Détendu à tes pieds
Titolo della storia: Détendu à tes pieds
Tipologia: triple-drabble, 300 parole
Binomio scelto: 3° gradino - Il pavimento e… la fata
Genere: fantascienza, slice of life
Avvertimenti: -
Rating: verde
Credits: -
Note dell'Autore: l’ambientazione
è steampunk, anche se qui è molto meno evidente che nelle
altre drabble. Questa storia prende le mosse dalla mia “Indaco
Café”, ma può essere letta indipendentemente da
essa.
Introduzione. Il primo incontro di Eugène e Lavinia.
Non
aveva ben chiaro come fosse accaduto, né perché si
trovasse lì. O meglio, lo sapeva eccome. I suoi superiori
l’avevano mandato a prendere contatto con lei, ma la sua testa di
undicenne tentava di tacere ci fosse dell’altro. Poteva mentire a
quelli della casa famiglia, a Père Brochard, alla stessa GILDA.
Persino a suo fratello o a Monsieur - l’unico immune alle balle
che propinava -, ma non a sé stesso.
La sentì inginocchiarsi sul tappeto, poggiandogli una mano sulla schiena.
Lo stomaco fece una capriola, ammesso ci riuscisse, spiaccicato contro il pavimento del negozio.
«Stai bene?» domandò.
Non rispose subito, cercando una scappatoia nelle venature del parquet.
Aveva
sbirciato per giorni dalla vetrina, nascosto nel vapore degli omnibus,
attento a non farsi notare, in attesa del momento adatto per consegnare
la missiva. Così aveva finito col perdere la testa per la
destinataria.
Lei che parlava con quell’accento strano.
Che sorrideva pure al cliente più rognoso.
Che stava china su metalli e pietruzze da cui sbocciavano capolavori luccicanti.
Finalmente
riuscì a trascinarsi in ginocchio. Pareva fossero trascorsi
cent’anni da quando era entrato, inciampando come un idiota. E
lei era ancora al suo fianco. L’osservava con curiosità,
le generose rotondità fasciate dall’abito grigio.
Agli
occhi del ragazzino, Lavinia Bracca sarebbe stata stupenda anche dopo
una rissa al banco del pesce o coperta di fuliggine e rottami
arrugginiti.
«Com’era il pavimento?» gli domandò sorridendo.
Bastarono quelle poche parole a riscuoterlo.
«Comodo» rispose sornione.
«Davvero? Ho sempre pensato fosse piuttosto… duro» e batté le nocche sul legno.
Eugène
gonfiò il petto di fronte all’interesse della fata
dell’oreficeria. Lo canzonava senza cattiveria, ottimo segno.
«Mademoiselle, noi della GILDA siamo dei duri. E io, modestamente, lo sono più di molti altri».
Quando se ne andò un’ora dopo, era certo che si sarebbero rivisti presto.
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