Si
sveglia contento, nonostante la stanchezza accumulata il giorno prima
renda il risveglio un po' traumatico.
Si
dice che non gli importa, perché il giorno prima è
stato particolarmente divertente. Ed ha amato il modo in cui è
terminato. La sala da concerti era meravigliosa e l'acustica
praticamente perfetta. Ha fantasticato sulle probabilità di
suonarci, per poi concentrarsi soltanto sulla musica.
Cosa
più che positiva, Jan non sembra detestare la musica classica,
al contrario di ciò che pensava... è uscito anche lui
dal teatro con il sorriso sulle labbra.
E,
nonostante la stanchezza, hanno passato un po' di tempo seduti sul
muretto che delimita il laghetto della Museumplein, a parlare,
semplicemente.
Sta
diventando sempre più facile comunicare, anche se sembrano
tanto diversi... non può che esserne contento.
Si
sveglia di buon umore, quindi, pensando a cosa potrebbe dirgli in
seguito, parlando di sé, di quello che gli piace, di quello
che pensa. Quando si accorge di non pensare affatto a cosa vedranno,
concentrandosi invece sull'olandese, arrossisce e si da' dell'idiota.
In
fondo, è lì solo per fare il turista, no?
L'incontro
è decisamente imbarazzante. Se potesse si metterebbe a gridare
non appena l'olandese gli mostra il fiocco che sembra appena stirato,
facendogli ricordare che gliel'ha lasciato intorno al polso quando
sono tornati dalla pista di pattinaggio.
L'apoteosi
dell'imbarazzo, quando desidera soltanto fuggire, però, è
quando l'olandese gli tira su il colletto della camicia e si impegna
a fargli un fiocco, con una destrezza che non si sarebbe aspettato,
ma comunque protraendo il contatto troppo per non andare nel panico.
Per
fortuna non abbastanza da esprimere direttamente quel panico con un
grido soffocato, in pieno stile piccola aquila appena nata. In poco
tempo Jan torna a distanza di sicurezza ed il ragazzo si calma.
"Oggi
andremo in uno dei miei posti preferiti."
Sta
per dirgli che ha detto questo praticamente di tutto -pista di
pattinaggio a parte-, ma il suo entusiasmo sembra genuino e lui non
può fare a meno di sorridere e seguirlo, contando i suoi
sbadigli. Ah, sembra che non abbia una buona resistenza!
“Stanco?”
chiede, seguendolo attraverso la folla. “Avremmo dovuto
rimandare a questo pomeriggio, forse.”
L'olandese
scuote la testa. “Oggi pomeriggio non sarebbe stato possibile,
devo lavorare.”
Rallenta,
depresso, chiedendosi se, per caso, le scene con il caffè del
pomeriggio prima non l'abbiano spaventato. Rallenta così tanto
da restare un po' indietro, così che Jan si volta con
espressione confusa. Lo raggiunge in fretta, cercando di far finta di
niente.
“Credevo
saresti stato contento che mi togliessi dai piedi per mezza giornata,
puoi girare liberamente la città...” commenta,
meritandosi uno strano sguardo dell'islandese, tra il ferito e
deluso. La sua espressione diventa ancora più confusa.
A
dire il vero, lui stesso non capisce cosa gli sia preso, non è
offeso perché la guida lo abbandonerà per un
pomeriggio, non pensa che sia una città pericolosa ed
esplorarla da solo è qualcosa che non gli dispiacerebbe.
Però... però lo stesso un po' del suo entusiasmo -che
già è minimo, all'apparenza- si spegne, senza un
motivo.
O
forse solo perché l'olandese è una persona
interessante, che gli piacerebbe conoscere meglio.
Cerca
di fare finta di nulla, seguendolo fino alla fermata del tram, ma
entrambi sono molto silenziosi. Ad Islanda sembra che quei dieci
minuti siano eterni, ma si distrae guardando dal finestrino. I treni
e i loro simili hanno sempre avuto un certo fascino, per lui.
Ricorda
perfettamente la prima volta che è salito su un treno.
Era
un ragazzino minuto, accanto ad un imponente Danimarca, sottomesso,
ma fiero della propria cultura, abbastanza da sopravvivere nonostante
gli inverni rigidi e la fuga del proprio popolo verso luoghi più
ospitali.
