Like Davy Jones_1
[
Prima classificata al contest «One
Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da
ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't
be a drag, just be a Queen!» indetto da
RoyMustungSeiUnoGnocco ]
[ Terza classificata
al contest «No words: multifandom contest»
indetto da Audrey_24th ]
Titolo:
Like Davy Jones’ Locker (Where the men find the
eternal sleep)
Autore: My
Pride
Fandom: One
Piece
Tipologia: Long
fiction
Rating: Arancione
Personaggi: Mugiwara
[ Accenni ZoSan,
FRobin e RuNami ]
Genere:
Generale, Avventura, Sentimentale,
A tratti introspettivo, Vagamente Angst
Avvertimenti:
Lieve Shounen ai, Linguaggio colorito,
New World Arc, What if?, Probabilmente non per stomaci delicati,
Spoiler dai
capitoli 668 in poi (Solo accenni microscopici
di essi)
Traccia: Numero
venticinque ›
I’m going slightly mad.
Traccia: Numero
nove › Lui
è così stupido che si
scorderebbe di morire anche se lo ammazzassero.
Note
dell’autore: Note presenti alla fine della
fanfiction
ONE
PIECE ©
1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
FIRST SEASON ›
I’M GOING SLIGHTLY MAD
LAND OF THOUGHTS, #01
Sanji
trasse una lunga boccata dalla sua sigaretta e poi sbuffò,
osservando
distrattamente il fil di fumo che saliva con lentezza esasperante verso
il
cielo azzurro.
Doveva
essere accaduto dopo gli avvenimenti vissuti a Kamabakka,
si
disse per la trecentesima volta, cercando invano di dare una
spiegazione logica
ai bizzarri pensieri che, da un po’ di tempo a quella parte,
avevano cominciato
ad affollare la sua mente, rendendolo più nervoso ed
intrattabile del solito.
Lui amava le donne, dannazione.
Negli ultimi due anni non aveva fatto altro che
ripeterlo a se stesso e a tutti quei dannati travestiti che popolavano
l’isola
su cui era stato spedito da quel bastardo di Kuma, tentando in seguito
di
proteggere con le unghie e con i denti la sua virilità e il
suo animo di uomo.
Due lunghi anni in quell’inferno rosa confetto, due lunghi
anni trascorsi a
scappare come un pazzo da quei
cosi e
dai vestiti da donna che provavano ad infilargli in ogni modo... e dopo
tutto
quell’orrore e le novantanove ricette ottenute, lui che
faceva? Si ritrovava
con le braccia incrociate sul parapetto della Sunny a sospirare come
una ragazzina
alla prima cotta. E se pensava che la causa di quel suo comportamento
era una
persona che avrebbe volentieri preso a calci dalla mattina alla sera,
beh... la
cosa lo mandava in bestia il doppio, maledizione.
A quelle sue stesse riflessioni,
Sanji si strofinò vigorosamente una mano fra i capelli e
gettò l’ormai
mozzicone di sigaretta oltre la balaustra, vedendolo inghiottito fra le
onde
che sbattevano contro la chiglia della nave. Dannazione, aveva bisogno
di
un’altra stecca. Quante ne aveva fumate in meno di
un’ora e mezza? Sei? Sette?
Forse otto? Aveva perso anche il conto, perfetto. Come se fumare come
una
ciminiera dalla mattina alla sera potesse risolvere in qualche modo il
problema, poi. Era fottuto. Letteralmente
fottuto. E se non l’avesse piantata di fare
costatazioni incoerenti e di
continuare a cercare di raccapezzarsi in qualche modo, alla fine
sarebbe del
tutto impazzito e quella situazione in cui si era ritrovato sarebbe
stata
davvero l’ultima dei suoi pensieri.
«Sanji-kun, potresti
prepararci un
the?» La voce di Nami parve essere per lui la panacea di cui
aveva bisogno,
giacché si riprese in un lampo e, stornando lo sguardo nella
direzione da cui
essa proveniva, volteggiò in direzione del castello di prua,
sul quale le due
ragazze avevano sistemato i lettini per prendere il sole.
