Are you in love with me?

di the_rest_of_me
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Angoletto per me: questa storia è il sequel di "I'm in love with you" temo che non possa essere letta da sola perciò, se vi va, fate un salto in quella e fatemi sapere cosa ne penste, sempre se vi va ^_^


Pov Liza
 
Quando mi risvegliai ero nel mio piccolo appartamento. Ero sdraiata per terra di fronte al baule, in camera da letto.
Mi osservai, indossavo ancora quell’abito che avevo a casa dei Salvatore.
Allora non era stato tutto un sogno. Era davvero successo tutto.
Cercai quella collana.
Era ancora al mio collo. La osservai attentamente.
C’era qualcosa di diverso, ma non avrei saputo dire cosa, esattamente.
Poi un rumore, che non sentivo da parecchio, mi richiamò alla realtà.
Mi guardai attorno confusa, poi capii.
Stavano suonando alla porta d’ingresso.
Andai ad aprire, dimenticando completamente che l’abito che indossavo non era esattamente alla moda.
Dimenticando che non sapevo per quanto tempo avevo dormito sul pavimento.
Dimenticando di posare il manoscritto.
Aprii.
“Liza, come stai?? Dove sei stata?” si fermò un secondo per osservarmi “E come sei vestita?”
“ciao Mike, è un piacere vederti! Ma prego accomodati e sommergimi pure di domande!”
Si accomodò, senza farselo ripetere.
Sorrisi, la differenza fra il mio secolo, privo di formalità e a volte forse anche maleducato, e quello in cui ero stata, ricco di etichette e molto formale, era evidente e, almeno ai miei occhi, comica.
“Liza, davvero… dove sei stata?”
“Mike, perdonami… quanto tempo sono mancata?”
“quattro giorni! Liza, sono quattro giorni che non ti fai sentire… non mi rispondi ai messaggi o alle telefonate… sono venuto qui così tante volte che ho perso il conto e non mi hai mai risposto… e poi perché sei vestita così?”
Solo quattro giorni?
Quindi il tempo non era andato avanti, mentre io ero indietro.
In quei quattro giorni, quindi, ero rimasta svenuta, come era successo quando ero arrivata a Mystic Falls.
Però adesso c’era Mike…
Cosa avrei dovuto dirgli?
Optai per una mezza verità.
“stavo provando un vecchio abito che ho trovato tra le cianfrusaglie di mia madre e poi credo di essere svenuta! Mi sono risvegliata adesso dopo quattro giorni, a quanto pare!”
Lui mi si avvicinò e mi prese per mano.
Un gesto così semplice ma che mi ricordò il secolo dalla quale ero stata cacciata.
Cacciata dall’amore.
Risi. Nessuno mi avrebbe mai creduto, se avessi provato a parlarne.
“Liza, andiamo in ospedale…”
“non è necessario… ho solo bisogno di togliermi quest’abito, di farmi una doccia e di mangiare… soprattutto di mangiare!”
“sei sicura?”
Mi conosceva. Sapeva quanto odiassi gli ospedali e quanto riuscissi ad essere testarda.
“al cento percento!”
Sorrise, già sconfitto.
“io cucino, tu fa’ quello che devi!”
E lo feci.
Andai in camera mia e mi spogliai.
Posai tutto nel baule, il mio abito, il manuale e tutti i diari.
La collana la tenni al collo, non mi serviva più ma ormai era parte di me.
Andai in bagno e feci quello che non facevo da troppo tempo: una lunga, calda, rilassante, profumata e meravigliosa doccia.
Uscii dal bagno indossando solo degli short e una maglietta.
Era strano tornare ad indossare quegli abiti dopo tutto quel tempo.
Legai i capelli in un’alta coda di cavallo e raggiunsi Mike in cucina.
“Mike, cosa stai cucinando?”
“pasta alla carbonara e salmone col limone!”
“È una vita che non ne mangio…!”
Mike mi guardò e sorrise.
“sei diversa! Sei cambiata!”
Gli sorrisi anche io.
“Mike, mi licenzio!”
E sentii il mio cuore più leggero.
Mi licenziai e sentii che era la cosa giusta.
Mi licenziai e vidi la sua espressione farsi più seria, troppo seria.
“Cosa non mi stai dicendo?”
“devo fare delle cose… e non posso farle qui! Devo trasferirmi!”
“Puoi prenderti delle ferie!”
“non so quanto tempo ci vorrà… un giorno, un mese o un anno… magari due!”
Sospirò.
“E dove vai?”
“Mystic Falls!”
Mi guardò come se avessi detto una grossa scemenza.
“tu non andrai a Mystic Falls!”
“E perché no?”
Ero scettica.
Da quando pensava di potermi dire cosa fare?
“ho seguito il notiziario ultimamente… ci sono stati un sacco di morti… tutti attacchi animali e tutti i corpi trovati dissanguati!”
Sorrisi. Damon era già lì.
Lo avrei visto presto. Molto prima del previsto.
