Nato da un cerotto
Dicono tutti che le cose
più belle nascono dalle piccole
cose; il più delle volte è una frase fatta alla
quale nessuno crede veramente,
forse perché si hanno troppi problemi, come le bollette da
pagare e il lavoro
troppo precario, forse perché si è troppo seri e
mentalmente vecchi per
permettersi di pensarla così o forse, più
semplicemente, perché a nessuno
importa come nascono certe cose.
Per loro basta che siano belle.
Ma, quasi inconsapevolmente, in
alcuni di noi rimangono
impressi quei momenti, quegli istanti in cui inizia una nostra storia.
La
traccia che li indica è un dolce languore che ci fa
dimenticare i problemi; e
quel languore torna ogni volta che la nostra mente rivive quel preciso
momento.
Che, poi, non deve trattarsi
semplicemente di un “momento”.
Può anche essere un oggetto, un animale, il nostro gelato
preferito… può essere
una persona.
Il più delle volte
è una persona con un oggetto.
Per Aaron fu così; e il
bello era che lui detestava piangere
davanti agli altri.
Alla sua età (cinque anni)
piangere è la cosa più naturale
al mondo e nessuno gli avrebbe imposto di non farlo ma lui era
così per natura;
doveva averlo nel suo DNA. Ma, con un ginocchio sbucciato, trattenere
le
lacrime era difficile. Il fatto che ci fossero altri bambini a
guardarlo non lo
aiutava per niente.
Tenne gli occhi pieni di lacrime
fissi sul ginocchio
graffiato, cercando di ignorare tutti gli altri bambini che tornavano a
giocare
pur continuando a guardarlo. Attraverso il velo di lacrime vide due
scarpine
rosa con delle fibbie a forma di farfalle, o forse di fiocchi. Era una
bambina.
Ricacciando indietro le lacrime,
alzò il viso mostrando
un’espressione imbronciata.
La bambina davanti a lui sembrava
più piccola, il volto
tondo e roseo era incorniciato di riccioli neri e gli occhi grandi e azzurri lo scrutavano
con curiosità e con
quella luce che le bambine hanno quando giocano a fare le mamme
premurose con i
loro bambolotti. Con quella borsa che aveva sotto braccio sembrava
voler
imitare un’adulta. Ma la cosa che Aaron notò con
sollievo era che non mostrava
l’intenzione di prenderlo in giro.
- Ti sei fatto male? –
chiese la piccola con voce flebile.
- Non è nulla –
replicò Aaron.
- Invece sì, ti esce il
sangue dal ginocchio – disse la
bambina tranquillamente – Devi metterci un cerotto se no fa
infezione. Papà
Kurt me lo dice sempre.
Agitando goffamente il braccio,
infilò una manina nella
borsa e ne tirò fuori una scatola di cerotti con sopra dei
disegni di “Hello
Kitty”, la aprì e prese un cerotto rosa avvolto
nella carta.
- Papà Kurt mi da sempre
una scatola di cerotti. Dice che
possono servire se mi faccio male. Te ne posso dare uno, tanto ne ho
tanti –
disse, porgendoglielo.
- Io quello non lo metto –
si ribellò Aaron – E’ un cerotto
per femminucce.
- Se ti fai male te lo devi mettere
lo stesso – fece la
bambina, innervosendosi un po’ – E poi me li ha
comprati papà Blaine perché sa
che “Hello Kitty” mi piace.
- Ma quanti papà tieni?
– chiese Aaron, incuriosito dal
fatto che fosse stato tirato in ballo un altro papà.
- Ho due papà –
rispose la bimba con ovvietà – E adesso
mettiti questo cerotto.
Con l’aria da piccola
mamma, la bambina strappò l’involucro
del cerotto e, inginocchiatasi accanto ad Aaron, lo applicò
al ginocchio,
coprendo però solo una striscia della bruciatura e lasciando
scoperto un
contorno rossastro. Ma non sembrò darci molto peso; nemmeno
il bambino che era
lievemente arrossito.
