L’ora del Tè
-Dalamar, potresti portarmi dell’acqua calda?-
L’elfo scuro sollevò lo sguardo e lo puntò nella direzione
da cui era sopraggiunta la voce, un po’ rauca, bassa e gentile.
La donna che stava davanti a lui abbassò il calice che
stringeva in mano e battè un paio di volte le palpebre, apparentemente turbata.
-Chi accidenti…?- cominciò con voce incredula, posando il
calice colmo di un liquido scuro sul tavolo che le stava alla destra, per poi
passare una mano tra i riccioli corti e neri come la notte.
-Chi vuoi che sia?- rispose seccato l’elfo, imitando il
primo gesto della donna e dirigendosi verso una finestra sulla cui mensola si
trovava una brocca.
-Ma… la voce…- continuò la donna, disorientata, movendosi
con il leggero tintinnio della spada da cui mai si separava contro l’armatura
di scaglie di drago azzurro –non può essere lui- concluse, come se stesse
rivelando all’elfo la somma di due più due.
-E dire che sei sua sorella- commentò lui con un sorrisetto
sarcastico, per poi afferrare la brocca.
-Sorellastra- lo corresse acida, strappandogli il
contenitore dalle lunghe dita da mago. Apparentemente sorpreso, Dalamar lasciò
ricadere le braccia lungo il corpo.
-E tu…- fece la donna, squadrando l’elfo con quel suo tipico
sorriso furfantesco e affascinante, soppesando con la destra il trofeo
sottratto -…acconsenti ad ogni sua richiesta, in ogni momento, Dalamar?-
-E’ il mio Shalafi, Kitiara, e…- disse lui con
naturalezza, allungando un braccio in muta richiesta di aver restituito il
maltolto.
-…e poi ti piace fargli da cagnolino. E dire che non sei
così facile da domare, in altre…- si avvicinò a lui, fino a posare le labbra
sul suo collo per poi accostarle all’orecchio puntuto dell’elfo scuro -…
situazioni-
Questa volta la donna sembrava essere andata oltre. Rigido,
il mago si scostò da lei evitando il suo sguardo carico di lussuria, per poi
dirigersi verso l’uscita della stanza. La signora dei draghi lo osservò,
vincitrice ancora una volta, posando la brocca a lato dei due calici che ancora
rimanevano sul tavolo. Ma proprio mentre tra il lieve sussurro della sua
morbida veste di velluto nero incedeva il mago, deciso a porre fine alla
conversazione, si fermò di scatto, come pensando a qualcosa. Indugiò sulla
porta. Quindi si voltò, squadrando la donna con una cupa luce negli occhi
obliqui.
-Se anche tu avessi provato il tocco delle sue dita… non
staresti lì ad offendermi ed umiliarmi gratuitamente- la voce dell’elfo era
adesso solo un sussurro basso, tetro, a tratti nervoso come le dita bianche e
simili a ragni che ora si muovevano verso il davanti della veste nera.
-Oh, ti prego- fece Kitiara, sbuffando per poi
riprendere in mano il calice di vino elfica –non fai che mostrare quelle
disgustose cicatrici come un trofeo-
Dalamar abbassò la mano e strinse gli occhi scuri, lasciando
nascere sulle labbra perfettamente disegnate un sorriso quieto.
-Continua, prego- disse, in tono amabile, cercando di
respingere quelle parole arcane che ora gli venivano alla mente. Perché
scagliare un maleficio per qualcosa di così piccolo, e tipico della natura
umana di quella donna, come una provocazione?
-Dalamar…? L’acqua calda-
Questa volta la voce era stata interrotta da un secco colpo
di tosse, e sebbene ancora calma, vi si poteva notare una nota d’urgenza.
Dalamar si diresse deciso verso il tavolo. Kitiara si gettò su una delle
poltrone vicine al fuoco, esalando un teatrale sospiro.
-Sei noioso, elfo scuro- pronunciò, quindi fece per portare
alle labbra il calice. Ma fu fermata da dita agili, rapide e forti. Si ritrovò
il volto avvenente del mago a pochissima distanza.
-E tuttavia continui ad amarmi così spesso- lo sussurrò con
lieve sarcasmo ed avvicinando il volto così tanto da lasciare che le sue labbra
sfiorassero quelle vermiglie della donna. Lei le piegò in un vago sorriso,
prima di tentare un bacio passionale, venendo respinta da un identico sorriso
ironico.
-Per cui, evita di umiliarmi, o ti contraddirai- Dalamar
riprese quindi in mano la brocca, e si diresse ancora una volta verso l’uscita
della piccola stanza.
Furiosa, Kitiara balzò in piedi e con un sinistro bagliore
degli occhi freddi e scuri, afferrò il polso dell’elfo.
-Non ci provare mai più, reietto-
Aveva toccato il nervo scoperto, e lo sapeva. Non aveva
paura di provocarlo come non aveva paura della sua magia.
-Consiglierei la stessa cosa, traditrice- e
divincolandosi dalla presa della donna, soffocando il desiderio di
scaraventarla sul pavimento con cupo desiderio, posò infine la mano mancina
sulla maniglia della porta.
Soddisfatta dalla reazione, Kitiara bevve un sorso di vino
senza perdere di vista l’amante.
-Dalamar!-
Per la terza volta, la voce aveva perso la sua nota di
pazienza, e adesso suonava rotta e contornata da numerosi colpi di tosse. La
signora dei draghi sospirò.
-Và, Dalamar. Non puoi far tardare mio fratello all’ora del
tè, lo sai bene-
L’elfo fece una risatina sarcastica appena accennata.
Kitiara strabuzzò gli occhi. E così non voleva più rispondere alle sue
provocazioni? Maledetto elfo scuro!
-Oh!- esclamò quindi in tono da grande attrice –perdonami se
vi ho tenuti separati così a lungo! Che sciocca… come ho fatto a non pensare
che voi due siete sempre chiusi in questa torre, al buio, da soli…- sensualità
pura, quella che usciva dalle vermiglie e femminili labbra appena piegate a
formare un sorriso e che raggiungeva vellutata puntute orecchie d’elfo.
E ancora lui non rispondeva alcunché.
-Non avrò interrotto i vostri giochetti?-
-Hai colto nel segno, Kitiara-
E se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle, con un
sorriso soddisfatto e lo sguardo divertito, in cui brillava un segreto guizzo
di vittoria.
Dentro la piccola stanza, Kitiara aveva perso il sorriso, e
i suoi occhi scrutavano vacui dinanzi a sé, spalancati e colmi di orrore. Posò
il calice sul tavolo e scosse i corti riccioli, come se stesse cercando di
allontanare dalla mente pensieri assolutamente terrificanti.