Salagadula megicabula biddibi boddibi bu
fa la magia tutto quel che vuoi tu
biddibi boddibi bu.
Era seduto fra Arthur Weasley e
una signora con i capelli raccolti a guisa di nido d’uccello, stretta in un
abito a pois bianco e blu e con un naso peggiore del suo. Almeno lui era un
uomo, pensava. Weasly portava il suo solito vestito delle feste in fresco di
lana color tortora vecchio stile con una cravatta che faceva a pugni col mondo
intero (i Weasley non brillavano certo in eleganza ed era noto che il loro
guardaroba veniva tramandato di generazione in generazione fino all’usura
definitiva). Molly, seduta un posto più in là, si era fatta più presentabile
possibile, con un velo di trucco e un foulard colorato a nascondere la mancanza
di gioielli. Poveri ma felici, questi erano i Weasley. Severus alzò le
sopracciglia in un gesto di pacata tolleranza. Era rinchiuso in quel piccolo
teatro in attesa della recita di fine anno: non aveva potuto sottrarsi
all’invito , anzitutto perché era la prima recita a cui Harry prendeva parte e
in qualità di tutore aveva ricevuto la richiesta ufficiale dell’insegnante, in
secondo luogo perché Harry ci sarebbe rimasto davvero troppo male se avesse
declinato l’offerta. E forse le due motivazioni andavano espresse nell’ordine inverso.
Terzo anno scolastico insieme al
moccioso, figlio di quel James che gli aveva reso l’adolescenza un incubo
peggiore di quella che sarebbe stata già di per sé; figlio di Lily, la sola
persona per cui avrebbe dato la vita se solo fosse riuscito ad arrivare in
tempo a Godric’s Hollow quella maledetta notte di sette anni prima. Sentì una
mano posarsi sul suo braccio.
- Tutto bene Severus? – Molly si
stava preoccupando per lui… di un ex Mangiamorte seduto su una poltrona
imbottita di velluto in un teatrino di periferia e circondato da genitori
babbani. Suonava tutto così assurdo a pensarci bene.
- Sto bene Molly grazie. –
- So che non sei abituato a
queste cose ma vedrai che ti piacerà. Harry era tutto eccitato al pensiero che
saresti stato fra il pubblico. – E gli fece l’occhiolino prima di rimettersi
dritta al suo posto. Il professor Piton sollevò l’angolo della bocca in una
specie di sorriso di compiacimento. In realtà credeva di essere seduto sui
carboni ardenti. Quella uscita pubblica lo metteva in difficoltà: meno male che
presto le luci si sarebbero spente e che i suoi immediati vicini non avevano
l’aria delle persone loquaci. Astutamente si era tenuto distante da quelli che
aveva individuato subito come possibili minacce. Aveva notato qualche sguardo
curioso su di sé, inevitabile considerato il fatto che non partecipava alla
vita della scuola. Il suo aspetto poi non poteva passare inosservato. Sebbene
avesse lasciato il mantello per una giacca nera senza collo e avesse raccolto i
capelli in un codino che gli dava un’aria, suo malgrado, un po’ dandy, non si
poteva evitare di posare gli occhi su quell’uomo alto, ben fatto e di
portamento elegante. Un non so ché di nobile sembrava provenire da
quell’individuo che si diceva fosse il tutore di uno degli alunni, quel bambino
sfortunato che aveva perso i genitori nel rogo della propria casa. Un tipo di
poche parole, che si diceva facesse l’insegnante in una scuola privata in una
non ben precisata località britannica e di cui il bambino parlava sempre con entusiasmo.
- Non bello ma ha quel non so che
di fascino tenebroso non credi? – questo era uno dei commenti che aveva
percepito al suo arrivo con i Weasley.
– Chissà se è sposato. –
- Mi pare di no, sembra che il
bambino non parli mai di figure femminili in casa. Guarda, non porta alcun
anello. –
- E’ un peccato non trovi? –
- Avrà un carattere tremendo. –
- In effetti non ispira molta
simpatia, ma potrebbe essere un tipo riservato… -
Molly sorrideva a quei pensieri
espressi a voce alta, le mamme sanno essere terribili in fatto di uomini.