Poi raggelai.
Per me erano passati quattro giorni, o forse nemmeno quelli dato che li avevo trascorsa da svenuta, e i miei sentimenti erano ancora freschi.
Per lui, però, era passato un secolo, o forse qualcosa di più, e non sapevo se Katherine gli avesse spiegato tutto, anche se ne dubitavo.
“Liza, stai bene?”
Guardai Mike e sorrisi, o almeno ci provai.
“Credo di si! Perché?”
Mi aiutò a sedermi.
“Stai piangendo! Non ti ho mai vista piangere!”
Mi tastai le guance, quasi come se non credessi a quello che mi aveva appena detto.
Poi mi osservai i polpastrelli bagnati…
“oddio… perdonatemi! Non dovrei piangere! Voi non dovreste vedermi così!”
Solo dopo aver parlato mi resi conto dell’errore.
Quel salto nel passato mi aveva fatto davvero male.
Non avevo più nessuna barriera e, a quanto pareva, nemmeno alcuna lucidità.
Mi ero rivolto ad un ragazzo del ventunesimo secolo dandogli del voi.
“Liza, sei sicura di stare bene?”
“no!”
Ma gli sorrisi.
“Scusami… devo aver battuto la testa, quando sono svenuta!”
Mi spinse sul divano, facendomi sdraiare.
“Tu adesso resti qui… io finisco di cucinare e poi ti porto il piatto qui…!”
Annuii.
“Mike…?”
“Si?”
“grazie!”
Sorrise.
Mi regalò quel suo sorriso allegro e spensierato di chi non ha nessun pensiero, anche se io sapevo che non era così…
Chiusi gli occhi e mi concessi di pensare a quello che avevo vissuto.
Pensai a Stefan.
A Damon.
A George Lockwood, e tirai un respiro di sollievo. Lui era morto e io me l’ero lasciato indietro senza dargli il tempo di agire contro di me.
Poi pensai a Katherine.
Sorrisi, presto l’avrei rivista.
Inconsciamente strinsi la collana.
“è nuova quella collana?”
Mike era di nuovo accanto a me, con due piatti di pasta.
“Si e no! Diciamo che è un vecchio cimelio…”
“non te l’ho mai visto!”
“l’ho trovato da poco!”
E non era poi così falsa, come affermazione…
“Devo chiederti una cosa…”
Mi preoccupai.
Sembrava in imbarazzo per la domanda che stava per farmi.
“Mike, è successo qualcosa?”
“no… è solo che… beh! Volevo sapere se eri disposta a rimanere finché non troverò una sostituta!”
Sospirai.
Chissà  a cosa avevo pensato.
“ma certo! Nessun problema! Adesso, però, tocca a me fare una domanda!”
“devo preoccuparmi?”
Sorrisi.
“Solo se vuoi!”
“allora mi preoccupo!”
E mi sorrise lui.
“Mi sono persa qualche festa, in questi quattro giorni?”
E li Mike scoppiò a ridere di me, con me e per me.
Aveva sempre avuto quel potere la sua risata.
Riusciva a farmi sentire presa in giro, a contagiarmi e a farmi sentire parte di qualcosa.
Mike era quasi un amico.
Non lo era davvero perché era capitato più di una volta che finissimo insieme e tra due amici, di solito non accade.
Accade tra estranei.
Accade tra conoscenti.
Ma non tra due amici.
Dopo pranzo andai a lavorare.
Non ero molto concentrata, riuscivo solo a pensare che avrei voluto mollare tutto e andare a Mystic Falls.
Mi dissi che non sarei rimasta per molto, il tempo che Mike trovasse una sostituta e sarei potuta andare via.
Cominciai a preparare tutto. Impacchettai quello che volevo portare con me.
In due settimane avevo rifatto due volte gli scatoloni.
Dopo tre cominciai a sospettare che Mike non stesse cercando una sostituta.
Dopo quattro decisi di parlargli.
Andai nel suo ufficio.
“Mike, posso parlarti?”
“Ok, devo confessare! Ho trovato la sostituta due settimane fa!”
In quel momento avrei voluto staccargli la testa a morsi.
“E non me l’hai detto perché…”
Lasciai la frase in sospeso, così come lui aveva lasciato in sospeso me.
“perché speravo che tu cambiassi idea…”
Non gli dissi nulla.
Gli girai le spalle ed uscii dal suo locale.
Non avevo intenzione di rivederlo e, se lo conoscevo almeno un po’, non avrebbe cercato nessun contatto con me per scusarsi.
Lui era un duro e i duri non si scusano.
Anche per quello eravamo solo quasi amici.
Quando arrivai a casa erano le dieci del mattino.
Mi feci una doccia.
Indossai gli short, la maglietta e le scarpe basse e nel giro di venti minuti ero pronta.
Mi ci vollero altri quaranta minuti per portare tutto in macchina.
Controllai due volte di aver preso tutto e tre di aver preso il baule.
Quando fui sicura di non aver lasciato nulla salii in macchina, accesi la radio e, con la musica a tutto volume, partii.
Destinazione: Mystic Falls.
 
