CAPITOLO
18
31 gennaio,
h 20.10
Ufficio di
House
Non si era
calmato, ma tra uno strano pensiero e l’altro era riuscito a mettere insieme
qualcosa che assomigliava a una soluzione. Ora veniva quel momento del suo
lavoro che adorava: stupire la sua equipe, e qualunque altro spettatore fosse
disponibile, con il racconto di come è arrivato alla diagnosi, fingendo che sia
stata la cosa più semplice e naturale del mondo.
Temeva che
questa volta però non sarebbe apparso così sicuro di sé: aveva ancora dei dubbi,
e la diagnosi non era tutta sua…era stata Cameron la prima a parlare di
parassiti.
Ma almeno ora
sapeva da che parte incominciare ad agire.
Gli venne da
sorridere: lei era veramente in gamba per essere così giovane e, cosa più
importante, aveva quella giusta dose di umiltà e determinazione che le
permettevano di imparare in fretta.
Era testarda,
e vinceva.
Anche con lui
aveva vinto.
Questo non
significava che fosse stato lui a perdere, anzi…
Aveva ragione
Wilson, non era una guerra.
L’ingresso di
Cameron, seguita dagli altri due medici, lo distolse dai suoi pensieri.
Le
sorrise.
Cameron non
riconobbe in quel sorriso la solita ironia o la solita sfida. Era solo un
sorriso dolce e sincero. Le venne volta di buttargli le braccia al collo, ma non
era di certo il momento né il luogo. Era sicura che ci sarebbe stato tempo per
tutto.
“Hai avuto
l’illuminazione?” chiese Foreman.
“Certo, senza
voi attorno i dilemmi si risolvono da soli nella mia testa.”
“Mi chiedo
cosa ci hai assunto a fare…” replicò Chase.
“Una sorta di
passatempo per rendere il lavoro più leggero.”
“Gentile come
sempre…Elliot?” Chase si avvicinò alla finestra e aprì le persiane,
Il ragazzino
era seduto per terra e stava leggendo il grosso libro che avevano utilizzato per
identificare quel parassita.
“Mi ha chiesto
qualcosa da leggere…speravo di scoraggiarlo, invece pare che gli piaccia. Dopo
lo interrogo. Se ha imparato quello che sta leggendo, lo assumo al posto tuo. Io
e un ragazzino prodigio, insieme, potremmo dominare il mondo!”
“Certo, due
manipolatori sono più forti di uno.” mormorò Chase.
“Geloso?”
Chase scosse
la testa, non sarebbe mai riuscito ad avere l’ultima parola col suo capo.
“Allora, cos’hai scoperto?” cambiò discorso.
“Ho scoperto
che la chiave di questo caso è la placenta.”
“Cioè?” chiese
impaziente Foreman.
Cameron era
appoggiata con la schiena alla parete e non aveva perso un solo movimento di
House, seguendolo con lo sguardo in ogni suo gesto. Lui se ne accorse e
quell’attenzione lo mise un po’ a disagio. Cercò di evitare il suo sguardo per
concentrarsi solo sulla diagnosi.
“Credo che la
Pivet, così come il moccioso e sicuramente qualche altro barbone satanista,
avessero la cattiva abitudine di cibarsi di tanto in tanto di quella roba.”
“Potrebbe
essere a causa di quello strano culto che seguono. Fanno parte di una specie di
setta, no?” Cameron fece quella domanda futile con il solo scopo di avere lo
sguardo di House su di lei per qualche istante. Ne aveva bisogno.
Non riuscì ad
ottenere quello che voleva, lui continuò a parlare passando rapidamente dalla
lavagna a Chese e Foreman, evitandola.
“Si, ma non ci
interessa il motivo. Di solito si cibano di placenta di bambini nati a termine,
ma qualche mese fa è capitato che una donna di strada, del loro giro, ha
abortito spontaneamente.”
“Davvero?”
chiese stupito Foreman.
“Sto
ipotizzando…ci vuole un po’ di fantasia! Dicevo…” sentiva bruciare lo sguardo di
Cameron su di lui. “Elliot e la Pivet mangiano questa placenta, che contiene il
nostro caro animaletto di pagina 2.149.”
Foreman
tentava di seguire il ragionamento del suo capo, la fronte aggrottata. Era
impaziente di arrivare alla fine, dove si smetteva di parlare e si agiva.
“Il parassita
trova un buon nascondiglio nel cervello: un’area cicatrizzata, delle cellule
morte che lo possono ospitare nell’attesa che le uova si schiudano e arrivi la
cavalleria.”
