Il ritorno?

di Ashes Eye
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Erano passati ormai tre mesi dalla sua morte, ma John ancora non riusciva a darsi pace. Quel pensiero lo tormentava di continuo impedendogli di vivere. Era certo che il suo migliore amico non poteva essere morto così. Era praticamente impossibile, si ripeteva all’infinito. Eppure aveva assistito alla caduta e aveva sentito il polso muto, senza battito. Aveva visto quegli occhi vitrei e immobili senza vita, coperti da strisce di sangue che continuavano a scorrere sul viso e colorare il marciapiede di rosso. John passava e giornate a pensare, piangere e fissare lo schermo del PC aperto sempre sulla stessa pagina web: il sito di Sherlock. Non sapeva cosa cercare o dove, ma aspettava solo un cenno di vita che confermasse la sua teoria: Sherlock era vivo.

Ogni notte, quando si svegliava di soprassalto a causa degli incubi andava al cimitero, a parlare con la lapide nera e scura, sotto la quale giaceva Holmes. Diceva sempre le stesse cose, nella speranza che si avverassero, ma una notte disse una cosa di più: 
«Mi manchi…Sherlock». Un lungo pianto terminò il monologo notturno e una pesante tristezza lo riaccompagnò al suo nuovo appartamento. Non era più tornato al 221B di Baker Street e non ne aveva intenzione. Non senza Holmes.

Era la mattina del 4 aprile. John non dormiva dalle tre del mattino quando aveva fatto visita alla tomba sperando di trovarci Sherlock intento a sparare a qualche albero per combattere la noia. Era quella stessa notte che invece di parlare di idee e congetture, una brevissima frase rivelò al vento notturno i suoi sentimenti. Si sentiva terribilmente abbandonato e preso in giro. Non riusciva più a sopportare l’idea che da lì in poi avrebbe dovuto vivere senza di lui. Era seduto sul pavimento, sotto una finestra lasciata aperta, mentre l’aria gelida entrava nell’appartamento ricordandogli che era vivo. Davanti a sé, appoggiato alle ginocchia c’era il PC. Era sempre acceso e mostrava la home del sito di Sherlock. Ancora nessun segno, nessun indizio. 

Appoggiò la testa alla parete e sollevò gli occhi al soffitto quando il suo cellulare emise un doppio bip. Era un messaggio. Le tre settimane dopo la morte di Sherlock, a ogni messaggio in arrivo, John trasaliva e lo apriva con mani tramanti nella speranza che il mittente fosse Holmes. Ma quella speranza rimase tale e nel tempo cominciò a svanire. Quindi prese di malavoglia il telefono e guardò lo schermo sul quale compariva una busta gialla che indicava l’sms. Lo aprì e lesse le uniche quattro parole: «Anche tu mi manchi».




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