Pareti

di Nahash
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Guardo questo candido soffitto e vorrei, eccome se lo vorrei, che la mia anima sia altrettanto candida.
Se dovessi pensare alla mia anima come soffitto penserei ad un muro, appena verniciato di nero che cola tinta.
Una tinta di una marca scadente che non si attacca alle pareti.
Un nero che persiste, non scolora e che ingoia superficie dopo superficie e cola, sempre più infondo fino ad annullare ogni membrana dell’essere puro.
Puro…una parola che sentivo spesso pronunciare dalla bocca di Basil, com’era bello sentire quella parola, considerarmi un angelo, l’ideale di bellezza, un canone d’arte.
Ed io Basil ho rovinato tutto allontanandomi da te e allontanando te dall’uomo che amavi, perché Basil sapevo che amavi il nostro caro vecchio Lord.
Anche tu mi amavi Basil, ero la tua arte, la linfa vitale che faceva scorrere il pennello sulla tela bianca.
Ora sono la piaga, la muffa che buca la tela, la pittura che si stacca, i colori che si accentuano ma…da toni cristallini e chiari diventano scuri e opachi e allo stesso tempo travolgenti.
Non mi resta che guardarlo questo soffitto nella speranza di ricordare un solo momento di quando ero ingenuo e inesperto.
Avrei voluto fossi tu ad insegnarmi cosa fosse la vita e invece tu eri troppo impegnato ad ammirarmi e a farsi che io diventassi la completezza della tua arte. Basil… entrambi abbiamo commesso degli errori. Tu continuando a rimanere immobile nella tua cieca contemplazione ed io per aver reso troppo movimentato la tua arte.




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