“Ma quale
sarebbe l’origine della cicatrizzazione?” Foreman incominciava a capire, ma
voleva assicurarsi che non gli sfuggisse niente.
“Quello me lo
devi dire tu! Ci sono difetti genetici che possono provocare questo tipo di
cicatrizzazioni nel cervello?”
“Si certo. Ma
mi sembra improbabile che si sia formata nella stessa area in entrambi…”
“Ma essendo
madre e figlio, qualche probabilità c’è.”
“Si, può
essere, ma…”
“Mi basta il
può essere.” gli fece cenno di smettere di parlare “Quindi il giovane parassita
appena emigrato…chiamiamolo RinTinTin per la sua intelligenza acuta ma limitata
in quanto animale, se ne sta buono buono nel lobo temporale, mentre il flusso
sanguigno si addensa. Ma questo non allarma nessuno.”
Cuddy e Wilson
avevano raggiunto l’equipe e, in rispettoso silenzio, ascoltavano House
descrivere la sua fantasiosa teoria. Fantasiosa, ma con quella sfumatura di
realismo e possibilità che ti impediva di smettere di seguire affascinato il suo
delirio.
“Quando le
uova si schiudono, e incominciano ad arrivare i rinforzi, RinTinTin incomincia a
muoversi, per raggiungere il resto della squadra, seminata per il cervello. In
Elliot si è mosso verso la corteccia motoria e, per sua fortuna, si è fermato
lì.”
“E perché si è
fermato?” Wilson osservava l’amico, come si illuminava quando aveva tra le mani
la sua diagnosi, la sua adorata diagnosi. Teneva il braccio attorno alle spalle
di Lisa, che ancora molto scossa, si era abbandonata a quell’abbraccio
fregandosene di quello che potevano pensare di lei, di loro. Era un suo diritto
essere coccolata ed amata, era una donna prima di essere l’amministratrice di
quell’ospedale. Era una donna che soffriva, e aveva bisogno di un uomo.
Indipendentemente da tutto, era Lisa Cuddy e aveva bisogno di Wilson. Dagli
occhi con cui l’oncologo la guardava, si capiva che era ricambiata dello stesso
dolce sentimento.
“Si è fermato
perché Elliot non ha più mangiato quella placenta. La Pivet si però, lei ha una
casa, un frigorifero, l’avrà conservata…”
Un’espressione
disgustata si fece largo sul volto di tutti i presenti.
House provava
sempre un sottile piacere a impressionare le persone, sia in positivo che in
negativo. Anzi, forse in negativo gli piaceva ancora di più: quelle facce
disgustate gli fecero piacere. “Che razza di pervertito che sono!” pensò, in
realtà orgoglioso di se stesso.
“La colonia
nel cervello di Elliot non si è ulteriormente moltiplicata, perché gli è mancato
il cibo. Sono parassiti che nascono e si moltiplicano nella placenta, nutrendosi
di sostanze contenute in essa, che nel nostro organismo sono contenute a livelli
troppo bassi.”
“Quali
sostanze?” chiese Chase.
“Ma la smetti
di rompere?! Non so di che sostanze sto parlando, però è andata così.”
Chase fece
spallucce, mentre la Cuddy si passava una mano sulla fronte: se non avesse
conosciuto House, sentir parlare così un medico sarebbe bastato a farglielo
licenziare in tronco.
“Quindi Elliot
rimane con un braccio paralizzato, ma non peggiora. Sua madre invece continua a
cibarsi della placenta infetta, permettendo a RinTinTin a ai suoi figli, nipoti
e cugini, di nutrirsi, di crescere e moltiplicarsi, continuando ad andare a
spasso, in questo caso per il cervelletto.”
“Perché la
corteccia motoria in Elliot e il cervelletto nella Pivet?” chiese Foreman.
“Non lo
so.”
I medici si
guardarono perplessi.
“E perché la
Pivet è migliorata tanto da tornare a camminare e poi è peggiorata ancora?”
“Questa
domanda è decisamente più interessante!” disse House entusiasta. “Credo che la
Pivet quella notte non sia semplicemente migliorata, ma sia guarita del
tutto.”
Foreman
spalancò gli occhi, incredulo. “Dici che l’abbiamo curata in qualche modo e poi
si è riammalata quand’era fuori di qui?!”
“No.” House si
spostò verso la porta finestra, la aprì, e fece cenno ad Elliot di entrare.
“Questo
piccolo genietto l’ha curata, facendole mangiare della placenta non infetta che,
evidentemente, contiene anticorpi che possono distruggere RinTinTin, e così è
stato.”
