Non
è successo niente.
<< Smettila di suonare quel maledettissimo
violino, potrei uscirne pazzo! >>
<< John, pensavo ti piacesse, sono piuttosto bravo
dopotutto. >>
<< Sono due giorni di seguito che non smetti.
>>
Adoro Sherlock. Quando sembra un bambino, quando sembra un assassino o
anche quando sembra uno psicopatico. Adoro
tutte le sfaccettature del suo carattere, per quanto, almeno la
metà di
esse, siano alquanto irritanti. Però è da due
giorni che la sua mente
geniale non lavora più come prima. Non riesce ad arrivare a
capo di
questo mistero, anche se perlomeno ai miei occhi sembra
piuttosto semplice. "E' perché tu sei stupido". Mi sembra
quasi di sentire la sua voce. Invece sento solo il suo fastidioso
violino che rischia di farmi esplodere il cervello. Devo assolutamente
uscire di qui. Non lo saluto neppure, esco e basta, sbatto la porta
solo per fargli capire che sono andato via. Non sembra neppure notarlo.
Il caso riguarda un omicidio coniugale. Lei ha ucciso suo marito. Ma
non mi sembra niente di nuovo, lui sfiorava i novant'anni,
lei è una giovane extra comunitaria di neppure
trenta. Bella, formosa, affascinante. Cosa c'è di strano?
Lui era persino ricco, non riesco proprio a capire quale sia il
problema di Sherlock. O forse sì? Probabilmente non era il
caso che lo agitava, ma quello che c'era stato tra di noi, due giorni
fa. Ricordo in maniera nitida ogni singolo istante di quella serata.
Non che sia distante, ma comunque eravamo ubriachi entrambi. Io ero sul
punto di addormentarmi e poi ho visto Sherlock, barcollante, ma affatto
assonnato, ciondolare verso di me. Senza chiedermi se avessi qualcosa
in contrario, ha spostato le coperte e si è messo di fianco
a me. Ma naturalmente non avevo nulla in contrario.
E poi, solo sesso.
In un primo momento ero certo che avesse scordato tutto, pur avendo
lasciato a me un ricordo indelebile. Ma poi l'ho visto lì,
che non mi guardava in faccia neppure per sbaglio e ho capito.
Ricordava ogni cosa, persino meglio di me.
Fa un freddo assurdo, anche se siamo già ad aprile. Decido
che la mia passeggiata è troppo azzardata e torno a casa.
Sherlock si è finalmente deciso a poggiare quel benedetto
strumento; ora è disteso sul divano con i cerotti alla
nicotina sul braccio. Questa volta ne sono tre.
<< Credi davvero che si tratti di un problema da tre
cerotti? >> Dico togliendomi il cappotto.
<< Sì. >> Risponde lui. Non si
muove, non mi guarda neppure in faccia.
<< Allora spiegami cosa c'è di tanto strano.
>> Mi siedo sulla poltrona, i gomiti poggiati sulle
ginocchia, in attesa di una risposta, che dal suo sguardo intuisco non
otterrò mai.
Sbuffa e aggiunge un quarto cerotto. Lo guardo fissare la parete -
quella bucata dai suoi proiettili - e vado a prendermi qualcosa di
alcolico da mandare giù.
<< Perché non mi vuoi spiegare?
>> Chiedo per l'ennesima volta dopo essermi scolato
l'ennesimo bicchiere di whisky ed essere ormai ubriaco per l'ennesima
volta.
<< Perché non capiresti. Vattene, sei ubriaco.
>>
<< Non sono ubriaco. >> Mento. La vista
annebbiata, mi gira la testa, sbando. Sicuramente mi
crederà.
<< Vai a dormire. >> Il suo sguardo
imperscrutabile, il suo tono cantilenante.
<< Ma sono solo le otto! >>
Mi sento cedere le gambe e poi buio.
Svegliarsi in una stanza interamente bianca è alquanto
irritante. Vedo Sherlock in piedi a parlare al telefono, suppongo,
voltato di spalle. Gli abiti scuri che indossa contrastano
terribilmente con l'ambiente. Ma non riesco a immaginarlo vestito
diversamente, non sarebbe più lui.
Si volta verso di me di scatto.
<< Sei sveglio. >> Sussurra.
Io annuisco e basta, non ho tanta voglia di parlare, o comunque
è la forza che mi manca.
<< Ho risolto il caso. Avevo ragione io, ovviamente.
Perché uccidere un uomo, dato che comunque nel giro di un
paio d'anni se ne andrà da sè? >>
Annuisco di nuovo, impercettibilmente. Sono davvero un rottame.
<< Dovevo trovare un motivo per il quale si aveva urgenza
di farlo fuori. Poteva essere per rabbia, forse perché
sapeva qualcosa, magari perché c'era qualche rischio che
cambiasse il testamento; oppure nessuna di queste. >>
<< Spiegati. >> Riesco a dire, ansimante.
<< Pensaci, non c'era motivo per ucciderlo. Quindi?
>>
Pretende che ci arrivi da solo, che parli. Ma non si rende conto che
sto male? << Non lo so. >>
<< Quindi non è morto! >> Il suo
tono trionfante non mi convince affatto.
<< C'è un cadavere, Sherlock. >>
<< Ma non è della persona che crediamo noi.
Mio Dio, geniale! Davvero geniale! >>
Ormai non riesco più a parlare, con un gesto gli chiedo di
proseguire.
<< Allora, il cadavere è stato ritrovato due
mesi dopo la morte, non è vero? >> Si accorge
che non rispondo e si affretta ad andare avanti. << E'
stato immerso in una pozzanghera per chissà quanto tempo,
non ha smesso di piovere neppure per un minuto nel mese di febbraio!