Immaturo,
nonostante l'età, il desiderio di indipendenza lo portava ad
essere assolutamente contrario a qualunque cosa proponesse o facesse
la Nazione che lo governava, come un adolescente. Solo dopo anni
-quasi un secolo, a dire il vero- ha capito che Eirik e Islanda sono
due parti separate della sua esistenza. Convivono, hanno bisogno
l'una dell'altra, ma non approvare Danimarca non significa dover
rifiutare per forza Matt.
Ma
all'epoca non aveva voglia di ascoltare, era orgoglioso anche per
ringraziare dei gesti della persona Matt, che cercava in tutti i modi
di riparare il loro rapporto, seppure con un equilibrio mentale
appeso ad un filo. Per questo aveva trattenuto l'emozione di quel
viaggio fino a Parigi, si era sforzato di apparire annoiato davanti
ad una città davvero bella. Ama viaggiare proprio per
quell'episodio. Non è pronto a confessarlo al danese, per il
momento lo ammette solo a se stesso e, conoscendosi, quello è
già un traguardo.
A
distoglierlo da quei pensieri ci pensa la mano di Jan, posata sulla
spalla, che lo richiama fuori dal mondo malinconico dei motori a
vapore, riportandolo ad Amsterdam ed avvertendolo che sono arrivati.
Lo segue ancora in silenzio, a breve distanza. è molto presto,
eppure le persone si fanno via a via più numerose.
Pare
che non sia il posto preferito soltanto di Jan.
Non
impiega molto a capire di cosa si tratti, perché è
immediatamente investito da un profumo meraviglioso. Fiori. Ovunque,
di ogni colore e forma, tutto intorno a loro. Sì, deve
ammetterlo, è un luogo piacevole.
Un
mercato dei fiori.
Lancia
un'occhiata divertita al proprio accompagnatore, con un sopracciglio
comicamente sollevato. Questo è il suo posto preferito?
Davvero? Pare che l'olandese nasconda -sotto l'atteggiamento da
teppista svogliato- una parte tenera.
“Tu.
E i fiori.” commenta, causando confusione nell'altro. “Scusami
se non lo trovo un hobby da te. Virile.” aggiunge,
sghignazzando ed avvicinandosi ad un banco pieno di semi e bulbi.
Non
è il tipo da fiori. A dire il vero, tra un'educazione
'vichinga' ed il clima rigido, ha sempre pensato che coltivare fiori
fosse roba da donne. O anche coltivare in generale. Immagina
l'olandese con un fazzoletto in testa, chino sui fiori e gli viene da
ridere.
Si
trattiene soltanto perché non ne ha l'abitudine. E vuole anche
evitare di rimanere a piedi, abbandonato nel mercato da uno Jan
incazzato.
“Virile?
E cosa c'entra? A me piace.” ribatte con sicurezza lui, che lo
segue, senza perderlo un momento di vista. Sembra sia abituato a quel
tipo di obiezione, ma, anche se lo capisce, in realtà ancora
si chiede come sia possibile.
Certo,
nessuno crede mai che i ricami della tovaglia che usa nelle occasioni
speciali siano opera di Svezia, ma lui è un caso a parte...
...e
no, con questo non intende dire che è normale che ami il
ricamo perché è gay. Anche Nor lo è, ma in
qualsiasi faccenda -fosse anche fare una lavatrice- il fratello
fallisce miseramente. E poi, non è il tipo di persona che
ragiona per stereotipi.
Tutto
quello che pensa vedendo lo svedese ricamare è che, un giorno,
finirà per dover indossare dei fondi di bottiglia per vederci,
ma ormai ha tanto l'abitudine ai suoi passatempi quasi femminili da
non pensare ad altro. Bé, c'è sempre quella domanda
insistente su come mani così grandi possano fare gesti così
precisi, ma per quella si accontenta di studiarlo per ore mentre fa
finta di leggere un libro.
Ha
un che di affascinante, un omone del genere che riesce a fare cose
così piccole e delicate.