Tutti
guardarono Elliot, con un misto di timore e ammirazione. Era davvero un bambino
curioso.
“Non credo
sapesse cosa stava facendo…” disse Foreman; l’idea che un ragazzino di 12 anni
conoscesse la cura per un disturbo che gli aveva impegnati per giorni senza
farli nemmeno avvicinare alla soluzione, lo irritava terribilmente. “Se avesse
saputo che bastava della placenta non infetta a curare la madre, si sarebbe
curato anche lui.”
“Già..” disse
House, sorridendo al ragazzino, che lo guardava diffidente.
Appena Elliot
si volse verso Chase, del quale cercava lo sguardo appena poteva, House lo
afferrò per il braccio sano, torcendoglielo dietro la schiena. Gli spinse poi il
bastone sulla gola, tentando di soffocarlo.
Tutti i medici
accennarono un passo verso di loro, spaventati dal comportamento del diagnosta,
ma si bloccarono non appena fu Elliot, da solo, a liberarsi da quella presa,
separando con forza il bastone dal suo collo…usando il braccio paralizzato.
Evidentemente non lo era più.
Sguardi
confusi passarono ripetutamente dal ragazzino ad House, che aveva una nota
espressione di vittoria sul volto.
Elliot
ansimava, cercando di recuperare l’ossigeno che gli era mancato per qualche
secondo.
“Evidentemente
le sue doti di abile ipnotizzatore non erano sufficienti per convincerti a
portarlo qui in ospedale.” spiegò House, rivolto a Chase, che sembrava
sconvolto. “Serviva anche un elemento che interessasse a noi, come un sintomo in
comune con la madre. Mamma e figlio avevano un piano d’emergenza.” si rivolse al
ragazzino. “La tua capacità di osservare ti ha permesso di capire che era nella
placenta la soluzione del disturbo di tua madre, e del tuo. Tua mamma è però
meno furba di te, e appena è tornata a casa ha fatto colazione con gli avanzi
congelati della placenta infetta, e si è ammalata ancora.”
Elliot lo
guardava ancora ansimando, senza accennare nessun movimento. Era sicuro che, se
avesse fatto qualche mossa falsa, quel dottore psicopatico non avrebbe esitato
questa volta a soffocarlo veramente.
“Ma…ora che
facciamo? Basta farle mangiare della placenta non infetta per farla guarire?”
chiese Cameron, confusa.
“Con la
paziente in questo stato non ne sono sicuro, ma probabilmente si.” finalmente
posò lo sguardo su di lei.
Dio, com’era
bella.
“Non è una
pratica medica consona…” tentò di protestare la Cuddy, sicura che sarebbe stata
brutalmente interrotta dal diagnosta.
“Hai ragione,
non si può fare.” disse invece lui “Non mi permetterei mai di evadere qualche
regola del Plaisboro, temo troppo la tua ira vendicativa.”
“Ma
finiscila…” Cuddy capì che aveva in mente qualcosa.
“No, davvero!
Magari mangiare la placenta la salverebbe, o magari no. Ma anche se la
salvasse…noi non conosceremmo comunque l’azione del parassita. Insomma, come fa
a provocare quei sintomi, fino alla paralisi?”
“House quella
donna sta morendo, se c’è una cosa che può salvarla…” Chase trovava
inconcepibile che il bisogno di sapere del suo capo venisse prima della vita di
quella donna.
“Non la
ucciderò.”
“Deve darle
quella placenta!” urlò Elliot improvvisamente, scagliandosi contro di lui.
“Deve
dargliela subito! Non può farla morire per la sua sete di conoscenza!” Elliot
incominciò a prendere a pugni House, che tentava di tenerlo fermo come poteva.
Foreman e Chase intervennero per aiutarlo, mentre gli altri li guardavano
disorientati. Quel bambino passava da uno stato di calma e tranquillità che
sfioravano l’apatia a quegli attacchi violenti con una velocità strabiliante.
A fatica lo
separarono da House. Continuava a dimenarsi, con sempre più violenza. Era
difficile tenerlo fermo anche per due uomini forti come loro.
Dopo un minuto
abbondante si bloccò di colpo; Chase e Foreman si guardarono perplessi, senza
lasciare la presa.
“Se continui a
urlare così darai nell’occhio…” disse House, verbalizzando le sue paure. “Ma
ormai credo che neanche lo stare tranquillo ti eviterà l’istituto.”
Chase osservò
grave il suo capo. Nonostante tutto quello che aveva combinato quel giorno,
sentiva per quel ragazzino ancora una forma di affetto, che gli impediva di
tradirlo così. “Aspettiamo a prendere decisioni affrettate, House.”
