The Damned Blade
Scusatemi ancora per i problemi legati all'html, ma non essendo
abituata ad usarlo, mi dimentico sempre del problema degli spazi... thanks per
aver letto e commentato! ^^
ps per evamagic: Hoshino è il cognome di Aya di "Gals!", mi
piaceva il significato! ^^
Capitolo 2. T
Quella notte, Rika non ebbe affatto un sonno tranquillo.
Continuava a sognare suo padre.
Ryusuke Hoshino, abbreviato Ryo da tutti, era comandante di
polizia. Quando la madre di Rika era morta, subito dopo il parto, l’uomo si era
dato da fare per crescere da solo la sua unica figlia, avvicinandola al proprio
ambiente di lavoro, a tal punto che già a 15 anni la ragazza era entrata a far
parte del suo team di investigazione. Quattro anni dopo, la mattina di Natale,
Ryo era stato mandato in missione per un raid in uno spaccio di droga: là, nella
confusione seguita allo sfondamento della porta del magazzino n° 7 del porto di
Tokyo, aveva sparato, uccidendo un uomo che si trovava a passare per caso. Pochi
istanti dopo, era stato colpito da una pallottola al petto, morendo qualche
minuto dopo, mentre giaceva nell’ambulanza che lo doveva portare all’ospedale.
Rika aveva preso il suo posto a capo della squadra, giurando di onorare sempre
il suo ricordo.
Non aveva pianto.
Era rimasta immobile osservando la bara di legno che veniva
calata lentamente nella fossa.
Anche in seguito, ogni volta che si recava al cimitero per
visitare la sua tomba, fissava la lapide senza sbattere le palpebre, lasciando
scorrere lo sguardo sulle lettere incise.
Nel giro di un mese, quasi tutti i membri del team di suo padre
avevano fatto domanda di trasferimento: abituati alla gentilezza di Ryo, non
potevano concepire come sua figlia, di appena 19 anni, potesse essere così
fredda e testarda; inoltre non erano affatto convinti delle sue capacità,
nonostante avesse dimostrato più volte, come diceva Boris, "di avere le palle
più di chiunque altro in quel buco". Con lei erano rimasti solo Yuri e Boris; in
seguito si erano aggiunte Aika, Elion e Miyuki, e anche Ben e Giada davano
sovente una mano dai rispettivi campi lavorativi, il giornalismo e la
legislazione.
E poi… e poi c’era Garland, che la conosceva da quando erano
piccoli. Aveva fatto rapidamente carriera nella sezione scientifica, nonostante
avesse solo 21 anni, ma data la sua intelligenza era stato ammesso
all’Università a soli 16 anni, terminando gli studi 2 anni dopo. Solo lui la
conosceva così tanto da sapere che la maschera gelida che non la lasciava mai
era solo un muro difensivo per proteggere la sua fragilità; era lui l’unico che
la sosteneva sempre, standole vicino come amico e, negli ultimi 3 anni, anche
come fidanzato.
Quando Rika era entrata di soppiatto in casa sua per fargli una
sorpresa e lo aveva trovato a letto con un’altra, le era crollato il mondo
addosso per la seconda volta nella sua vita: tutto il dolore che sembrava
essersi assopito in quegli anni era riesploso di botto, frammisto alla rabbia e
alla disperazione. Per intere settimane era stata intrattabile, tanto che Giada
aveva dovuto mettercela tutta per difenderla dai legali che la attaccavano per
la violenza con la quale trattava i pregiudicati.
Poi, aveva capito che non poteva continuare a soffrire e aveva
deciso di fare come se nulla fosse successo.
Il risveglio non fu un bel momento. Dopo un istante di ricordò
dell’omicidio di Rei… ma quando il bacio di Kei prese prepotentemente il
sopravvento, lei non si fece pregare per abbandonarvisi, e assaporando
quell’ultimo, dolce ricordo, si preparò e andò in ufficio.
Entrando, vide tutti già nella stanza. Si sfilò il cappotto e
lo appese all’attaccapanni:
- Bene. Novità? Aika?-
L’interpellata sfogliò un fascicolo:
- Io ho cercato su Internet ed Elion ha consultato alcuni testi
della libreria del fratello, ma le informazioni coincidono: "La stella a cinque
punte, definita anche pentacolo, oltre a essere importante nelle pratiche
magiche, è un portafortuna se ha una punta verso l’alto, o un segno
convenzionale di magia nera in caso contrario" bla bla bla…-. Rika pensò ai nei
che sul suo braccio sinistro potevano essere uniti a formare una stella a cinque
punte con il vertice verso il basso e trattenne un sorriso compiaciuto. -…Ah,
ecco: stelle unite a lettere: "Nel simbolismo della Massoneria, al centro della
stella vi era una G, che alludeva alla geometria, alla Gnosi o a Dio", che come
sai in tedesco si dice Gott…-
- Altri casi?- troncò Rika.
- No-
- Merda- imprecò il comandante. -Queste informazioni sono del
tutto inutili, considerando il fatto che sono atea e non credo in interventi
divini… hai detto magia nera?-
- E sette sataniche- aggiunse Elion.