Quindi
non è una questione di stereotipo... è genuinamente
sorpreso ed ha un senso dell'umorismo distorto. A maggior ragione
quando la persona che tenta di impressionare gli interessa e non
capisce come sia possibile.
"Non
ti piacciono i fiori?" chiede all'improvviso l'olandese,
facendolo sobbalzare, perso com'era tra i pensieri.
Si
ferma a pensarci seriamente per almeno dieci secondi e, per tutto
quel tempo, l'altro si accontenta di fissarlo con un bulbo in mano,
perplesso dal suo perdersi.
Non
è che non gli piacciano, ma... insomma, gli sono indifferenti?
Preferisce attività meno faticose del giardinaggio,
soprattutto se si tratta di fiori. Non ha mai pensato di far crescere
dei fiori nella piccola serra che ha a casa. A dire il vero... è
inutilizzata da tempo, perché di coltivare fragole ed altri
frutti se ne occupava Lei.
"Non
sono bravo ad occuparmi di esseri viventi." conclude, senza
particolare tono di voce, ma, più ci pensa e più quella
cosa lo deprime un poco. Fin da piccolo ha avuto grossi problemi a
rapportarsi con gli altri. Non ha aiutato il voler testardamente
seguire le orme di Nor, sembrare freddo ed irraggiungibile.
Certo,
poi in altre situazioni è molto più spontaneo, però...
ci vogliono anni per guadagnarsi la sua fiducia. Si considera un caso
disperato.
"Non
sono d'accordo." ribatte l'olandese, voltandosi per scegliere
altri bulbi e facendoli impacchettare. Eirik pensa che siano per lui,
per cui è sorpreso quando Jan si volta per porgergli il
sacchetto, lo guarda, sembra voler dire qualcosa e si volta
rapidamente verso l'anziana donna che si occupa della bancarella,
facendola ridacchiare.
Che
cosa si stanno dicendo? Cerca di allungarsi verso di loro, ma hanno
assunto un tono cospiratorio e non li capisce.
Non
dura molto, comunque, perché dopo pochissimo Olanda è
di nuovo rivolto a lui e gli appunta al maglioncino un tulipano.
Resta
a guardare la sua manovra, incrociando gli occhi sul fiore e cercando
poi aiuto nella signora, che ridacchia e sospira. Che cos...?!
“Jan?
Quale parte della mia frase non ti era chiara? Ucciderò tutti
questi bulbi, lo so.” protesta, indicando il sacchetto di
carta.
“Scommetto
che non succederà.” ribatte l'altro, divertito, prima di
portarlo nuovamente fuori dalla folla che via a via sta scemando.
“Il mercato dei fiori è una tappa obbligata.”
aggiunge, come a giustificarsi, sedendosi nuovamente alla fermata del
tram.
Decide
di lasciar stare, dicendosi che è un peccato che un bel regalo
debba morire per mano propria. Forse può provare ad
occuparsene. Forse può starsene a notte fonda a cercare su
internet come non uccidere dei tulipani.
L'espressione
soddisfatta dell'olandese è troppo simile a quella di Dan per
non valere un tentativo. E, più per ricordo di quello, è
perché ricorda cosa significa deludere quell'espressione che
ci pensa un po', seguendo meccanicamente Jan nel tram.
Sì,
può provarci. Anche se l'ultima volta che ha tentato di
salvare qualcosa con internet si è rivelata disastrosa. Ci
saranno sicuramente meno persone che gli suggeriranno di mangiarsi il
bulbo, almeno.
“Jan?”
lo chiama, rendendosi conto -ed assumendo un colorito vermiglio, per
questo- che non serve attirare la sua attenzione, perché l'ha
già completamente. Esita, poi sospira.
Come
se gli leggesse nel pensiero, l'altro gli si siede accanto,
approfittando del fatto che il tram è vuoto.
“Non
ti arrabbierai se moriranno?” chiede, tenendo tra le dita il
sacchetto e facendoci un buco, nervosamente.
L'olandese
lo guarda semplicemente, divertito e scuote la testa. Per qualche
motivo ha l'impressione che non stia mentendo. Forse l'importante era
soltanto fare il gesto. Che sopravvivano o meno... insomma...
