con lunghi capelli biondo scuro raccolti in due code
laterali.
La ragazza gli fece un profondo inchino.
“Che succede, Asmodeus?”, esordì lui.
“Un possibile contrattempo, altezza. La sorellona è stata catturata, ed è
costretta a lavorare per loro”.
Lamperouge si massaggiò gli occhi. “Mi hai disturbato inutilmente. Sono cose
che già so. Io so sempre tutto ciò che m’interessa. E già so che il suo
comportamento non può lasciarmi indifferente”.
La ragazza lo fissò perplessa, poi sembrò capire e si buttò faccia a terra.
“Perdono! Perdono!”, supplicò. “E’ tutta colpa di Lucifer! E delle altre! Non mi
hanno avvertito su cosa stavate facendo!”
“Non importa. Comunque, per non rendere inutile questo tuo intervento, dì
alle tue sorelle di andare avanti come previsto e tu sorveglia il triplo
giochista, in attesa dei miei ordini”.
Asmodeus ardì sollevare la testa. “E se le dovessero fare domande?”
“Non dirà nulla. Oppure mentirà. Lui ovviamente non le crederà, ma le carte
vincenti sono tutte in mano nostra. Crede di condurre il gioco ma si sta
sbagliando, è una persona troppo prevedibile. Come tutti i normali, del resto”.
“Hihihihihi! Si sbaglia eccome”, sibilò la ragazza mentre il principe tornava
sul palchetto.
****
“E con questo il mio rapporto è terminato”.
La voce di Gendo Ikari, seduto davanti ad un lungo tavolo, risuonò ampiamente
nella sala dove erano presenti gli ologrammi dei membri della commissione per il
perfezionamento dell’uomo.
I cinque uomini, seduti intorno al medesimo tavolo, si guardarono, poi si
volsero verso il loro capo, l’anziano Keel Lorenz.
“I danni subiti in quest’occasione sono stati davvero ingenti”, esordì
l’uomo, i cui occhi erano sempre coperti da un visore.
“Ben tre Evangelion danneggiati gravemente. Se sommiamo le spese attuali con
quelle passate, abbiamo speso quanto basta per portare alla bancarotta un
continente”, aggiunse il membro francese.
“Per non parlare dei danni subiti dal Geo-Front e dal quartier generale, e
l’esposizione del Central Dogma”, continuò l’americano.
“Per fortuna i piloti che hai messo insieme hanno imparato il gioco di
squadra. La loro azione a quattro contro il 14° Angelo è stata davvero
brillante”, ammise il russo.
“Ma siamo sicuri che il Fourth Children sia affidabile?”, obbiettò l’inglese.
“La sua mente è comunque entrata in contatto con quella di un angelo”.
“Come vi ho già illustrato, la mente del Fourth Children presenta una
situazione delicata. Si è ripresa piuttosto bene dall’invasione dell’angelo,
però deve essere evitato il più possibile ogni stress. Per questo non ho voluto
che fosse interrogata da voi. Nell’ultima battaglia l’abbiamo fatta intervenire
solo perché le cose si erano messe assai male”, spiegò Gendo.
“Comunque”, riprese Lorenz, “l’importante è che l’invasione del Central Dogma
sia stata evitata e l’angelo sconfitto. I tuoi servizi sono molto dispendiosi,
Ikari, ma almeno rendono”.
“Grazie del complimento”, rispose Gendo con un mezzo sorriso.
“Ad ogni modo bisogna terminare al più presto il nostro progetto. L’ultimo
angelo è arrivato veramente molto vicino alla nostra distruzione, quindi il
prossimo potrebbe essere fatale. Bisogna far bene e presto, Ikari. Non
deluderci!”, terminò l’anziano uomo scomparendo in simultanea insieme ai suoi
colleghi.
Rimasto solo, Gendo uscì dalla sala e raggiunse il suo ufficio, dove lo
attendeva Kozo Fuyutsuki, come sempre in piedi e intento a osservare dalla
grande finestra i lavori di riparazione del Geo-Front.
“Com’è andata?”
“Magnificamente. Non hanno sospettato nulla”, rispose Gendo sedendosi davanti
alla sua scrivania.