- E se si riferissero a divinità greco-romane? Selene,
Saturno…- propose Aika.
- Boris?-
Il giovane tenente si scompigliò i capelli violetti,
arruffandoli più di quanto non fossero già:
- Nulla più di quanto già non sapessimo. Rei è morto soffocato
a causa di quel sacchetto di terra, tra le 4 e le 5 di ieri mattina…-
- Tipo di terra? Composizione? Origine? Queste informazioni non
si trovano da sole! Vai da Garland, voglio i risultati- ringhiò.
Boris la fissò dritta negli occhi:
- Non ho finito. Il corpo non mostra segni di lotta.
Probabilmente è stato colto di sorpresa e minacciato per rimanere in silenzio,
e…-
Rika sbatté il palmo della mano destra sulla scrivania:
- Sono i fatti che mi interessano, non le probabilità!- urlò.
Poi scosse la testa: -Scusatemi. Miyuki?-
L’interprete mora annuì:
- Mystel, il ragazzo indiano che ha ritrovato il cadavere, si è
trovato a passare per caso per il parco. È un esploratore scientifico, stava
facendo delle ricerche sugli insetti della zona…-. Nascose a fatica il suo
disgusto per gli insetti e riprese subito: -Sulle prime ha pensato che fosse un
vagabondo addormentato o un ubriaco; avvicinandosi, però… in breve, ha chiamato
subito la polizia, senza accertarsi della sua morte effettiva per non cancellare
eventuali impronte digitali…-
-… che non sono mai state trovate in qualsiasi caso- concluse
Boris, lasciandosi sprofondare nella sedia girevole imbottita.
Sua sorella prese la parola:
- Al giornale va anche peggio. Le notizie sono filtrate
rapidamente e…-
- Quanto tempo abbiamo?-
- Tardi… le prime notizie sono già in giro-
Aika osservò la tempia che pulsava sulla fronte di Rika.
Conosceva bene l’avversione del comandante per i giornalisti, eccezion fatta per
Ben, e anche il fatto che la ragazza detestava sentirsi impotente:
- Tu hai novità?- le chiese.
La giovane scosse il capo, stringendo i pugni. In quel momento,
la porta si aprì ed entrò Yuri. Tutte le teste si voltarono verso di lui:
- Coma sta?- chiesero all’unisono tutti, tranne Rika che rimase
in silenzio ad osservarlo.
Il russo si sfilò il cappotto e lo appese all’attaccapanni alle
spalle di Elion:
- Si è un po’ ripresa, ma non ha praticamente chiuso occhio
tutta notte…-
- Hai dormito da lei?!?- esclamò Boris, ricevendo in cambio un
pugno sulla nuca da sua sorella.
Yuri si schiarì la voce dopo aver lanciato uno sguardo di
gratitudine a Ben:
- Ha detto che Rei non era tornato a casa, quella sera: a
quanto pare, doveva lavorare, e…-
- Garland!-. Rika scattò in piedi, facendo slittare indietro la
sedia.
- Ma che cavolo…?- cominciò Boris.
- Rei lavora con Garland. Perché non mi è venuto in mente
prima? E soprattutto… perché non è venuto in mente a quel maledetto svedese?!?-
sbraitò il comandante, attraversando di corsa la stanza e lanciandosi fuori
dall’ufficio.
- Garland… Garland!-. Rika chiuse con rabbia il cellulare e lo
scagliò nella pozzanghera al lato del marciapiede. -Stupido idiota, dove diavolo
sei finito?-
Spalancò la porta del reparto scientifica si aprirono per
permetterle il passaggio, lei vi entrò come una furia e si rivolse a un ragazzo
dai capelli rossi che la fissò con occhi stralunati:
- Dov’è Garland?- sbraitò.
- Non sa che è vietato…- cominciò l’altro.
- …entrare senza autorizzazione? Pivello, stai parlando con il
comandante Hoshino della prefettura di Tokyo, laureata a soli 13 anni. Vammi a
chiamare Von Cetwald!- abbaiò in risposta.
- N-non c’è…-
- Cosa?-
Lieto che la ragazza si fosse finalmente zittita, Daichi
Sumeragi riprese:
- Spiacente, ma non è in ufficio-
- E allora dov’è?-
- Informazioni riserv…- balbettò il ragazzo, indietreggiando
fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
Rika mosse il braccio come per tirargli un pugno, ma alla fine
aprì il palmo e lo sbatté sulle parete accanto alla nuca del ragazzo, facendolo
sobbalzare:
- Senti, pivello: o mi rispondi, oppure faccio in modo di farti
sbattere fuori da qui-
- N-non lo so…-
Il comandante imprecò pesantemente e indietreggiò, uscendo. la
porta le sbatté violentemente alle spalle, troncando una frase cominciata con
"Maledetto figlio di…".