«Tutto ciò che
desideri, mia dolce
Nami-swan~♥!» cinguettò poi, rischiando
di sanguinare quando i suoi occhi si
posarono sulle forme prosperose che le sue compagne di ciurma stavano
mostrando
grazie agli splendidi costumi colorati che indossavano. Sanji dovette
ricorrere
a tutta la sua forza di volontà per tenere a freno quella
stupida emorragia,
per quanto un piccolo rivoletto di sangue fosse comunque riuscito ad
avere la
meglio e fosse fastidiosamente scivolato giù per la sua
narice sinistra. Se lo
ripulì alla bell’e meglio con il dorso di una mano
e si sforzò di sorridere
alle due ragazze, che gli gettarono uno sguardo preoccupato.
«Sanji-san... sicuro di stare
bene?» domandò Robin nel recuperare la propria
maglietta, trovando più salutare
per il cuoco coprirsi. Da quel che ricordava, Sanji non aveva mai avuto
reazioni simili nel vederle in costume da bagno, anzi; aveva sempre
elogiato la
loro bellezza, blaterato su quanto fossero perfette e fatto un
po’ lo scemo
come suo solito, ma da qui a sanguinare dal naso e rischiare di morire,
beh...
avrebbe voluto chiedergli cosa fosse successo per ridurlo
così, ma Robin si era
resa conto che sarebbe stata una totale perdita di tempo. Sanji non
avrebbe mai
parlato, e lo dimostrò anche quella volta, ridacchiando
nervoso.
«Oh, mia dolce Robin-chan, non
devi preoccuparti! È la vostra fulgida bellezza ad
emozionarmi, sto benissimo!»
esclamò falsamente euforico, filandosela giù in
cucina prima ancora che le due
ragazze potessero chiedergli qualche altra cosa.
Spiegare che le sue reazioni erano
dovute agli orribili avvenimenti che avevano preso forma a Kamabakka,
in quel posto
dove per un periodo di tempo aveva persino dimenticato di essere un
uomo,
sarebbe stato per lui il colpo di grazia e la sua reputazione di
dongiovanni
pervertito sarebbe morta e defunta insieme alla sua
virilità. Anzi, si corresse
una volta giunto nel suo sacro tempio, probabilmente la sua
mascolinità si era
sotterrata insieme al suo orgoglio e alla sua sanità mentale
nel momento stesso
in cui aveva realizzato di provare qualcosa per un suo compagno di
ciurma. Oh,
non ci sarebbe stato niente
di male
se si fosse trattato di Nami o Robin - che venerava comunque come Dee,
bellissime com’erano -, però, purtroppo per lui,
non erano loro ad attizzare
del tutto il suo amichetto ai piani bassi e a richiamare la sua
attenzione, e
la cosa lo rendeva incerto e confuso.
Le ipotesi erano soltanto due: o
era diventato del tutto matto e aveva perso anche l’ultima
rotella sana nel suo
cervello, oppure - e quella gli sembrava l’opzione migliore
-, visto tutto ciò
che era accaduto su quell’isola, si sentiva un po’
sfatto e non era ancora in
perfetta forma, dunque quello doveva essere soltanto un momento
passeggero che
sarebbe passato in fretta senza più lasciare traccia. O
almeno lo sperava.
Perché altrimenti c’era una terza ipotesi, quella
che lo spaventava più di
tutte e che al contempo gli faceva battere il cuore ad un ritmo
frenetico: si era
innamorato. E non uno di quei
suoi innamoramenti che riguardavano le splendide donne su cui riusciva
a posare
occhio, bensì il vero amore, quello che decantava e
professava a quelle stesse
donne che incontrava. Forse avrebbe dovuto aspettarselo.
Com’era che si diceva?
A scherzare con il fuoco si rimane bruciati? Beh, lui era andato
praticamente
in fiamme e del suo corpo non era rimasto altro che un mucchietto di
cenere.
«Che idiota»,
esordì una voce alle
sue spalle, facendolo trasalire; ebbe appena il tempo di voltarsi per
vedere Zoro
osservarlo a sua volta per un lungo momento, entrando in cucina per
prendere
una bottiglia di sake dalle scorte che lui stesso aveva riposto sullo
scaffale.