“Di quello che
bisogna fare col ragazzo me ne occupo io.” disse decisa la Cuddy. “Ora però
voglio che guarite quella donna, il prima possibile. Non mi interessa che metodi
userete, ma la voglio fuori da qui. Capito House?”
Lui annuì,
apparentemente docile.
La Cuddy
sapeva che avrebbe fatto comunque tutti i suoi test per scoprire cos’aveva la
Pivet, era inutile combattere con la sua sete di sapere. Gli si avvicinò di
qualche passo, per non farsi sentire da Elliot. “Almeno non farla morire.” gli
sussurrò.
House si baciò le dita incrociate.
“Promesso mamma.”
“Cosa ne
facciamo di lui? Chiamo la polizia…”
“No aspetta.
Potrebbe tornarci ancora utile, il suo cervello è guarito.”
“House…”
“Dobbiamo
aspettare la mezzanotte! Non vorrai rompere quel patto…”
Lei sospirò.
“E va bene, ma intanto?”
House guardò Chase. Era un
idiota: quel bambino aveva tentato di manipolarlo e l’aveva pure picchiato. Come
faceva a tormentarsi ancora per quella stupida promessa? Elliot gli stava ancora
a cuore, era preoccupato per la fine che avrebbe fatto. Che razza di…
Incrociò lo
sguardo di Cameron, che lesse in lui tutto il disprezzo per il collega. La
dottoressa si avvicinò ai suoi capi. “House, lascialo un po’ di tempo con
Chase.”
“Perché?”
“Perché non
farà nulla, ormai non tenterà più di avvicinare sua madre, né scapperà.”
“Rischia di
finire in istituto, certo che scapperà.” disse la Cuddy.
“No, ha
ragione Cameron. Non proverà più ad avvicinarla, e non sparirà. Ha ancora paura
che io non la curi in fretta, rischierà l’orfanotrofio piuttosto di farmela
ammazzare. Che cosa scomoda l’amore filiale.” si girò verso Chase. “Occupati tu
di Elliot, però lo voglio lontano da me.”
Il medico lo
guardò sorpreso, non si aspettava certo che lo affidassero a lui. Nello stesso
tempo era contento, e non si riusciva a spiegarselo: quel ragazzino era un vero
bastardo.
Anche Foreman
sembrava perplesso, ma in quel momento la paziente gli interessava decisamente
più del bambino, ormai guarito, e non vedeva l’ora di poter decidere con House
cosa fare con la Pivet.
“Va bene.”
rispose Chase dopo qualche secondo di esitazione.
“Fuori di
qui.” ordinò House, rivolto a tutti e due.
Elliot si
avvicinò a testa bassa a Chase, e insieme lasciarono la sala equipe.
“Che facciamo
con la Pivet?” chiese Foreman, irrequieto.
“Sei proprio
un insensibile! Non ti importa proprio niente di quel povero ragazzino, né del
tuo patetico collega in preda ai sensi di colpa.” lo prese in giro House.
“Se quella
donna muore il ragazzino si metterà a piangere e Chase si fustigherà. Lo faccio
per loro.”
House sorrise,
quel cinismo tra le labbra del suo neurologo era musica per le sue orecchie.
“Falle un esame istologico alla materia grigia. Dobbiamo trovare l’anomalia
specifica che provoca le paralisi e i disturbi motori. Fai in fretta, non vorrei
morisse mentre aspettiamo i risultati. Cameron, tu analizza il campione di
placenta rimasto. Voglio sapere tutto ciò che contiene. Tutto.”
I due medici
uscirono rapidamente dalla stanza.
Quando furono
lontani, House si voltò verso Wilson. “Sono nella merda fino al collo.” gli
disse in un soffio.
La Cuddy lo
osservò stringendogli occhi, come per studiarlo, cercando di capire a cosa si
riferisse. Conosceva almeno una dozzina di motivi per cui House poteva essere
nella merda fino al collo.
Wilson scosse
la testa, sorridendo. “Te la caverai.”
“Se non fosse
per lei avrei risolto questo caso ore fa. Mi distrae, mi impedisce di
pensare.”
“Non è colpa
sua, è tua. Se ti rilassassi e accettassi i tuoi sentimenti senza andare in
panico, non interferirebbero più col tuo lavoro.”
Cuddy guardò
il diagnosta con meraviglia.
“Cameron?”
chiese, divertita.
“Tu stai zitta
per favore.”