Di malavoglia percorse la strada che tempo prima faceva
allegramente per arrivare all’appartamento di Garland. Una volta giunta davanti
all’alto edificio giallastro, attese finché qualcuno non ne uscì. Sorridendo
all’anziana donna che le tenne aperta la porta, entrò. Salì in fretta le scale,
facendo i gradini a tre a tre. Si fermò davanti alla porta dell’appartamento 17
del terzo piano e inspirò profondamente. Bussò.
Nessuna risposta.
Suonò il campanello.
Nessuna risposta.
Accarezzò l’idea di sfondare la porta e irrompere nel
soggiorno, ma il ricordo del perché aveva mollato Garland si riaffacciò alla sua
mente. Fece dietro-front, maledicendo tra sé e sé il giovane.
Mentre Rika scendeva le scale, Garland si affacciò alla porta,
strofinandosi gli occhi dopo un’intera nottata passata al computer alla ricerca
della composizione tutta particolare della manciata di terriccio nel
sacchetto.
"Va’ a casa e riposati" le aveva detto Boris. Ma come
faceva?
Rika sbuffò. Il suo respiro formò una nuvoletta bianca. Non
sapeva da che parte sbattere la testa: per quanto ci riflettesse, non riusciva a
capire che nesso ci fosse tra la morte di Rei e il biglietto trovato accanto al
suo cadavere. Aveva immediatamente escluso che l’omicidio fosse in qualche modo
collegato a quelli dei giorni precedenti: la modalità con la quale era morto il
cinese era totalmente nuova e diversa da qualsiasi altra avesse mai visto.
Passò senza accorgersene davanti alla libreria di fronte a casa
sua. Si fermò e sbirciò nella vetrina, sopra la quale troneggiava l’insegna
recante il nome del negozio scritto con lettere nere arabescate: "Ye Old
Bookshop".
Sorrise, accorgendosi che il giovane proprietario, Andrew
McGregor, fratello maggiore di Elion, era seduto come sempre in una delle
poltrone imbottite messe a disposizione dei clienti, accanto al bancone su cui
era appoggiata una tazza di tè bollente. Il ragazzo aveva le lunghe gambe
accavallate e teneva aperto un grosso volume tra le mani. Un ciuffo dei capelli
rosso sangue gli sfuggì dalla fascia blu avvolta attorno alla fronte, cadendogli
sull’occhio sinistro, ma lui sembrò non farvi caso. Era così assorto nella
lettura che non si accorse nemmeno dell’entrata di Rika, che per farsi notare
dovette fermarsi dritta davanti a lui, a gambe divaricate e con i pugni chiusi
sui fianchi:
- Ehilà, topo di biblioteca!-
Andrew alzò appena il viso:
- Buonasera, Rika-
Il comandante sorrise:
- Cosa stai leggendo di bello?-
- "Guerra e pace" in lingua originale-
Andrew ed Elion erano gli ultimi eredi della ricchissima
famiglia inglese dei McGregor, che vantava antenati illustri sin dai tempi della
Magna Charta del 1215. Tra i due c’erano pochissimi anni di differenza, ed erano
molto legati: quando Andrew si era trasferito in Giappone per terminare gli
studi di archeologia e simbologia, Elion l’aveva seguito, specializzandosi in
fotografia e unendosi al team di Rika. Nel frattempo, il giovane aveva saputo
che la vecchia libreria davanti all’appartamento del comandante stava per essere
chiusa e demolita per mancanza di clienti, e l’aveva immediatamente acquistata e
ristrutturata, aggiungendo la ricchissima sezione-biblioteca mettendo a
disposizione numerosi libri fatti venire appositamente dalla biblioteca di
famiglia.
- Hai qualcosa per me?- chiese Rika, allungando una mano per
afferrare la tazza di tè.
- Mi sono arrivati un paio di volumi nuovi, un thriller e un
fantasy- rispose Andrew, sfilandole la tazza da sotto il naso e tenendola al
sicuro tra le mani, lanciando un’occhiataccia alla ragazza.
- Solito scaffale?-
- Sì, controlla dietro il bancone-
Rika scavalcò gli scatoloni con i nuovi arrivi che le
impedivano l’entrata nel retro del bancone e storse il collo per leggere i
titoli sul bordo laterale dei tanti volumi ordinati in base all’iniziale del
cognome dell’autore. Individuò subito i due libri citati da Andrew: sul
segnalibro che fuoriusciva dalle pagine profumate di stampa fresca c’era scritto
il suo nome in kanji. La ragazza sorrise:
- Perché ti ostini sempre a scrivere in kanji? Non sarebbe più
semplice per te usare il katakana?-
Andrew alzò nuovamente gli occhi blu dal librone polveroso che
stava consultando:
- Il kanji è più poetico… il katakana è troppo stilizzato per i
miei gusti-
- Sicuro di non essere parente, almeno alla lontana, di Oscar
Wilde?- commentò Rika, sfilando pian piano i volumi, facendo attenzione a non
far cadere gli altri ad essi appoggiati e soffiando via il sottile strato di
polvere formatosi nel breve lasso di tempo in cui erano rimasti sullo scaffale
in attesa che lei arrivasse a prelevarli.