«Due anni di allenamento e tutto ciò che hai
imparato è stato come perdere
sangue dal naso?»
Sanji gli si avvicinò a passo
di marcia
e gli levò senza tanti complimenti la bottiglia dalle mani,
assottigliando le
palpebre. «Fa’ silenzio e pensa allo sfregio che
hai sull’occhio, marimo di
merda», sbottò, ma lo spadaccino, a quel dire, si
limitò a sollevare un
sopracciglio con fare fin troppo scettico.
«Una cicatrice è un
effetto collaterale
accettabile; morire dissanguato per aver visto un paio di tette,
no».
«Tu cosa diavolo vuoi capirne,
non ti si
drizza nemmeno se le ragazze te la sbattono in faccia».
«Ho ben altro da fare che
perdere tempo
dietro a cose del genere, cuoco», lo freddò,
riprendendosi senza tanti
complimenti la bottiglia prima di dirigersi verso il divano, gettandosi
a peso
morto sopra di esso per osservare il cuoco da quella posizione. Lui,
dal canto
suo, digrignò i denti e cercò di far presa sul
proprio auto-controllo,
decidendo di ignorare bellamente lo spadaccino per aggirare il tavolo e
il
piano di legno per raggiungere i fornelli. In quel momento doveva
pensare unicamente
alle sue bellissime muse, non
a quella stupida testa d’alga dal brutto muso che non perdeva
mai occasione di
fargli salire i nervi. Dannazione, avrebbe voluto volentieri prenderlo
a calci
in faccia e rompergli tutti i denti.
Gli attimi che trascorsero in quella
cucina furono i più lunghi e interminabili che avesse mai
vissuto. Aveva preso
il bollitore per preparare il the richiestogli da Nami-san e
l’aveva riempito
d’acqua prima di accendere il fuoco, ostinandosi a dare le
spalle a Zoro per
non guardarlo nemmeno in viso. Aveva però avuto la
sensazione del suo sguardo su
di sé, proprio fra le scapole, e aveva sentito un bizzarro
brivido corrergli
lungo la spina dorsale quando, con la coda dell’occhio, si
era reso conto che lo
spadaccino lo stava fissando sul serio - con un’attenzione
tale che avrebbe fuso
del tutto il cervello a chiunque -, e la cosa non gli era piaciuta per
niente.
Era riuscito a trovare un pizzico di
serenità solo quando il bollitore aveva fischiato, e, per
quanto avesse
sussultato per essere stato preso alla sprovvista proprio da esso, era
stato
ben felice di finire di preparare il the e svicolare svelto dalla
cucina per
portarlo alle ragazze, che l’avevano ringraziato e gli
avevano consigliato di
andare a riposarsi non appena avevano visto il sangue che aveva
imbrattato la
sua camicia. Eppure, dopo lo scambio di corpo avvenuto a causa di
Trafalgar
Law, avevano quasi sperato che rinsavisse e la smettesse di avere
quelle
emorragie, dato che il cuoco aveva potuto usufruire proprio del corpo
prosperoso della navigatrice. E Nami, una volta tornata normale, gli
aveva
fatto pagare amaramente - sia metaforicamente che da un punto di vista
monetario - la palpata di seno che aveva fatto con le sue stesse mani,
ma
quello era un discorso a parte.
«Forse dovremmo convincerlo a
parlare
con Chopper», esordì d’un tratto Robin,
issandosi a sedere sulla sdraio per
sorseggiare il proprio the. «Cook-san non può
andare avanti così. È distratto,
mogio, non sembra nemmeno se stesso... dopo Punk Hazard è
diventato quasi
distante».
Se non fosse stata d’accordo
con
l’amica, Nami avrebbe arginato tutta quella questione facendo
semplicemente
spallucce, concentrandosi tutta tranquilla su ben altro.