Dopo quattro ore di viaggio ero esausta ed eccitata.
Quando vidi il cartello che mi dava il benvenuto in quella città sentii il mio sorriso allargarsi, spontaneamente.
Ma era tutto troppo diverso, per poter avere il minimo senso dell’orientamento.
Mi fermai quando vidi un passante.
Non sapevo chi era e non mi interessava.
“mi scusi, saprebbe dirmi come si arriva alla pensione dei Salvatore?”
Mi sorrise.
“si, signorina… deve percorrere questa strada…”
Mi diede l’indicazione, lo ringraziai e partii.
Non vedevo l’ora di arrivare.
Non ci misi molto a trovarlo.
Quando arrivai spensi il motore della macchina e mi concessi due secondi per osservare quella struttura.
Gran bel gusto, non c’era che dire.
Poi presi un profondo respiro.
Adesso che ero arrivata non ero più molto eccitata.
Ero solo spaventata.
Terrorizzata.
Avrei voluto darmela a gambe.
Bussai.
Non mi rispose nessuno.
Spinsi la porta, che scoprii essere aperta.
“c’è nessuno? Iuuuu! È deserto qui?”
Pensai che magari era destino, in quella casa non c’era nessuno e io potevo tornarmene da dove ero venuta.
Stavo per richiudermi la porta alle spalle quando sentii la sua voce.
“Liza?”
 
