Cap.7
Battle Royale
Day#4: Please, Hitori ni Shinaide.
"<< Vuoi quindi lasciare crescere i capelli? >>
La bambina alzò lo sguardo dal complicato intreccio di fili con
i quali si stava intrattenendo, posandolo sullo specchio che aveva
innanzi e osservando attraverso di esso la figura della donna che le
sedeva dietro, vicino.
Hinata annuì, quasi timidamente, e cercò lo sguardo di
sua madre. La suddetta le sorrise, e lasciò che la spazzola che
aveva in mano districasse le sue chiome per l'ennesima volta.
<< S-Sì, madre >> sussurrò, gli occhi che
tornarono ad abbassarsi. << Sempre.. sempre se non è un
problema, madre >>
<< Non c'è alcun problema al riguardo, Hinata-chan
>> la voce zuccherosa di sua madre ebbe il potere di farla
sorridere. << Mi chiedevo solo se percaso non ti piacesse
più il tuo taglio da hime >>
Hinata si affrettò a scuotere la testa, e la sua corta zazzera
fece lo stesso con lei. << N-no madre, è che..
vorrei..>> disse. <<... sembrare più grande..
>>
Alla spazzola, tutto d'un tratto, si sostituirono le mani della donna,
che presero a sfilare fra i suoi capelli corti con lentezza, come se
volesse farle un massaggio.
<< Rifiutare il taglio da hime è come rifiutare le
tradizioni Hyuuga, Hinata-chan >> la presa sul suo collo si
intensificò, ed Hinata sgranò gli occhi.
<< Stai per caso rifiutando gli Hyuuga, Hinata? >> la voce
sibilante di sua madre le lambì l'orecchio. << Lo stai per
caso facendo? Hinata? Hinata?! Hinata! >>"
Incubo.
Ciò che vede quando si risveglia è bianco, mentre il
fiato le si mozza in gola e annaspa alla ricerca di un immaginario
appiglio. Forse urla, non lo sa, sta di fatto che quando si sente di
nuovo in sé - infiniti istanti dopo - costata davvero di
essere circondata dal bianco.
Hinata Hyuuga si massaggia gli occhi e cerca di farsi leva sulle
braccia, scoprendo come il suo corpo sia adagiato su un materasso, e
lei sia ancora completamente vestita.
I pochi e vaghi ricordi che conserva prima che, in tutta
probabilità, svenisse, ruotano attorno a casolari abbandonati,
un gruppo di ragazzi e un paio di occhi azzurri; occhi azzurri che
durante il suo sonno non hanno fatto altro che tormentarla
ripetutamente.
Hinata si massaggia la testa, e con un'occhiata analizza la stanza dove
è rinchiusa: un letto, pareti bianche - candide, immacolate - e
un vecchio armadio. Un'arredamento troppo spoglio per essere una casa.
Poi, tutto d'un tratto, avverte un odore pungente alle narici, e uno
scrosciare d'acqua molto familiare: riesce a balzare giù dal
letto, ancora intontita, e ad affacciarsi all'unica finestra della
stanza, costatando come il suo pensiero sia realtà.
Si affaccia direttamente sul mare, e lei è in quel faro bianco che tanto aveva aspirato a raggiungere.
Probabilmente è ancora un po' confusa, questo spiegherebbe la
sua mancanza di reazioni in fondo: se fosse nel pieno delle sue
facoltà fisiche e mentali si farebbe sicuramente prendere dal
panico e cercherebbe immediatamente di fuggire all'istante, o perlomeno
di capire qualcosa in più riguardo a quella situazione.
Come ci è finita lì?
Hinata riesce solo a tornare a sedersi sul letto, poggiando la testa
contro il muro e prendendo respiri profondi: è inquieta, stanca,
sporca, e la ferita che ricordava avere sul braccio è adesso
perfettamente pulita e bendata.
Ricorda. Ricorda. Ricorda.
Ed è solo quando un cigolio invade la stanza che Hinata sembra
ritornare alla persona guardinga e cauta che era il giorno prima: la
porta si è spalancata e ad osservarla c'è un ragazzo con
in mano una tazza.
E' automatico, così naturale che le viene voglia di piangere;
Hinata soffoca un urlo, e nella fretta di allontanarsi il più
possibile perde l'equilibrio e finisce con la schiena sul pavimento,
cadendo dal letto.
Sente il ragazzo urlare, è un ragazzo - di questo ne è
sicura, e i suoi passi concitati venirle incontro, superando il letto e
affacciandosi nella sua direzione.
Non è voluto, e quando vede la sua mano correre verso la sua
spalla per aiutarla - la sua voce è lontana, un eco appena
udibile in tutto il chiasso di urla nella sua mente - immagini
e ricordi si sovrappongono alla realtà; ricordi dove
qualcuno la toccava, e lei non riusciva a fare altro che urlare. Hinata
soffoca un singhiozzo e si ritrae immediatamente, strisciando sul
pavimento e poggiando la schiena contro al muro - è in trappola,
se quel ragazzo vorrà farle qualcosa lei non riuscirà a
difendersi.
<< No no no! >> lo sente urlare, ma è confuso. E'
tutto maledettamente confuso. << Io non.. non ti farò del
male! Sono io.. il ragazzo, quello che ti ha salvato! Non voglio farti
del male! >>
Hinata scuote la testa, e sente le lacrime affiorarle agli occhi;
sobbalza e lancia quasi un urlo quando sente il suo tocco sulle sue
braccia, che le stringono decise. Lotta, vuole scostarsi, vuole
scappare. Le farà male, le farà male le farà male..
Questa volta la sua voce non è più intrisa di panico e
insicurezza, è seria, così seria che Hinata non riesce ad
ignorarla, e scalciarla nei più profondi meandri della sua testa.
<< Guardami negli occhi >> le dice. << Non ti farò del male >>
Ed Hinata lo fa; smette di dimenarsi dalla sua presa e lascia che il
suo sguardi vaghi dal suo collo, percorrendo le linee della mascella,
le cicatrici sulle guance, fino a quegli occhi azzuri che la osservano
- e tutto d'un tratto ricorda davvero tutto. O quasi.
Ogni singolo particolare
delle ultime scene che l'avevano vista protagonista, prima che si
facesse buio.
<< Oh >>
China il capo, e sente la sua presenza farsi più lontano - forse per lasciarle un po' di spazio, pensa.
E' nervoso, o forse solo molto indeciso sul da farsi, ma Hinata - che
nel frattempo ha ricordato a malapena cosa fosse effettivamente successo - cerca
di capire come possa essere finita su quel letto, e se, magari, fosse
stato proprio lui a portarcela.