Accorgendosi che l’altro non ribatteva, proseguì:
- Ah… mi ha detto Elly che stasera tarderà. Credo che Brook
l’abbia invitata a cena-
Andrew non riuscì a nascondere il proprio disappunto nel sentir
nominare l’americano dai capelli arancione.
- Non ti piace proprio, eh?- commentò Rika, sfogliando il
fantasy dal titolo "I Cavalieri degli Elementi". -Perché?-
- Non saprei… so solo che sta allontanando Elianor da me-
Rika si spostò una ciocca di capelli dagli occhi:
- Forse è un po’ diverso, ma… quando persi mio padre, furono
Sara e Lucrezia a propormi di andare ad abitare con loro. Boris e Yuri,
nonostante fossero i miei migliori amici, non poterono per mancanza di spazio
nell’appartamento, anche se Ben aveva assicurato che ci potevamo trasferire
tutti in una casa più grande. Comunque, in quel periodo le sensei mi rimasero
molto vicine, in particolare Sara, che spesso trascurava la stesura del libro
per dedicarsi a me… attirandosi i rimproveri dell’editore. Quando scoprii che
Boris le aveva chiesto di diventare la sua ragazza, ci rimasi molto male, perché
avevo paura di perderli. Non so se fossi più arrabbiata con l’uno o con
l’altra-. Rika si incupì un istante, ma sorrise subito, tanto che Andrew si
chiese se avesse solo immaginato il lampo d’odio che aveva visto attraversare
gli occhi verde militare della ragazza. -Mi accorsi ben presto di essermi
sbagliata, fortunatamente-
Cadde un silenzio di tomba, imbarazzante per entrambi. Fu il
rintocco del campanile a spezzare l’atmosfera cupa creatasi.
- Già le 9, maledizione- borbottò Andrew.
La ragazza gli lanciò un’occhiata interrogativa, inarcando il
sopracciglio sinistro. L’altro scosse la testa:
- Stavo calcolando quanto ci metto a leggere "Guerra e pace"…
sai, un mio professore universitario l’ha letto in 3 ore-
- Ah… ok- mormorò Rika. - Allora ti lascio alla tua sfida.
vado, altrimenti la sensei si arrabbia perché dice che le faccio sempre mangiare
tardi-
- Un’ultima cosa… calm and self-control, ok?- aggiunse Andrew,
facendole l’occhiolino.
La ragazza sorrise, appoggiando una mano sulla fredda maniglia
d’ottone della porta d’ingresso. "Calma e sangue freddo": un classico consiglio
in stile Andrew, a cui probabilmente Elion aveva raccontato dell’omicidio.
- That’s all right. Bye bye!- replicò, sempre in inglese,
uscendo dal negozio per ritornare al freddo della strada. Per fortuna durò poco:
attraversata la strada deserta, aprì il portone del palazzo dove abitava ed
entrò nell’atrio. Salì le scale facendo i gradini a due a due, perché
l’ascensore era ancora rotto, infilò i guanti in una tasca del giubbotto e
inserì la chiave nella toppa della porta dell’appartamento 8, che divideva con
Sara e Lucrezia.
- Sensei, scusate il ritardo!- esclamò, entrando e chiudendosi
la porta alle spalle.
Non ricevendo alcuna risposta, si diresse verso la cucina,
pensando di trovarvi le due ragazze intente a scrivere ascoltando la musica
dall’I-Pod; ma non vide nessuno seduto al tavolo. Notò però un post-it giallo
appiccicato al portatile chiuso e vi riconobbe la chiara scrittura di Sara:
"Siamo a cena dall’editore… nel freezer trovi dei surgelati…
riuscirai a scaldarti qualcosa senza mandare a fuoco la casa? Baci, Sara e
Lucrezia".
Rika sorrise rassegnata e si diresse verso il frigorifero. Aprì
lo scomparto freezer e rabbrividì quando l’aria gelida le si schiaffò in faccia.
Prese una pizza e la chiuse nel microonde, poi uscì dalla stanza per cambiarsi.
Entrando nel salotto si slacciò il giubbotto e se lo tolse, per
poi appenderlo all’attaccapanni. Da un tasca interna rimasta aperta scivolò a
terra un biglietto. Si chinò per raccoglierlo e un sorriso le addolcì il viso
pallido: il biglietto con il numero di Kei.
Sul cartoncino nero rettangolare, il suo nome e il suo numero
di casa spiccavano bianchi. Ai quattro angoli, vi erano delle piccole stelle
bianche.
"Un cielo notturno…". Si trovò a paragonarli istintivamente,
mentre il dubbio se chiamare o meno il ragazzo diventava un tormento.
Alla fine afferrò il cordless gettato sul divano, sprofondò
nella poltrona imbottita davanti alla tv e compose il numero. Ricontrollò sei
volte di averlo digitato bene e infine, dopo aver esitato per diversi minuti,
pigiò il tasto di chiamata.