Le venne da
ridere, vedere House così agitato era uno spettacolo davvero insolito.
“Non sopporto
l’idea che sia stata a letto con Chase.”
A Lisa venne
in mente un ricordo, di tanti anni fa. Un medico arrivato da poco aveva offerto
un caffè a Stacy, mentre lei stava aspettando che House finisse di lavorare. Era
sempre così: lui non aveva orari, ma lei passava sempre in ospedale dopo il
lavoro, e c’era sempre un sorriso per lui quando finalmente la raggiungeva.
Stacy aveva accettato con piacere quel caffè, e aveva parlato un po’ con
quell’uomo, per passare il tempo. Quando House l’aveva saputo, non le aveva
quasi rivolto la parola per giorni. La sua forte gelosia era in contraddizione
con l’indifferenza e la freddezza con cui trattava di solito le persone, anche
le sue donne. Ne sapeva qualcosa.
“Sei geloso, è
normale.” provò a dirgli la Cuddy.
Lui si voltò
verso di lei. “E’ normale?!” chiese irritato.
“Si, tu eri
geloso di Stacy. Sei geloso delle persone che ami.”
Wilson
osservava l’amico con un mezzo sorriso, la spalla appoggiata alla porta. Se
avesse provato a fuggire, gliel’avrebbe impedito. Doveva affrontare il discorso,
o si sarebbe portato avanti questa storia per giorni, forse settimane, senza
concludere niente.
“Io non amo
nessuno. A parte Steve.” Cuddy lo guardò perplesso. “Il mio topo!” precisò
lui.
“Smettila di
fare il bambino House, sei un uomo e sono anni che sei solo.” Lisa gli parlava
decisa, le braccia incrociate, come faceva quando sapeva di avere ragione.
“Cameron ti adora. E’ bella, dolce e anche forte. Ha un tipo di forza che tu non
conosci, ma sai che ce l’ha. Sei attratto da lei dal giorno che l’hai assunta, e
l’unico motivo per cui non te la sei ancora portata a letto è che non si tratta
di semplice attrazione sessuale.” House fissava il suo capo, senza avere il
coraggio di fermarla. Era impressionante come fosse tutto così semplice e
lineare visto dall’esterno. “Hai paura che ti coinvolga troppo.”
“Quand’è che
siamo diventati così intimi noi?” le chiese ironico, incrociando a sua volta le
braccia.
“Quando sei
venuto a casa mia, distrutto, dopo che Stacy ti aveva lasciato. O quando siamo
stati a letto insieme…” rispose lei, con quel tono di sfida che lui conosceva
bene.
“Ma l’hai
addestrata tu a mettermi in difficoltà?!” House si rivolse a Wilson; di solito
era lui a sbattergli in faccia la verità quando mentiva a se stesso.
“No, House. E’
talmente palese che se ne accorgono tutti. Va’ da Allison, stai un po’ con lei.
Viviti qualche momento di gioia, rinuncia al tuo masochismo per una volta.
Magari ci prendi gusto.”
House aveva
almeno un centinaio di battute sarcastiche con sui distruggere l’atmosfera
imbarazzante che pesava su di lui in quel momento. Ma alla fine aveva davanti
gli unici due amici degni di quell’appellativo, gli unici che aveva accettato e
che lo accettavano. Forse avevano ragione, forse era ora che smettesse di
distruggersi. Stacy l’aveva lasciato per…
“Stacy ti ha
lasciato per colpa tua, House.” era la prima volta che qualcuno diceva ad alta
voce questa terribile verità che lo tormentava da anni, e fu contento che fu il
suo migliore amico a farlo. “Ti sei fatto del male e ne hai fatto a lei. Non ha
senso continuare così, sono passati tanti anni…Cerca di perdonartelo e concediti
un po’ di felicità.”
“E concedila
anche a quella povera ragazza.” continuò la Cuddy. “Cameron ti vuole bene, e sa
di essere ricambiata. Che senso ha tenerla così lontana da te?”
“Sapete che
insieme le vostre peggiori caratteristiche non si sommano? Si moltiplicano!
Saranno tempi duri per me ora che incomincerete a fare coppia fissa!” House gli
avrebbe abbracciati, se fosse stato in grado di avere un gesto d’affetto per
qualcuno che non fosse il suo topo.“Ritenetevi responsabili di qualunque
stronzata che farò.”
“Va bene.”
risposero entrambi. Lisa sorrideva, ma House notò quell’ombra dei suoi occhi.
“Cuddy.” la
chiamò quando erano entrambi sulla porta, pronti a lasciarlo un po’ solo coi
suoi tormentati pensieri.