<< Io ti ho portato qui >> le dice, dopo che lei si è
alzata in piedi e ha calmato i tremiti del corpo. Non ha più il
coraggio di guardarlo in faccia, e lui sembra capirne il motivo - perché deglutisce rumorosamente e si tira
più indietro, mettendo diversi metri di distanza fra loro.
<< E ti ho... curata >>
Hinata non reagisce - vorrebbe, vorrebbe davvero farlo, ma la mole di
pensieri e emozioni che poco prima l'hanno travolta è troppo
grande per elaborarla in così poco tempo. In compagnia di uno
sconosciuto.
<< E-Ecco >> lo sente balbettare. << Di là
c'è una.. doccia. Se vuoi, proprio in fondo al corridoio
>> aggiunge, e di sottecchi Hinata lo vede strisciare verso la
porta.
Non è che lo spaventa, forse è solo nervoso. Forse anche
lui, come lei, ha bisogno di elaborare il tutto e realizzare di aver
appena salvato la vita di una ragazza.
Forse, come lei, ha solo bisogno di capire il perché sia successo proprio a loro.
***
Diversi minuti dopo che quel ragazzo è sparito,
Hinata gattona fino alla porta e scivola piano oltre essa, facendosi
strada nel piccolo e stretto corridoio del faro. Sopra di lei si
estende una lunga serie di scalini, che seguono armoniosamente le
pareti arrotondate della struttura per la bellezza di ben, a quanto le
sembra dopo una breve occhiata, di due piani.
C'è ancora il rumore del mare mentre raggiunge l'unica porta in
fondo al corridoio, spalancandola e facendo capolino dentro quella che pare avere l'aspetto di una lavanderia.
Cesti di vecchi e consunti capi occupano quasi tutto lo spazio, l'aria
è stantia, e una piccola e fioca luce penetra dall'unica finestra della stanza, una botola posta appena sopra il wc.
Hinata si chiude la porta dietro e fatica a farsi spazio fra
l'incredibile numero di oggetti che occupano quel posto, che più
che un bagno sembra essere stato adibito a ripostiglio: ma non fa
differenza, dopo essersi assicurata che tutto funzioni perfettamente,
si spoglia dei suoi abiti sporchi e impolverati e scivola nel cubicolo
che dovrebbe essere la doccia, lasciando che quell'acqua gelida le
accarezzi la pelle per la prima volta dopo giorni.
Sarà forse il silenzio, o il fatto che come sottofondo senta le
onde infrangersi contro gli scogli, ma quando trova il sapone - niente
oli profumati, o bagnoschiuma all'essenza di cacao; deve accontentarsi
di sapone di marsiglia - non riesce a non frenare le proprie mani.
Lo sfrega contro i lividi, contro i graffi, con rabbia, disgusto,
con una forza tale che in pochi istanti la sua pelle si arrossa in
più punti, gonfiandosi, a volte sanguinando. Ma ad Hinata non importa il
dolore, le basta togliersi dal corpo le tracce delle mani che appena
qualche ora prima l'avevano toccata, violentata più di nome che
di fatto, ma che non avevano esitato a calpestarle quella piccola parte
di sé che era ancora riuscita a mantenere intattata in tutta
quella follia.
Il suo candore.
Sente ancora sui suoi seni la presa delle sue mani, la sua lingua
viscida che le lecca il palato, il peso della sua erezione contro le
sue cosce; è rivoltante, così rivoltante che il solo
ricordo la spinge a chinare il busto e a trattenere un conato di
vomito. E farebbe di tutto, ogni cosa, pur di togliersi di dosso la
sensazione del suo alito caldo contro il suo collo, o quella dei suoi
polpastrelli che scivolano sempre più giù, oltre il suo
ventre.
Il sapone cade per terra, ed Hinata soffoca i singhiozzi contro
entrambe e mani, lasciando che l'acqua lavi via ciò che lei non
riesce a cancellare neanche con le lacrime.
Lascia che l'acqua lavi via i suoi ricordi, o che perlomeno provi a
farlo - pretendendo che, forse, una volta uscita da lì,
riuscirà a non pensarci più.
Quando sa che non è così.
Mette piedi fuori dalla doccia tremando e faticando a reggersi in piedi
- dalla stanchezza, forse perché ancora non è riuscita a
recuperare completamente le forze.
Frugando fra i cesti si imbatte in una miriade di stracci - poco utili,
alcuni così sporchi e meleodoranti da farle storcere il naso - e
dopo averne trovati un paio in condizioni decenti se li infila
direttamente sulla pelle bagnata, raccogliendo la sua divisa buttata
per terra.
Ciò che però la sorprende - al di là della
soddisfacente sensazione di essere abbastanza pulita, di cui si sente
moderatamente in colpa - è in chi si imbatte una volta fatto
capolino fuori dalla stanza, i capelli gocciolanti.
Non lo vede, forse perché da poco ha preso l'abitudine di tenere
lo sguardo basso e non badare a ciò che ha davanti il proprio
naso, ma quando il suddetto cozza contro qualcosa di abbastanza
resistente - quasi un muro - Hinata non riesce a non squittire e a
sobbalzare all'indietro, prima che un paio di mani le impediscano di
sbattere contro la porta in ferro dietro di lei.
Senza neanche pensarci Hinata si ritrova a divincolarsi da quella
presa, e non ha neanche il tempo di dispiacersi dell'improvvisa
mancanza di calore sulle sue spalle - lui ha già tolto le mani,
come scottato.
Quando parla ha di nuovo la voce rauca dallo sforzo, e solo in quel
momento Hinata trova il coraggio di alzare lo sguardo - per la seconda
volta.
<< Mi dispiace >> Ha gli occhi azzurri. Di un azzurro talmente
intenso da farle tremare le ginocchia, e d'improvviso ciò che
manca al suo puzzle di ricordi del giorno prima torna come se niente
fosse mai successo. La memoria di quel ragazzo dagli occhi azzurri.
<< Mi dispiace da morire >>
Non ci vuole un gran genio per capire a cosa si sta riferendo ed
Hinata, sentendo la gola seccarsi, vorrebbe tornare a piangere come
prima, piangere di nuovo la scomparsa di quattro ragazze, e di una
violenza che mai si sarebbe aspettata di dover subire.
Ma non lo fa, china un'ultima volta il capo e si assicura di prendere
respiri profondi - per arginare le lacrime, per essere sicura di non
scoppiare in singhiozzi da un momento all'altro.