Con il batticuore, contò gli squilli: uno, due, tre, quattro,
cinque, sei, sette. Nessuna risposta. Fece per annullare la chiamata, quando
dall’altra parte provenne una voce:
- Pronto?-. Una voce calda, profonda, dolce, sensuale. Kei.
- P-pronto, Kei… sono Rika-
- Rika! Come stai?-
- Bene… tu?-
- Non mi convinci- la rimproverò il ragazzo. -Non hai alcuna
novità sul caso?-
Aveva centrato in pieno il nucleo del problema:
- Nonostante odi profondamente l’espressione tanto amata dai
giornalisti… è proprio il caso di dire che brancoliamo nel buio-
- Ti sta molto a cuore questo caso, eh?-
Rika annuì, poi si accorse che il ragazzo non poteva saperlo e
si affrettò a rispondere:
- Già. Mi dispiace molto per la sorella di Rei Kon, Giada… è
una delle mie migliori amiche, e non voglio che soffra come ho sofferto io
quando…-. Si bloccò.
- Quando cosa?-
La ragazza esitò: poteva dirgli di suo padre? La sua voce
decise in completa autonomia dal suo cervello:
- Quando mio padre morì. Avevo 19 anni, ed era il giorno di
Natale. Mio padre era in missione quando rimase ucciso-
- Mi dispiace… e tua madre?-
- Morì dopo il parto-. Stranamente non le faceva più male
parlarne. Forse era davvero riuscita superare tutto. O forse aveva semplicemente
voglia di parlarne con Kei? Ripensò ai pivelli che la chiamavano "Comandante di
Ghiaccio": in quel momento, non si sentiva affatto così.
- Nemmeno io ho i genitori. Mio padre morì tre anni fa… e non
ho mai conosciuto mia madre, quindi per me è come se non esistesse-
Rika preferì non insistere e spostò l’argomento:
- Abiti da solo?-
- Esatto. Hai visto, no? Vivo nell’appartamento sopra il bar
dell’altra volta, praticamente sotto la Torre di Tokyo-
- Ma tu non sei giapponese, o sbaglio? Hai un vago
accento…-
- Russo. Ho vissuto in Russia fino a 14 anni-
- Non ci credo! La Russia… fantastico!-
- Be’… io ho vissuto in collegio-
- Oh. Mi dispiace- balbettò Rika, lieta che dall’altra parte
del filo Kei non potesse vedere quanto era arrossita.
- Non ti preoccupare-
Per tutta l’ora successiva, i due parlarono di diverse cose.
Quando la pendola nell’angolo batté le 10.30, Rika non poté reprimere una serie
di sbadigli dovuti a numerose ore di sonno arretrate. Dall’altra parte, Kei se
ne accorse:
- Ti lascio dormire in pace, non mi crollare-
- Ok… forse è meglio che mi faccia davvero una bella dormita.
Grazie per avermi sopportata-
- È stato un vero piacere-
- Buonanotte…-
- Buonanotte e sogni d’oro, piccola-
Fece in tempo solo a chiudere la chiamata arrossendo
violentemente, prima di cadere addormentata sprofondata nella poltrona,
dimenticandosi la pizza nel microonde.
Fu svegliata qualche ora dopo da una puzza di fumo. Aprendo gli
occhi di scatto si ricordò della pizza nel microonde. Lanciò un’occhiata
terrorizzata alla pendola: le 4.30 del mattino.
Saltò giù dalla poltrona e si precipitò in cucina, urtando
violentemente uno spigolo del tavolino basso che Lucrezia si rifiutava
categoricamente di togliere. Corse fino al microonde, rischiando di scivolare
sul lucido parquet, e si piazzò a gambe larghe davanti allo sportello: il timer
era spento.
- Ma allora cosa…?-
La risposta arrivò da sola quando la ragazza guardò fuori dalla
finestra.
Da una delle finestre della libreria "Ye Old Bookshop" usciva
una colonna di fumo. Rika si stropicciò incredula gli occhi, e si diede un
pizzicotto sulla guancia, convinta di essere ancora tra le braccia del dolce
Morfeo, che da giorni non le rimaneva accanto a lungo. Ma non era così.
Senza prendere il cappotto, uscì dall’appartamento e si lanciò
giù per le scale, più volte sul punto di cadere. Quando si trovò fuori,
attraversò la strada senza nemmeno controllare l’eventuale passaggio di
automezzi.
Arrivata davanti alla porta della libreria, tentò di aprirla,
ma senza successo, mentre si preparava a sfondarla, sentì qualcuno che la
chiamava. Si voltò:
- Elion!-
- Rika, che succede?- balbettò la fotografa, raggiungendola
insieme a Brooklyn.
Il comandante buttò giù la porta con un calcio e indicò la
finestra al pianoterra dalla quale il fumo continuava a uscire:
- Un incendio… credo-
- Andrew?-
L’altra non rispose, pregando affinché il terribile
presentimento che si faceva strada nel suo cuore fosse totalmente sbagliato, e
che per una volta il suo infallibile istinto avesse fatto un buco
nell’acqua.