Severus aveva fatto finta di non sentire ma le sarebbe piaciuto capire se tutto
quel parlottare di lui in toni così inusuali gli facesse piacere. Conoscendolo
probabilmente no. Lei era abituata ai pettegolezzi frivoli, con sette figli ne
aveva avute di occasioni di mescolarsi alla gente comune. Non ci aveva mai più
di tanto fatto caso ma questa volta lo trovava divertente. Ci provarono in due
a presentarsi: Severus rispose educatamente ma senza incoraggiare alcun ulteriore
approccio. Molly per un attimo si sentì perfino una privilegiata: era l’unica
donna in fin dei conti che poteva accompagnarsi all’enigmatico signore in nero
così da vicino. Era pronta a scommettere che tra quelle linguacciute donnette
ce ne sarebbe stata qualcuna che avrebbe fatto carte false per essere al suo
posto.
Severus cominciava ad avere
caldo: le poltrone erano troppo appiccicate, il soffitto basso e la gente in
soprannumero per i suoi gusti. Decisamente non erano luogo e clima adatti a lui. Per fortuna che la donna col
naso a becco se ne stava tranquilla e impettita al suo posto facendo da
barriera ad eventuali importunatici: con la coda dell’occhio aveva notato che
qualche testa ogni tanto si girava ad osservarlo. Perché quel benedetto spettacolo
non iniziava? Per ingannare il tempo si concentrò su Harry:
- Severus, Severus, faccio il topo! –
- Il topo? Non ci troverei nulla di divertente a fare la parte di un
topo. I topi non sono in cima alla mia classifica di gradimento… –
Il bimbetto lo aveva guardato deluso. Severus, non era questo quello
che lui si aspettava. Avresti dovuto rispondere: “Fantastico Harry, un topo!”.
Ma il professor Piton con Harry non era capace di mentire, con Harry e coi
bambini in generale. Lui non era abituato ad avere a che fare coi bambini,
ecco. Poppy lo avrebbe bacchettato all’istante. Si corresse.
- Beh ma tu sarai un topolino… con orecchie e coda… insomma un topolino
è… un animaletto simpatico, spaventa le signore…e poi è ghiotto di formaggio
proprio come te… – si stava scavando la fossa da solo e non sapeva come
uscirne. - E’ una storia di animali? – ecco, meglio correggere la rotta.
- Ma no, è la storia di Cenerentola e io faccio il topo che viene
catturato ma poi diventa suo amico..- Harry aveva sbuffato come a dire che lui
non capiva niente di quelle cose lì. Le cose che lui chiamava babbane. Severus
non aveva idea di chi potesse avere un nome così triste come Cenerentola.
- Tu vieni a vedermi vero? – ecco, questa era la cosa più importante.
Ad Harry probabilmente non importava di fare il topo o il giaguaro…. per lui era fondamentale che
il suo tutore fosse presente. Non occorreva essere laureati in pedagogia per
questo.
- Vero che vieni? – Doveva rispondere subito, Harry non ammetteva
rinvii.
- Sì, ci sarò. – Il piccolo gli era piombato addosso facendogli quasi
perdere l’equilibrio: non aveva più nessun pudore a manifestargli il suo
affetto. Adesso gli arrivava alla pancia e riusciva a circondargli i fianchi
con le braccia. Guardò in su: -Sei il mio tutore preferito!- Era una specie di
sigillo: Severus non avrebbe potuto mancare di parola per niente al mondo.
Il chiacchiericcio in platea non
accennava a diminuire, Arthur e Molly sembravano perfettamente a loro agio e la
signora a pois non si era mossa di un centimetro. Ma respirava? Gli venne il
dubbio che fosse un manichino. Non seppe mai nemmeno lui perché le rivolse la
parola:
- Suo figlio recita? – Lei si
girò lentamente, era decisamente una brutta donna, cioè era il suo aspetto che
non gli piaceva, non i lineamenti che nell’insieme avevano una loro grazia
severa:
- Non ho figli, sono la tutrice.