Poi scuote la testa, lievemente - ma sembra bastare. Non lo sta
perdonando, perché lui non ha alcuna colpa di quello che
è successo - e lo sanno entrambi - ma Hinata pensa che sia la
cosa migliore da fare. Lo avrebbe ringraziato dopo, quando sarebbe
stato il momento giusto.
<< Non importa >> importa, invece. Importa così
tanto che lei stessa fatica a dirlo, e pensa che - guardandolo negli
occhi - lui avrebbe capito che lei stava mentendo.
Ma non dice niente, e Hinata vorrebbe ringraziarlo solo per questo.
Piuttosto, quando lei si stringe la sua divisa contro il petto e torna
a guardarlo timidamente - e non ne capisce neanche il motivo. La
timidezza, ora, non è più concessa - fa scivolare
entrambe le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, e si schiarisce la
voce.
<< Io sono Naruto >> proferisce. << Naruto Uzumaki >>
Lei annuisce, e dopo un attimo di silenzio, con orrore si accorge di
essere tenuta anche lei a presentarsi. Avanza di un passo - piccolo,
appena accennato - e torna a guardarlo negli occhi.
<< Hinata >> la voce è così bassa che lei stessa se ne sorprende. << Hyuuga Hinata >>
***
Sakura non sa dove stanno andando.
In realtà il solo pensare al plurale le mette addosso una vaga
sensazione allo stomaco sulla quale preferisce non farsi troppi
problemi, perché effettivamente non sa dove stanno andando.
Lui non le ha detto nulla.
Non le rivolge mai la parola, in realtà, se non quando è
strettamente necessario - per chiederle il localizzatore, che lei non
gli consegna mai, preservandosi il diritto e il dovere di manovrare
lei, quello strumento.
La cosa che però la sorprende è la sua stessa mancanza di
reazioni - ancora non capisce, o meglio, in certi punti della giornata
precedente si era più volte chiesta del perché avesse
deciso di seguirlo. E il perché lui avesse accettato con
così tanta facilità la sua presenza.
Sa di non essere il tipo di persona che segue, che sottosta il comando
di terze persone senza nemmeno protestare, eppure quando il giorno
prima - dopo le presentazioni - lui era tornato ad immergersi nella
foresta dalla quale erano appena scampati, Sakura non aveva fiatato e
l'aveva seguito - senza protestare, in silenzio, troppo presa dal
cercare di realizzare che aveva qualcuno su cui appoggiarsi, nei giorni
avvenire.
Eppure lui non le parla, e non le da esattamente fastidio;
perché solo con un'occhiata Sakura era riuscita a decifrare il
suo carattere - ciò che la lascia perplessa è costatare
che lui non sembra avere alcun tipo di piano, o strategia. A volte le
chiede di poter vedere lo schermo del localizzatore, e Sakura non ne
capisce il motivo - a volte sembra trattenersi dal farle qualche
domanda, e Sakura vorrebbe spingerlo a fargliela.
L'unico momento in cui era riuscito a vederlo sul viso - lo seguiva, in
fondo, Sakura osservava solo la sua schiena, mentre salivano colline e
attraversavano foreste - era stato la notte prima, quando entrambi si
erano trovati d'accordo nel dire che era giunto il momento di
accamparsi - e Sakura ricorda ancora l'imbarazzo nel comunicargli che
si sarebbe assentata qualche minuto per sopperire a diversi bisogni
fisiologici.
Non avevano neanche acceso un fuoco, per evitare di essere localizzati,
ma Sakura mentirebbe se dicesse di non aver visto quella come
un'opportunità per conoscere qualcosa in più di quel
ragazzo - che la incuriosiva. Tanto.
Lui ovviamente si era rinchiuso in un mutismo assoluto; le aveva
ordinato di riposarsi, e le aveva detto che l'avrebbe svegliata quando
sarebbe giunto il suo turno di guardia. E lei gli aveva obbedito, solo
per svegliarsi quando l'alba era sorta.
Dopo quella costatazione era rimasta ad osservarlo in trance per una
buona manciata di minuti, e per la prima volta dopo ore l'espressione
insofferente ed infastidita con cui l'aveva conosciuto era tornata a
deturpare il suo bellissimo viso.
"Cosa vuoi?" le aveva detto, lasciandosi cadere sull'erba della radura che avevano scelto come accampamento.
Sakura si era preparata a rispondergli per le rime, e a chiedergli del
perché non l'avesse svegliata per il suo turno di guardia,
quando aveva notato l'animaletto che spuntava dalla sua mano.
"Cos'è quello?"
"La colazione" aveva replicato lui, spiccio, e Sakura aveva storto le
labbra. "E quando l'avresti presa?" aveva aggiunto lei, tempestiva.
"Adesso"
Aveva osservato con aperto disgusto la testa dello scoiattolino che
spuntava dal suo pugno stretto, ricordandosi solo in quell'attimo di
come gli snack e le patatine che aveva preso due giorni prima fossero
spariti del tutto una manciata di ore prima.
"Qualcuno avrebbe potuto
attaccarmi senza che potessi difendermi" aveva affermato, alzandosi in piedi e
spolverandosi la gonna della divisa.
"Mi hai lasciata sola"
Lui - Sasuke - l'aveva guardata con tanto d'occhi, prestando seriamente
attenzione alle sue parole. "Avevo controllato il localizzatore"
Sakura avrebbe voluto dirgli che era lei l'unica che poteva tenere il
localizzatore, e che lui aveva appena commesso un errore grave a
sottrarglielo senza permesso - ovviamente non disse niente,
principalmente perché lui in quel momento aveva deciso di
scostarsi dall'albero sul quale si era poggiato, lanciandole
un'occhiata così carica di sottointesi che Sakura si era sentita
le gambe cedere.
"Cucinalo" la sua voce le era giunta più lontana di quello che
fosse in realtà, forse perché era voltato di spalle e non
la guardava in faccia. "E comincia a prepararti. Fra poco andiamo"
Sakura non aveva detto niente, le labbra sigillate -lui era andato a
prendere l'acqua. Li avrebbe aspettati una lunga giornata. Di nuovo.
Assieme.
In quel momento, però, non era stato il terrore ad
attanagliarle le viscere - come era successo nei tre giorni
precedenti. Sakura aveva quasi sorriso, quasi, ci era quasi riuscita -
forse grata, forse sollevata, si era diretta verso le loro borse, in
cerca della sua gavetta inutilizzata, e aveva fatto quello che lui le
aveva chiesto di fare.
