Damon
era italiano, nonostante avesse girato tutto il mondo e fosse
perfettamente in grado di spacciarsi per americano, francese, spagnolo,
o qualunque altra nazionalità volesse.
Era
italiano, lo suggeriva il suo cognome, lo suggerivano i suoi vestiti,
la sua auto, il suo senso dell’onore, la sua passionalità
e, proprio come nei migliori stereotipi, la sua capacità di
cavarsela in ogni situazione.
Aveva
girato tutto il mondo e scelto il meglio di ogni epoca, il meglio di
tutto … grazie alla sua capacità di saper individuare a
pelle quando qualcosa di bello stava per sfiorire, come una
fanciulla ormai troppo matura.
Aveva più volte adorato questa sua capacità innata, una sorta di sesto senso.
Gli era servito molte volte nell’arco della sua via, nell’arco della storia.
Era
grazie a questa capacità che aveva lasciato la Francia prima
della fine della Belle époque, o l’Europa prima dello
scoppio della seconda guerra mondiale.
Già, quella sua qualità istintuale gli era più comoda persino del suo altissimo gusto estetico.
Era
dedito come qualsiasi buon edonista -d’altronde era stato lui a
insegnare a Wilde- alla ricerca della bellezza e del piacere.
Sogghignò
tra sé e sé, comodamente sdraiato sul divano del
Pensionato, il suo Angelo rappresentava di certo la bellezza, secondo i
più classici dei canoni, e in fondo lui era un classico e un
nostalgico.
La
pelle rosea , le labbra rosse come le fragole mature, i capelli di
grano … c’era una canzone in Italia che parlava di una
bellezza simile, era una canzone di Napoli, così famosa che
forse la conosceva anche il suo fratellino*.
Mentre rifletteva su questo si lasciò andare all’oblio del sonno.
Mezz’ora dopo Damon si svegliò di soprassalto.
Aveva fatto un sogno davvero strano.
C’erano lui e Stefan fanciulli, che giocavano con un vecchio calderone.
Avevano
appena studiato con il loro maestro il mito della creazione della donna
e insieme avevano intensione di creare la loro donna perfetta.
Avevano
chiesto ad una delle cuoche di prestar loro una grossa pentola e
avevano rubato dalla biblioteca personale del loro curato un libro che
questi aveva confiscato ad una delle figliolette di una servetta giunta
alla tenuta da terre lontane: a quanto pareva era un libro di
stregoneria.
E lì avevano trovato una “ricetta”.
Avevano cercato d’interpretare, molto spesso inventando, le parole di quel linguaggio strano.
Ne erano venute fuori delle istruzioni.
-Scaldare dell’acqua fresca di pozzo
-Mettere le ali di una farfalla
-Aggiungere un ingrediente per il colore della pelle (in caso di particolari sfumature mischiare prima gli ingredienti tra loro)
- Un altro per l’odore e il sapore della pelle
-Un altro per il colore delle labbra
-Uno per il sapore dei baci
-Uno per il colore degli occhi
-Uno per quello dei capelli
-Un fiore per la personalità
Stefan,
come sempre scrupoloso ed attento, aveva usato nell’ordine
una rosa rosa, una ciliegia, del cioccolato (nonostante fosse diffuso
all’epoca, ma era un sogno), acqua pura, grano dorato e un mix di
fiori: garofano porpora, calla, cisto, magnolia.
Lui
invece si era divertito a mischiare gli ingredienti: aveva raccolto
solo i fiori che lo ispiravano e poi il suo frutto preferito.
Aveva
messo del latte caldo, poi delle fragole,una rosa rossa , e ancora una
fragola con del miele, aveva rubacchiato a suo fratello un po’ di
cioccolato, poi aveva messo ancora una fragola e per finire, tutti
insieme mughetti, margherite, fiori d’arancio e fiordalisi.
«Ma così ha mischiato tutto!» aveva protestato il giovanissimo Santo Stefano.
«Così è più divertente » gli aveva risposto facendogli l’occhiolino.
Era chiaro che nella “ricetta” del suo fratellino il denominatore comune fosse Elena, o Katherine.
Si alzò e prese uno dei libri della signora Flowers che aveva notato il giorno prima: parlava dei significati dei fiori.
Garofano porpora: capriccio.
Calla: bellezza.
Cisto: successo, popolarità.
Magnolia: bellezza superba.
Sì, senza dubbio quei fiori ben descrivevano le due bionde.
Poi penso alla sua “ricetta”.
Senza dubbio doveva aver abusato di fragole, e questo gli suggerì un solo volto: la Streghetta.
Un
po’ titubante persino con se stesso passò ad analizzare:
pelle chiara come il latte, che profumava e sapeva di fragola, le
labbra rosse, e i baci di fragola e miele, gli occhi cioccolato, e i
capelli rosso fragola.
Controllò sul libro.
Mughetto: verginità.
Margherita: semplicità, spontaneità, freschezza, bontà.
Fiore d’arancio: purezza, innocenza.
Fiordaliso: delicatezza.
Damon rimase quasi turbato da quel quadro così inequivocabile.
Sentì una piccola mano bussare alla porta e andò ad aprire prima di sentire un secondo colpo.
«Ciao, Damon … Elena è in casa?»
Fece il suo sorriso furbo e la vide arrossire lievemente, compiaciuto.
«Ciao anche a te Uccellino.», le disse avvicinandosi per imbarazzarla.
Quando il volto di Bonnie era praticamente in fiamme continuò:
«Elena
e il mio fratellino sono usciti … credo che dovrai accontentarti
di me, sono rimasto solo!», ammiccò e contemporaneamente
sentì il piccolo cuore della rossa perdere un battito e poi
accelerare …
Ancora una volta il suo istinto non si era sbagliato: era davvero più divertente così.
Sorrise
tra sé e sé mentre faceva cenno ad una Bonnie, con la
pelle dello stesso colore dei suoi capelli, di entrare.
*La canzone in questione è la canzone napoletana Comme facette mammeta.
Dopo
aver postato questa ... cosa, vado a nascondermi, per chi avrà
ancora voglia di seguirmi dopo quest'obbrobrio, ci vediamo
giovedì con l'aggiornamento settimanale de Il Legame.