Tutte le tracce sono scomparse. Sarebbe stato fin troppo facile per
l'assassino, infilare il proprio documento nella tasca della giacca
della vittima. C'è stato uno scambio di persona, ovviamente.
Il cadavere aveva un coltello nella schiena, ma questo non dimostra che
non fosse già morto prima per cause naturali e che si
è voluto inscenare il delitto per far ricadere la colpa
sulla povera moglie... >> Mi rendo conto di non riuscire
più a seguirlo. << Sherl... >>
Cerco di chiamarlo, ma il suo nome mi si spegne in bocca e poi svengo
di nuovo. Ma cosa mi è successo? Ah, una botta in testa,
probabilmente.
Mi sveglio di nuovo in quella maledettissima stanza bianca, sono stufo
di svenire. Voglio andare a casa. No, possibilmente prima voglio
capirci qualcosa. Cerco Sherlock con lo sguardo senza trovarlo. Poi,
finalmente, un infermiere si degna di venirmi a dare qualche
spiegazione. Niente di grave, sono solo caduto a terra; mi hanno fatto
qualche esame, ma pare che sto bene e mi dimettono tra poco. Mi ha
persino raccomandato di non bere più, ma ovviamente non gli
darò ascolto. Avrà più di dieci anni
meno di me; non permetto a un ragazzino di farmi la paternale.
Trascorro un paio d'ore strazianti, senza fare nulla. E poi finalmente
vedo Sherlock entrare con un modulo per farmi uscire dall'ospedale.
Sistemata la parte burocratica, respiro un po' dell'aria fresca ed
inquinata di Londra. Noto che Sherlock ha perso tutto l'entusiasmo che
aveva tirato fuori qualche ora fa. Non posso stare zitto.
<< Che succede? >>
Ovviamente non mi risponde, si volta dall'altro lato. Mi irrita
infinitamente questo suo atteggiamento.
<< Rispondimi una buona volta! >> Alzo la
voce, ma poi me ne pendo subito. Vedo il suo viso contratto in
un'espressione estremamente delusa.
<< Mi sbagliavo. >> Dice, quasi sputando
quelle due parole. Dubito che le avesse mai pronunciate prima.
<< Come, scusa? >>
<< Io ho sbagliato a sospettare lo scambio di persona! Oh
mio Dio. Cosa mi prende? Era uno sciocchissimo omicidio, compiuto dalla
figlia perché il padre stava per lasciare tutti i suoi beni
alla giovane moglie. Quella stupida donna ha confessato e le prove
erano a favore della sua ammissione. Ero convinto che ci fosse stato
uno scambio di persona, che lui fosse fuggito a causa dei debiti che
gravavano sulle sue spalle. Mi sbagliavo. >>
Non l'avevo mai visto così. Sherlock era solito
essere freddo e distaccato, con la risposta pronta, incapace
di farsi travolgere dalle emozioni, ma ora stava cambiando qualcosa.
Non osavo espormi, ma sospettavo seriamente che ciò che
c'era stato tra di noi fosse il drammatico motivo per cui aveva perso
tutta la sua prontezza. Decido di parlargli, ma solo dopo essere
tornati a casa, seduti sulle poltrone senza fare niente. Sta per
prendere il violino. Scatto in piedi e gli dico di poggiarlo
immediatamente.
<< Dobbiamo parlare. >> Dico a quel punto,
con aria estremamente seria.
<< Non abbiamo motivo di farlo. >>
<< Si, invece! Sherlock, so che ti ricordi tutto di
quella sera, eri abbastanza lucido da sapere ciò che stavi
facendo! >>
Sherlock sospirò - non l'avevo mai visto sospirare - e si
mise seduto sul borto della poltrona, come se fosse pronto a scappare
da un momento all'altro. Sapevo che l'avrebbe voluto fare, ma il suo
buonsenso - perché in fin dei conti il buonsenso ce l'aveva
- lo costringeva a restare seduto.
Il silenzio mi distrugge e decido di riprendere parola.
<< Senti, io capisco benissimo che tu voglia evitarle
l'argomento, ma... >> Non riesco a terminare la
frase, perché in un attimo mi ritrovo le sue labbra sulle
mie. Non so bene come reagire, ma non ho le forze di scansarmi e
costringerlo a parlare e poi ho fame di lui.
Di nuovo ci ritroviamo a letto. Questa volta siamo entrambi
lucidissimi. Non so più come comportarmi, sono stanco di
questa orribile situazione. Ci stacchiamo l'uno dall'altro contro
voglia - cioè, questo vale per me - e poi parlo. Non riesco
a frenare il fiume di parole che escono dalla mia bocca.
<< Ti prego spiegami cosa sta succedendo. In questi
giorni tu non sei più tu ed io non sono più io,
mi sta esplodendo il cervello. Io ti voglio un bene infinito e mi
auguro che anche da parte tua sia così, ma ..
>>
<< ...ma vuoi una qualche spiegazione. >>
Termina lui per me. Io annuisco. Davvero, non sono più io.
<< Tra di noi non c'è niente. Tutto deve
tornare assolutamente come prima. Io sono sposato con il mio lavoro.
>>
Annuisco di nuovo, so che è così, non
è la prima volta che me lo dice.
E' passato una lunga settimana da quella conversazione. Tutto
è tornato esattamente come prima. Ora ha dimenticato cosa
significhi provare anche un minimo di emozione. Mi rendo conto che in
fondo è meglio così.
Anche questa sera mi ha raggiunto a letto. Lo facciamo e poi basta.
Stop.
E' solo uno sfogo, suppongo. Perlomeno adesso risolve casi al primo
tentativo.
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