“Stai giocando col fuoco”, lo ammonì Kozo. “Qui è diverso dall’invasione
dell’11° Angelo. Lì ci siamo limitati a coprire un singolo evento, e loro ce
l’hanno fatta passare liscia perché il nemico era stato comunque sconfitto senza
che il quartier generale subisse il minimo danno. Adesso invece stiamo mentendo
spudoratamente su più cose, alteriamo enormemente i fatti e nascondiamo loro
informazioni che possono avere una rilevanza unica sull’andamento del progetto.
Se ci scoprissero, finiremmo in meno di un istante davanti a un plotone di
esecuzione, e dopo non ci concederebbero neanche una tomba”.
“Conto sul fattore imprevedibilità”, ribatté il comandante. “Non potrebbero
mai concepire che nascondiamo loro fatti così gravi. Né loro possono immaginare
eventi imprevisti di tale portata. Quei vecchi sono talmente fissati col loro
copione, a tal punto convinti che la storia sia già stata scritta sin nei
dettagli, che ingannarli si sta rivelando facilissimo. Li abbiamo in pugno.
A proposito, ricordami di fare i complimenti alla dottoressa Akagi e alla sua
assistente Ibuki. La loro ricostruzione della battaglia nel Geo-Front è stata
realistica, drammatica ed epica al punto giusto, e la computer grafica
eccellente, come per la registrazione del combattimento contro il 13° Angelo”.
Il vice-comandante lo squadrò. “Pensi davvero di poterti fidare di quella
Makinami?”
“E’ sotto controllo, non preoccuparti. Inoltre se tutto va bene, tra poco non
sarà più un’incognita”.
“E cosa intendi fare con i genitori di Kirishima Mana?”
“Ho provveduto a farli informare con le stesse cose dette ai vecchi della
commissione. Non hanno motivo di non crederci”.
“Tutto sotto controllo, eh? Allora lascia che ti chieda un’ultima cosa: il
Third Children intende andarsene. Tu non vuoi fermarlo?”
“Quel ragazzo può fare quello che vuole”.
“Quel ragazzo ha perso il suo tasso di sincronia. Se poi decidesse di
restare, cosa ne faremmo?”
“Questo dipende da lei”, finì Gendo tirando fuori un documento e iniziando a
leggerlo.
Il messaggio era chiaro: adesso ho altre faccende di cui occuparmi.
Perciò Kozo riprese a guardare fuori dalla finestra.
“Hai proprio deciso?”
Shinji, con uno zaino sulle spalle e una valigia in mano, distolse lo sguardo
davanti all’espressione supplichevole di Misato.
“Sì, Signorina Misato. Ora che ho anche perso il mio tasso di sincronia con
lo 01, non ho più motivo di restare qui”.
“Ma non sappiamo ancora cosa è successo. Forse puoi riacquistarlo. Lasciamo
fare a… Ritsuko”.
Misato pronunciò l’ultimo nome come se sputasse fuori qualcosa di molto
amaro.
“Ormai ho deciso. Non voglio più stare qui. Addio, signorina Misato”, disse
Shinji aprendo la porta e uscendo.
“Shinji!”, lo richiamò il maggiore, che fece per mettergli una mano sulla
spalla.
“Non mi tocchi!”, chiese, anzi, comandò il ragazzo, lasciando ammutolita la
sua tutrice.
“Saluti gli altri da parte mia”, concluse prima che la porta si chiudesse
dietro di lui.
Rimasta sola, Misato andò nella camera di Asuka.
Stava per bussare, ma l’altra la prevenne. “Ho sentito che quell’idiota se
n’è andato! E non me ne frega niente! Va a ubriacarti e lasciami in pace!”.
La donna allora si recò nella stanza di Shinji, trovandola svuotata.
Il ragazzo non aveva neppure rifatto il suo letto.
Dopo aver contemplato per diverso tempo la stanza vuota, rassegnata si cambiò
e uscì di casa per recarsi alla base.
Shinji camminava sotto il sole cocente, era sudato ma non se ne curava.
Aveva anche rifiutato di essere accompagnato in auto.
Comunque non era troppo lontano dalla stazione, che già cominciava a
intravedersi.
Sussultò al rumore di un clacson e prima che potesse girarsi, fu affiancato
da una macchina sportiva.
“Signor Kaji!”
“Ciao, Shinji. E’ una vita che non ci si vede”, lo salutò l’uomo.