Entrando nel negozio, si accorse che l’intera stanza del
pianoterra era invasa dal fumo. Riprendendo il sangue freddo che la
contraddistingueva come comandante, ordinò a Brooklyn di chiamare i vigili del
fuoco e a Elion di telefonare per farsi mandare un’ambulanza, oltre che di
rimanere il più lontana possibile.
Facendosi strada a fatica attraverso gli scaffali che ancora
non erano stati attaccati dalle fiamme, circondata dal fumo che le faceva
lacrimare gli occhi e bruciare la gola, giunse fino alla poltrona accanto al
bancone, quella dove qualche ora prima aveva visto seduto Andrew. Da lontano
aveva visto solo una sagoma scura, ma ormai la certezza aveva preso il
sopravvento sulla sua speranza, con tutto il suo peso.
Andrew era legato alla poltrona con delle spesse corde. Il suo
corpo sembrava integro, a parte che era un cadavere.
Ricacciando indietro una bestemmia che premeva sulle sue labbra
per uscire, Rika estrasse il coltellino svizzero che portava sempre con sé,
abitudine ereditata dal padre, e cominciò a tagliare febbrilmente le corde,
conscia che l’incendio, dovunque fosse la fonte, l’avrebbe presto raggiunta.
Finalmente le corde cedettero. Il corpo di Andrew, non più
sostenuto, cadde in avanti. Rika gli posizionò un braccio dietro le ginocchia e
l’altro dietro la schiena e lo sollevò, preparandosi per uscire. Mentre
percorreva con difficoltà il breve tratto verso l’ingresso, con i polmoni pieni
di fumo e appesantita dal corpo dell’inglese, si accorse che il fuoco si stava
rapidamente propagando sugli scaffali, e quello accanto alla porta stava per
cedere. La ragazza accelerò il passo, calcolando freneticamente quanto tempo ci
avrebbe messo per arrivare all’esterno, e quanto ce ne avrebbe messo lo scaffale
per crollare. Vedendolo ondeggiare pericolosamente, saltò in avanti e chiuse gli
occhi, ruotando contemporaneamente sulla schiena, per evitare di cadere sul
corpo di Andrew.
Sentì un dolore lancinante alla schiena quando colpì il suolo,
poi un calore insopportabile, e infine fu tutto buio.
- È una stupida incosciente!-. Boris. Era la sua voce.
- Poteva lasciarci le penne e tu sai dire solo questo?-.
Sara.
- Appunto! Poteva lasciarci le penne!-. Ancora Boris.
- Ma si è salvata-. Lucrezia.
Aprì gli occhi a fatica, sentendosi più vecchia di secoli.
Sbatté le palpebre per abituarsi alla luce:
- Dovrai aspettare un bel po’ prima di prendere il mio posto di
comandante, Boris-
Il giovane tenente fece un salto sulla sedia:
- Sei sveglia?-
- Sì, e ti ho sentito-. Rika si alzò sui gomiti e si guardò
intorno. Era nel letto di camera sua, circondata da un consistente gruppetto di
persone: Sara, Lucrezia, Boris, Yuri, Ben e Aika. Tutti la fissavano a bocca
aperta, ma incapaci di emettere il benché minimo suono.
- Be’? Aspettate una richiesta scritta per dirmi che ci faccio
qui?-
Fu Yuri a parlare:
- Dal resoconto di Brook… quando ti sei buttata in avanti per
uscire, hai battuto violentemente la schiena e più leggermente la testa, ma
abbastanza forte per perdere conoscenza-
- Come se non bastasse- proseguì Aika -Un intero scaffale ti è
crollato sulle gambe-
Dilatando gli occhi per il terrore di ciò che avrebbe potuto
vedere, il comandante si liberò delle pesanti coperte invernali con un unico,
ampio gesto del braccio destro. Le gambe nude erano completamente nere a causa
delle botte. Sospirò di sollievo: temeva già di averne perso l’uso.
- Non hai riportato alcuna ustione né ferite gravi, ed è un
vero miracolo, nonché un mistero- commentò Ben. -Oh, sai che sarai su tutti i
giornali?-
Rika scese dal letto e zoppicò fino all’armadio, lanciando
un’occhiataccia a Yuri che si era avvicinato per aiutarla. Aprì le ante e
recuperò una camicia nera e un paio di jeans:
-"Giovane comandante della prefettura di Tokyo tenta di salvare
un amico da un incendio, lo trova già morto e portandone fuori il cadavere
finisce spiaccicata sotto uno scaffale, rimanendo in vita per miracolo?"
Scriveranno questo?- ironizzò, vestendosi. Afferrò la cravatta blu appoggiata
sul comodino, ma accorgendosi di avere un lieve tremore alle mani, rinunciò
all’idea di indossarla come sempre, per evitare che gli altri notassero la sua
ansia.
