Disperso

di Glance
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Il vento tra i capelli sapeva di salsedine, un gusto acre mischiato a quello delle lacrime che non smettevano copiose di rigare le guance su cui avevano tracciato solchi invisibili. Il vestito leggero disegnava il corpo esile e perfetto. Un giunco fragile e delicato che il dolore non riusciva a spezzare, nella speranza di quell'attesa che non voleva  morire tra le indistinte sfumature di un ricordo. Per lei quell'amore non poteva ridursi solo a quello.
Il cuore era lontano, oltre quel mare che tutti i giorni le si stendeva davanti.
I giorni erano passati e avevano osservato quell'attesa tra il mutare lento delle stagioni. Ma non avevano spento la speranza di un ritorno. Il sole continuava a sorgere e le ombre della sera lo abbracciavano mute mentre le regalava l'ultimo calore del giorno.
I suoi passi con le prime luci dell'alba si mischiavano alle voci, alle imprecazioni  e agli apprezzamenti dei marinai del porto che avevano giorno dopo giorno imparato a guardarla come parte di quel paesaggio, a rispettare quell'attesa. Sperava che il mare, il suo mare che era stato il primo testimone del suo amore, fosse tanto generoso da ricondurlo a lei.
La guerra glielo aveva portato via, strappandolo al suo abbraccio, al suo amore, lasciandola  incompleta.
Lui era giovane, bello, l'amava ed era il suo destino e si era perduto in quell'immane follia: disperso. Così recitava il telegramma.
Non ci  sarebbe stato niente su cui piangere, nulla da seppellire, ma solo la speranza di vederlo tornare, forse, un giorno.
Le ore diventarono giorni, e poi settimane, mesi ed anni. Le facce e le voci dei marinai cambiarono, ma il vento continuava a sapere di salsedine e le lacrime a disegnare solchi sul suo viso tra miriadi di altri solchi. I capelli dello stesso colore dell'oro erano diventati candidi come la neve che non aveva mai visto e che si era aggiunta come una promessa negata alle tante promesse che la vita non aveva mantenuto.
Ogni mattina la vedeva incamminarsi verso una meta conosciuta che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi anche tra quei passi malfermi ma determinati.
Seduta con le mani in grembo guardava quella moltitudine colorata che approdava sulla sua isola. Aspettava e riconosceva ogni traghetto dal suono della sirena che ne annunciava l'ingresso in porto.
Fu in un'alba che profumava di zagara e gelsomini che il suo cuore sobbalzò, lui era lì davanti a lei, bello come lo ricordava nella sua uniforme: fiero e sorridente agitava la mano e le correva incontro.
Le gambe si mossero di scatto e il vestito ritornò, mosso dal vento, a fasciarle il corpo. Il cuore sobbalzò strappandole un sospiro che sembrò squarciarle il petto, un sospiro che si mischiò all'aroma di un respiro e al sapore di quelle labbra tanto attese.
Lui era lì, era tornato da lei.
Nel corrergli incontro si voltò un attimo, preda di una strana malinconia, e la vide: il capo candido reclinato, le mani in grembo. Non sapeva chi fosse quella donna, ma quella visione le diede una stretta al petto e un senso di abbandono. Ma fu solo un attimo perché il suo amore la stava chiamando e il suo nome pronunciato da quelle labbra era il suono più dolce che avesse mai sentito e finalmente si sentiva a casa e nuovamente completa.





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