[Harry Potter] And maybe then we’ll remember to slow down to all of our favorite parts
Questa fanfiction ha partecipato al "R/S Remix" sul forum wolfstar_ita. La fanfiction remixata è "Ordinary Day" di ai_sellie.
Sono descritti sintomi e percorso del Morbo di Alzheimer secondo la mia
personale esperienza della malattia, quindi potrebbero esserci
imprecisioni.
Un utente di lj, in un commento, mi ha fatto notare che durante la
malattia, i malati sono molto meno coscienti. Il fatto è che non
ho descritto la fase finale della malattia, e quindi ho voluto parlare
in questi termini dell'esperienza di Remus.
Niente, spero vi piaccia.
Il titolo della storia è preso da "All I Wanted" dei Paramore,
che si consiglia d'ascoltare durante la lettura. Alla prossima.
And maybe then we’ll remember to slow down to all of our favorite parts
Ci sono due anziani signori, al centro del quartiere, che vivono
assieme da quella che sembra un’eternità. Hanno due corde
tese su cui ci sono mollette di legno un po’ consumate, ma nessun
abito; a volte dei lampi di luce colorata illuminano le finestre della
loro dimora. Sono gentili, parlano spesso di un certo Harry, un uomo
simpatico che spesso li viene a trovare e porta con sé
videocassette e DVD, e di Teddy e di James Sirius e di quella che
è senz’ombra di dubbio una famiglia numerosa. Fino a una
decina di anni fa, usavano vestirsi con lunghi mantelli la domenica per
raggiungere la villa del loro figlioccio – il famoso Harry.
Raccontano di quella casa con ammirazione e ormai un pizzico di
nostalgia, non gli è più possibile raggiungerla
abitualmente.
I
loro nomi sono Sirius Black e Remus Lupin, una coppia inusuale, con il
bell’aspetto e il profumo di dopobarba dell’uno, le
cicatrici e la passione per i libri dell’altro. Passeggiano nel
parco a pochi isolati dal centro della città, zoppicando,
camminando sempre più lentamente giorno dopo giorno, con sorrisi
tranquilli che uno definirebbe ’illuminati’.
Di
notte, quando la pioggia cade forte e il vento dà vita ai rami
degli alberi che frusciano in un ululato spettrale, tra le mura di
cemento il signor Remus urla. I vicini pensano sia pazzo, abbia subito
un qualche trauma; così dev’essere stato per il signor
Sirius, che non sopporta il solo nominare le parole ’topo’
o ’roditore’. Qualcuno crede non dureranno ancora a lungo,
« sono persone che hanno vissuto intensamente » ipotizzano.
Suppongono abbiano addirittura combattuto una qualche guerra, magari
con se stessi. Lo strilla uno strano sguardo che s’impossessa di
Sirius quando le stagioni cambiano: rivolge la testa verso il cielo,
odora a pieni polmoni l’aria – sono gli unici attimi in cui
si prenda sul serio, giurerebbero – e sorride, mesto. È la
stessa espressione di Remus, la sera, al sorgere della luna.
Ad
Halloween festeggiano sempre in grande stile, decorano le stanze di
gigli e di strane forme, ’boccini’ li chiamano, nessuno sa
perché, e preparano quantità eccezionali di mele
caramellate; Sirius, con il bastone di Remus che tanto odia, si
traveste da gobbo e regala dolciumi assieme a risate spettrali.
All’una in punto, i due si struccano e indossano abiti eleganti,
raccolgono tutti i gigli e i boccini e spariscono
nell’oscurità, sempre con quell’andare calmo, che
non è chiaro se sia di chi ha capito tutto della vita o di chi
non abbia alcun contatto con la realtà.
***
Sirius
ama il Natale. L’intero vicinato ne è a conoscenza; non
può trattenersi dal bisogno impellente di rendere tutto verde e
rosso, di poggiare lampadine e festoni su ogni superficie adatta
sgombra. Per questo Natale aveva comprato delle renne di plastica a
grandezza naturale, le aveva anche fatte sistemare in giardino da un
sedicenne lentigginoso che gli ricordava Ronald Weasley; ma poi, il
giorno della Vigilia, lo ha richiamato per fargli smontare tutto.
« Cos’è successo? » gli chiede il ragazzo, dispiaciuto.
«
Non ho una gran voglia di festeggiare, Remus non è nelle
condizioni di alzarsi » aveva ammesso – più a se
stesso che a Cole.
Trascorre
il ventiquattro dicembre al capezzale del loro letto matrimoniale, al
fianco di Remus, a tenergli compagnia mentre i vicini passano a
salutarli, riempiendoli di budini, brodini, pudding, tacchini, ricette
di famiglia.
«
Sono sicuro che si rimetterà presto, signor Remus ».