E trovo queste recite una pagliacciata e una stupida perdita di tempo. Martin
dovrebbe essere a casa a studiare violino. Lei ha qualcuno che recita? – Gli
parve una specie di regina delle nevi, fredda e senza cuore. Anche lui era un
tutore. Provò un sentimento di ripulsa e la risposta gli venne di getto,
altrettanto glaciale: - Sì, mio figlio
fa il topo. – Poi le luci si spensero e Severus ne fu eternamente grato.
Era un musical. Per Merlino,
peggio di così non poteva andare. Canzoncine e balletti: un mix micidiale. Tra
l’altro aveva saputo che nella storia c’erano anche una fata e degli
incantesimi, con quella formula magica, quella saltalabula o giù di lì. Che baggianate. Quando i babbani si
mettono a parlare di magia… Severus tremava già al pensiero delle stupidaggini cui avrebbe dovuto assistere
senza poter proferir parola. Però Harry se la stava cavando bene a suo parere. L’uomo aveva sentito una specie di piacevole
danza nello stomaco quando il bambino era apparso in scena la prima volta: che
fosse orgoglio? In fin dei conti, quell’esserino vestito da topo, iniziava ad
essere qualcosa di più di un semplice incarico. Quell’esserino ricoperto di
pelliccia marrone che inciampava ogni tanto nella coda e parlava sbadigliando
perché doveva dare l’impressione di essere sempre un po’ addormentato, era
stato capace di rimettergli in moto il cuore. Sì, ne era orgoglioso e
guardandosi attorno non si sentì tanto diverso dagli altri genitori in
platea. Riconobbe appena Ron Weasley: a
lui era capitata una parte un po’ infelice: faceva il valletto del re, era
impacciatissimo con quei pantaloncini a sbuffo e doveva parlare col fischio. Eppure
Molly e Arthur lo incoraggiavano, e lo guardavano con la stessa soddisfazione
con cui lo avrebbero guardato recitare la parte del principe Amleto (Eileen
aveva letto a Severus tutte le opere di Shakespeare e lui, fra tutti, aveva
però sempre preferito il Macbeth). La tutrice al suo fianco invece non si
scomodò a battere le mani nemmeno una volta. Ma viste le premesse, la cosa non
lo meravigliò. Harry adesso era di nuovo in scena: la gente rideva e applaudiva
perché il topo evidentemente stava simpatico e gli si perdonavano anche le
papere. Quel costume lo rendeva particolarmente comico.
-Severus mi devi fare il costume da topo!- era entrato come uno sbuffo
di vento in casa, rosso e col fiatone per la corsa, blaterando di stoffe e
maestre.
- Harry sono un pozionista non un sarto. Non saprei nemmeno da che
parte cominciare a confezionarti un abito. –
- Ma tu sai fare le magie no? – I ragionamenti dei bambini sono
semplici. Harry lo guardava con una faccia come per dire”Dove’è il problema?”
-Ci vuole abilità per ogni tipo di incantesimo e i vestiti non sono
certamente il mio campo.-
- Ma se ti porto una zucca tu la puoi trasformare in qualsiasi cosa
giusto?Come la fata madrina di Cenerentola. –
- Non so di cosa tu stia parlando Harry. –
- Cenerentola era senza vestito e carrozza per la festa così la sua
fata madrina glieli ha fatti con la magia prendendo delle zucche e anche dei
topi. Basta che dici biddibi boddibi bù. –
- Come scusa? E’ questo che vi insegnano sui maghi a scuola? –
-Ho capito, sei smemorato anche tu come lei… -.