Lei si
voltò.
“Mi dispiace
per tuo papà.” le disse, senza riuscire però a reggere il suo sguardo.Gli faceva
paura leggere una sofferenza così grande in una persona così vicina a lui.
“Grazie.” si
limitò a dire lei.
Poi entrambi
si allontanarono, camminando vicini, con quella complicità che li avrebbe uniti
a lungo, forse per sempre.
31 gennaio,
h 23.15
Parcheggio
del Princeton Plaisboro Teaching Hospital
Avevano
risolto il caso.
Cameron aveva
trovato gli anticorpi che bloccavano la riproduzione del parassita nella
placenta sana, gli avevano somministrati alla Pivet e sembrava stesse
funzionando. Ovviamente non avrebbero avuto risultati certi se non tra qualche
ora, ma era già scomparsa la labirintite e House era sicuro che tra poco la
donna avrebbe ricominciato a respirare da sola.
Non aveva
ancora capito precisamente come agiva il parassita, ma c’era il campione
prelevato con l’esame istologico, e avrebbe avuto i prossimi giorni per fare
tutti gli esami che voleva. Sapeva che non sarebbe stato solo in quell’inutile
ricerca della verità: Foreman era curioso quanto lui, e avrebbero svolto in
silenziosa compagnia tutti i test, arrivando poi alla soluzione di quell’enigma
e accorgendosi, ancora inesorabilmente insieme, che non aveva più la minima
importanza.
Era riuscito a
scucire ai poliziotti qualche informazione sull’arresto della Pivet. Pareva che
fosse coinvolta in un brutto affare di commercio di bambini. C’erano coppie
sterili che offrivano molto denaro per avere un bambino, senza dover subire il
lungo iter delle adozioni, e c’erano persone pronte ad approfittarsi della
situazione. La Pivet gestiva un culto che venerava la femminilità, la maternità,
e con tecniche di suggestione simili a quelle usate dal figlio, convinceva molte
delle donne di strada che rimanevano incinte, a cedere il oro bambino. In cambio
dava uno piccola somma di denaro, e qualche preghiera. Il grosso dei soldi lo
intascava lei.
Forse si
sarebbe meritata di morire.
Raggiunse
Cameron all’aperto, nel parcheggio.
La dottoressa
era appoggiata alla sua macchina, le braccia incrociate per proteggersi dal
freddo, che a quell’ora della sera era ancora più pungente. La luna piena, il
cielo scoperto e il gelo, rendevano il cielo di uno strano colore rossastro.
Allison
guardava il divertente spettacolo davanti a lei: la macchina di Chase procedeva
a tentoni, tra improvvise accelerazioni e brusche frenate, continuando a girare
in tondo nel parcheggio semivuoto.
House si
appoggiò a sua volta, vicino a lei, più vicino di quanto entrambi si
aspettassero.
“Cuddy ha
chiamato i servizi sociali, stanno venendo a prenderlo.”
“Lo so.”
rispose lei, continuando a guardare dritto davanti a sé. “Non ho il coraggio di
dirglielo.”
Rimasero
qualche secondo in silenzio, a riflettere.
Di tanto in
tanto arrivavano a loro le risate di Elliot e Chase. Quest’ultimo aveva deciso
di far fare al ragazzino qualcosa che lo distogliesse per un po’ dal mondo che
si stava sgretolando attorno a lui. Sapeva che avrebbe voluto provare a guidare,
e gli permise di farlo, conscio di quanto sarebbe servito a lui, da ragazzino,
un amico che lo distraesse in quei momenti in cui la realtà gli sembrava troppo
grande e minacciosa per lui.
Lo vide come
una sorta di riscatto.
“Prima glielo
diremo, più tempo avrà Elliot per salutare sua mamma. Non la rivedrà per molto
tempo.” a queste parole di House, Cameron si voltò finalmente a guardarlo.
Il diagnosta
si accorse che aveva le lacrime agli occhi.
L’istinto fu
quello di andarsene senza dirle una parola, ma decise di bloccare quell’impulso
codardo. Decise di farlo per il bene di entrambi.
“Perché
piangi?” le chiese. Non c’era nessuna nota sarcastica nella sua voce, solo reale
preoccupazione.
Lei si passò
le dita sotto agli occhi, cercando di asciugarsi l’ennesime lacrime della
giornata, senza rovinarsi il trucco. “E’ solo un bambino. Poi Chase…non la
prenderà bene. Adesso è…guarda com’è felice. Si è affezionato a quel
ragazzino.”