- Ecco fatto – disse la
piccola, soddisfatta – Adesso vai
dalla tua mamma, fatti dare un bacetto e ti passa tutto.
- Ma io la mamma non ce
l’ho – fece Aaron, timidamente.
- Ah, ho capito. La tua mamma
è in cielo come la mamma della
mia amichetta Alice?
- Non lo so se è in cielo.
Ma anche io ho due papà come te.
- Che bello! –
esclamò la piccola, battendo le mani entusiasta
– Credevo di essere l’unica che aveva due
papà.
- Rose Elizabeth! Che stai facendo?
Non starai dando
fastidio a quel bimbo?
Da dietro la bambina, Aaron vide
avanzare un signore alto,
ben vestito, con una sciarpa lunghissima attorno al collo; accanto a
lui c’era
un altro signore, molto buffo, con un papillon sul colletto della
camicia e una
massa di capelli neri ricci come quelli della bambina.
- Papà Kurt,
papà Blaine, anche questo mio nuovo amichetto
ha due papà – disse Rose Elizabeth, saltellando
allegramente – Gli ho dato uno
dei miei cerotti perché si era fatto male.
- Ma davvero! – fece il
signore elegante (papà Kurt)
accarezzando affettuosamente i ricci della figlia – Che
brava, ti sei fatta un
nuovo amico.
- Come ti chiami, piccolo?
– chiese il signore buffo (papà
Blaine) inginocchiandosi accanto ad Aaron, sorridendogli paternamente.
- Mi chiamo Aaron – si
presentò il bambino porgendogli la
mano in modo impettito; e il signore buffo glielo strinse allargando il
suo
sorriso.
Proprio in quel momento si fece
avanti il papà di Aaron; un
signore alto, distinto, biondo e con un filo di barba ispida*.
- Salve – salutò
– Mio figlio vi sta forse importunando.
- Oh, no, per carità anzi
credo che suo figlio sia stato un
vittima dei “tentativi medici” di nostra figlia
– disse Kurt indicando con gli
occhi il ginocchio del bimbo coperto dal cerotto.
- Hai sempre questa brutta abitudine
di buttarti per terra
ed ecco il risultato – fece l’uomo, scherzosamente,
afferrando il figlio per i
fianchi e prendendolo in braccio – Sono Josh Brandon, il
padre di questo grillo
saltellante.
- Noi siamo Blaine e Kurt
Hummel-Anderson, i genitori della
“dottoressa” del vostro figliolo – si
presentarono educatamente i due uomini.
- Sembra che, ormai, i nostri pargoli
avranno un’amicizia in
comune – disse Josh, guardando teneramente i due bambini che,
con la presenza
dei genitori, sembravano aver perso la parlantina di poco prima ed
erano
rimasti entrambi in silenzio a mangiarsi l’unghia del dito
indice – Ma adesso è
ora di andare – continuò Josh, rivolto al figlio
– Papà ci aspetta per andare a
vedere la tua prima partita di football. Su, di’
“ciao” alla tua amica.
Senza dire niente, Aaron
agitò la manina in direzione di
Rose che lo salutò di rimando, nascondendo l’ombra
di un sorriso.
Il “momento”
sembrava passato. La “persona” se ne andava,
aggrappata alle mani dei suoi genitori che la facevano saltare per
divertirla;
l’ “oggetto” era rimasto attaccato al
ginocchio di Aaron.
Il bambino, in braccio al
papà, cercò fino alla fine di guardare
Rose che si allontanava, sporgendosi dalla spalla di Josh.
- Andiamo da papà Dave?
– chiese Aaron, lasciandosi andare
sul braccio del padre.
- Sì, da papà
– confermò Josh.
- Da papà Dave?
– riprese Aaron.
- Cos’è questa
novità di “papà Dave”?
– fece il padre
ridacchiando.
-
Quella bambina,
Rose, chiama i suoi papà con il loro nome e, allora, voglio
farlo anch’io.
