With love from your sweetheart
Italia era in ritardo per l'allenamento mattutino, come al solito.
Germania, irritato, lo
stava aspettando sul margine del solito campo che utilizzavano per la
corsa, già vestito con il suo consueto abbigliamento più
"sportivo": la sola canotta nera che portava sotto la casacca, i
pantaloni dell'uniforme e gli stivali neri al ginocchio, il tutto
corredato dal suo immancabile cappellino verde scuro la cui visiera gli
proteggeva gli occhi azzurri dall'accecante luce del sole del primo
mattino.
Giappone, vicino a lui, aspettava con la sua “uniforme da allenamento” in rigoroso silenzio, com'era tipico di lui.
Il ritardo di Veneziano
sarebbe stata una cosa normalissima se solo Ludwig non fosse stato
assolutamente consapevole del fatto che l'italiano era già
perfettamente sveglio: quella notte l'avevano passata nello stesso
letto - il suo, che a quanto pareva al Vargas piaceva tanto invadere
senza il suo permesso - a fare l'amore ancora e ancora.
Feliciano era stato
encomiabile. Almeno a letto sapeva il fatto suo e gli aveva saputo dare
soddisfazioni che il tedesco riusciva solo a sognare di poter riuscire
ad avere sul campo di battaglia vedendolo difendere la loro causa
strenuamente imbracciando una qualsivoglia arma da fuoco. Anche il
biondo non era stato da meno, doveva ammetterlo: ci si era messo
veramente d’impegno per dar del filo da torcere al suo partner.
Si erano sfiniti a vicenda con una dedizione impareggiabile.
Al mattino, quando si era
svegliato, Germania era miracolosamente riuscito a svegliare pure il
suo "compagno di giochi", che si era poi subito dileguato indossando
solamente la propria camicia sopra ai suoi boxer, recuperati per caso
da sotto il letto.
Da quel momento Germania
non l'aveva più visto e adesso struggeva d'impazienza per
l'inizio dell'allenamento, arrovellandosi nel frattanto il cervello su
dove quel disgraziato potesse essere andato a cacciarsi.
«Non
può essere tornato a casa sua. Sa perfettamente che deve
presentarsi all'allenamento e poi per tornare avrebbe dovuto
attraversare il giardino di Svizzera e le sue grida di protesta o
perlomeno gli spari li avrei senz'altro sentiti...» rifletté il biondo, spazientito e preoccupato «E allora è sempre in casa, per forza... ma dove?».
Se non arrivava non potevano iniziare e lo sapeva bene. Perché diavolo stava tardando tanto?!
«Germania-san...»
chiamò timidamente Giappone, interrompendo il filo dei suoi
pensieri «Non potrebbe essere che Italia-kun si sia sentito
male?» chiese.
«Non credo proprio, stanotte era bello vivac...!».
Germania s'interruppe da solo, arrossendo: aveva risposto d'impulso, senza prima ragionare.
«C-come?»
domandò Kiku, stupito dalla risposta tutt'altro che consona dato
il carattere ligio al dovere e serio dell’alleato.
«N-niente!!» si
affrettò a negare Ludwig, sperando di non aver appena fatto un
danno irreparabile: nessuno doveva venire a sapere della sua relazione
sentimentale con Italia.
Se si fosse saputo in giro
che gli piaceva quella nazione smidollata e incompetente certamente gli
Alleati avrebbero pensato che si fosse rammollito pure lui ed avrebbero
di certo iniziato ad attaccarli fino allo sfinimento. Feliciano era un
caro ragazzo e lui lo amava profondamente anche se non era certamente
il miglior soldato in circolazione, ma non poteva permettergli di
rovinargli la reputazione di fronte a nazioni come Francia e
Inghilterra.
Dio solo sapeva
cos'avrebbero potuto inventarsi e raccontare quei due se fossero venuti
a conoscenza della sua storia d’amore con Italia.
Giappone fece per parlare
di nuovo, quando una voce fanciullesca e allegra risuonò nel
silenzio, attirando l’attenzione di entrambi: «Germania!
Germania!».
Il biondo tirò un
impercettibile sospiro di sollievo nel veder Veneziano andargli
incontro di gran corsa con uno dei suoi sorrisi un po' svaniti sul
viso, espressione che Ludwig trovava oltremodo buffa e tenera.