“Infatti. Comunque io adesso andrei di fretta…”
“Sono stato informato da Misato, e so anche che il tuo treno arriva tra solo
un’ora. Che ne dici di fare una chiacchierata?”
“Mi scusi, ma non ho proprio voglia di stare in auto”.
“E chi ha detto che dobbiamo stare in auto? Lì c’è una piazzola”. Kaji indicò
con la mano un punto panoramico.
“Non ho neppure voglia di parlare”, aggiunse Shinji.
“Fai come vuoi. Io vado a parcheggiare”.
Kaji piazzò la sua macchina nell’area di sosta, scese e si appoggiò alla
portiera accendendosi una sigaretta.
Asuka stava sdraiata sul suo letto.
Le finestre erano chiuse, il pavimento disseminato di oggetti.
“Sono stata sconfitta… Sono stata sconfitta…. Sono stata sconfitta…”,
mormorava a testa bassa la ragazza.
Con uno scatto si mise a sedere, come se attendesse chissà cosa.
Poi scese dal letto, afferrò la sua cartella e cominciò a sbatterla con forza
crescente contro la parete.
“Sono stata sconfitta! Io! Non una, non due, ma tre volte!!! Sconfitta da
degli angeli schifosi e da mocciosi di merda!!!”
A furia di colpire, ruppe la cartella, allora la scagliò per terra e uscì
furente dalla sua stanza, andando in quella di Shinji.
“E’ tutta colpa tua! Lurido schifoso! Maniaco! Egoista! Inaffidabile!”, gridò
tirando via le lenzuola di quel letto sfatto e rovesciando il materasso.
Kaji aspirò un tiro della sigaretta.
“Peccato che tu sia minorenne, te ne offrirei una”, disse a Shinji, seduto
affianco a lui sul parafango.
“Se lo risparmi. Non la accetterei neppure se fossi maggiorenne”. Shinji
guardò l’orologio. “E si sbrighi a farmi il solito discorsetto. Mancano
cinquanta minuti all’arrivo del mio treno, ma il tempo passa velocemente”.
Kaji lo guardò un po’ sorpreso, poi riprese subito la sua sicurezza. “Non c’è
molto da dire. Solo una domanda: perché te ne vuoi andare?”
“Ho perso la sincronia con l’Eva. Quindi non sono più utile”.
“Francamente, mi sembra più una scusa che hai scelto per giustificarti
davanti agli altri. Ciò che è stato perso, può essere ritrovato, specialmente
con l’aiuto di uno staff come quello di Ritsuko”.
“Posso risparmiare loro il lavoro. Ritengo che anche senza di me non
cambierebbe nulla. Anzi, starebbero pure meglio”.
“Non dire così, Shinji. Dovresti avere più fiducia in te stesso”.
Shinji abbassò il capo.
“Finora hai compiuto diverse imprese, che dimostrano come tu sappia essere
coraggioso”, continuò Kaji.
L’altro tentò di zittirlo, ma dalla bocca gli uscì qualche mugugno
incomprensibile.
“Per salvare Ayanami, sei salito sullo 01 senza neppure sapere cosa fosse un
evangelion”.
Una mano di Shinji fremette.
“Hai affrontato il 4° Angelo con la riserva energetica sul punto di scadere”.
Stavolta il fremito arrivò alle spalle.
“E sei riuscito a salvare ancora Ayanami e anche tutto il mondo quando hai
sconfitto il 5° Angelo”.
Il fremito si ripeté più forte.
“Se non fosse stato per te, Asuka sarebbe morta sul fondo di quel vulcano”.
Il corpo di Shinji sussultò.
“E nelle battaglie successive il tuo apporto è stato fondamentale. Senza
contare che contro l’Eva…”
“LA SMETTA!!!!”, strillò Shinji afferrando Kaji per il bavero della camicia
con entrambe le mani.
“La smetta con queste cazzate! Io non sono un eroe! Perché cercate di
convincermi del contrario!? Io sono solo uno sporco egoista! Salvare la mia vita
è l’unica cosa che m’importa veramente! La smetta di dire che ho aiutato gli
altri!”
Kaji non sembrò impressionato da quella reazione. “Se davvero avessi agito
per egocentrismo, non saresti mai più salito sull’Eva dopo il combattimento col
3° Angelo, e la tua occasione per andartene l’hai già avuta, mi pare.”