Assomiglia più a un augurio, in realtà. Il modo in cui
gli si dedicano fa sentire in colpa Remus che, semplicemente, annuisce
e aggiunge: « Andrà tutto bene ».
Sirius
si aggrappa a quel tipo di conversazioni: è sempre Remus a
tirarlo fuori dai baratri, dai buchi neri, dalla disperazione. Anche in
questa nuova, ignota, terrificante avventura.
Remus
è bello anche quando la malattia fa sembrare il suo sguardo
quello di un bambino; è bello con la lampada fioca sul comodino
che rende le rughe ciò che davvero sono: nient’altro che
fenditure nello spazio, “basterebbe che ci nascondessimo
dentro, Remus, e torneremmo indietro a rivivere tutto da capo, ad
essere di nuovo giovani, e faremmo tutto per bene, questa volta, lo
faremmo come si deve, senza ferite; questa volta vivono tutti, Remus,
te lo giuro[1]”. È il solito, ingenuo Sirius a
pregare nella sua testa. Vorrebbe zittirsi, la speranza gli urta in
modo così gioioso il cuore: non riesce a spegnerla. Quasi
esistano ancora Giratempo, quasi conosca un modo per esistere di nuovo,
per trascorrere l’eternità con Remus. Non ci sono sempre i
finali felici, Sirius si aspettava di riceverlo come premio dopo tutto
l’orrore e la paura e il dolore, ma a quanto pare non spetta
né a lui, né a Remus.
Remus
si addormenta, sono appena le diciassette di una giornata che gli
appare infinita; ci vuole un certo sforzo per trovare il coraggio di
lasciare solo il suo compagno: sembra tutto a posto, comunque, e
cammina con cautela verso la soffitta – qualsiasi cambiamento
potrebbe modificare radicalmente il suo presente, la sente addosso
quest’ansia del tempo crudele che scorre; l’incedere senza
pietà dei minuti.
Dalle
scale cadono masse di granelli di polvere, li osserva mentre sbuca tra
i pezzi che gli ricordano tutto lo spreco di anni trascorsi separato da
Remus. Sono oggetti, lì dentro, che sanno di Remus e che sanno
di Sirius, ma non di entrambi. E poi ci sono i pezzi di
quell’età che fa parte di due persone che non sono
più loro: gli smaliziati, persi nella guerra, Sirius e Remus; al
loro fianco c’erano persone che ormai sono morte, il cui solo
pensiero risveglia troppo male.
Non
è un vecchio per bene Sirius Black, se lo ripete sempre, ha un
bagaglio di pentimenti; non è il classico eroe, il cavaliere
senza macchia e senza paura. L’oscurità è dentro di
lui, e in parte è anche colpa della sua famiglia
d’origine, anche quella sepolta.
Si
dirige con sicurezza verso una scatola di album di fotografie, la
prende tra le braccia, soffia sul coperchio e, determinato, ritorna da
Remus.
All’ora di cena Remus si sveglia senza riconoscere il luogo dove si trova.
Sirius
gli accarezza i capelli – è l’unico che non scorda
mai, lui e il suo nome e la stella di Sirio che brilla nel cielo, come
se gli facesse da guida nella notte incalzante della sua vecchiaia
– e gli poggia sulle gambe un vassoio con roast-beef riscaldato,
dei toast imburrati, del puré di patate. Mangia a piccoli
bocconi, Sirius immagina che forse presto sarà lui a doverlo
imboccare.
«
Ti ho portato un regalo » gli poggia vicino alle gambe gli album,
spolverati accuratamente poco prima. « Credo ti piacerà
».
Probabilmente
allo stadio terminale di questo stupido – e babbano – Morbo
di Alzheimer sarà talmente perso nell’oblio che delle foto
non basteranno.
La
neve comincia a cadere poco dopo le venti; Remus è silenzioso
quanto il mondo imbiancato là fuori, mentre, scorto il movimento
con la coda dell’occhio, alza lo sguardo verso il vetro della
finestra. È un Remus risoluto che Sirius non vede da un
po’, si sente rattrappito e inutile e tremendamente incapace di
raggiungere il suo vecchio amante. Remus, dopo alcuni minuti, gli
sorride – è malandrino, durerà poco, ma è di
nuovo risalito dal fondo del pozzo, è di nuovo lì,
presente, vivo – e ritorna a sfogliare le pagine del loro passato.
Remus
gli indica gli scatti più belli; dietro le patine trasparenti i
giovani Remus e Sirius si muovono tra gli amici e la famiglia Weasley e
i figli di Harry e di Ginny, e le immagini dell’infanzia e
dell’adolescenza di Ted e una in cui, seduto alla scrivania,
è identico a Remus. Ci sono le dediche del giorno del loro
matrimonio, trent’anni prima, e un bacio rubato, rabbioso,
triste, dietro le tende cupe di Grammauld Place, quella volta in cui
Arthur Weasley era finito al San Mungo per il morso di Nagini.