Però, e odiava
ammetterlo proprio perché voleva bene a Sanji-kun, Robin
aveva colto
decisamente nel segno. Il cuoco non era più lui, e loro,
purtroppo, non
riuscivano a capire che cosa lo turbasse così tanto
né tantomeno riuscivano a
tirarlo in qualche modo su di morale. «Magari è
soltanto una fase passeggera»,
cercò di essere convincente. «Forse lo scambio di
corpi deve averlo stressato».
«Anche tu ti sei ritrovata
prima nel
corpo di Franky e subito dopo nel suo, ma non mi sembri particolarmente
stressata», ribatté Robin. «E poi, da
quel che ricordo, lui si divertiva
parecchio a spiare nella tua scollatura».
«E per quello l’ho
riempito di botte,
sai?» ci tenne a precisare la navigatrice, soffiando sul
proprio the prima di
bere a sua volta un sorso. «Però, non so, sembra
fin troppo agitato», e nel dir
questo cercò con lo sguardo la figura del cuoco, poggiato
nuovamente contro il
parapetto a fumarsi l’ennesima sigaretta della giornata,
«ma non riesco a
capire perché».
Robin fece fiorire sul suo braccio una
mano e diede alla ragazza un’amorevole pacca su una spalla,
sorridendo poi con
fare rassicurante. «Vedrai che non è
niente», le disse. «Probabilmente è solo
stress e ci stiamo preoccupando per un nonnulla».
Seppur ancora un pochino incerta, Nami
ricambiò quel sorriso, impacciata.
«Già, forse hai ragione tu, Robin»,
sussurrò, tornando a guardare distrattamente Sanji, che
aveva gettato fin
troppo in fretta quella nuova stecca nel bel mezzo
dell’oceano. Forse Robin
aveva davvero
ragione. Forse Sanji
era solo stressato da qualche piccolezza - i continui furti di cibo da
parte di
Rufy, le sue liti perenni con Zoro, il suo dover sfacchinare
praticamente tutto
il giorno per sfamarli - e la sua era semplicemente paranoia inutile.
Allora perché, per quanto si
sforzasse
di dare per buona quella spiegazione, non riusciva a cancellare il
brutto
presentimento che le aveva attanagliato le viscere?
«Il
Log Pose continua a puntare in
questa direzione, però non c’è
niente», esordì Nami con voce affranta, lo
sguardo fisso sugli aghi che vibravano ad indicare dritto dinanzi a
lei, per quanto
il mare si estendesse a perdita d’occhio.
Era già la terza volta che
capitava una
cosa del genere, prima per l’Isola nel cielo e poi per quella
degli Uomini
Pesce, ma adesso il fenomeno era a dir poco inspiegabile.
L’ago rosso non
puntava né in alto né tanto meno in basso,
bensì proprio davanti a loro, dove
non c’era assolutamente nulla nel raggio di chilometri. Che
il Log Pose fosse
impazzito? Forse in quella determinata zona dell’oceano
c’erano dei depositi
sottomarini che avevano danneggiato la sua capacità di
registrare il magnetismo
delle isole? Oh, come le sarebbe piaciuto avere una spiegazione per
quella
dannata situazione in cui si erano ritrovati.
«Forse dovremmo provare ad
avanzare
ancora un po’», propose Franky dopo essersi
grattato il mento con fare pensoso,
poggiandosi poi gli occhiali da sole sul naso. «Basterebbe un
Coup de Burst
per
spingerci più avanti e vedere se riusciamo a scorgere
un’isola».
Nami scosse immediatamente il capo.
«Non
possiamo girare a caso, se l’ago indica proprio questo
punto», sospirò, alzando
lo sguardo verso l’orizzonte. «Se solo
avessimo qualche indizio... non possiamo sperare che ci piombi in testa
la
risposta, è già capitato due volte e non siamo
poi così fortunati».
«Io sono d’accordo
con Franky»,
s’intromise d’un tratto Rufy, richiamando su di
sé l’attenzione di tutta la
ciurma radunata sul ponte. Persino Zoro, che fino a quel momento non
aveva
fatto altro che fissare con fare diffidente un punto imprecisato
dell’oceano,
si era voltato verso di lui, sollevando un sopracciglio. E non
perché il
Capitano avesse affermato di essere d’accordo con il
carpentiere, nay;
probabilmente erano i suoi occhi, sfavillanti come due diamanti, a far
presagire che Rufy non aveva in mente niente di buono.