Perché lui l'aveva protetta.
***
Senza neanche rendersene conto, Hinata si ritrova a vagare fra i
corridoi di quel faro, lasciando che la mano segua e sfiori la
superficie ruvida dei muri.
Lo sta seguendo - segue Naruto, Naruto - e lascia che lui le mostri le
poche stanze dei piani superiori, guidandola verso la cucina - le ha
detto - in attesa di un confronto che prima o poi sarebbe arrivato.
Ed è così che succede: Hinata lo vede scendere gli ultimi
gradini della scala, e spalancare l'ennesima delle porte in ferro di
quel posto, lasciando che uno sbuffo d'aria le sferzi in faccia,
scompigliandole la frangia e facendola rabbrividire da capo a piedi.
E' a piedi nudi, e a piccoli passi entra in quella che dovrebbe essere
il cucinotto del faro: l'arredamento è spoglio come tutte le
altre stanze che ha visto, e solo un vecchio tavolo sgangherato con un
paio di sedie occupa quello che altrimenti sarebbe il vuoto al centro
della stanza.
Hinata si stringe negli abiti consunti che indossa, notando come
l'odore del mare, in quel posto, si sia fatto ancora più
pungente di prima - sarebbe quasi fastidioso, se lei non avesse, poi,
preso a non dargli più conto.
Adocchia una delle sedie, e osservando la sua schiena che si avvicina
ai piccoli armadietti, vi ci si posiziona sopra, timidamente - sul filo
del sedile, appena.
Non sa cosa sta facendo, ma dopo una manciata di minuti lo vede tornare
e con una naturalezza quasi straziante porgerle una tazza di
caffè. E per un attimo le sembra di tornare indietro nel tempo,
perché era sua sorella minore Hanabi a fare una cosa simile, e
le viene voglia di piangere. Di nuovo.
Ha le mani tremanti quando accetta la tazza, e il viso basso.
<< Fa schifo >> le dice lui, e sembra quasi che stia ridacchiando. << Ma è meglio di niente >>
Lo sente sedersi, proprio davanti a lei, lasciando le braccia sul
tavolo e osservandola mentre si porta la tazza alle labbra - ed
è vero che fa schifo, ma quel caffè in un qualche strano
modo riesce a confortarla, e le parole che le salgono alle labbra sono
così cariche di calore e significato che Naruto sgrana gli occhi
e si irrigidisce.
<< Grazie >>
Di tutto.
E per la prima volta Hinata prova a sorridere - è un accenno, un
lieve curvarsi delle sue labbra screpolate. Ed è rossore, sangue
che affluisce al viso, ciò che le imporpora le guance quando lo
vede ricambiare il gesto, con un sorriso più entuasiasta del
suo, più luminoso - come se quasi non fosse successo niente, e
lui non l'avesse salvata da un tentato stupro, uccidendo i suoi
compagni.
<< Come stai? >> le chiede lui, la voce dolce, gli occhi
sorridenti. E' un tipo allegro, Hinata questo lo capisce subito - e
ringrazia che lo sia abbastanza anche in una situazione simile.
<< ... bene >> sussurra, ed è vero. In quel momento sta bene - basta non pensarci, e lei riesce a stare bene.
Sembra un paradiso, quel posto, le sembra di tornare con la mente e col
corpo a quella casupola affacciata su un dirupo, in compagnia
di tre ragazze che proprio come lui non avevano esitato a salvarle
la vita.
Sa, però, che non è ancora finita. Lo vede dai suoi pugni stretti, che sono appena all'inizio.
<< Ti hanno fatto tanto male? >> e quella frase gli
è costata coraggio. << Sono.. sono riusciti a.. >>
<< No >> replica sommessamente lei, affrettandosi a
scuotere la testa. << Sei... arrivato appena in tempo >>
E' imbarazzante - o meglio, è semplicemente terribile da dire.
Hinata non riesce a guardarlo dritto negli occhi, tanto in colpa si
sente per lo spinoso argomento che stanno affrontando. Perché
lui li ha uccisi, non ha esitato ad ucciderli tutti quanti, solo per
quello che avevano provato a farle. Li ha uccisi.
Per lei.
Ma fa male lo stesso, e il retrogusto amaro del senso di colpa torna a
colpirla, così forte che un capogiro le sconquassa le membra, ed
è costretta ad aggrapparsi al tavolo per non crollare sul
pavimento.
Nel frattempo le onde si sono fatte sempre più forti, sente il
loro rumore; sono vicinissime. L'acqua che si abbatte contro gli
scogli, con violenza.
Lui sorride amaramente, e non la guarda ancora in volto - ma ci prova,
prova a sdrammatizzare. Ed Hinata ancora non capisce, perché
forse lui è davvero una brava persona - perché ha ucciso
i suoi compagni per salvare una come lei, che non sa fare niente. Per
salvare una estranea, una nemica, una di Konoha.
Oto odia Konoha.
<< Sono tutti impazziti >> soffia lui, passandosi una mano
fra i capelli biondi, scompigliandoli. << Forse lo sono anche io
>> e ridacchia, ma il sorriso non si estende agli occhi.
Hinata lo scruta, ferma, agrottando la fronte dietro la frangia ancora
umida - vorrebbe chiedergli cose che non potrebbe mai chiedergli,
vorrebbe chiedergli cosa lo abbia spinto a salvarla, del perché
lo abbia fatto, del perché non l'avesse lasciata a morire. Se lo
avesse fatto, forse sarebbe stato meglio.
Si rende successivamente conto di aver detto quasi tutto ad alta
voce, in particolare gli ultimi pensieri che l'hanno attraversata, solo
quando vede il suo sguardo farsi di ghiaccio e i suoi pugni stringersi
di nuovo.
<< Non dire stronzate! >> un pugno si abbatte sul tavolo, la sua voce è gelida,
questa volta; non è che un vago ricordo del tono morbido di poco
prima. Hinata arrossisce, di vergogna ed imbarazzo, e si fa piccola
piccola sotto la sua presenza. << Solo perché siamo in una situazione simile..
non giustifica niente. Queste cose non si fanno! >> si alza, e
Hinata lo segue con lo sguardo - lo vede dirigersi verso il cucinotto,
e accendere con qualche imprecazione uno dei due fuochi, lasciando un
pentolino a bollire.
Poi lei parla, e se ne sorprende - perché chiunque, dopo le
parole dure di poco prima, avrebbe deciso saggiamente di rimanere in
silenzio.
<< Erano tuoi amici? >> è timida la sua voce, e
così carica di sensi di colpa che non si sorprenderebbe di
scoprire che lui ha capito tutto.