Boris non smise un istante di fissarla male:
- Ringrazia Dio che sei viva, idiota. Tra lo scaffale e la
caduta, avresti già dovuto essere all’altro mondo-
La ragazza gli lanciò un’occhiata gelida mentre si allacciava i
lacci degli anfibi, abituata a non lasciare le scarpe all’ingresso:
- Io non ho un dio. Sono atea, ricordi?-
- Fai male- borbottò il tenente. -Ma dove stai andando?-
Rika appoggiò una mano allo stipite della porta:
- Hai presente quel luogo dove si portano i cadaveri per
appurarne le cause di morte? Quel buco dove lavora Garland? Quella tana
sotterranea chiamata obitorio?-
Boris si alzò di botto, facendo slittare indietro la sedia con
un rumore stridente:
- Ma che ti salta in mente? Ti sei bevuta il cervello o cosa?
Sei conval…- urlò. Ma non aveva ancora finito di parlare che la ragazza era già
scappata fuori dalla stanza e stava correndo verso la porta d’ingresso.
Il giovane partì al suo inseguimento, chiedendosi come facesse
una con le gambe così martoriate a correre a una tale velocità. Nel frattempo
Rika era schizzata fuori dall’appartamento e si stava fiondando giù per la
scale, saltando i gradini a tre a tre. Uscì dal portone d’ingresso aperto per
permettere il trasloco dei nuovi vicini e si trovò in strada.
Il primo momento fuori dal piumone caldo del suo letto fu
orribilmente gelido; ma si scaldò subito alla vista di chi c’era davanti a
lei.
- Rika?!-
- Ciao Kei-
- Rikaaaaa! Maledetta!-
L’urlo di Boris le fece tornare in mente ciò che doveva fare.
Afferrò il casco che Kei teneva sulle gambe e se lo infilò, saltando in sella
dietro di lui:
- All’obitorio, in fretta! Poi ti spiego- esclamò, prima che il
giovane accendesse il motore e partisse con un rombo.
Boris si fermò appena uscito dal portone, osservando torvo i
due che si allontanavano. Mentre borbottava imprecazioni in una lingua che
sembrava vagamente un misto tra russo e giapponese, sentì qualcuno che gli
appoggiava una mano sulla spalla destra. Si voltò:
- Certe volte non la capisco proprio… eppure è la mia migliore
amica-
Sara sorrise:
- Io ci vivo insieme da tre anni e la capisco meno di te-
Il russo sospirò:
- Vorrei proprio sapere che ci trova in quel motociclista da
strapazzo-
- Be’… è affascinante… gentile… intelligente… dolce… sexy…-
Accorgendosi dell’occhiata storta che il fidanzato le
rivolgeva, Sara scoppiò a ridere e lo baciò con trasporto:
- Torniamo su e avvertiamo della sua fuga romantica…-
Lo sguardo di Boris si illuminò di una luce maligna:
- Grave errore da parte sua rivelare la destinazione…
muhuha…-
- Piantala… più che un genio del male, con quella risatina
sembri un pervertito…-
- Tempismo perfetto… ma che ci facevi fuori casa mia?- chiese
Rika, mentre Kei si fermava a un incrocio in attesa che il semaforo diventasse
verde.
- Dovrei farle io le domande, questa volta… comunque, per
risponderti, stamattina ho visto i titoli di giornale-
Rika imprecò, insultando pesantemente i giornalisti, proprio
nel momento in cui scattava il verde. Kei sovrastò il rombo del motore:
- Come ti senti?-
- Intendi a parte il dolore per la morte di Andrew e quello
alle gambe?- ribatté acida Rika. Accorgendosi di aver reagito in modo veramente
assurdo, si affrettò a scusarsi:
- Mi dispiace… non ci sto molto con la testa-
- Non ti preoccupare, non mi sono offeso. Intendevo chiederti
come vanno le ferite-
- Oh. Be’, i ragazzi dicono che mi è andata bene. Le gambe sono
completamente annerite per le botte, ma il dolore è sopportabile-. Ripensò alla
corsa a rotta di collo giù per le scale e non riuscì a trattenere un sorrisino
all’immagine di Boris, campione dei 100m a ostacoli della regione, seminato da
lei.
Entro pochi minuti, trascorsi in silenzio, i due arrivarono
davanti all’obitorio. Prima di togliersi il casco e scendere, la ragazza
controllò che non fossero stati inseguiti. Non vedendo né Boris né altri,
slacciò il casco e lo porse a Kei:
- Grazie del passaggio-
- Figurati. Va’ pure, ti aspetto qui- rispose il giovane.
Rika stava già per rifiutare cortesemente, quando si ricordò
che se fosse tornata a piedi, da sola, avrebbe affaticato in maniera esagerata
le gambe… e accettando, avrebbe potuto invece passare ancora un po’ di tempo con
Kei. Sorrise e annuì, poi si voltò e si diresse verso l’ingresso dell’edificio
che ospitava la sede della polizia scientifica: un ex-palazzo aristocratico
ristrutturato e le cui prigioni sotterranee erano state eliminate per accogliere
l’obitorio.
Quando le porte scorrevoli si aprirono per permetterle il
passaggio, Rika inspirò profondamente e, dopo aver contato mentalmente fino a
cinque, entrò.