Pov Damon
 
Ero in camera di Stefan, con quella ragazza. Come si chiamava? Nicky o Vicki… non lo sapevo e nemmeno mi interessava.
Era la ragazza segreta di Jeremy Gilbert, il fratellino di Elena.
L’avevo appena uccisa.
Chissà come l’avrebbero presa.
Poi sentii una voce al piano di sotto.
“c’è nessuno? Iuuuu! È deserto qui?”
Mi era giunta ovattata, ma aveva qualcosa di familiare.
Avevo deciso di andare a controllare.
Poi l’avevo vista.
Indossava degli short e aveva quei meravigliosi capelli biondi legati in una coda.
“Liza?”
L’avevo detto prima ancora di riuscire a pensarlo.
Lei mi guardò e sorrise.
Ma lei non sarebbe dovuta essere lì.
Lei era morta nel 1800.
“voi dovreste essere morta!”
“oh, Damon anche a me fa piacere rivedervi! È stato per sentirmi dire che dovevo morire un secolo fa che ho guidato per quattro ore di fila!... ma dai! Ti sembra questo il modo di accogliere un’amica!”
Non aveva ancora smesso di sorridere.
Mi avvicinai a lei lentamente.
Era ancora vicino alla porta e da lì entrava la luce del sole.
“Liza, io non capisco!”
Smise di sorridere.
“giuro che ti spiegherò tutto, ma dopo adesso posso abbracciarti?”
“solo se chiudi la porta! Non ho il mio anello!”
Alzo gli occhi al cielo…
“quand’è che Stefan capirà?”
Lei sapeva?
Chiuse la porta e rimase ferma.
“allora quest’abbraccio?”
Quasi senza rendermene conto ero volato verso di lei e l’avevo presa in braccio.
Lei mi strinse a sé.
Mi fiondai sulle sue labbra.
Dimentico di tutto quello che avevo pensato in passato.
Dimentico di tutto quello che avrei dovuto chiederle.
Non mi interessava nulla, volevo solo lei  e il suo corpo.
Stavo per portarla di sotto, quando una voce fastidiosa mi riportò alla realtà.
“Ehi, io mi sto annoiando di sopra!”
Sorrisi a quella rompiscatole.
“perché non vai a trovare il tuo fidanzatino… vai dal piccolo Jeremy!”
E lei lo fece concedendomi di potermi dedicare alla mia vecchia amica.
 
Pov Liza
 
Era diverso.
Non era più quel giovane succube che avevo conosciuto nel 1864.
Era molto più sciolto.
Molto meno chiuso dalle etichette.
Aveva soggiogato quella ragazza senza crearsi alcun problema.
Sorrisi.
Dopo averla cacciata si dedicò completamente a me.
Quanto mi era mancato?
Erano passati quattro giorni ma a me sembravano tanti di più.
Volò in camera sua.
“Damon, fa piano! Sono ancora umana e potrei rompermi…”
Mi baciò sul collo.
“Giuro che farò attenzione!”
Non riuscivo a rimanere lucida.
Da quando era diventato così bravo a baciare?
“Damon… sei molto meglio adesso!”
Ero già senza maglia?
E quando mi aveva tolto il reggiseno?
“lo so!”
Risi, sommessamente, per quell’ammissione.
Poi arricciai le labbra.
Lui si fermò un attimo, per fissarmi in volto.
 
Pov Damon
 
La stavo baciando con foga.
Ritrovarla dopo aver pensato per più di un secolo che fosse morta mi aveva fatto capire che mi era mancata.
Poi lei arricciò le labbra e io mi bloccai.
La fissavo.
Amavo quando arricciava le labbra in quel modo.
Mi chinai per baciargliele.
Le lambii con la lingua.
“Perché le hai arricciate?”
“tu indossi ancora tutti gli indumenti!”
Risi, sommessamente, per quell’ammissione.
Mentre ridevo lei provvide a spogliarmi della maglia e dei pantaloni.
“vedo che ti piace ancora come arriccio le labbra!”
“mi era mancato, il vostro modo di arricciarle!”
La baciai di nuovo
 
Rimanemmo chiusi in camera mia per tutto il pomeriggio.
Non avevamo fretta né impegni.
In quel momento c’eravamo solo io lei e il nostro tempo perduto.





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