Questa volta trattiene il respiro, e spera che non sia lui a provare ad
ucciderla - c'è un fucile, poggiato vicino al cucinotto;
così imponente da farla rabbrividire, e se non sbaglia una
fodera gli pende dal fianco, con una pistola dentro.
Lo vede guardarla con tanto d'occhi, sorpreso dalla sua domanda
insidiosa, ma non accenna a piegarsi o a mostrare qualsiasi tipo di
disagio. Abbassa lui lo sguardo, puntandolo poi contro qualcosa di
imprecisato dietro di lei e stringendo i pugni - forse ricorda.
<< Erano miei compagni >> dice, e un colpo le inabissa il
cuore così in profondità da farle male. Compagni compagni
compagni - nessuno ha il coraggio di parlare di amici in una situazione
simile, e gli occhi non gli brillano quando lo fa. Hinata lo vede - che
quello non è lo sguardo brillante dedito ad un caro amico.
Hinata annuisce, gli occhi sempre bassi, e cerca di non sospirare -
neanche se ne rende conto, però; in un batter d'occhio ha il suo
viso vicino, vicinissimo. Così vicino che le sembra di tornare
indietro nel tempo, prima che svenisse. I suoi occhi sorridono,
stavolta, e brillano così tanto che Hinata arrossisce prima che
lui possa dire qualcosa.
<< Ti ringrazio >> per preoccuparti.
Non trova niente da dirgli, semplicemente perché è senza
parole. Quel ragazzo - Naruto - la sta ringraziando per dimostrarsi
così accorta nei confronti dei suoi vecchi carnefici, quando
è lui la persona che le ha salvato la vita.
Sente le lacrime affollarle gli occhi, e prima che possa proferirisci
in scene strappalacrime preferisce abbassare il capo e annuire appena.
Lui le sorride - ma non è un sorriso contento, non potrebbe mai
esserlo.
C'è il silenzio poi, rotto soltanto dal suo spostarsi nel
cucinotto, ed Hinata in un istante si ritrova davanti una ciotola colma
di minestra: verdure verdi e mollicce galleggiano sulla superficie in
un modo poco apetitoso, ma è il primo pasto decente in
più di tre giorni. Piangerebbe solo per quello.
<< Fa schifo anche questa >> le porge un cucchiaio,
sorridente, che lei accetta con una mano tremante. << Ma ti
farà bene >>
Lo sente tornare a sedersi, di nuovo davanti a lei - il mento sulle
braccia poggiate sul tavolo, un espressione incuriosita sul volto.
Hinata non vuole e non riesce ad immaginare cosa abbia passato, durante
quelle ore. Perché erano solo suoi compagni, ma lei è una
estranea.
<< Quanto ho dormito? >> la sua voce è bassa, appena udibile, ma lui rizza subito le orecchie e alza il capo.
<< Un giorno, praticamente >> le risponde, automaticamente.
<< Ti sei svegliata subito dopo la comunicazione delle dodici
>>
Hinata si ritrova ad annuire per l'ennesima volta, con più calma
- e quasi se ne sorprende, saggiando il suo pasto. La domanda che le
pende dalle labbra è lì, passano i minuti ma lei non ha
il coraggio di porgergliela. Perché potrebbe disturbarlo,
perché potrebbe infastidirlo. Perché non è comune,
perché neanche lei vanta delle conoscenze simili.
<< C-Come hai fatto..? >>
Naruto torna ad osservarla, ancora più incuriosito. << A fare cosa? >>
Hinata posa il cucchiaio sul bordo del piatto e deglutisce, lo sguardo
basso. << L-La ferita. E' perfettamente curata >> si indica
con un dito la spalla ancora un poco dolorante.
Sembra cogliere nel segno per un attimo, perché lui torna a
sorridere entusiasta - così luminoso da abbagliarla - ma sente
di aver detto allo stesso tempo qualcosa di pesante. Qualcosa che lo
riporta indietro, e vorrebbe morire soltanto per averlo fatto.
<< Non proprio >> proferisce, e non la guarda negli occhi.
<< Ho fatto quello che potevo. Una mia amica sapeva fare meglio
>> aggiunge, prima di stringere i pugni. << Sa fare meglio
>>
<< Capisco >>
Poi Hinata lo sente, dopo il sottile imbarazzo. Sente che è lui,
stavolta, a voler chiederle qualcosa; lo vede dai suoi gesti, dal suo
sguardo che non l'abbandona un attimo, dalla piega stretta delle sue
labbra.
E lei annaspa, indecisa sul da farsi.
<< Sei sola, tu.. vero? >>
Non è premeditato, e ciò che succede dopo lascia entrambi
con la bocca aperta - per motivi totalmente differenti, ma è
così. Il cucchiaio scivola via dalle sue dita, rimbalzando sul
legno del tavolo e atterrando sul pavimento con un "tick" così
devastante che sembra rimbombarle in testa, come l'eco di una voce.
Hinata abbandona la schiena contro la sedia, cercando di calmare i
tremiti che d'improvviso le scuotono il corpo da cima a piedi -
è orribile. Si sente così vulnerabile, perché
basta una parola e lei torna a ricordare, e la bolla di
normalità esplode assieme alle sue speranze.
Si scosta una ciocca di capelli dal volto, le mani le tremano. Si sente di nuovo sprofondare come prima.
<< Sì >>
Lo è. Lo è. Lo è.
Naruto si è alzato in piedi, nel frattempo, e la osserva
dall'alto della sua postazione - l'espressione fiera, gli occhi tristi
di chi in tre giorni ha visto cose che mai avrebbe voluto vedere.
Hinata torna ad alzare lo sguardo, ed è azzurro ciò che vede - come il cielo di primavera. << E tu? >>
Lui scuote la testa, e c'è l'ombra di un sorriso ad adornargli
le labbra. Hinata quasi lo invidia quando lo dice, perché basta
guardarlo in viso, basta perdersi nei suoi occhi per capire che
c'è davvero qualcuno. Qualcuno che lo aspetta, e che lo cerca.
<< No >> risponde lui. << Io non lo sono >>
Ed è la verità.
A metà del quarto giorno si imbattono, finalmente, in uno sciame di sensori proveninenti da est.
La cosa che sorprende ed annischilisce Sakura, dopo che effettivamente
si rende conto della cosa, e sapere che sono riusciti ad evitare per
ore ed ore intere qualsiasi tipo di sensore, tergiversando nei modi
più assurdi e pericolosi, e avrebbero potuto farlo anche adesso, in effetti; sarebbe bastato
prendere una rincorsa giù per la collina, tornando indietro sui
loro passi e nascondendosi fra il fogliame della foresta, nella
speranza di non essere localizzati - e di conseguenza barbariamente
uccisi.