Cercò di
sorridergli. Aveva le gote arrossate dal freddo e gli occhi le brillavano per le
lacrime. “So che il mio commuovermi ti sembra patetico, ma non ci posso fare
niente.”
Lui scosse la
testa, tornando a guardare verso l’auto. Elliot era riuscita a parcheggiarla,
sfiorando di poco un albero. Dopo pochi secondi entrambi scesero, ma si
bloccarono appena videro lui e Cameron.
House fu certo
che avevano capito cosa stava per accadere.
Chase posò una
mano sulle spalle del ragazzo, e camminarono insieme verso di loro.
“Non sei
capace a parlare agli alberi per convincerli a spostarsi?” chiese House ad
Elliot, appena furono di fronte a loro. “Ti servirebbe, perché se guidi così da
schifo non andrai molto lontano.”
“No dottore,
ma forse è il caso di imparare. Lei può insegnarmelo?”
House rise
sommessamente.
Chase non
staccava gli occhi da Cameron, dai suoi occhi lucidi.
“Stanno
venendo a prenderlo?” le chiese.
Lei annuì.
“Puoi andare a salutare tua mamma se vuoi.” disse poi, rivolta ad Elliot.
“Grazie.”
disse lui, mentre una lacrima gli scendeva per la guancia.
“Accompagnalo
tu, Cameron.” disse House alla dottoressa. Nessuno protestò e l’immunologa si
impose di smuovere in fretta quella situazione: si alzò in piedi e tese la mano
ad Elliot. “Andiamo?” gli chiese.
Elliot si
voltò verso Chase. “Grazie per avermi fatto guidare, dottor Chase.” disse,
tentando di sorridere tra le lacrime.
Chase aveva
gli occhi rossi ma sia Cameron che House erano sicuri che non avrebbe mai pianto
di fronte a loro. Ebbe però il coraggio di abbassarsi e abbracciare forte il
bambino. “E’ stato un piacere Elliot, vedrai che la prossima volta il parcheggio
andrà un po’ meglio.” Continuò a tenerlo stretto per qualche secondo, dando
l’ultimo saluto a un piccolo amico/nemico, e forse anche a quel bambino ferito
che stava accucciato dentro di lui. Poi si alzò e lo guardò allontanarsi finchè
non scomparve, la sua piccola mano in quella della persona di cui più si fidava
là dentro, della sua bellissima amica e collega, Allison Cameron.
Quando si
ridestò dai suoi pensieri, si accorse che House era ancora appoggiato all’auto
dell’immunologa, e lo fissava impassibile.
“Io vado. Ci
vediamo domani, buonanotte.” disse rapidamente, poi si voltò e incominciò a
camminare verso la sua macchina, miracolosamente integra.
“Chase.” il
diagnosta lo chiamò, e poi lo raggiunse con la sua andatura zoppicante.
Sembrava quasi
imbarazzato e questo mise Chase a disagio.
“Potrai andare
a trovarlo.” gli disse alla fine.
Chase era
scosso, ma riuscì a cogliere qualcosa che assomigliava a delle scuse, nascoste
nella banale frase del suo capo.
“Già. Ma non
credo che andrò.”
House annuì.
Fece per tornare sui suoi passi.
“House.”
questa volta fu il turno dell’intensivista. “Il prossimo Natale ti regalerò una
tazza nuova.”
House alzò gli
occhi al cielo. “Sei un bastardo.” disse rivolto alle stelle, ridendo.
“Dev’essere un
gran complimento da parte tua.”
“Questa me la
paghi.”
“Come pago
ogni tuo sbalzo d’umore.”
“Sei l’unico
che riesce a sopportare certe pressioni. Cameron si metterebbe a piangere e
Foreman correrebbe a parlare con la Cuddy.”
“Anche questo
è un complimento?” chiese lui, aggrottando la fronte.
“Sparisci.”
allontanò Chase spingendolo col suo bastone, come aveva fatto qualche ora prima
con quel poliziotto. Quel gesto era però, questa volta, libero da ogni forma di
aggressività. Forse era un gesto amichevole. O almeno così lo intese Chase che,
sorridendo, raggiunse la macchina e si allontanò.
Dopo pochi
minuti Cameron uscì ancora dall’ospedale e si diresse verso la sua auto. House
vi era appoggiato, nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato.
Senza nessuna
esitazione, gli lanciò le chiavi della sua macchina.
Lui le prese
al volo, e la guardò stupito, colto alla sprovvista dalla spontaneità di quel
gesto.