Davanti a sé vide ancora il rosso della sua visita precedente,
che le dava le spalle. Gli si avvicinò con un sorriso maligno appena trattenuto,
in silenzio, e gli appoggiò pesantemente una mano sulla spalla destra:
- Ehilà pivello-
L’altro sobbalzò:
- C-comandante Hoshino…- balbettò, tremando
impercettibilmente.
La ragazza non aggiunse altro, ma si diresse verso le scale che
portavano al piano inferiore, lasciando Daichi a fissarla come se avesse appena
visto un vampiro. Da una porta laterale uscì un giovane biondino russo.
- Quella tipa non è una ragazza… è una furia!- commentò il
rosso.
- Che vuoi farci?- replicò Sergej -In fondo, è la ex di
Garland…-
- Della serie… "Se non sono bastarde non le voglio?"- borbottò
Daichi sarcastico.
- Euh… sì-
Nel frattempo, Rika era arrivata al piano sotterraneo.
Attraverso il vetro trasparente delle porte automatiche, vide Garland che,
chinato su un cadavere, le dava le spalle. Quando il giovane si spostò, lei
intravide il volto del corpo: Andrew.
Inspirò profondamente, scacciando dalla mente i rimproveri
della sua coscienza per non essere arrivata in tempo, ed entrò a passo deciso.
Garland si voltò di scatto:
- Rika! Cosa… come…?- balbettò.
La ragazza ignorò la domanda lasciata all’inizio, e lo fissò
seria negli occhi blu:
- Causa e ora di morte-
- Ma che ci fai qui?-
- Sono morta e voglio che tu mi faccia un’autopsia…- commentò
acida Rika -Secondo te?-
- Dovresti essere a casa a riposare-. Dopo un primo istante di
stupore, lo svedese aveva ritrovato il suo tono calmo e dolce: - Vieni, ti
riaccompagno io…-
- Non farmelo ripetere ancora-. Rika scansò il braccio che
Garland aveva teso per afferrarle una mano.
- Eri a tanto così dall’andare al Creatore e vuoi ancora
pensare al caso?- "La sua determinazione è stupefacente… ma ormai non so più se
chiamarla così oppure idiozia".
La ragazza fece un passo in avanti:
- Ti ricordo che sono atea. Levati, fammi proseguire le
indagini-
- Rika, ascoltami-. Garland le strinse le dita attorno al polso
destro, ma lei reagì all’istante. Con un rapido movimento del polso e uno scatto
in avanti, torse il braccio dello svedese dietro la schiena,
immobilizzandolo:
- Sarai anche un campione di arti marziali… ma ricordati che
nemmeno io scherzo- mormorò. Poi si alzò sulla punta dei piedi e gli soffiò
all’orecchio una minaccia: -E ora, lasciami lavorare… oppure ti sbatto davanti
alla Corte Marziale per disobbedienza ai superiori, agente speciale Von
Cetwald-
- Soffocamento dovuto al fumo inalato, tra le 4 e le 4.30 di
questa mattina- si affrettò a rispondere lo svedese, sospirando di sollievo
quando la ragazza lo liberò dalla morsa di ferro delle sue gelide mani.
Accorgendosi che lei si avvicinava ugualmente al corpo, le tagliò la strada:
- Hai ottenuto ciò che volevi. Ora ti riporto a casa, e
lascerai fare le analisi a me…-
Rika si spazientì e lo fulminò con lo sguardo:
- Ti giuro che se non mi fai lavorare subirai la fine di quel
tizio crivellato di colpi nel secondo libro di Sara e Lucrezia-
Conoscendo la fama del comandante, nota per non minacciare a
vuoto, Garland si arrese e le permise di passare. La ragazza cominciò ad
esaminare con attenzione quasi maniacale ogni centimetro del corpo di Andrew,
completamente privo di ustioni. Gli unici segni erano quelli viola causati dalle
spesse corde che lo avevano tenuto legato alla poltrona, stringendogli i polsi e
le braccia e bloccando la circolazione sanguigna; poi fece un cenno allo
svedese, che la guardava all’opera, immobile e ammutolito:
- Dammi una mano a voltarlo, devo guardare la schiena-
Il giovane si avvicinò per aiutarla:
- Sei arrivata in tempo…-
- Per cosa?-. Rika gli lanciò un’occhiata glaciale, ma Garland
sostenne il suo sguardo:
- Per evitare che finisse bruciato-
- Se me ne fossi accorta prima…-
- Non sarebbe cambiato nulla- tagliò corto lo svedese. -So cosa
stai cercando- aggiunse poi, puntando il raggio della lampada da lavoro sulla
schiena di Andrew.
- Merda- imprecò Rika.
Sulla pelle candida dell’inglese c’era un marchio, impresso a fuoco, a forma
di stella a 5 punte, con uno dei vertici rivolto verso l’alto, verso il centro
esatto del collo. Al centro, impressa più profondamente, in modo da farla
risaltare nettamente, una "T".
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