Ma lui non si smuove; sembra non sentirla, non sente le sue parole. Le
sue implorazioni: è fermo, impalato, in mezzo al sentiero, sotto
i rami degli alberi, scrutando con la mano sulla mitraglietta la
direzione da dove i sensori dovrebbero spuntare da un momento all'altro.
E' troppo tardi, il panico le chiude la gola e quando urla ha la voce
strozzata. << Stanno arrivando, maledizione >> ringhia,
indietreggiando di due passi. << Dobbiamo andare! >>
Sakura sa che lui non è stupido, è la prima cosa che ha
capito. Eppure non riesce a spiegarsi il suo comportamento, non riesce
a spiegarsi i suoi gesti: dovrà pur aver in mente qualcosa,
dovrà pur dirle qualcosa. Non potrà sempre rinchiudersi
in quel mutismo assoluto, pretendendo che lei rispetti i suoi
ordini anche a costo della vita. Non vuole morire lei, maledizione. E'
per questo che si è alleata con lui.
<< Sasuke! >>
E' istintivo: la mano libera dal localizzatore scatta veloce, e si
chiude attorno alla stoffa della sua giacca, sul braccio. Quel
tocco fa sobbalzare entrambi, come percossi da una scarica
elettrica, e Sakura, osservando il suo volto voltarsi di scatto, ritrae
immediatamente il braccio, il respiro spezzato. << S-Sasuke-kun..
>> balbetta, annichilita dal suo sguardo e dubbiosa del tono
agressivo usato poco prima.
I suoi occhi scuri cercano il suo sguardo, mentre fra loro il localizzatore prende a vibrare come impazzito.
Questa volta è lui a toccarla, afferrandola brutalmente per una spalla
- e Sakura, in un attimo di terrore, pensa che finalmente abbia deciso
di ucciderla e togliersela dai piedi.
Piuttosto preferisce trascinarla di forza fuori dal sentiero, sotto le
sue proteste, e buttarla letteralmente, senza farsi troppi problemi,
dietro i cespugli più fitti. A qualcosa il suo gesto
è servito, perché anche lui si unisce dietro a lei,
accovacciandosi sulle ginocchia e lasciando che gli occhi scrutino
attraverso il fitto fogliame, alla ricerca del sentiero che hanno
appena abbandonato.
Sakura, la spalla indolenzita, è pronta ad urlargli addosso
tutta la sua rabbia - ma il localizzatore vibra ancora, e la
consapevolezza che da lì ad una manciata di secondi uno sciame
di decine di sensori passerà loro davanti le attorciglia le
budella in preda al terrore.
Volta di scatto il capo, perché è assurdo. Perché
basterebbe lanciarsi in una - folle - corsa giù per la foresta e
riuscirebbero a guadagnare tempo, ad evitare di rischiare la vita
appostandosi dietro a dei pericolanti arbusti - perché
anche se è il primo giorno di pausa, Sakura non tiene molto
all'idea di un confronto con altre scuole.
Fa per dare voce ai suoi pensieri, con un urlo indignato, ma la mano di
lui torna a farsi a sentire - questa volta sulla sua schiena. Si posa
lì, e Sakura avverte il calore del suo tocco anche da sopra la
stoffa della sua giacchina, e trova straordinario che una persona
così assente e fredda come lui riesca ad irradiare tanto calore.
Prima che il tocco si trasformi in una morsa quasi dolorosa, quando lui
le spinge il busto sempre più in basso, ordinandole di stare
più nascosta.
Ma a Sakura non sfugge il suo sguardo vigile che vaga sul sentiero, e
non riesce a smettere di chiedersi del perché sembra voglia
vedere in carne ed ossa i loro potenziali aguzzini.
Poi succede.
I passi e le voci si fanno sempre più vicini, e il battito
del
suo cuore aumenta mano a mano che le presenze incombono su di
loro. Sakura, senza neanche rendersene conto, stringe la pistola
nascosta fra la gonna e la camicia - sa che non riuscirà mai ad
usarla, ma il solo sapere che è lì, con lei,
riesce a confortarla il minimo che basta per non farla scoppiare in
lacrime.
Il terrore, però, non riesce a sopprimere la curiosità:
non vuole, ma i suoi occhi verdi scivolano oltre il fitto fogliame
dietro il quale si sono nascosti, scorgendo a tratti gonne e pantaloni,
delle armi. C'è Suna, Uzu e, con orrore, anche Konoha. Non sono
molti, una decina, ma Sakura ringrazia di non riuscire a vederli in
faccia.
Perché loro ridono, e scherzano, e Sakura non riesce a capire come possano riuscirci.
Lui, nel frattempo, non hai distolto lo sguardo - sembra quasi
patologico, Sakura lo nota. I suoi occhi attraversano le piante, e
scrutano nel profondo di ciascun ragazzo che passa loro davanti, in
cerca di qualcosa che lei non riesce a comprendere.
Diversi minuti dopo i passi sono oramai lontani, così come le
voci; Sakura riesce a concedersi un sospiro di sollievo, lasciandosi
crollare definitivamente a terra e scostandosi i capelli dal viso - il
caldo è opprimente, pur essendo già passato mezzogiorno.
Lui si alza in piedi, lo sguardo sempre puntato sul sentiero, e Sakura
vorrebbe rimanere silente com'è e abbandonare qualunque
proposito di protesta. Ma non ci riesce, è più forte di
lei. Ha bisogno di risposte perché, maledizione, ha appena
rischiato la sua vita.
<< Saremmo potuti scappare >> la sua voce è secca, e
lo sguardo di rimprovero. << Abbiamo rischiato la vita
inutilmente >>
Sasuke non le da retta, o forse non vuole soltanto, e Sakura si ritrova
a stringere i pugni - impotente, stizzita, terrorizzata. E' stupida;
una parola di troppo e quel ragazzo potrebbe estrarre la katana da dietro la schiena e infilzarla come uno spiedino.
<< Mi stai ascoltando!? >>
<< Oggi è giorno di pausa >> replica lui,
altrettanto secco ed indifferente. << Se ci avessero attaccati il
quartiere generale avrebbe fatto esplodere i loro collari >>
automaticamente Sakura porta la mano al suo di collare.