- Io non … d’accordo, ti farò avere il vestito. Chiederò a Minerva. Lei
di sicuro se la cava meglio di me con pizzi e crinoline… -
-Ma Severus! io sono un topo maschio!Non li voglio i pizzi e le
cremine!-
-Era un modo di dire. E poi ho detto crinoline, le cremine sono quelle
da spalmare non da indossare. - e mentre Harry usciva contento lanciando quello
stupido incantesimo a destra e a sinistra, Severus si sedeva sconfitto sulla
sedia chiedendosi se ne sarebbe mai uscito fuori qualcosa di buono da quella
convivenza. E comunque i babbani avrebbero dovuto lasciar fare ai veri maghi il
lavoro dei maghi…. biddibi boddibi bù, che idiozia.
Il costume alla fine glielo aveva
confezionato la professoressa Sprite, che da buona capocasa Tassorosso le
piaceva avere a che fare con l’economia domestica. Quando prese le misure ad
Harry con il metro magico il bambino era in visibilio: in piedi su uno sgabello
con le braccia aperte seguiva ogni movimento del nastro: ad ogni cenno della
professoressa il serpente centimetrato si fermava e pronunciava a chiare
parole: “15 cm.; 30 cm. e mezzo” fino a che non venne licenziato e tornò a
raggomitolarsi dentro al cesto delle spagnolette insieme alle forbici e a tutto
il resto. Harry provò un paio di volte
a farlo srotolare di nuovo ma senza successo. Appoggiato allo stipite della
porta Severus aveva seguito la scena scoprendo di divertirsi: il modo in cui
Harry stava sperimentando il mondo della magia era in certi momenti davvero da
immortalare. Il piccolo non aveva ancora manifestato la sua natura: nessun
segnale di magia spontanea. Severus a quell’età iniziava già a compiere
piccolissimi incantesimi. Ma siccome non c’era una regola uguale per tutti
aspettava che anche per il piccolo Potter arrivasse il momento: che fosse un
mago nessuno nutriva dubbi, considerati i suoi natali. Per ora cresceva e si
divertiva come un qualsiasi bambino babbano, fatta eccezione per il luogo in
cui viveva e per certe frequentazioni che ai babbani sarebbero sicuramente
apparse eccentriche se non addirittura sospette.
Sul palcoscenico i giovanissimi
attori continuavano a raccontare la storia di Cenerentola. Harry era appena
stato trasformato in un cavallo: Piton pensò che poteva proporre l’esercizio di
trasfigurazione a Minerva. Di una cosa era certo: il mondo magico non ci faceva
una gran bella figura, con una fata rimbambita e incantesimi che ti lasciano
per strada a mezzanotte solo con una scarpetta di cristallo (ma come si cammina
in una scarpa di cristallo?). Però si ritrovò a battere le mani con trasporto
quando il gruppetto di attori uscì per l’inchino al termine dello spettacolo.
Harry era il più piccolo, arrivava alla stessa altezza degli altri solo grazie
alle enormi orecchie. Si era accorto che lo aveva cercato fra il pubblico e
lui, per rassicurarlo che era lì, aveva alzato la mano in un gesto di saluto.
Sentiva ancora quella danza nello stomaco.
Appena fu di nuovo luce in platea
Severus si chiese cosa sarebbe successo: come ci si comportava ora? Lui se ne
sarebbe andato subito dopo aver recuperato il topo maldestro ma era evidente
che le cose non funzionavano così. I bambini cominciarono a sciamare verso i
propri genitori in cerca del riconoscimento più importante. Il pozionista
iniziò a sentirsi a disagio: di nuovo c’era chi lo guardava tentando di non darlo
a vedere e chi invece addirittura lo indicava. I Weasley si erano
fortunatamente preoccupati di non lasciarlo in balia degli sconosciuti e in
attesa di Ron, pur rispondendo educatamente ai saluti e scambiando anche
qualche parola con altri genitori, rimasero vicini al professore distraendolo
con qualche commento sulla piccola recita e sulle qualità di Harry in veste di
giovanissimo attore. Poi finalmente, “il paggio” e “il topo” si fecero largo
tra i crocchi di persone.