La stretta di Shinji si fece più forte.
“Le motivazioni degli uomini non sono mai pure, Shinji. Ogni uomo è
complesso, cosi come sono complesse le sue azioni. Comunque contro l’Eva-04…”
Shinji lanciò un urlo di rabbia e disperazione, e diede a Kaji un pugno sulla
guancia.
Con quel pugno, il giovane sembrò restare come pietrificato mentre l’altro,
con la testa leggermente girata di lato, lo guardò impassibile.
“Avevo visto giusto”, commentò l’uomo osservando Shinji che si lasciava
cadere a terra, del tutto privo di energie.
“Stronzo! Ecco cosa si merita una merda come te!”, esclamò Asuka con perfida
soddisfazione uscendo dalla stanza di Shinji.
La ragazza andò in cucina e cominciò ad armeggiare con il cibo e le padelle.
“Io non ho bisogno di niente e nessuno! Sono la grande Asuka Soryu Langley,
la migliore in circolazione! So badare a me stessa, da sempre! Anche adesso, chi
se ne frega se non so cucinare! Io imparo tutto! Ti ho osservato tante di quelle
volte, merdoso di uno Shinji, e ho imparato a cucinare mille volte meglio di te!
Adesso mi preparo un pranzetto con i fiocchi. E tu, che te ne sei andato, non lo
assaggerai mai e poi mai! Peggio per te, avrebbe reso la tua vita almeno un po’
meno schifosa!”
Shinji aveva preso a singhiozzare sotto gli occhi sempre impassibili di Kaji.
L’uomo della Nerv gli mise le mani sulle spalle. “Perché, Shinji? Cosa ti è
accaduto quella volta?”
Trascorse diverso tempo, come se non volesse rispondere.
Poi, dando l’impressione di doversi cavare con la forza le parole di bocca,
sussurrò: “Per… quello che… ho… fatto…”
“Per quello che hai fatto? Tu hai fatto quello che dovevi, hai combattuto
contro l’angelo, non è stata colpa tua quello che è successo dopo. Lo 01 era
guidato dal Dummy Plug, non lo controllavi. Almeno hai fatto tutto il
possibile”.
“Non è vero!”
Shinji alzò la testa, i suoi occhi grondavano di lacrime e disperazione.
“Non è vero… perché io… me ne fregavo di Kirishima in quel momento! Pensavo
solo a me stesso! Non a lei! Non… Non volevo pensare a lei!”
Kaji spense la sigaretta e la buttò via.
“Che Dio mi perdoni… perdoni una persona orribile come me… Non ero mai
arrivato ad una cosa del genere… Neppure nei confronti di mio padre… Solo quando
ho visto l’orrore compiuto dallo 01… solo allora ho capito che stavo compiendo
un orrore ancora più grande… e se non fosse stato per quella misteriosa persona…
ora sarei un assassino!”
“Perché non volevi pensare a lei?”
“Per vendetta...”
“Vendetta?”
“Si… lei ha rifiutato di farmi… un favore che le avevo chiesto e a cui tenevo
molto”.
Kaji rimuginò un po’. “Prima o poi, tutti cadiamo, Shinji. Ora hai scoperto
quanto basso possono cadere gli esseri umani. Hai sbagliato, ed è proprio
sbagliando che s’impara a non cadere più. Inoltre è proprio in questo momento
che devi pensare agli altri”.
“Quali altri?”
“Quelli che ti vogliono bene”.
Shinji scosse la testa. “Chi può volere bene a una persona sporca come me?”
“Lo sai che ci sono. Loro tengono a te, e ti aiuteranno. Allo stesso modo le
aiuterai tu. La vita è così, è fatta di relazioni tra tutti noi, che non siamo
fatti per la solitudine”.
“Io lo so a chi si riferisce. Alla signorina Misato, a Toji, Kensuke, Ayanami…
Sì, loro mi vogliono bene. Ma non possono aver bisogno di me. Sono persone in
gamba, una nullità come il sottoscritto non potrebbe fare nulla per loro”.
“Non stai dimenticando qualcuno?”
Shinji lo guardò negli occhi. “Intende dire… no, è impossibile. Lei è
l’ultima persona al mondo che può avere bisogno di me!”
“Perché lo ritieni impossibile? Da cosa lo deduci?”