Anche Nami parve capirlo,
poiché si
ritrovò a schiaffarsi una manata in faccia e a sbuffare.
«In che lingua volete
che ve lo dica? Avanzare non cambierà le cose».
Guardò ancora una volta il Log
Pose e poi il mare, aggrottando la fronte nell’incontrare
l’espressione ferma e
più che decisa del suo giovane Capitano. «Ma
questo è il Nuovo Mondo, dopotutto»,
soggiunse, come se volesse cercare in quelle parole una spiegazione
razionale. «Si
può sempre tentare».
«Perfetto!»
esultò Rufy, saltando in
piedi sulla polena. «Avanti tutta, Franky!»
Il fermento provocato da quelle due
semplici parole corse frenetico in ogni membro della ciurma, che si
affrettò ad
eseguire gli ordini del Capitano; ognuno di loro raggiunse la propria
postazione e si preparò alla partenza, chi spiegando le vele
e chi prendendo
posto dinanzi al timone, pronto a fare rotta nella direzione indicata
dal Log
Pose.
Nami fece appena in tempo a voltarsi
verso destra per controllare la situazione con il binocolo che
un’improvvisa
folata di vento le scompigliò i capelli, facendo
sì che
le ricadessero sugli
occhi e le offuscassero la vista; sbuffò e se li
scansò
con un gesto secco, ma
l’improvviso rollare della nave le fece perdere
l’equilibrio, tanto che si
ritrovò a sbattere il sedere sul ponte, imprecando a denti
stretti. Cosa
diavolo stava combinando Franky con quel timone? Si issò in
piedi afferrando
con una mano il parapetto di legno, e ne avrebbe di sicuro dette
quattro al
carpentiere se la sua attenzione non fosse stata richiamata dal rombare
lontano
dei tuoni; un lampo squarciò il cielo in quel preciso
istante,
illuminando il
profilo sfocato di un lembo di terra.
«Ma che
diavolo...?!»
esclamò Usopp, sconcertato. «Da dove accidenti
salta fuori
quella montagna?!»
«Quella non è una
montagna, è un
vulcano!» urlò di rimandò Sanji,
assicurando una cima all’albero maestro.
Un’onda si riversò all’interno della
nave e rese scivolose le assi di legno,
facendo sì che gli oggetti non fissati scivolassero su di
esse, così come le
porte sbatterono ad ogni minima oscillazione. Gocce grandi come chicchi
di
grandine avevano cominciato a cadere
inesorabilmente dal cielo, e le forti raffiche di vento sferzavano
violentemente il vessillo nero che sventolava sul pennone, minacciando
di
strapparlo via.
«Franky, tutta a
babordo!» gridò Nami,
tenendosi alla balaustra per evitare di cascare di sotto a causa delle
brusche
virate del brigantino. «Se non ci affrettiamo a cambiare
rotta ci schianteremo!»
Quando aveva avvertito quella strana
sensazione di disagio alla bocca dello stomaco ci aveva visto giusto,
dannazione. E adesso si trovavano in balia delle onde e del vento,
gettati in
pasto ad una tempesta che fino a pochi attimi prima non c’era
e in procinto di scontrarsi
frontalmente con un vulcano spuntato fuori dal nulla. Tutte a loro
dovevano
capitare? Accidenti, sembrava che non avessero mai un attimo di
respiro.
A quei suoi stessi pensieri, Nami
imprecò a denti stretti e corse svelta al di sotto del
cassero per aiutare
Chopper con la barra, cercando di restare in equilibrio e non essere
vittima
dell’oscillazione della nave. Sentiva le onde infrangersi
violentemente contro
lo scavo e i sinistri scricchiolii dei legacci che assicuravano la vela
di
mezzana all’albero, e avrebbero rischiato grosso se una di
esse si fosse
stracciata a causa della forte pressione del vento.
