Non chiedete. XD Ho letto Angels!Avengers e dovevo fillarlo. DOVEVO.
Shame on me, dovevo. X'DD
"Ergofilo" è un neologismo di mia proprietà,
comunque, che viene dal greco ergon,
"lavoro, fatica, opera" e phileo,
"amare".
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Those
eyes
Se c’era una cosa di cui era grato agli esseri umani, era
l’alcol.
Il suo organismo era troppo diverso da quello mortale per esserne
affetto al punto da ubriacarsi – il massimo che riusciva a
ottenere
era un’eccessiva allegria – ma rimaneva comunque un
modo utile
per dimenticare ciò che, al contrario, avrebbe meritato la
sua piena
attenzione.
Odino naturalmente disapprovava il suo comportamento, ma dopotutto
il generale delle schiere angeliche disapprovava un gran numero di
cose e, una più una meno, non faceva molta differenza.
Tony stappò la bottiglia di scotch e se ne versò
una generosa
quantità nel bicchiere, sin quasi a farlo traboccare. Tony.
Quel nome, quell’identità cominciava a piacergli
davvero, se non
altro perché gli dava l’illusoria sensazione di
essere libero, di
non essere più prigioniero delle catene di principi morali e
innumerevoli compiti legati alla sua natura angelica.
Asmodel era un angelo annoiato, obbligato a vigilare sugli uomini,
a vivere a stretto contatto con loro senza avere mai la
possibilità
di allungare una mano e sfiorare anche solo con un dito la loro
libertà.
Anthony Stark era un mortale geniale, che aveva portato nel mondo
una tecnologia avanzata di trent’anni e adesso viveva dei
frutti di
quella “scoperta”. Forse aveva abusato dei propri
poteri, poteva
ammetterlo, ma non riusciva proprio a pentirsene e a ritrarsi con
ripugnanza da quanto aveva fatto.
D’altra parte, non c’era un vero motivo per cui i
superiori
avrebbero potuto rimproverarlo: anche in quella forma, non aveva
smesso di combattere i demoni e assicurare la pace nella
città di
New York insieme agli altri “vendicatori”, come li
avevano
soprannominati non soltanto in Cielo ma anche sulla Terra. Se
però
Tony era convinto che gli esseri umani avessero dato loro quel nome
in buona fede, grati della loro protezione da ogni minaccia, era
altrettanto certo che in Paradiso, al contrario, si facessero beffe
di loro.
Non che le opinioni degli altri angeli lo tangessero in alcun
modo, ormai era abituato a essere la pecora nera del Cielo.
Asmodel, l’unico angelo che non amava smodatamente la propria
professione; Asmodel, l’unico angelo a cui piacesse
mescolarsi con
i mortali; Asmodel, l’unico angelo che non era in grado di
arrivare
puntuale neppure nelle occasioni più importanti.
Il suo nome era da sempre sulla lista nera di Odino, eppure era
ancora vivo, vegeto e piuttosto brillo: i pettegolezzi di qualche
ochetta schiamazzante del Paradiso non lo sfioravano neppure.
Sottraendolo alle sue riflessioni, la porta scivolò sui
cardini,
ma Tony finse di non accorgersene.
Rimase immobile dove si trovava, seduto sulla sua poltrona di
pelle, rivolta verso la finestra dietro la scrivania e dunque di
spalle rispetto alla soglia dell’ufficio. Sollevò
con noncuranza
la mano che stringeva il bicchiere e sorseggiò con calma il
suo
scotch.
I passi alle sue spalle, felpati ma perfettamente udibili,
perché
il loro proprietario voleva che lui sentisse, erano ogni istante
più
vicini, tuttavia Tony li ignorò deliberatamente.
Se proprio avesse dovuto trovare qualcosa per cui biasimarsi,
sarebbe stato lui.
Dopo una manciata di secondi, che parvero prolungarsi nel tempo
fino a diventare millenni, il visitatore si fermò dietro la
poltrona
e si chinò fin quando le sue labbra non furono abbastanza
prossime
all’orecchio di Tony perché lui avvertisse il suo
respiro caldo
sulla pelle. «Fingi di non vedermi, Stark?»
Una delle caratteristiche che meno apprezzava del corpo umano era
che non poteva controllarne le reazioni: mentre la sua forma eterea
di angelo poteva essere plasmata a suo piacimento, non poteva
impedire a quell’involucro di carne di rabbrividire
all’udire la
voce di quell’uomo, al percepirne la carezza tiepida nella
conchiglia di cartilagine del lobo. Le sue dita fremettero, lo scotch
rischiò di strabordare.
