[[Questa breve fan fiction è basata sull'episodio storico richiamato (la dichiarazione di guerra dell'Italia del Sud alla Germania) così come raccontato da Petacco, in "La nostra guerra, 1940-1943". Tale episodio, per quanto sottointenda eventi drammatici, è narrato dall'autore in maniera così leggera e quasi divertita che non ho potuto resistere alla tentazione di riscriverlo in chiave hetaliana.]]
Madrid, ottobre 1943
“Non accettano di ricevervi?”
“No, signore.” l'ambasciatore sembrava assai
contrito “La cosa si fa più complicata del
previsto.”
“...merda.”
Romano si incupì, mentre prendeva in mano la busta che
l'ambasciatore gli porgeva, la busta che conteneva la dichiarazione di
guerra dell'Italia del Sud alla Germania. Una dichiarazione che,
evidentemente, i tedeschi non si degnavano di ricevere
perché non lo riconoscevano come Stato autonomo. No,
figuriamoci, per loro non era che un territorio occupato dal nemico,
qualcosa da riconquistare – tsk, l'aveva sempre detto, a suo
fratello, che non aspettava altro, quel crucco maledetto. Alleati, eh?
Babbeo idiota che non sapeva far altro che credere alle parole di quel
ammasso di muscoli stempiato.
In ogni caso, aveva bisogno di essere ammesso all'ambasciata tedesca e
di consegnare loro la sua personale dichiarazione di guerra. Che palle.
Ma avrebbe costretto quel mangiapatate a riconoscere la sua
sovranità di Stato indipendente, in quale modo. Erano
bastati così pochi decenni di unità per renderlo
incapace di muoversi da solo? 'sta minchia!
Non poteva tornare a Brindisi senza avergli dichiarato guerra, questo
era chiaro. Già aveva dovuto sudare perché
quell'inglese borioso e quello spaccone di un americano gli
concedessero il misero stato di cobelligeranza - cobelligeranza,
seriamente? Ma scherzavano? E gli avevano riso in faccia, quando aveva
parlato di alleanza! Disgustoso. Questi biondi stranieri... tutti
uguali.
Se poi non fosse riuscito nemmeno ad adempiere al suo primo, vero
incarico politico, gli avrebbero dato una simpatica pacca sulla spalla
e l'avrebbero costretto ai loro ordini, anche più di come
stavano già facendo.
“Va bene, va bene.”
No, andava tutt'altro che bene, ovviamente, ma non si poteva arrendere.
“Quei crucchi evidentemente hanno paura di noi.”
dedusse con un ghigno perfido.
Oh, se gli avrebbe spaccato il culo. Moriva dalla voglia di vendicarsi,
sì.
“Andrò io direttamente, questa volta, e Herr testa
di patata si terrà la mia dichiarazione di guerra, a costo
di fargliela mangiare arrotolata come uno di quei suoi wrustel
schifosi!” disse brandendo un pugno per aria.
La mattina dopo, bussava in incognito alla porta dell'ambasciata
tedesca. Con incognito, Romano intendeva un cappello tirato in basso
sulla fronte, grossi occhiali finti ed una sciarpa tirata fino al naso.
Decisamente fuori stagione, inutile precisarlo, ma la cosa
più strana a proposito della sciarpa era che gli copriva un
paio di baffi posticci.
Spagna lo seguiva, bardato come l'italiano e leggermente nervoso
– non era da lui, forse, ma perfino un cuor contento come
Spagna aveva la pelle d'oca ad avvicinarsi all'ambasciata tedesca, di
quei tempi.
“R-Romano... non credo che...”
“Zitto tu, cretino. Sono uno stato indipendente e dichiaro
guerra a chi mi pare.” sibilò lui, deglutendo
sonoramente prima di suonare alla porta con un dito un po' tremante.
Ad aprire si affacciò un Germania guardingo e
posò due occhi sospettosi sullo strano individuo che gli
porgeva una busta di carta.
“Direttifen
dai pianen alten, fershtanden?!”
borbottò Romano nel suo migliore accento tedesco.
Germania prese la busta con precauzione tra indice e pollice, come se
temesse che potesse esplodergli in mano, mentre i due insoliti
messaggeri si incamminavano in fretta da dove erano venuti.
Un po' troppo in fretta, in effetti.
Il biondo aprì la busta e ne intuì il contenuto
anche prima di leggere. Si lanciò a rincorrere gli altri,
che come lo sentirono arrivare se la diedero a gambe; Germania,
comunque, fu più veloce e li raggiunse.
"Riprendetela! Prenditi questo foglio e sparisci, Romano, tornatene a
casa!" ordinò Germania, afferrando l'italiano e tentando in
ogni modo di ficcargli in mano il foglio incriminato.
"No! Non se ne parla, brutto crauto semovente! Questa è
guerra, capito?!" Romano si divincolava e scalciava, schiaffandogli
addosso quella busta maledetta, cercando di infilargliela nelle tasche,
nel colletto della camicia, nella cintura dei pantaloni.
“Sei un territorio occupato, nient'altro! Va' via da
qui!”
"Occupato, eh?! Non per molto! Ti ricacceremo a casa, hai capito?!
L'avrai finita di fare i tuoi zozzi comodi a casa mia, bastardo!"