«Zoro!» urlò, tentando di
sovrastare il possente ruggito del mare e il rombare dei tuoni per
farsi
sentire, riuscendo a richiamare l’attenzione dello spadaccino
solo al terzo
tentativo. «Tu e Sanji-kun occupatevi delle vele, io e
Chopper penseremo alla
barra!»
«Ricevuto,
Nami-san!» grido il cuoco di
rimando, affrettandosi a correre dall’altro lato del ponte
per afferrare le
funi che si erano sciolte a causa delle forti raffiche di vento; gli
spruzzi
d’acqua provenienti dalle onde che schiaffeggiavano
violentemente la nave gli
inumidivano il viso e gli rendevano le mani scivolose, e dovette
ripetere più
volte il nodo per riuscire ad assicurare le cime agli alberi di mezzana
e
trinchetto, scorgendo appena con la coda dell’occhio la
sagoma indistinta di
Zoro che faceva lo stesso con quello maestro.
Poterono trovare un attimo di respiro
solo quando giunsero nei pressi dell’isola, dove la tempesta
sembrava essersi
placata. Il cielo era ancora grigio e le nuvole cariche di pioggia, ma
adesso
lì, con l’ancora ormai calata, si sentivano in
parte più tranquilli. Certo, attraccare
era stato difficile, però almeno ce l’avevano
fatta.
«Pensavo che dopo
l’isola degli Uomini
Pesce e Punk Hazard non ci sarebbe stato più niente in grado
di stupirmi,
però... ragazzi, credo che mi stia tornando la nonvogliolasciarelanaveite...»
esalò Usopp con un fil di voce,
accasciato sul ponte erboso della Sunny come i restanti membri
dell’equipaggio,
tutti esausti per quell’assurda traversata. Prima il Log Pose
impazzito, poi la
tempesta, il vulcano, l’isola... già,
quell’esperienza si sommava a tutte
quelle che avevano già provato in passato, ma non bastava di
certo quello a
rasserenarli. E forse il cecchino, stavolta, aveva ragione nel non
voler
lasciare la nave. Chopper aveva difatti gettato una rapida occhiata in
direzione dell’isola e aveva sentito tutto il pelo drizzarsi
sulla schiena,
simbolo che a terra ci sarebbe di sicuro stato qualcosa che non sarebbe
piaciuto per niente a nessuno di loro. Nell’osservare subito
dopo Rufy, però,
aveva stranamente compreso che qualcuno sarebbe stato costretto a
seguire
l’euforico Capitano per impedirgli di fare casini.
«Andiamo, non siete curiosi di
scoprire
cosa nasconde quest’isola?» esclamò
difatti, schizzando in piedi per gettarsi
contro il parapetto, poggiando entrambe le mani su di esso mentre
osservava il
folto bosco che si parava dinanzi ai suoi occhi, così tetro
e scuro che metteva
i brividi anche solo a fissarlo da quella distanza.
Usopp, Chopper e Nami, però,
agitarono
in contemporanea una mano. «Per niente»,
replicarono, restando seduti sull’erba
e rimediandoci un’occhiata scettica da Franky.
«Il fatto che vi spaventiate
per una cosa
del genere è mecha-ironico,
sapete?»
disse loro con fare sarcastico, e, per quanto fu guardato male dai
diretti
interessati, riuscì a strappare una mezza risata a Zoro, il
cui sguardo era
fisso nella stessa direzione verso cui stava guardando Rufy.
«Se hanno paura, lasciamoli
qui a badare
alla nave», propose ironico, sentendo i
loro versetti d’approvazione.
«Sono perfettamente
d’accordo con Zoro!»
esclamò Usopp, alzando subito una mano a mo’ di
conferma. «Ma la mia non
è paura!» si affrettò ad aggiungere,
assumendo persino una posa convincente dopo essersi portato due dita al
mento
per carezzare il pizzetto. «Il grande Capitano Usopp non ha
paura di nulla,
però qualcuno dovrà pur tenere
d’occhio la Sunny in assenza degli altri!»
