spalle, non particolarmente interessato.
“Ora...saliamo in dormitorio? Urlarti addosso mi ha
fatto perdere molte energie”
James annuì, iniziando a salire, subito seguito da
Ben.
Il silenziò calò
nella stanza ormai deserta.
Emily scese le poche scale che aveva percorso prima di
fermarsi ad ascoltare la discussione tra James e Ben.
Si appoggiò contro il muro, portandosi una mano sul
petto.
Ora le cose sarebbero cambiate.
Nessuno aveva più il controllo di nulla.
*
I'm just a kid
And life is a nightmare
I'm just a kid
I know that it's not fair
Nobody cares cuz I'm alone and the world is
Nobody wants to be alone in the world
Nobody cares cuz I'm alone and the world is having
more fun than me tonight
I'm all alone tonight
Nobody cares tonight
Cuz I'm just a kid tonight
Simple
Plan – I’m just a kid
Ellie camminò a lungo per i corridoi del castello
senza una meta apparentemente precisa.
Camminava e camminava, desiderando
fortemente di non essere lì, e di scappare via da quel posto dove
– per colpa sua, lei se ne rendeva assolutamente conto – ora non
aveva più nessuno.
Le faceva male il petto pensando a tutto quello che aveva
detto; malediceva la sua impulsività.
La rendeva immatura.
Debole.
Sola.
Si frizionò leggermente le braccia, alla ricerca di calore.
Guardandosi intorno si rese conto di non sapere
effettivamente dove si trovasse.
Sbuffò.
Mi mancava solo di
perdermi.
Imprecò sottovoce, cominciando a percorrere
velocemente corridoi che non aveva mai visto prima.
Cominciò a correre sempre più veloce con il
passare dei minuti, spaventata all’idea di ritrovarsi sola chissà
in quale ala del castello.
Rabbrividì al pensiero di chi avrebbe potuto
incontrare in quei corridoi solitari.
Quando finalmente incontrò
un piccolo gruppo di studenti, il suo respiro tornò ad essere regolare.
Si guardò intorno e si accorse di essere esattamente
a metà strada tra la sala comune Grifondoro e l’infermeria.
Si bloccò.
Era solo questione di scegliere, ora.
Essere sola o avere qualcuno da
amare.
Senza neanche pensarci cominciò a correre verso
l’infermeria.
Corse veloce, non curante di nulla e con gli occhi fissi
davanti a sé, senza però guardare qualcosa in particolare,
arrestandosi solo di fronte al grande portone
socchiuso dell’infermeria.
Sentendo le voci di Andrew e Jolie,
per la prima volta da quando aveva iniziato a correre ebbe paura di non
riuscire a scusarsi con loro.
Si conficcò le unghie nei palmi con violenza, nel
momento stesso in cui il pensiero di non farcela le passò per la mente.
Non era il momento di fare la codarda.
Spinse lievemente il portone, rivelando la sua figura agli
altri due.
Un silenzio angosciante calò su tutta la sala.
Ellie avanzò lentamente verso di loro, i suoi passi
riecheggiavano lenti e costanti nell’eco silenzioso.
“Io...” esordì,
prendendo un respiro prima di guardarli negli occhi. “Io...sono
un’idiota”
Dalle loro espressioni, Andrew e
Jolie sembravano decisamente sorpresi da quello
slancio autocritico.
“...avete ragione!...Su tutto! Sono immatura, egocentrica e
fondamentalmente imbecille...” accennò un sorriso, guardando il pavimento e
tormentandosi le mani. “...Ma...ma...” prese un respiro, alzando lo sguardo. “...mi avete
sopportato per tanto tempo...” Jolie e Andrew si
scambiarono uno sguardo. “...Non...non vorreste
fare questo sacrificio per...diciamo...altri cinquanta o sessant’anni?”
Jolie si lasciò scappare un sorriso.
“El...” disse Andrew,
con sguardo severo. “Hai ragione. Sei
un’idiota” Ellie annuì mortificata.
“Geni paterni, sospetto”
“NON SCARICARE LE COLPE!”
Ellie si fece piccola, piccola,
mentre Jolie, accanto a lui continuava a ridacchiare.
“No. Scusa.”
“Sei stata molto cattiva con noi”
Lei annuì.
“Sì”
“Scontrosa”
“Sì”
“Irritante”
“Già...”
“Ingiusta”
“Hai ragione”
“Indiscutibilmente indisponente e arrogante come
pochi”
“Andy io credo che
basti...” intervenne Jolie.
Ellie convenne, annuendo con la testa.
“...Oltre che...” concluse.
“una pazza incosciente”
Sia Jolie, che Ellie si ritrovarono
ad annuire d’accordo.
“Quindi...nonostante io sia scontrosa, irritante,
indisponente, egocentrica, ingiusta, arrogante, cattiva, pazza, incosciente e
ovviamente un’idiota...mi perdonate?”
“Certo!” squittì Jolie, correndo da lei
per abbracciarla.
Andrew sorrise, mettendosi dritto sul letto per farsi
abbracciare.
“Non farlo mai più, idiota!”
Ellie sorrise, dimentica di tutto quello che era successo.
Idiota, sì, ma finalmente felice.
*
“FLEUR IL FORNO EMETTE STRANI VERSI!”
urlò Bill stravaccato sul divano, non distogliendo gli occhi dalla
rivista di Quidditch che teneva in mano.
Fleur fece capolino dall’altra stanza, rivolgendo
un’occhiata al forno.