- Ti piace quella bambina?
- E’ mia amica –
rispose il piccolino come se fosse la cosa
più naturale del mondo e Josh non vi trovò nulla
da ridire.
Arrivarono al “grande
ufficio”, come lo chiamava Aaron, e
mentre salivano nell’ascensore il bambino volle scendere
dalle braccia di “papà
Josh” per poter correre nell’ufficio di
“papà Dave” e gettarsi in braccio a
quest’ultimo con un verso che voleva essere di
“mostro” ma che, invece,
ricordava di più il ringhio di un cagnolino.
- Oh, che paura! –
esclamò papà Dave, facendolo roteare in
aria fino a quando il verso non si tramutò in una risata
– E’ un mostro o il
mio campione questo qui?
- Sono il mostro – rispose
Aaron riprendendo a ringhiare
divertito.
- Allora non posso portare nessuno
alla partita di football
– fece l’uomo, dispiaciuto.
- No, no! Io, io, io!
-si mise ad urlare Aaron.
- Va bene. Allora andiamo –
rise papà Dave, sistemandosi meglio
il bambino in braccio e salutando papà Josh con un bacio
– E questo, dove lo
hai trovato? – domandò, notando il cerotto rosa.
- Il regalo di una nuova amica di
Aaron – rispose papà Josh,
visto che il piccolo sembrava restio a rispondere.
- E bravo il mio campione. Le
signorine già ti corrono
dietro.
Con un versetto di frustrazione il
bimbo affondò la testa
nell’incavo del collo del papà dandogli dei
pugnetti sul petto; un’altra cosa
che non sopportava era che gli facessero notare una cosa imbarazzante e
questa
poi era una cosa del tutto nuova per lui.
Quella giornata rimase impressa nella
sua mente di bambino
perché fu uno dei giorni più belli di sempre e
non solo per lui.
- Sei felice, Dave? –
chiese Josh a suo marito mentre
ritornavano a casa, Aaron addormentato sul suo sediolone in macchina.
- Sì – rispose
semplicemente Dave, prendendogli la mano.
Quello era stato il giorno
più bello di sempre anche per
Dave Karofsky.
* * *
Con gli anni si cresce, il tuo fisico
si fa più forte e non
si piange più per un semplice graffio o per una sbucciatura,
persino il dolore
che si sente quando si è piccoli si riduce ad una lieve
puntura o una tenue
bruciatura. Le lacrime le si risparmia per cose più gravi o
più belle.
Le ferite, comunque, ci sono sempre
come anche le persone. E
Aaron Brandon-Karofsky, studente liceale al primo anno da poco entrato
nella
squadra di football, questo lo sapeva. Solo una cosa non sapeva: i
placcaggi
potevano fare molto male. Stavolta un cerotto non bastava a coprire il
brutto
taglio che si era aperto sul braccio.
Ma a Rose Elizabeth Hummel-Anderson
non importava; aveva
sempre una scatola di cerotti a portata di mano.
- Ti sei fatto male? – gli
chiese, andandogli incontro dopo
che era uscito dagli spogliatoi.
- Non ho più cinque anni
– le rispose Aaron già sapendo dove
voleva andare a parare.
- Cinque o quindici o venti non ha
importanza – ribatté Rose
ostinata – Potrebbe venirti un’infezione.
- Stai cercando di confondermi con un
déjà vu, di’ la
verità.
- No, sto cercando di metterti in
guardia sui rischi che
comportano l’esposizione di ferite con ambiente di uso
pubblico. Dovresti
leggere anche tu le mie riviste mediche.
- Che palle! –
mormorò il ragazzo alzando gli occhi al
cielo.
- Poche storie. Dammi il braccio o
sarò costretta a fare
rapporto al comitato dei “Padri ansiosi” e sai che
ne sono capace – lo minacciò
lei tirando in ballo il “comitato” che si erano
inventati loro quando avevano
abbattuto la staccionata del giardino dei Colys dopo aver
“preso in prestito”
la macchina di papà Dave.