Perlomeno il tono non lo tradì, sornione e sicuro di
sé come di
consueto, sebbene fosse indubbio che lui si fosse accorto
dell’effetto che aveva la sua sola presenza. «Oh,
non potrei mai,
Loki».
Aveva notato – non senza un certo meschino compiacimento
– la
punta di fastidio nelle sue parole. Lo conosceva abbastanza bene da
sapere bene che, se gli veniva negata l’attenzione, Loki
poteva
diventare molto, molto irritato.
“Manie da primadonna”,
così soleva chiamarle Tony.
“Consapevolezza di essere superiore e degno di
ammirazione”
lo correggeva Loki.
Quest’ultimo tergiversò con grande
abilità verso un argomento
che gli era molto più favorevole. «È
una delle tue giornate “oh
cielo, sono proprio un angelo cattivo, chissà cosa mi
farebbero se
scoprissero che…”?»
«Loki, ti prego». Tony
alzò lo sguardo verso di lui per
la prima volta e si trovò quasi ad affogare in quei suoi
occhi
azzurri, così chiari, eppure nient’affatto
limpidi. Inghiottì il
groppo che non aveva mancato di serrargli la gola e si
sforzò di
riacquistare l’atteggiamento tragicomico di un momento prima.
«Così
sembro una ragazzina».
«Ti comporti come tale» fu la secca risposta,
accompagnata dalla
lingua lasciva di Loki che scorreva con una lentezza tormentosa sul
retro del suo orecchio. «Sai che odio essere ignorato,
Anthony
Stark».
«E io odio essere definito “ragazzina”,
siamo pari» fu il
meglio che Tony poté mettere insieme, distratto
com’era dalla scia
di saliva che Loki stava disegnando sul suo collo.
Approfittando del suo calo d’attenzione, concentrata nel
tentativo di parlare senza gemere, Loki gli prese di mano il
bicchiere e lo svuotò con una risatina, per poi appoggiarlo
sulla
scrivania. Che Tony non poteva raggiungere se non ruotando la
poltrona e affrontandolo.
Decisamente, l’unico errore di una vita altrimenti
– più o
meno – retta e irreprensibile non poteva essere che
Loki.
Non tanto perché era Shemihaza, l’angelo bandito
dal Cielo
perché, a capo di una schiera di ribelli, era sceso sulla
Terra e si
era accoppiato con delle umane, e Fury – l’angelo
che presiedeva
alle operazioni dei vendicatori – gli avrebbe strappato le
ali se
l’avesse saputo, quanto più perché
aveva una sconcertante
passione per i dispetti di cui si prodigava a dare prova in
particolar modo con coloro che gli interessavano.
Ciò significava, peraltro, che in una lista lui avrebbe
occupato
uno dei primi tre posti, considerato il gran numero di scherzi di cui
era stato vittima, ma non avrebbe saputo affermare se fosse una cosa
buona o meno.
Mentre soppesava la bottiglia di scotch con lo sguardo e prendeva
in considerazione la possibilità di bere dal suo collo, Loki
appoggiò una mano sullo schienale della poltrona e la fece
girare su
se stessa finché Tony non gli fu di fronte; allora la
bloccò senza
sforzo, prima che prendesse troppa velocità, e
increspò le labbra
in un sorriso, compiaciuto dell’attenzione che adesso era
inevitabile ricevesse.
«È un vero peccato, lo sai?» La sua voce
scese di un’ottava,
insinuante e pericolosa come il sibilo di un serpente in procinto di
attaccare.
Gli sottrasse anche la bottiglia, la levò alla bocca e bevve
un
lungo sorso con una noncuranza assolutamente non necessaria,
la cui ovvia conseguenza fu che un rivolo di liquore color ambra
colò
sul suo mento e macchiò d’oro la pelle pallida,
priva di
imperfezioni – se Tony si era concesso qualche difetto fisico
per
meglio confondersi con gli umani, Loki non aveva rinunciato a una
bellezza trascendentale che il più delle volte,
sfortunatamente,
mozzava il fiato anche a lui.
Loki abbassò la bottiglia con un sospiro soddisfatto fin
troppo
eloquente, sottolineato anche dall’occhiata maliziosa che gli
rifilò nell’abbandonare la bottiglia accanto al
bicchiere. Fece
poi leva con i palmi sul bordo della scrivania e vi si issò
seduto
sopra con un gesto elegante. «Credevo che ti avrebbe fatto
piacere
ricevere una mia visita».