Remus
accarezza i volti di James e di Lily con il suo bisogno di starsene
rannicchiato a riflettere che si legge sul viso: sono abbracciati sotto
una coperta patchwork nella sala comune di Grifondoro, la zazzera
bionda di Peter sbuca dietro di loro, oltre il divano.
« Un giorno troveranno un modo per aggiustare quelle Giratempo » sospira all’improvviso Remus.
Sirius
rimbocca le coperte a Remus: si è addormentato con una foto tra
le mani – è quella dell’Ordine della Fenice.
Quando
Sirius fa per posarla, scivola un foglietto ripiegato. Sa che non
dovrebbe leggerla, perché Remus è ammalato ma ha ancora
diritto alla privacy che tanto richiede sin da quando era ad Hogwarts e
che Sirius, insicuro com’è in realtà, non è
mai riuscito a dargli completamente. Non ne può fare a meno,
però, perché è indirizzata a Lily Evans.
« Cara Lily,
tu, James ed Harry mi mancate molto.
Il tempo trascorre velocemente. Sirius ed io siamo felici insieme. Siamo tranquilli.
Non
so ancora quando ti vedrò e, per quanto sia orribile e
grottesco, ti scrivo questa lettera perché voglio che tu sappia.
Sto
per morire, non credo mi rimanga ancora a lungo. Due anni, al massimo.
Mi è stata diagnosticata una malattia babbana, probabilmente la
conosci: il Morbo di Alzheimer. Prendo dei farmaci che ne rallentano il
processo, ma non lo fermano.
Sirius
non può credere che dopo tutto ciò che abbiamo affrontato
e superato sia proprio una parte del mondo che lui non conosce, non
concepisce, a portarmi via.
Io
sono tranquillo. Ho vissuto tutto quello che c’era da vivere.
L’amore, l’odio, la delusione, la sofferenza, il male, il
bene, l’amicizia, la paternità, il matrimonio. Ho vissuto,
nonostante quando seppi cosa comportasse essere un licantropo, mi
convinsi di aver perso la mia umanità.
Sono
qui dalla mia stanza. Nevica. È un bel Natale, c’è
pace. Ted ha promesso che verrà a trovarci assieme a James
Sirius ed i gemelli[2]. Non è riuscito a convincere Dora[3], ha deciso di rimanere ad Hogwarts per le ferie. Crediamo c’entri un ragazzo.
Cosa potrei desiderare di più?
La
vita mi ha donato tutto ciò che avevo chiesto. La licantropia
è stata la mia maledizione, ma mi ha reso la persona che sono;
combattere il mostro ch’è dentro di me mi ha reso forte.
Con il senno di poi, ormai, posso dire che sarebbe potuta andare
peggio. Sirius sarebbe potuto morire, voi sareste potuti morire. Sono
arrivato a un punto in cui gli affanni e le gioie non mi sembrano altro
che parte di un grande disegno armonioso ch’è la vita
guidata da se stessa, da una concatenazione di casualità che
muovono gli uomini in un modo perfetto. Nell’insieme siamo
perfetti. Lo lessi in ’Siddharta’ e non lo capii.
L’ho vissuto: adesso lo so. Sono commosso d’amore per
questa esistenza, è la sensazione migliore che abbia mai
provato. Non credere che questo significhi che Sirius non mi
mancherà o che non mi strazi il cuore l’idea di lasciarlo
solo. Non c’è modo di opporsi. Io sono felice ».
Sirius
sistema la lettera dove l’ha trovata e spegne il lume. Il buio
denso, soltanto per un secondo, gli sembra pregno delle urla dei
prigionieri di Azkaban. Appare dietro le sue palpebre un lampo verde
– un Avada Kedavra. Si stringe a Remus, il battito del cuore si
placa. Nel dormiveglia i ricordi gli scorrono impietosi incontro: sono
tutti vuoti della presenza di Remus. È tutta colpa di Remus. Lo
sta abbandonando senza alcuna pietà. Si addormenta con la
consapevolezza di non potercela fare, con la disperazione di non aver
dimenticato la morte di Lily Evans.
Il profumo di Remus lo culla in un sonno senza incubi.
[1]
“Everybody lives this time, Rose Tyler!”: è una
frase che pronuncia il Dottore in “Doctor Who” (S01E10).
[2] James Sirius e Teddy Jr. stanno assieme e hanno tre figli: i ’gemelli’ e Dora.
[3]
Nella storia di Ai_sellie non era menzionato come fosse nato Ted. Qui
ho immaginato, semplicemente, che Nymphadora sia diventata molto amica
di Remus dopo essere stata rifiutata da lui, tanto da diventare una
parte fondamentale della sua vita e di quella di Sirius e, in seguito,
di quella di Ted (tanto che Ted chiama sua figlia Dora).
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