“Non mi vorrai
far guidare fino a casa da sola, con le strade in questo stato?” disse al suo
capo, fingendo indignazione. La luce nei suoi occhi esprimeva, allo stesso
tempo, quanto desiderasse che lui accettasse quell’invito, che lui accettasse
quello che entrambi volevano.
“Ma non
spettarti che ti apra la porta, o cretinate simili.” disse lui, sedendosi al
posto del conducente.
Si
allontanarono dal Plaisboro.
I loro cuori,
che battevano così veloci, mescolavano insieme tutte le intense sensazioni delle
ultime giornate, consapevoli che l’emozione più grande gli avrebbe travolti tra
poco, quando finalmente sarebbero stati l’uno tra le braccia dell’altra.
A meno che…
Si svegliò con
la sua piccola mano appoggiata sullo stomaco.
I capelli
erano abbandonati sul cuscino, le labbra semiaperte.
Appoggiò la
sua mano su quella di lei, chiedendosi quante volte le aveva baciate quella
notte.
Centinaia di
volte.
Aveva
incominciato a stringerla a sè prima che raggiungessero la porta d’ingresso, non
aveva resistito.
Lei aveva
risposto con una voracità che sembrava impensabile per un essere così
delicato.
Le scostò una
ciocca di capelli dal viso, sperando che si svegliasse.
Aveva bisogno
di essere sicuro che non fosse solo un sogno, aveva bisogno di sentire quella
voce che gli aveva provocato sensazioni così diverse da quando la conosceva:
irritazione per le sue frasi ingenue, tenerezza per la tenacia con cui gli
imponeva i casi che le sembravano interessanti, turbamento per le sue
ammonizioni etiche, eccitazione per come aveva ripetuto il suo nome quella
notte…
“House…”
Finalmente
aveva aperto gli occhi, finlamente lo stava guardando.
Lei gli
sorrise, lui le rispose allo stesso modo.
“Voglio
dormire ancora un po’.” mormorò , tornando a chiudere gli occhi.
Lui la lasciò
fare.
Cameron non
voleva dormire, voleva solo godersi fino in fondo quel momento di pace.
Voleva tenere
ancora per un po’ la mano sotto il tocco leggero della sua, sentirlo respirare
accanto a lei.
Aveva ancora
addosso il languore di quella lunga notte.
In quel
momento desiderava più di ogni altra cosa che la gioia che aveva nel cuore non
la abbandonasse mai.
Era stato
tutto più bello di ogni sogno che avesse mai fatto, e lei sognava tanto. Sognava
tanto di lui.
House si
sentiva calmo, sereno.
Era una
sensazione che non provava da anni.
Ma non era
solo quello.
Aveva paura a
dirlo, anche a se stesso.
Come se stesse
seguendo il corso dei suoi pensieri, una semplice domanda uscì flebile dalle
labbra di Cameron.
“Sei
felice?”
Lui sorrise, cercando di cogliere in ogni
sua sfumatura quella stupenda emozione che forse non aveva mai conosciuto a un
livello così puro.
Si.
Era
felice.
FINE
Vally
Ce l’ho fatta, l’ho finita!
E’ stato difficile per me, mi
piaceva scrivere questa storia.
Ma il finale è venuto da solo, la
conclusione si è fatta da sé.
Sarà una cosa che scrivono tutti
ma, data l’importanza, non posso non farlo anch’io.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutti
quelli che hanno letto e recensito questa fanfic.
Vi ringrazio di cuore, il merito
di quello che di bello c’è in questo racconto è anche vostro.
Il mio modo di ringraziarvi sarà
quello di impegnarmi a leggere le vostre fanfic, come sto già facendo, e di
commentarle in modo sincero.
Credo che alcuni di voi sappiano
quanto è entusiasmante leggere una recensione positiva da parte di qualcuno che
ammirate, da parte di qualcuno che scrive come piace a voi. A me è capitato con
alcuni di voi, che…ringrazio davvero tanto, a costo di ripetermi.
Un abbraccio forte anche a tutti
quelli che non scrivono, ma leggono con passione.
Una nota finale, prima di
salutarvi.
Contrariamente a quanto si
aspetteranno alcuni di voi, io non sono cotton candy!
Adoro però il personaggio di
Cameron, che trovo sia quello delineato meglio nella serie, dopo House. E’ ricco
di sfumature e di possibilità… Quindi mi è piaciuto scrivere di loro.
Mha…in realtà mi affascinano
tutti i protagonisti e spero di averlo dimostrato dando spazio a ognuno di
loro.
Ora vi saluto e, come al solito,
attendo con ansia le vostre recensioni.
Vally
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