Ogni suo singolo gesto nella mente di Tony si collegava a
un’unica
conclusione. E quel che era peggio era che una conclusione del genere
non gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Per quanto ogni volta si ripetesse che sarebbe stata
l’ultima,
per quanto si sforzasse di pensare a Loki come a un nemico, per
quanto fosse davvero preoccupato che qualcuno potesse scoprirli,
quando lo rivedeva Loki era sempre capace di persuaderlo a fare
ciò
che desiderava.
Poiché non rispondeva, incerto se la voce e le parole
l’avrebbero
tradito o meno, Loki afferrò la sua cravatta di seta
scarlatta e si
piegò in avanti fino a che nel suo campo visivo non vi fu
che il suo
volto, i suoi denti bianchi scoperti in un sogghigno, i suoi occhi
blu – quegli occhi blu che stillavano lussuria, desiderio,
sesso.
Quegli occhi.
Nel momento in cui le palpebre calarono su quegli occhi e Loki
inclinò la testa di lato, Tony chiuse i propri e prese la
decisione
di fingere di non avere un cervello – sempre la scelta
migliore, a
suo parere, quando Loki era nei paraggi.
Poi le labbra dell’angelo caduto incontrarono le sue e Tony
seppe di aver fallito ancora, di aver perso ancora.
Dopo i primi istanti di semplice sfiorarsi, Loki scattò come
una
pantera si getta su una gazzella in trappola: prese completamente
possesso della sua bocca, con i denti che mordevano ogni singolo
frammento di pelle con cui entravano in contatto, la lingua che si
contendeva il controllo del bacio con quella di Tony, le labbra che
premevano con insistenza contro quelle del suo amante, come a voler
ribadire la loro proprietà assoluta su quel territorio.
Forse, allora, Tony avrebbe ancora potuto ritrarsi e rifiutare,
non fosse stato per la sensualità, l’indecenza di
quel bacio, che
non faceva altro che fargli desiderare di precipitare in quel baratro
di dissolutezza che Loki gli offriva.
Prima che riuscisse anche soltanto a pensare di combattere il
desiderio, Loki sedette a cavalcioni su di lui con foga sufficiente
perché i loro bacini si scontrassero duramente e in quel
preciso
momento Tony comprese di avere oltrepassato il punto di non ritorno.
Quasi di volontà propria, le sue mani afferrarono i fianchi
dell’angelo caduto per tenerlo aderente al suo corpo, ora
bollente
e preda di fremiti incontrollabili.
Thor avrebbe fracassato ogni suo singolo ossicino, se fosse venuto
a sapere che il suo adorabile fratellino aveva ogni intenzione di
sfilargli i pantaloni e che Tony non aveva più alcuna
rimostranza a
riguardo.
A volte si sentiva davvero in colpa, perché, di tutti i
vendicatori, Michael, per quanto troppo ingenuo e troppo fiducioso
nella sola forza fisica, era uno dei pochi a essersi guadagnato la
sua simpatia. A volte avrebbe davvero voluto lasciar perdere quella
relazione non tanto per il timore di essere punito o perché
si
trattava di Shemihaza e nessuno – nessuno
che fosse sano di
mente – si fidava di Shemihaza, ma perché Thor ne
sarebbe stato
ferito, se avesse scoperto che suo fratello lo evitava ma non
disdegnava di trascorrere il suo tempo con uno dei suoi compagni.
L’ostacolo principale alla realizzazione di quel buon
proposito
– uno dei pochi che avesse mai avuto, avrebbe commentato
Steve –
era proprio Loki.
Loki, che adesso era a corto di fiato e ansimava e gemeva contro
la sua bocca, instancabile, seducente; Loki, che aveva appena finito
di sbottonargli i pantaloni e stava insinuando una mano nei boxer
–
oh, cielo; Loki, che nelle poche pause tra un bacio
e l’altro
lo scrutava intensamente da sotto le ciglia nere e sapevano entrambi
che quello sguardo avrebbe potuto piegare Tony ogniqualvolta
l’angelo
caduto l’avesse desiderato.
Thor, Fury, Odino e chiunque altro cessavano semplicemente di
esistere.
«Gradirei che mi spogliassi, Stark»
commentò Loki, spezzando il
silenzio carico di tensione sessuale che era venuto a crearsi, con
quella sua voce che pareva dare un ordine anziché un
suggerimento.
«Temo sia piuttosto difficile concludere qualcosa con il mio
attuale
abbigliamento, non sei d’accordo?»