Quando Harry raggiunse Severus
non gli si gettò addosso ma tenne una rispettosa distanza fra sé e l’uomo.
Prima doveva assolutamente sapere da lui una cosa:
-Sono stato bravo? –
Severus guardava il topolino con
gli occhi verdi, se era possibile ancora più grandi sotto il cappuccio con le grandi
orecchie rosa. Se non fosse stato lì, in mezzo a tutta quella gente, l’avrebbe
preso in braccio. Si riservò quel momento per l’intimità della loro casa. Harry
gli stava chiedendo se era stato bravo, e dall’espressione ansiosa si capiva
che a quella risposta dava un valore enorme. Era così importante per il bambino
avere la sua approvazione? Spostò velocemente lo sguardo lì a fianco per vedere
Molly e Arthur complimentarsi con il figlio: era normale che fosse così. Tornò
allora su Harry, ancora in attesa trepidante e lasciò uscire le parole.
- Il miglior topolino insonnolito
che io abbia mai visto. – Ad Harry brillarono gli occhi. Si batté la mani da
solo per la contentezza, poi prese per mano Severus e lo condusse verso una
giovane donna che chiacchierava con alcuni genitori. Prima che Piton potesse aprire bocca e interrompere la marcia
sicura del bambino, Harry aveva già attirato l’attenzione di quella che, a buon
vedere, era una delle insegnanti.
- Maestra Jane, lui, lui è il mio
tutore! – Piton si guardò attorno imbarazzatissimo: tutti si erano voltati
verso di loro e si sentiva nuovamente allo scoperto, bersaglio facile di
sguardi indagatori e di prevedibili commenti di cui volontariamente ignorò il
contenuto. Perché i Weasley non accorrevano in suo aiuto?
Jane aveva i capelli rossi,
ondulati e lunghi, aveva le lentiggini e gli occhi azzurri. Poteva avere 25
anni. Snella ma non eccessivamente magra, portava i jeans con una t-shirt
bianca stampata. Gli ricordava dolorosamente Lily. Divenne improvvisamente
serio in viso. Lei invece gli si fece incontro sorridendo e con la mano tesa.
Si scusò un attimo con le persone con cui stava conversando: - Perdonatemi, ma
questo signore lo inseguo da un bel po’ e non voglio perdere l’occasione. –
Harry guardava Severus e non
capiva perché si fosse irrigidito come un baccalà. Gli sussurrò:
-Lei è la maestra Jane, quella
della recita, quella che ti ha invitato. –
- Signor… Piton vero? Non ha idea
di quanto abbia desiderato incontrarla, Harry parla così tanto di lei che è
impossibile non incuriosirsi. –
Severus cercava aria per
rispondere. Cercava anche la maniera di farlo educatamente e correttamente
perché la tentazione era quella di voltare le spalle e andarsene.
- Harry a volte parla troppo,
cerco di educarlo alla moderazione ma non sembra essere nella sua natura. –
- Oh ma il fatto che parli non è
un problema per me, Harry esterna molto con le parole… il teatro può essere
d’aiuto a vivere correttamente le proprie emozioni, anche quelle negative.
Scusi, non mi sono ancora presentata, Jane Cockburn sono insegnante di arte
drammatica, una collaboratrice della scuola, così, per diletto… vede, ho
sposato il teatro e non posso fare a meno di lui! – Sorrise strizzandogli
l’occhio. La somiglianza con Lily lo stava mandando in kwon out.
- Forse un matrimonio più felice
di tanti. Lo spettacolo è stato assai gradevole. –
- Lei avrebbe fisico e portamento
ideale per il teatro sa? Anche il suo modo di esprimersi è decisamente
“ricercato”. – Notò lo sguardo allarmato di Severus.
- Guardi che le sto facendo
nessuna proposta, io tra l’altro lavoro solo con i bambini… Harry, il tuo
tutore mi sa che è un po’ timido, che dici? –
- E’ timidissimo maestra Jane.