“Lo so perché… perché sì”.
Kaji fece alzare il ragazzo e gli prestò un fazzoletto per le lacrime.
“Nessuno ti costringe. Io ti consiglio solo di fare un tentativo per capire se è
davvero così. Se avrai una sola prova del contrario, allora non avrai scusanti
per la tua fuga, salvo che tu non voglia restare per sempre una persona sporca”.
Kaji risalì sulla sua macchina e andò via.
La sera era ormai calata, l’appartamento di Misato era silenzioso.
Fino a quando Shinji non rientrò, con un passo lento, come se rimuginasse a
ogni movimento.
“E va bene, signor Kaji, tentiamo”, disse tra sé e sé sospirando.
Entrò nella sua camera, trovando il letto rifatto.
“Strano, stamattina l’ho lasciato così com’era. Sarà stata la signorina
Misato?”
Avendo sete, andò in cucina, e grande fu la sua sorpresa quando vide che la
tavola era apparecchiata per una persona.
Un grosso piatto, con un coperchio sopra, era stato messo al posto dove
Shinji era solito sedersi.
“La mia… cena?!”
Sollevò il coperchio: i cibi nel piatto erano in parte giapponesi, ed erano i
suoi preferiti, e in parte erano wurstel con verdure fritte.
“Wurstel?!”
Fu preso da un sospetto, che ritenne assurdo ma comunque lo spinse a correre
nella camera di Asuka, bussò lievemente, non ricevette risposta e allora aprì
lievemente la porta.
La sua coinquilina dormiva rannicchiata sul letto, e sulle mani aveva
qualcosa che Shinji avrebbe riconosciuto tra mille cose diverse, perché a lui,
quando muoveva i primi passi in cucina, era successo diverse volte: sulle dita
di Asuka c’erano tanti cerotti.
Quella vista lo lasciò impietrito.
Quando una piccola sveglia suonò la mezzanotte, Kaji compose un numero di
cellulare.
Dopo qualche attimo di attesa, dall’altra parte una persona rispose.
“Misato Katsuragi”.
“Ciao Katsuragi, sono io”.
“Kaji? Perché mi chiami a quest’ora? Che è successo?”
“Non è successo niente a casa tua che ti faccia immaginare il perché?”
La risposta di Misato giunse accompagnata dalla sorpresa. “Allora è stata
opera tua? Io ancora mi stavo chiedendo come mai Shinji era ritornato, non ho
osato disturbarlo perché tornando dalla base, l’ho trovato che dormiva come un
ghiro”.
“Gli ho solo dato una spinta nella giusta direzione”, rispose con spavalderia
Kaji, che raccontò il suo incontro con Shinji.
“Dunque le cose stanno così”, commentò il maggiore della Nerv.
“Sì. Per questo quel ragazzo ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino. Devi
aiutarli, Misato. Sei l’unica vera alleata dei Children alla Nerv”.
“Non ci sei anche tu?”
Rioji Kaji guardò il suo cellulare come se volesse spegnerlo, però si fece
forza. “Sì, Misato, ma per il mio futuro non c’è certezza. Posso solo
prometterti che farò di tutto per tornare”.
“Che significa?”, domandò l’altra con un’ansia quasi palpabile. “Dove devi
andare?”
“Meno cose sai di questa faccenda, meglio è. Ascolta, lo so che sei
sorvegliata, hai peccato d’ingenuità. Per questo ti sto chiamando su una linea
criptata. Ti manderò un messaggio sul cellulare con un codice che ti permetterà
di entrare nei Magi senza che Ritsuko o qualcun altro se ne accorga. Da lì
scoprirai quello che t’interessa sapere, è il mio ultimo regalo, sappilo
sfruttare. Se poi… se poi ci dovessimo incontrare ancora, ti dirò le cose che
non sono riuscito a dirti otto anni fa. Ciao”.
Kaji chiuse il contatto bruscamente.
Non era da lui chiudere il telefono in faccia alle persone, specie alle belle
donne.
Però più sentiva la voce di Misato, più gli veniva la voglia di mandare al
diavolo l’ultima missione per correre da lei e costruire una vita insieme.
Non poteva farlo.
Tirò fuori un foglietto con sopra il nome di una località.
“Va bene, minaccia sconosciuta. Cominciamo a giocare”.