- Ti prego, non davanti ai ragazzi
della squadra – scongiurò
Aaron, vedendo passare un gruppetto di giocatori più grandi
che scoppiarono a
ridere vedendo Rose applicargli un cerotto (dei “Looney
Tunes”; era riuscito a
convincerla ad evitare quegli imbarazzanti cerotti rosa di
“Hello Kitty”).
- Tranquillo – lo
rassicurò lei, scoccandogli un’occhiatina
maliziosa – Questo ti salverà dalle loro prese in
giro.
Alzandosi sulle punte dei piedi, Rose
avvicinò il suo viso a
quello di Aaron, lasciandogli un bacio all’angolo della
bocca. Il ragazzo non
prestò attenzione alle espressioni basite e leggermente
invidiose che i ragazzi
gli lanciarono; era troppo impegnato a sentire l’odore della
crema che Rose si
era spalmata sugli zigomi quella mattina e poi a dare
un’occhiata più
ravvicinata alle sue pupille verde-azzurre.
- Se la metti così
– disse poi quando si furono staccati –
potrei anche pensare di farmi male più spesso.
- Scordatelo. Non ho intenzione di
venire a trovarti in
infermeria ogni volta che hai gli ormoni in subbuglio. Ed ora, fila
via; non
voglio vederti fino alla fine dell’ora di letteratura inglese.
- Agli ordini, maestrina.
E girando i tacchi, la ragazza si
diresse di gran carriera
verso l’aula di letteratura affiancandosi ad una sua amica;
prima di varcare la
soglia si sfilò il fermaglio a forma di fiocco e scosse i
suoi riccioli neri,
che le piovvero sulle spalle minute; voltò il viso in
direzione di Aaron,
rimasto fermo al suo posto, e gli regalò un sorriso che
partiva dagli occhi per
terminare nella fossetta che compariva sulla guancia sinistra.
Lo faceva apposta; sapeva che Aaron
adorava quel gesto
vezzoso.
Ma, più che altro, Aaron
Brandon-Karofsky adorava quel
sorriso e amava quegli occhi.
“Sei una forza, Rose
Elizabeth Hummel-Anderson” pensò lui
vedendola entrare in aula.
FINE?
Nota
dell’autore:
* In questa mia one-shot il
personaggio originale di Josh
Brandon ha il volto di Ryan Gosling http://www.immaginia.com/ryan-gosling-10.html.
Perché ho scelto proprio lui? Risposta facilissima. In una
sua intervista, Max
Adler disse che come fidanzato di Dave avrebbe voluto avere proprio
lui, il suo
attore preferito.
So già che questa OS mi
farà odiare da quella parte di
fandom che shippa Kurtofsky e Seblaine; mi preparò a
ricevere eventuali sassate
ma a mia difesa posso dire: quando ti viene l’ispirazione non
puoi mica
soffocarla.
E il mio slogan è:
“Non giudicatemi per quello che scrivo,
ma per come lo scrivo”.
Che altro posso dire: inventare una
coppia, con due
personaggi inventati da me, mi da una bellissima sensazione, come se
avessi
appena dato la vita a qualcuno… ok, forse sto esagerando XD.
E devo dire che mi
ha divertito moltissimo scrivere usando il linguaggio infantile,
passando poi a
quello degli adulti. L'ho trovato un buon modo per esercitarmi, anche se
mi
accorgo solo adesso di quanto possa sembrare veloce e precipitosa in
alcuni
punti.
Chissà, magari in futuro
mi verrà in mente qualche nuova
storia su Aaron e Rose Elizabeth; vediamo prima se questa OS raccoglie
qualche
consenso.
Per tutte le curiosità,
aggiornamenti e prossimi lavori vi
rimando alla mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
Complimenti se siete riusciti ad
arrivare fin qui senza
vomitare e… ciaoooooo!!!!!!
Lusio
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