Non ha neanche una fidanzata. – Severus si voltò di scatto a guardare il
bambino, scioccato da quell’uscita inaspettata. Cosa stava cercando di fare il
topastro? Ritrovò il controllo.
- Harry non credo che questo
interessi la tua maestra. –
- Oh signor Piton io mi interesso
di tutto quello che riguarda il comportamento umano. Sono laureata in
psicologia. Ma non ho nessuna intenzione di farle un consulto mi creda! –
Bene, ci mancava anche la
psicologa che somigliava a Lily. Si sentì improvvisamente indifeso e crebbe la
voglia di girare i tacchi e andarsene al più presto. Anche se guardare Jane era
una tentazione grande.
- Signor Piton, mi farebbe
piacere fare due parole con lei, a proposito di…. – e con la testa,
leggermente, indicò Harry senza farsi notare. Quasi che la giovane avesse
intuito il pensiero dell’uomo aggiunse in fretta:
- Stia sereno, semplice lavoro di
routine, nessun temporale in arrivo. – e sorrise. Piton non aveva voglia di
rivederla, gli sembrava crudele e anche inappropriato. Ma non poteva sottrarsi
alla richiesta di un’insegnante.
- Quando vorrà parlarmi lo
comunichi pure ad Harry. – Non si era nemmeno accorto che per tutto il tempo il
piccolo non gli aveva mai mollato la mano. Jane invece lo aveva notato
perfettamente e aveva lo sguardo di chi la sa lunga sui bambini abusati
desiderosi di attenzioni e affetto. E anche sugli adulti che sono stati bambini
abusati e desiderosi di attenzioni e di affetto.
- I bambini saranno in vacanza
fra pochi giorni. Quindi cominci a preparare il the!– e salutò Harry
strizzandogli l’occhio.
Lasciarono il teatro sfilando per l’ultima volta sotto sguardi
avidi di pettegolezzi e lasciandosi alle spalle bisbigli sommessi a loro
inequivocabilmente indirizzati.
Solo quando furono abbastanza
lontani Severus si fermò e si voltò verso il bambino. Sorrideva, era felice.
Aveva voluto tenere il costume. E con il naso pitturato di nero era proprio
buffo. Se anche avesse pensato per un solo minuto di richiamarlo per quella
stupida allusione alla sua condizione di uomo solo finì col far morire in gola
ogni parola. Harry gli stringeva ancora la mano. Non ce la fece a trattenersi:
- Vieni qui topolino. – Lo
abbracciò in mezzo al marciapiede, non gli importava ora della gente che poteva
vederli ma che sembrava andar diritta per la propria strada.
- Ti piace la maestra Jane? – la
domanda arrivò come un sussurro perché il piccolo aveva la faccia sprofondata
nella sua giacca. Piton lo scostò leggermente da sé:
- A proposito, visto che citi
l’argomento… cos’è questa novità? Ti ho mai fatto credere di essere in cerca di
una fidanzata per caso? –
- La maestra Jane ci ha insegnato
che a volte con la faccia e i gesti diciamo più cose che con le parole. –
Severus alzò un sopracciglio.
- E quindi? –
- Beh, a volte si vede che sei
triste. Forse una fidanzata ti fa essere più allegro. Il signor Weasley è quasi
sempre allegro e lui ha la signora Weasley che gli vuole bene. – Severus non
sapeva cosa rispondere. Sentiva una fitta al petto. Non era la prima volta che
quel bambino gli metteva di fronte involontariamente la verità. Ma forse, a
fargli ancor più male, non era la coscienza della sua solitudine perché in fin
dei conti lui ora non era più solo. Aveva un bambino da accudire. Era un
bambino speciale che dimostrava una sensibilità eccessiva in alcuni momenti. Si
sentiva inadeguato. Harry lo amava, ma lui amava quel bambino?