“Sono impeniata” disse
semplicemente, prima di scomparire di nuovo.
Bill rivolse un’occhiataccia al vuoto.
“Fleur ti prego! Sono stanco!”
“Chi non lo è ai jorni notri!”
Bill sbuffò.
Fleur stava diventando molto più simile a sua madre
di quanto non avesse mai temuto.
Si issò in piedi gettando la
rivista sul tavolino elegante.
“Si può sapere che combini?!”
“Niente che t’importi!”
Lui sorrise sornione sbirciando in camera da letto.
“Se hai intenzione di farti
un bagno m’importa!” disse, entrando.
Lei lo guardò come se volesse incenerirlo.
Sospirò e ripose il foglietto che aveva in mano in un
cassetto.
“Cos’era quello?” chiese lui sospettoso.
“Niente mon petit”
rispose, candida, sfoderando un sorriso moderatamente falso.
Bill ridusse gli occhi a due fessure.
“Quale delle nostre figlie ha combinato cosa?”
Il sorriso finto di Fleur si allargò maggiormente.
“Fleur non m’incanti”
Lei ridusse gli occhi a due fessure.
“Potrei se volessi”
Bill grugnì.
“Allora…Sophie mi ha mandato in banca rotta
facendo shopping?”
“Non esere ridicolo!”
“Jolie ha fatto a botte con qualche Serpeverde?”
“Non questo mese” rispose, meditabonda.
“Sylvie ha…” pensò un attimo.
“…che può aver fatto?!”
Fleur alzò le spalle, uscendo dalla stanza.
“Devo controlare il
forno”
Bill la seguì soprapensiero.
Poi di bloccò e tornò
indietro.
Aprì il cassetto e lesse la lettera che Sylvie aveva
appena inviato a sua madre con il preciso ordine di nasconderla a Bill.
L’urlo disumano che Fleur sentì provenire dalla
camera da letto, mentre estraeva la sua torta di mele carbonizzata dal forno,
le fece capire che Bill aveva trovato la lettera.
“IO LO UCCIDO!”
Fleur lo guardò con occhi annoiati
mentre leggeva il nome di Chris con occhi assetati di sangue.
“Non è la fine del monde,
mon petit”
“CERTO CHE LO è!”
Fleur sospirò sconfitta.
Guardò Bill e poi la sua torta carbonizzata.
Non era decisamente giornata.
“Sono scerta che Sylvie sappia sceliere con attensione!”
“Quello non mi piace!” ringhiò additando
al nome di Chris Bennet e ai tre cuoricini disegnati
intorno.
“Non deve piascere a
te!” puntualizzò lei, cercando di capire se la sua torta era
ancora vagamente salvabile.
“Sì invece! A chi altri, sennò?!”
“A lei, magari?”
Bill le rivolse un’occhiataccia, piccato.
“Non è questo il punto.”
La torta nel mentre si era
completamente sgretolata tra le mani smaltate di lei.
Sbuffò, lanciando uno sguardo incattivito alle
briciole bruciate.
“Io so quello che va bene per lei! Sono suo padre! E
suo padre dice che Robin Paciock
è meglio!”
“Ma a lei piasce
l’altro!”
“Ma io tifo per Robin!”
Fleur fece evanescere a malincuore
la sua torta e poi si rivolse a Bill.
“I miei jenitori tifavano
per Viktor Krum!”
“COSA?!”
“Scerto! Aitonte,
bulgaro...”
“...dall’attraente monociglio
e l’accento incomprensibile…l’uomo perfetto!” concluse, isterico.
Fleur ridacchiò.
“È pur sempre tuo coniato! Abbi rispeto!”
“Io ho rispetto per Krummy! Ma provo pena per
Gabrielle! Cosa le ha fatto prendere per convincerla a
sposarlo?!”
“Non ho mai indagato” rispose assorta.
“Faresti bene a farlo!”
Fleur agitò una mano in aria, per far
cadere il discorso.
“Comunque questo era per
farti capire…i jenitori non hanno sempre rajione!”
“Io
sì!” disse andandosi a risedere sul divano, ponendo
così fine alla discussione.
Fleur sospirò.
Poi alzò le spalle e cacciò zucchero e farina
da un cassetto.
Quella torta di mele era diventata una questione di
principio.
*asciughising
sudore con asciugamanino*
Che parto è stato! XDDDDDD
Capitolo soffertissimo, parola di autrice
>.
Sono momenti come
questi che uno si chiede chi me l’avrà mai fatto fare di inventarmi tanti personaggi! XDD
Ringrazio tantissimo mem, redRon,
SiJay, Evan88, Saty, Giuggy, Silvia91, la Nonny
Giuly Weasley, sery
black, pinkstone e zio Tobia, Padfoot,
Redrum, Hermionina, Zia Funkia per le recensioni! ** Vi amo tantissimo miei
fedelissimi! XD
Grazie, grazie, grazie
non ci shono parole *v*!!!!
Ok, detto questo non posso
far altro che augurarvi un
Buonissimissimissimissimissimissimo
anno nuovo!
Speriamo che porti via
le cose brutte di quello vecchio e si porti dietro quelle
buone! XD
Ora...cotechino e
lenticchie sono pesantucci...perchè non vi
mantenete in forma a partire dalle dita? – le
dita longilinee sono sexy! XD - ??! XDDD
Vi adoro tanto, e
grazie di tutto!
Ancora auguri e baciottosi bacini baciotti potti! ^0^!