«Quindi restate
voi?» domandò Zoro,
vedendoli annuire immediatamente.
«Certo!»
«Con piacere!»
«Assolutamente
sì!»
Qualche istante dopo, però,
un ruggito
gutturale freddò tutti sul posto e fece cambiare in un lampo
idea ai tre
ragazzi, che trovarono molto più saggio incollarsi al povero
spadaccino. «Credo
che, dopotutto,
avrete bisogno
dell’aiuto del temerario Usopp...»
pigolò quest’ultimo, stritolando fra le mani
il suo braccio sinistro; Nami si era impossessata di quello destro e
Chopper
gli era saltato letteralmente in testa, e la scena si sarebbe anche
rivelata
divertente se l’atmosfera non fosse stata così
cupa.
«Smettiamola di perdere
tempo!» sbottò
Rufy, richiamando l’attenzione di tutti. «Scendiamo
e cerchiamo una città, mi
sta anche venendo fame!»
«Sapevo che
l’avresti detto, Rufy»,
ridacchiò Sanji, uscendo proprio in quel mentre dalla cucina
con due grossi
zaini sulle spalle. Sorrideva sfavillante come non mai, con la sua
fedele
sigaretta fra le labbra. «Ho preparato dei bentou per
tutti!»
«Sei grande, Sanji!»
esclamò tutto euforico,
arraffando il proprio zaino per scendere per primo, ignorando i
richiami di
Nami, ancora incollata al braccio di Zoro. E di questo il cuoco se ne
accorse,
sgranando gli occhi prima di avvicinarsi rabbioso allo spadaccino per
rifilargli un calcio allo stinco, senza dar peso alla colorita
imprecazione che
quest’ultimo rivolse al suo indirizzo.
«Giù le mani da
Nami-san, gorilla
pervertito!» sibilò, e Zoro, dopo essersi
finalmente scrollato di dosso quei
tre idioti, mise prontamente mano alle sue katane, fronteggiando
l’altro.
«Che cazzo fai, cuoco? Sei
cieco, per
caso? È lei che mi ha sequestrato il braccio!»
berciò, e avrebbero di sicuro
cominciato a darsele di santa ragione come loro solito se non fosse
stata
proprio Nami a sedare la rissa, rifilando un pugno sul capo di
entrambi.
«Diamoci una mossa, lo sapete
bene che
non possiamo lasciare Rufy da solo!» sbottò
scontrosa, accostandosi a Robin per
scendere a terra con lei. Brook e Franky, con Chopper e Usopp al
seguito, si
erano già avviati, così da non perdere di vista
quello scemo del loro Capitano.
Se si fossero distratti anche solo per un attimo, quel casinista
sarebbe
riuscito a combinare qualche guaio come suo solito, e di guai ne
avevano già
avuti abbastanza, in quel periodo. E quell’isola dava la
netta sensazione che,
volenti o nolenti, sarebbero stati proprio i guai a cercarli.
Decisamente.
_Note conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Non saprei cosa dire esattamente, riguardo
questa long fiction.
Cominciamo con il dire che questa storia di sette capitoli è
stata scritta per il
contest
“Don't
be a drag, just be a Queen!”
indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco - nel quale si è
classificata
prima praticamente per il rotto della cuffia, come la
giudice stessa afferma x) - e per il contest
“One
Sentence” indetto
da Reghina-chan, ancora in corso e in fase di conclusione. Per una
volta avevo una voglia pazzesca di scrivere una storia di
avventura su One Piece, e finalmente questi due contest me ne hanno
dato la possibilità.
Le strofe iniziali in corsivo nell'introduzione, tra l'altro,
appartengono alla canzone «The Battle
of Bones» dei Flatfoot56 e la frase è del film «Pirati
dei Caraibi: La Maledizione del Forziere Fantasma»,
e si capirà perché le ho scelte come punto di
riferimento solo nel corso della storia.
Ho sempre l'impressione che manchi qualcosa, comunque, però spero
che in qualche modo, per il momento vi abbia interessati.
Al prossimo capitolo. ♥
Messaggio No Profit
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Farai felice milioni di
scrittori.
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