III
Una
seconda occasione (mai facile)
Ci
sono giorni in cui Harry sente di
poter affrontare qualsiasi cosa.
Giorni in cui
scoppia di salute,
buonumore, intuizione, ed è a suo agio ovunque. Il sole
batte
luminoso sulle finestre dello studio, mentre i problemi si risolvono
da soli.
Ma
ci sono anche giorni (soprattutto
certi anniversari) in cui qualcuno, lassù, decide di
filtrare i
colori del mondo sui grigi di un horror gotico: allora il background
si trasforma in cortina plumbea, fuori si addensano le nubi e la
grandine scalfisce i parapetti della terrazza, incrinando qualche
vetro. La casa sembra quella che era prima delle ristrutturazioni
–
un museo mancato, terra di fantasmi.
Balenano le
ombre di maschere che non
esistono più, la fronte si fa madida di sudore. Harry
s'affretta a
lasciare la stanza, computer acceso e conti aperti.
A
volte basta quello; due chiacchiere
al telefono o una birra in cucina con Bernard.
A volte no.
Lo
studio lo trattiene. I muscoli delle
gambe gli cedono con uno spasmo, la testa sembra esplodergli. Deve
aggrapparsi al bordo della prima cosa che capita e chiudere gli
occhi, sperando che passi presto; pregando che a Peter (a chiunque)
capiti di trovarlo.
Quando non
succede, maledice se stesso
per aver distrutto gli ultimi flaconi di incrementatori –
anche se
non ne ha più bisogno dopo il "Dottor Frankenstein"; anche
se ha un'idea molto chiara di quel che gli farebbero, dovessero
esserci... e il pensiero di Goblin, quello vero, gli strappa un altro
brivido.
Maledice
se stesso e suo padre e tiene
duro, perché sa di dover essere migliore di lui. Di avere
una vita
da vivere, persone da proteggere, una seconda occasione da cercare.