Attimo di panico
Questa fanfiction l’ho scritta di getto forse cinque anni fa,
subito dopo aver visto l’episodio in cui appare la scena in
questione. Carter è il mio personaggio preferito, e a
vederlo in quella situazione non ho saputo resistere a buttare
giù una descrizione personale della scena. Dato che
l’ho scritta così tanto tempo fa forse
è un po’ contorta e non bella stilisticamente, ma
ho deciso di pubblicarla perché la sezione dedicata a ER mi
sembra ancora un po’ vuotina.
Recensite per favore!!! Questo è un appello a tutti i fan di
Carterino e di ER in generale!!!
Fu allora che lo vide, o meglio, ne sentì la voce alle sue
spalle. Abby aveva fallito, non era riuscita a proteggerlo e ora,
mentre vedeva i suoi occhi sbarrarsi e le sue membra irrigidirsi, non
sapeva cosa fare per confortarlo. Tentò di prendergli la
mano, per sottrarlo a ciò che stava per vedere, ma ormai era
troppo tardi, si stava girando lentamente, quasi non volesse credere a
ciò che la sua mente gli diceva.
Il paziente stava nel mezzo del corridoio, seduto sulla lettiga, con la
moglie e un agente al fianco. L’immagine lo colpì
come una secchiata di acqua gelida, scatenandogli brividi in tutto il
corpo e mozzandogli il respiro. Nel volto dell’uomo riconobbe
quello stesso volto che, negli ultimi due anni, aveva imperversato nei
suoi incubi più neri.
Aveva lottato con forza contro quel ricordo, che ora gli riaffiorava
alla mente e si spingeva di prepotenza tra i suoi sentieri,
invadendoli. Rivisse, in un lampo, ogni momento straziante di quella
sera, due anni prima, quando quell’uomo gli aveva rovinato la
vita. Si ritrovò di nuovo nel buio della sala emergenze,
circondato dal cicaleccio dell’ospedale, ma senza la forza di
pronunciare una sillaba. Rivide gli occhi di Lucy che imploravano
aiuto, che lo pregavano di salvarla, risentì il sapore del
sangue sulle labbra, lo stesso sangue che si spandeva sul pavimento
mischiandosi a quello della tirocinante.
Abby, che gli stava al fianco, vide il suo volto cambiare in un attimo.
L’espressione da ragazzino, lo sguardo giocondo, il sorriso
onnipresente sparirono d’un colpo, e il suo viso
invecchiò di dieci anni. Gli occhi divennero vacui e si
riempirono di muto terrore, gli si serrò la mascella e il
suo corpo si immobilizzò.
Anche il paziente, allora, lo vide. Seguì un momento di
silenzio, quasi impossibile in un ospedale grande come quello, che
sembrò durare un’eternità, poi il
paziente e sua moglie cominciarono a balbettare scuse “ Ero
malato, ma ora mi sto curando, sono libero, e ho ripreso la mia vita
normale, mi dispiace immensamente per quello che le ho
fatto…”
Carter non stava ascoltando, o non diede segno di aver udito le loro
parole. Stava semplicemente lì, fermo, fissando
l’uomo sulla lettiga, immobilizzato dal terrore cieco che gli
impediva di pensare.
Finalmente il paziente e la moglie si zittirono, e Carter si scosse
dalla sua innaturale immobilità. Tentò di dire
qualcosa, ma un suon strozzato gli morì in gola. Ci
riprovò, e sputò fuori queste quattro parole, che
gli esaurirono le poche energie rimanenti dopo quel terribile incontro
“Sono felice per te”. Di colpo, esausto,
scappò via, dirigendosi quasi di corsa verso i bagni.
Abby, incredula, era rimasta ad osservare tutta la scena, e anche ora
faticava a credere ai propri occhi. Lanciò
un’ultima occhiata al paziente, che ora confabulava sottovoce
con la consorte, e si diresse con passo incerto verso la porta dietro
la quale aveva visto sparire Carter.
Bussò piano, inizialmente, ma si rese conto che non sarebbe
servito a nulla, quindi aprì delicatamente la porta scura.
Carter era crollato, stava accasciato a terra e le sue spalle erano
scosse dai singhiozzi. Abby non sapeva cosa fare, poteva solo stargli
vicino. Gli si inginocchiò accanto e gli prese la mano.
Carter, d’impulso, la strinse.
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