Possibile che fosse così eccitante quando gli chiedeva di
fare
sesso in maniera tanto beneducata, come avrebbe potuto offrirgli un
caffè dopo un incontro di lavoro?
«Hn, naturalmente, milady» lo schernì e
fece appello a quel
poco di autocontrollo che ancora possedeva per concentrarsi sui suoi
vestiti e non su quanto fosse abile con quella mano, che, malgrado la
richiesta, non accennava a volersi fermare.
Bastardo, fu l’unico pensiero coerente che
riuscì a
formulare mentre faceva per slacciargli la cintura, ma il suo amante
lo scacciò e lo canzonò con un’occhiata
divertita.
«Oh, non credo proprio che sarà così
semplice, signor Stark»
sussurrò, gli afferrò il polso e condusse la sua
mano alla cravatta
verde scuro che gli cingeva il colletto dell’immacolata
camicia
bianca, ora spiegazzata dall’impeto con cui Tony lo aveva
stretto a
sé. «Comincia con questo, vuoi?»
Rischiava di non riuscire a cominciare con niente, ringhiò
tra sé
Tony, se quelle dita non avessero smesso di tormentargli
l’erezione
ormai prominente anche solo per cinque dannati minuti.
E poi, di colpo, senza che potesse anche soltanto capire cosa
stesse succedendo, Loki svanì.
Il suo corpo si lamentò immediatamente della mancanza di
quello
caldo dell’angelo caduto, della sua mano nei pantaloni, del
suo
fiato bollente sul collo, ma all’improvviso Tony era
diventato
perfettamente lucido, come aveva desiderato fino a quel momento,
sebbene non riuscisse a rallegrarsene.
Perché, ad avergli fatto riacquistare in un istante il
proprio
contegno – o almeno una parvenza di esso –, era
stato Steve, in
piedi sulla soglia del suo ufficio, che fissava un punto preciso in
mezzo alle sue gambe con un’espressione a metà tra
l’incredulo,
il rassegnato e la caratteristica espressione da Steve
sono-un-verginello-inesperto-che-si-vergogna-di-dire-“sega”,
come
l’aveva battezzata Tony.
Il suo volto però non mostrava tracce di rabbia, che
significava
che Loki era riuscito a smaterializzarsi prima che
l’arcangelo
Gabriel lo vedesse.
Non che gli fosse di particolare conforto, quando Steve lo
guardava allucinato, senza dubbio convinto che si fosse eccitato
mentre lavorava ad alcuni documenti sull’andamento delle
Stark
Industries.
Finalmente Tony ritrovò la voce che fino a
quell’istante gli
era mancata. Era troppo rauca, troppo grondante rimasugli di
desiderio. «Steve. Giuro. Non è quello che
sembra».
Di tutto ciò che avrebbe potuto accadergli, quello che meno
si
sarebbe aspettato era che, un giorno, l’arcangelo Gabriel
l’avrebbe
sospettato di essere ergofilo. Proprio lui, la
persona più
timida al mondo circa la sfera sessuale. Non avrebbe potuto essere
più fortunato.
«Non…» Steve dava
l’impressione di avere uno scoiattolo
incastrato in gola. «Non sembra niente, Tony.
Cosa… dovrebbe
sembrare?»
Era quasi peggio che dover spiegare a Fury come mai Loki andava a
letto con lui, considerò Tony, atterrito. Quasi,
però.
Respirò profondamente diverse volte, ingollò un
intero bicchiere di
scotch e allargò le braccia verso Steve in un gesto di
benvenuto e
insieme di richiesta di comprensione. «Senti, Steve, posso,
uhm,
spiegare. Se mi prometti che non dirai a nessuno quello che hai
appena visto. Ti giuro che è una spiegazione sensata».
L’arcangelo esitò – per la
verità, Tony sospettò che fosse
sul punto di fuggire dalla stanza – ma alla fine chiuse la
porta e
acconsentì a sedersi dall’altra parte della
scrivania.
Tony non aveva la più pallida idea di dove iniziare o quale
giustificazione inventare.
Passato qualche secondo di imbarazzante, cupo silenzio,
ammiccò
in direzione della bottiglia di scotch. «Ti va un
drink?»
Il suo sbaglio, il suo problema e la sua più grande
maledizione
era senza dubbio Loki.
E la consapevolezza che, la prossima volta che quegli occhi blu si
fossero posati su di lui, ne sarebbe stato soggiogato di nuovo,
inevitabilmente.
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