- Harry non avrei tempo per una
fidanzata. Ho un sacco di cose da fare. E tra queste un bambino vestito da topo
che devo cercare di far diventare grande. –
- Ma perché non usi la magia per
fare tutte le cose che devi fare? Fai mica più presto così? –
- Ti ho già spiegato che la magia
non risolve tutti i problemi… non basta dire … com’era quella formula? –
- Biddibi boddibi bu?-
- Ecco sì… proprio quella. A
proposito: la trovo una formula magica davvero stupida. Dai che dobbiamo
raggiungere la passaporta. – e ripresero la direzione del parco dove un grande
albero cavo fungeva per quel giorno da passaggio diretto per Hogwarts.
Di ritorno al castello fu
d’obbligo la visita al Preside. Albus era stato invitato a teatro ma con sollievo
di Severus aveva dovuto declinare la proposta: impegni inderogabili
precedentemente presi gli impedivano di lasciare la scuola. Il pozionista non
ne conosceva la natura, sperava non avessero a che fare col Signore Oscuro, ma
era grato di questo impedimento: la compagnia di Albus allo spettacolo avrebbe
reso sicuramente ancor più imbarazzante la loro presenza. Per quanto Albus
potesse camuffarsi da “babbano qualunque” sarebbe rimasto in ogni caso troppo
eccentrico per non attirare
l’attenzione più di quanto già il solo Severus non avrebbe fatto. Ancora
galvanizzato da tutto quella animazione a cui aveva preso parte, Harry riempì
l’ufficio del Preside di tutto il suo entusiasmo: recitò, mimò il suo
personaggio, si pavoneggiò nel suo costume da ratto con una facilità che lasciò
Severus impressionato: bastava dargli un po’ di coraggio e Potter non lo
fermavi più. Albus divertito lo assecondava finché Severus non si sentì
costretto ad intervenire:
- Harry ha già avuto la sua festa
oggi Albus, me lo vizi. –
Per tutta risposta il vecchio
mago, sfoderando il suo miglior sorriso non trovò di meglio che ribattere: -
Classico discorso da papà.- E ci aggiunse anche una strizzatina d’occhio. Il
professore gli lanciò uno sguardo al vetriolo: non le sopportava quelle insinuazioni
e il vecchio lo sapeva, lo faceva apposta, lo provocava e come se non bastasse
lo faceva anche con scherno. A denti stretti e sottovoce perché Harry non
sentisse disse al Preside che mai e poi mai gli avrebbe dato la soddisfazione
di aver ragione, perché lui non era il padre del bambino e che tutto quello che
faceva era unicamente dettato dal senso del dovere. Dopodichè richiamò il
piccolo per tornare nei sotterranei. Ma il luccichio negli occhi di Albus gli
disse che non credeva ad una sola parola uscita dalla sua bocca. E come già
accaduto, infatti, gli eventi avrebbero presto reso giustizia a Silente.
Rientrato a casa ancora
indispettito mandò Harry a lavarsi e si preoccupò per la cena. La sera era
arrivata puntuale con il suo crepuscolo e l’odore della foresta portato da un
vento leggero. Più tardi aprì tutte le piccole finestre ma lasciò il fuoco
crepitare nel camino per farsi un po’ di compagnia. Leggeva come tutte le sere
in attesa che Harry andasse a letto. Il bambino giocava nella sua stanza: la
scuola non era ancora finita ma non poteva obbligarlo a dormire quando fuori il
cielo era ancora chiaro. Stranamente non riusciva a concentrarsi sul manuale di
magia avanzata che aveva fra le mani. Non riusciva a togliersi dalla testa la
maestra Jane e si sentiva quasi perseguitato: possibile che fra tutte le
insegnanti proprio quella doveva capitare a Potter? Era stata una giornata di dura prova: la passerella fra tutti
quei babbani, anzi quelle babbane curiose, l’innegabile coinvolgimento emotivo,
l’insegnante con i capelli rossi che era pure psicologa e che adesso attendeva
un invito per un the. Maledizione, dove glielo avrebbe offerto il the? A
Spinners’ End certo, e la cosa non gli piaceva, Spinners’ End era un posto
sgradevole. Poi non seppe mai se fu
l’urlo di Harry, il pesante tonfo o il ruggito a strapparlo per primo dalle sue
elucubrazioni. Precipitandosi in camera del bambino col cuore in gola rimase
pietrificato sull’uscio: c’era un leone, un leone in carne e ossa nella stanza,
sul letto. Ed era piuttosto agitato. Harry se ne stava appiattito contro il
muro: era terrorizzato ma Severus gli ordinò di non muoversi da lì.