<< Non è questo il punto >> ribatte, alzandosi in
piedi e issando una mano sul fianco in una posa così petulante
che per un attimo le sembra di tornare indietro nel tempo, ai suoi
giorni di rappresentante di classe. << Avrebbero potuto
aggredirci! Avrebbero potuto sottrarci le armi! Abbiamo rischiato
grosso solo per.. per.. >> Per cosa?
Sakura si passa una mano fra i capelli, in un gesto che trasuda
disperazione da tutti i pori, e quando torna ad alzare lo sguardo si
rende conto di aver commesso l'irreparabile: è arrabbiato, non
c'è alcun dubbio. Lo legge dalla piega severa che hanno assunto
le sue labbra, dal vuoto dei suoi occhi scuri che la scrutano
infastiditi.
<< Forse non hai capito bene >> soffia, così gelido
che Sakura si ritrova ad indietreggiare di un passo. << Il capo
sono io. Io decido dove andare e cosa fare, e non accetto proteste o
domande di qualsiasi tipo >> le dice.
<< Mi hai capito bene, questa volta? >>
Sakura non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla annuire come
una povera succube, perciò preferisce tacere - il corpo scosso
dai tremiti.
Quel ragazzo è pericoloso, così pericoloso che un solo
suo sguardo più sinistro basta a terrorizzarla e a farla tremare
da capo a piedi.
Lui china il busto, e raccoglie il suo borsone, voltandole le spalle e
cominciando ad avviarsi verso est - la direzione che fino a poco
prima stavano seguendo.
Quando torna a parlare lei è sembre immobile nella sua
posizione, ma ha la voce più morbida; Sakura lo sente e lo
percepisce. Le scivola addosso come una colata di cera calda,
lasciandola ancora più confusa di prima.
<< Niente più domande >>
Lei non annuisce nemmeno questa volta, ma torna ad afferrare il proprio
borsone e si volta di scatto, rincorrendo la sua figura già
lontana diversi metri. Vorrebbe urlargli di aspettarla, ma vede che lui
si è già trattenuto, e che ha appena voltato il capo
nella sua direzione, oltre alla spalla, e le lancia un'occhiata
incuriosita.
<< Muoviti >> le dice, tornando a voltarsi, e lei lo segue.
Questa volta camminandogli a fianco.
***
In un qualche strano modo, dopo il fortuito pranzo offertole, lui
è riuscito a convincerla a tornare ai piani superiori - forse
dopo che l'aveva vista massaggiarsi la testa un paio di volte.
Deve riposarsi, perché la ferità non è ancora
rimarginata, e anche se non ha subito grandi perdite di sangue, ha
avuto un alto rischio di setticemia - e la cosa l'ha provata non poco.
Lui è decisamente più alto di lei, di diverse spanne, e
Hinata gli arranca dietro, i piedi nudi che zampettano sul pavimento
ruvido e cosparso d'immondizia, le mani che sfregano le braccia -
ha freddo, gli spifferi d'aria sono micidiali così vicino al
mare.
Quando lui apre la porta Hinata torna a scorgere il familiare candore
che l'ha accolta poco prima, al suo risveglio, e immediatamente sente i
muscoli rilassarsi sotto le sue dita.
Lui la fa entrare per prima, e una volta entrambi dentro socchiude la
porta e si dirige verso gli armadi in fondo, mentre Hinata si perde
nella contemplazione di ciò che la circonda - è bianco.
Di un bianco luminoso che non ricordava affatto ci fosse.
<< La notte fa un po' freddino >> lo sente dire, da dentro
l'armadio. Sta frugando fra diversi panni, ed Hinata si accomoda sul
bordo dell'unico letto, stringendosi addosso gli stracci di cui
è vestita. La sua divisa è ancora bagnata, stesa
sull'unica sedia lì vicino. << Ma se ti copri con..
queste! Se ti copri con queste non avrai alcun problema! >> lo
vede emergere dall'armadio con tre coperte in lana grezza, impilate una
sopra l'altra tanto da nascondergli il viso.
Sorriderebbe, se ci riuscisse.
Gliene allunga una, gli occhi che sorridono, e le altre due le posa sul
pavimento, sbattacchiandole dalla polvere di cui sono cosparse, prima
di dirigersi verso il comodino vicino alla testata: allunga la mano e
Hinata lo vede agguantare un flaconcino di pasticche che prima non
aveva notato.
<< L'antipiretico funziona anche se scaduto! >> ridacchia.
<< Prendine un'altra pasticca dopo, se torna la febbre. Non si sa
mai >>
Hinata annuisce, la mano che sfiora il tessuto grezzo della coperta che
lui le ha porto. C'è un'altra domanda che la tormenta,
più impellente stavolta, e si ritrova ad osservarlo in attesa di
trovare il coraggio per porgergliela. Perché lui l'ha salvata, ma
avrebbe potuto benissimo lasciarla perdere. Lei è di Konoha.
<< P-Perché sei così gentile.. con me? >>
sussurra, e vede le sue spalle irrigidirsi. << Io sono di Konoha
e.. Hyuuga >> e sembra stupido ribadirlo, ma è la
verità.
Lui posa il flaconcino di pasticche, ed Hinata neanche se n'è
resa conto: è al capezzale del letto, inginocchiato, e la
osserva fisso, l'espressione seria di chi non sta e non vorrebbe
affatto scherzare, eppure non ci riesce.
<< Esiste ancora qualcuno che ce l'ha con gli Hyuuga? >>
sbotta, massaggiandosi il mento. << Pensavo fosse storia vecchia
>> vede il suo sguardo addolcirsi, e lui sorride. << Eri...
eri lì >>
Si alza in piedi, di scatto, e si allontana così in fretta che Hinata sgrana gli occhi, sorpresa ed inebetita.
<< E.. mezza svenuta, e piena di sangue. Saresti morta >> confessa, passandosi una mano fra i capelli biondi.
<< Non potevo lasciarti sola. Anche se sei di Konoha e sei Hyuuga >>
Hinata annuisce e - hai ucciso i tuoi compagni, hai ucciso i tuoi compagni, hai ucciso i tuoi compagni.
<< Comunque >> torna a guardarla. << Questo è
un posto sicuro. In un giorno non è neanche passata un'anima.
Sei al sicuro qui >> prova a sorriderle. << C'è
ancora del cibo nella dispensa, abbastanza per qualche giorno. E beh..
l'acqua funziona, hai visto? Sei al sicuro >>
Sei al sicuro. Sei al sicuro. Sei al sicuro.