Il sollievo di quest'ultimo
venne annichilito letteralmente l'attimo successivo, quando i suoi
occhi azzurri si posarono sul vassoio coperto che il Vargas
trasportava, probabilmente la vera fonte della sua espressione carica
d’entusiasmo: dubitava fortemente - dato il tipo - che tanta
allegria scaturisse dalla prospettiva di una mattinata
d’allenamenti.
Feliciano si fermò
dirimpetto a Ludwig, alzando gli occhi ad incontrare i suoi. A quel
punto, il biondo precedette qualsiasi sua parola: «Italia! Si
può sapere dove ti eri cacciato?! Sei in vergognoso ritardo per
l'allenamento!!».
Gli urlò
praticamente in faccia con un cipiglio minaccioso e autoritario che non
riuscì a mitigare in alcun modo, neanche volendo. Di solito
quando parlava in quel modo a Italia, quest'ultimo squittiva una
litania di scuse piagnucolando; invece, quella volta
indietreggiò semplicemente di un passo senza lagnarsi né
piangere. La sua espressione solare rimase inalterata.
Il biondo trovò tutto ciò eccessivamente strano, per non dire inquietante.
«Ero in cucina,
Germania» spiegò innocentemente Veneziano «Ti ho
preparato la colazione e volevo portartela a letto per ringraziarti
della bella not...».
Germania gli afferrò
d'istinto il ricciolo, stringendo la presa con fin troppa forza, le
guance di un vivo rosso porpora. Il primo impulso in verità era
stato tappargli la bocca con un bacio, ma con Giappone lì come
spettatore aveva scartato a priori l'idea ed aveva soppresso
immediatamente l'istinto.
Doveva zittirlo e metterlo
in condizione di non poter raccontare ciò che era successo
quella notte. Adesso che era finalmente arrivato Germania era
impaziente di metterlo al lavoro, così da impedirgli di parlare.
Italia iniziò a tremare e piagnucolare, arrossendo senza neppure rendersene conto.
«Ge-Germania... mi fai maleee...!» frignò.
Ludwig un po' si dispiaceva
per quello che gli stava facendo: non avrebbe voluto approfittarsi del
suo inconsueto "punto erogeno" per una cosa del genere, ma era
l’unico modo per trattenerlo dal dire cose che dovevano essere
riservate a ben altri momenti e luoghi, entrambi ben lungi da quelli
attuali.
«Per questo ritardo
così grave dovrai fare dieci giri del campo di corsa!»
impartì Ludwig in tono duro, lasciando andare il ricciolo.
«Eh?! Dieci?» ripeté l'italiano incredulo.
«Sì, forza! Muoviti!!» esclamò con forza il biondo, togliendogli il vassoio dalle mani.
Spaventato dall'improvviso tono autoritario che non ammetteva la minima replica, Italia obbedì senza perdere tempo.
«Vai anche tu,
Giappone» aggiunse il tedesco in tono più controllato e
pacato: Kiku era ragionevole ed avrebbe obbedito senza bisogno di dover
mostrare il suo lato più autorevole.
«Sì» replicò infatti il giapponese, prima di allontanarsi e raggiungere l'italiano.
Rimasto solo con il vassoio
in mano, il biondo fu vinto dalla curiosità e lo
scoperchiò: Italia gli aveva preparato un caffè ed un
piatto di biscotti rotondi sui quali erano stati messi dei cuoricini di
cioccolato. Il margine non proprio perfetto di questi ultimi fece
capire all'uomo che erano stati fatti da Veneziano quella stessa
mattina, in fretta, e posizionati appena prima di essere serviti.
Ludwig arrossì
mentre ne prendeva uno e lo addentava. Era buonissimo, come del resto
qualsiasi cosa che usciva dalla cucina dopo essere passato per le mani
del Vargas.
Bevve il suo caffè e
mangiò i biscotti in fretta: gli dispiaceva di lasciare la
colazione nel vassoio, specialmente sapendo che Feliciano si era tanto
prodigato per preparargliela, infischiandosene addirittura di cercare
di arrivare puntuale all'allenamento.
«Ti è piaciuta
la colazione, Germania?» domandò Italia ad un tratto,
fermandosi nel vedere il tedesco ricoprire il vassoio vuoto.
Quest'ultimo, imbarazzato
dall'essere stato colto sul fatto, si affrettò a posare da una
parte l'oggetto ed alzarsi in piedi, affrettandosi a raggiungere gli
altri due.
«ITALIA!! Chi ti ha dato il permesso di fermarti?! Su, corri!».
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