- Non è colpa mia Seveus, tu mi
avevi detto che la formula magica era stupida e non funzionava. – Il piccolo
piangeva, Severus faticò un poco a capire.
- Da dove diavolo salta fuori il
leone Harry? –
- E’ diventato così... – Severus
solo allora si accorse del particolare: il leone portava un collare verde. –
Rufus?! – Guardò Harry: vide che in mano teneva un bastoncino, una bacchetta
rudimentale che usava spesso quando giocava a fare il mago. Capì cos’era
successo. Agitò la bacchetta – Solveo
– e in un attimo Rufus tornò muto e inerte: un leone di peluche e nient’altro,
il ricordo di una giornata trascorsa allo zoo con il Preside. Severus raggiunse
il bambino: stava tremando ed era del colore di un fantasma. Lo prese in
braccio e si sedette sul letto. Harry piangeva ancora per lo spavento e
continuava a ripetere che non era colpa sua. Il cuore di Severus aveva ripreso
il battito normale dopo la paura ma l’uomo continuava a sentirsi strano: aveva
appena assistito alla prima magia spontanea del bambino, era come assistere
alla prima parola, allo spuntare del primo dente o al primo passo. Nella vita
di un mago era un momento importantissimo. Accarezzava la testa e la spalla di
Harry e sentiva la stessa sensazione allo stomaco che aveva provato il
pomeriggio a teatro ma amplificata. Era anche la sua prima volta in fondo, come
adulto.
- Harry hai fatto la tua prima
magia. Non è successo niente, guarda Rufus adesso è tornato come era prima.-
- Ma io giocavo…-
- Lo so, tu hai desiderato tanto
una cosa ed è successa. –
- Ma mi hai detto che
biddibiboddibibù non è una vera formula magica. –
- Non è stata la formula Harry, e
nemmeno il rametto di legno… è magia spontanea, ce l’hanno solo i bambini
maghi. Ti succederà ancora – Harry diede un leggero sussulto –Magari evoca un
animale più piccolo e meno pericoloso la prossima volta… Voi Potter dovete
sempre esagerare tutto per Merlino! -
Harry si scostò dal petto di
Severus:
- Davvero ho fatto una magia
vera? – e tirò su col naso.
- Davvero. –
- Allora non mi metti in castigo…
-
- No, anche se mi hai fatto
perdere almeno 10 anni di vita per lo spavento . –
- Allora… sono come te. - Severus lo guardò intensamente e si sentì
così in comunione con piccolo che finalmente seppe di amarlo: non da qualche
minuto, nemmeno dal pomeriggio, lo amava dal momento in cui aveva detto di sì e
lo aveva accolto in casa sua.
- Certo Harry, come me, come
Albus, come tua mamma e … tuo papà. -
- E quando sarò grande farò le
magie come le fai tu? –
- Certo, studierai per questo. –
- Sai, io voglio diventare bravo
come te. – Poi si allungò verso il letto e prese Rufus:
- Però tu rimani così hai capito
Rufus? -
Severus rise e poi si mise a
ridere anche Harry. Se fosse entrato Albus in quel momento avrebbe riso anche
lui, contento di avere avuto ragione di nuovo. Se fosse entrata Jane avrebbe
riso anche lei, perché la formula magica finta chissà come aveva funzionato. E
se fosse entrata Lily anche lei avrebbe riso, perché il suo bambino aveva alla
fine trovato il proprio posto nel mondo.