Quel presentimento, quell'allarme che le è scattato in testa sin
da quando aveva messo piede in cucina, cogliendo il suo sguardo, si
concretizza quando lo vede frugarsi nella tasca dei pantaloni ed
estrarne quella che sembra una pistola. Piccola, ma una pistola.
Il respiro le si mozza in gola, e sente il panico tornare ad inghiottirla.
Lui si avvicina, e si accovaccia di nuovo - stavolta proprio sotto di lei, tornando a guardarla coi suoi occhi azzurri.
<< Prendila >> le dice. << Potrai difenderti se
uscissi dal faro, per trovare del cibo ad esempio. Non è molto,
ma starai più tranquilla. Così, quando starai
definitivamente bene, potrai anche andartene se vuoi >> Hinata
non reagisce, e allora lui infila la pistola fra le sue mani
intrecciate, non azzardando ad abbandonarle neanche quando è
sicuro che l'abbiano presa. Le sta stringendo le mani.
<< Stai andando via.. vero? >> la sta lasciando, la sta lasciando.
La sua presa abbandona i suoi polsi e con la coda dell'occhio Hinata lo
vede dirigersi verso l'unica finestra: non è impacciato, e
neanche nervoso, solo molto deciso.
<< Sì >>
I capelli le oscurano il volto, mentre annuisce - un nodo alla gola, la
pistola in grembo. << Perché? >> sussurra.
<< Ho degli amici, la fuori >> replica lui, le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni. << E sono ancora vivi, e mi
stanno cercando. Devo trovarli >> aggiunge. << Ed impedire
ad uno di loro di fare la più grande cazzata della sua vita
>>
<< Vai via.. adesso? >>
Naruto si volta a guardarla. << E' giorno di pausa. Devo cercare
di portarmi avanti con il cammino >> è un sì, che
le risuona nella testa.
Hinata annuisce, e prova a sorridere: ci riesce, mesta, e gli occhi le
si addolciscono spontaneamente. Non può trattenerlo, è
stato solo un caso il loro incontro, dettato solo dalla compassione e
dal senso di colpa. Hanno due strade diverse da percorrere, e due
obiettivi altrettanto diversi. Lei deve solo sopravvivere, lui deve
trovare i suoi cari.
Eppure le fa male lo stesso.
<< Capisco >> le labbra pallide si piegano in un sorriso e
d'istinto cerca il suo sguardo, trovandolo puntato addosso a lei.
Arrossirebbe, se la tristezza del momento non glielo impedisse.
<< Ti ringrazio >> grazie, grazie, grazie. << Sei una
persona gentile >>
Mi hai salvata.
Stavolta tocca a lui arrossire, sorridendole.
Ciò che succede dopo le lascia addosso un segno tale da
commuoverla; perché se anche lui avrebbe preferito salutarla
lì, in quella stanza, è Hinata stessa ad insistere per
accompagnarlo all'ingresso - pur non sapendo neanche dove sia.
I loro passi le sembrano una sentenza, mentre scendono le scale,
giù verso il piano terra, mentre lei si lascia guidare da lui -
la mano che carezza il muro con sguardo quasi trasognante. Non le
sembra neanche vero.
Forse è un sogno, proprio come quello che l'aveva svegliata dal
suo sonno poche ore prima. Forse lui non sta davvero raccogliendo il
suo borsone da terra, forse non sta davvero inforcando il fucile sulla
schiena. Forse non sta piegando la maniglia del portone in ferro,
quello d'ingresso.
Quando si volta a guardarla un'ultima volta Hinata sa che non ci
riesce. Che mai ci sarebbe riuscita, e non basta la paura di poter
perdere un'altra persona cara - proprio come è successo con le
ragazze di Suna.
Lei non riesce a stare sola, è più forte di lei. Il bisogno di avere qualcuno accanto.
<< Grazie >> la ringrazia lui stavolta, e lei non ne
capisce il motivo; vede solo la sua mano alzarsi e posarsi sul suo
capo. << E buona fortuna, Hinata >>
C'è il sole quando la porta si spalanca, così forte e
luminoso che le abbaglia per un attimo lo sguardo. O forse sono
solo i suoi occhi, non lo sa, ma Hinata annaspa e fa ciò che
non avrebbe mai dovuto fare; per lei, ma anche per lui. Perché
altrimenti lo avrebbe legato ad un vincolo troppo grande per entrambi.
Il braccio scatta d'istinto, quando lui è già voltato e
pronto ad andarsene, e afferra una porzione della sua giacca,
all'altezza del gomito. E lei parla, e sente le sue parole
rieccheggiare fra le mura del faro; salire in alto, per poi fraccassare
loro le orecchie con l'importanza di ciò che dice.
<< Aspetta..! >> fermati << N-Non andare via >> resta << Rimani qui >> con me << N-Non lasciarmi sola >>
Non farlo, non farlo.
<< Per favore >>
***
LoSpazioDiGè:
(Traduzione Titolo: Non Lasciarmi Sola, Per Favore)
Un mese. Uao. Ho stabilito un nuovo record.
...
...
...
Mi scuso, come a mio solito, ma per un po' di tempo ho vissuto nella
convinzione che l'estate avrebbe giovato alle mie fanfiction, cosa
assolutamente non vera. Purtroppo i miei amici mi obbligano ad uscire,
e c'è da dire che per due settimane precise sono stata in
full-immersion con la stesura di una nuova fic, che fin'ora ha
raggiunto il sesto capitolo :)
Che dire? Qui abbiamo il quadro generale della situazione. C'è
questa Hinata fragilissima, questo Naruto Messia, e Sasuke e Sakura che
cercano di ingranare con lo spirito di squadra.
Il prossimo capitolo sarà tutto SasuSaku (essì), e li
vedremo alle prese con una missione molto importante per la loro
salvezza ;)
MA NON DISPERATE! Non vi farò attendere un mese.♥
E se proprio la fame dei miei scritti (?) è così
impellente, potrete deliziarvi con questa commedia SasuSaku che sto
scrivendo e che vedrà il suo primo capitolo pubblicato in un
massimo di dieci giorni. Si chiama "Again & Again", è moolto
fluff, molto atmosfera familiare, e vi terrà compagnia per la bellezza di dieci capitoli.
...
...
Ringrazio chi ha ancora la pazienza di seguire me e questa fic, ma
sapete.. il caldo mi da alla testa, e spesso mi impedisce di scrivere.
Non scherzo ._.
Le vostre recensioni ♥ Spero continuerete ad amarmi così tanto anche dopo un mese di attesa.
Alla prossima! ♥
Shannaro ♥ e.. recensioni no jutsu!
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