Volarono un paio di pugni - prontamente schivati da Germania - ed
innumerevoli insulti. Cappello ed occhiali caddero a terra, Romano
tentò di infilare la busta in bocca all'altro rischiando di
soffocarlo, mentre Germania tentava di tenerlo a bada, poi
tentò di appiccicargli i baffi finti, e Germania gli
tirò il ricciolo, al che Romano provò ad
assestargli un calcio sul sedere, senza successo.
Quando fu chiaro che le cose si stavano mettendo male, Spagna si decise
finalmente ad intervenire per separarli. Una volta che fu riuscito a
staccare il recalcitrante Romano, questo si ritrovava con di nuovo in
mano la fatidica dichiarazione di guerra, ora tutta accartocciata e
pure un po' umida di saliva.
Germania si allontanò di fretta, mentre Romano gli abbaiava
dietro furiosamente.
"Scappa, scappa con la coda tra le gambe, mangiapatate bastardo! Che ti
vadano di traverso! Vuoi lo stivale, lo vuoi?! Te lo dò io
lo stivale! Diritto su per il cu-" la mano di Spagna era prontamente
accorsa a soffocare l'ultima parola di Romano, perché se
c'era una cosa che Spagna non voleva, era veder tornare indietro un
Germania arrabbiato e vendicativo.
Ma non accadde, e i due rimasero a guardare mentre l'altro rientrava e
si chiudeva la porta alle spalle.
"Non avrai mica intenzione di riprovarci, Romano, vero?" chiese cauto
Spagna.
"...no." rispose l'Italia del Sud, ancora ansimante, mentre si metteva
diritto e si spolverava la giacca. Era ancora parecchio rosso in viso
per il tanto agitarsi e per la tirata di ricciolo.
"In realtà, non serve." disse mentre un lampo di malizia gli
attraversava gli occhi furbi. "Per avercela ridata indietro con tanta
decisione, quel tubero tutto perfettino deve averla letta, non
è così?" aggiunse fissando la missiva ora tutta
spiegazzata che teneva in mano. "E questo significa che la guerra
è dichiarata." decise facendo spallucce e sistemandosi il
cappello.
L'avrebbe scacciato da casa sua, sì, l'avrebbe fatto
combattendo in prima linea, alla pari di quei boriosi degli alleati e
si sarebbe ripreso anche suo fratello. Se lo sarebbe tenuto ben
stretto, stavolta, diamine.
Così, in
questa maniera curiosa, l'Italia del Sud entrava in guerra contro la
Germania. Era il 13 ottobre 1943.
Note:
Lo stato di
cobelligeranza: l'Italia, una volta passata dalla parte
degli Alleati, era più che disposta ad una nuova alleanza
con loro (stato il quale avrebbe consentito all'ex potenza dell'Asse di
trattare pari a pari con le altre potenze, una volta finita la guerra,
e soprattutto di ritornare sulle pesanti clausole imposte all'Italia il
giorno in cui si era arresa) ma gli Alleati si rifiutarono
categoricamente di concederle questo status.
Brindisi:
dopo l'8 settembre 43, Brindisi era la capitale dell'Italia del sud.
Wrustel:
piccolo particolare ispirato dall'abitudine di una persona che conosco
di storpiare volutamente questa parola.
L'episodio da cui è tratta questa breve fanfiction non
è inventato, anche se è stato da me rielaborato
in maniera “hetaliana” sulla base della descrizione
di Arrigo Petacco in “La nostra guerra, 1940-1945 –
l'avventura bellica tra bugie e verità” (Oscar
Mondandori ed.).
Tuttavia, se fu
difficile ottenere dagli Alleati il permesso di dichiarare guerra ai
tedeschi, ancora più arduo fu consegnare materialmente a
dichiarazione al destinatario. L'intoppo protocollare fu risolto in
maniera rocambolesca. Non avendo il governo di Brindisi contatti
diplomatici con la Germania, fu deciso di affidare il compito
all'ambasciatore a Madrid Giacomo Paulucci di Calboli. Egli chiese
subito un appuntamento all'ambasciatore tedesco, ma questi, subodorando
la ragione della visita, glielo rifiutò. Allora Calboli
ricorse a uno stratagemma e affidò la nota a un segretario
co l'incarico di presentarsi all'ambasciata tedesca e di consegnare la
dichiarazione al primo funzionario che gli fosse venuto incontro. Il
segretario eseguì la missione e, appena un tedesco
sospettoso aprì la porta per vedere chi aveva
suonato il campanello, gli mise il foglio in mano e scappò
via. L'altro rimase sorpreso, ma poi capì di che cosa si
trattava e rincorse l'italiano per le scale. Lo raggiunse per strada e
gli ignari passanti ebbero modo di vedere due distinti signori che si
accapigliavano per un foglio di carta. Alla fine il rappresentante
italiano fu costretto a riprendersi la nota spiegazzata che
più tardi, sconsolato, restituì a Calboli.
Missione fallita? Niente affatto, con perfetto bizantinismo
diplomatico, Calboli trasse questa conclusione: “se i
tedeschi hanno ritenuto di dover respingere la nostra nota, vuol dire
che l'hanno letta e secondo il diritto internaizonale tanto basta
perché la dichiarazione di guerra abbia da credersi
avvenuta”.
Così, in
questa maniera curiosa, l'Italia del Sud entrava in guerra contro la
Germania. Era il 13 ottobre 1943.
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