La
mano che lo afferra per il braccio e lo trascina fuori dal tram,
facendolo camminare ancora per un po', fino a giungere in un parco.
Gli
cammina dietro, con occhi enormi, sorpreso che possa esserci un parco
di quelle dimensioni in mezzo ad una città. Attraversano un
ponte in legno come pensava esistessero solo nelle fiabe -ma forse
l'insieme di verde, acqua e ponte lo trae in inganno- e finalmente
Jan si ferma in un punto, non lontano da una serie di chioschi di
cibi e bevande tipiche, ma piuttosto nascosto dagli altri.
Ci
sono parecchie persone, nel parco, ma sono ben celati e sembrano
comunque non fare caso a loro.
Si
siede nell'erba accanto all'olandese, composto ed un po' a disagio
per il silenzio ed andando ancora di più in imbarazzo quando
alcune persone li fissano, per fortuna solo per poco tempo. Abbassa
la testa per guardare la busta e si mette a leggere le istruzioni per
approfittare della presenza di Jan per chiedere eventuali
delucidazioni.
I
tulipani sono fiori eleganti e dai colori brillanti. Sono i primi a
fiorire in primavera.
Belli
e romantici, i tulipani sono ideali per ogni occasione, ma, in
particolare, per quelle più romantiche. I tulipani di colore
rosso, ad esempio, sono quelli più significativi e significano
amore vero ed eterno.
Sbarra
gli occhi e gira rigidamente la testa verso l'olandese, che sembra
molto concentrato sul filo d'erba che ha tra le dita. Si volta di
nuovo verso il sacchetto, tentando di reprimere il pensiero che sta
ridendo di lui e, nel frattempo, gli causa qualche anomalia,
impedendogli di pensare lucidamente.
Non
è sicuramente un messaggio. si ripete, scuotendo la testa.
Piantare
i tulipani: hanno bisogno di molta luce e vanno piantati con la parte
allungata verso l'alto, in Ottobre.
"C-com'è
che ti piacciono i tulipani?" sbotta, talmente all'improvviso da
farlo sobbalzare, segno che probabilmente si stava addormentando. O
forse no. Da quando è diventato così agitato in sua
presenza?
L'olandese
alza lo sguardo, fissandolo come se avesse appena detto la cosa più
stupida del mondo. O, almeno, così si ritrova a pensare,
dandosi dello stupido.
"A
te non piacciono?" chiede invece con naturalezza. "Non
avrei dovuto comprare quei bulbi, ho capito. Posso portarli a casa
e..." comincia, interrotto immediatamente dalla sua voce che
pronuncia un no così fermo da sorprendere persino se
stesso.
Jan
gli fa un sorriso sincero e al povero Islanda sembra quasi che il
cuore smetta di battere. Il che sarebbe stupido. E pericoloso, ma
tant'è, gli sembra di non avere molto controllo del proprio
corpo e dei propri pensieri, da quando è in quella terra
sconosciuta.
“No.”
ripete, con più calma, stringendo il sacchetto. "Grazie."
borbotta, posandolo accanto a sé ed appoggiandosi ai palmi,
con la testa rivolta al cielo, per perdersi in quel blu limpido.
Peccato sprecare una giornata del genere.
Non
è il tipo da sole. Soffre terribilmente il caldo, ma, ogni
tanto, giornate come quelle, limpide e serene, in un posto così
bello e calmo, fanno un immenso piacere. Vorrebbe un libro, ma ha
solo la guida turistica in tasca e quell'esiguo manuale sulla cura ai
tulipani, da leggere.
“Dove
siamo?” chiede, ritrovando l'olandese ad occhi chiusi, sdraiato
sull'erba e facendo un piccolo sorriso. Poca resistenza, eh? Chissà
come arriverà al lavoro!
Si
sente in colpa a fargli fare tutta quella fatica. Sospira e lo spinge
con la mano per svegliarlo di nuovo.
“Vuoi
andare a casa? A che ora devi essere in ufficio?”
Jan
scuote la testa, rimettendosi seduto e reprimendo uno sbadiglio. Che
testa dura!
“Volevo
fare un giro del Vondelpark e prendere qualcosa da mangiare... Devo
essere lì per l'una.” spiega, un po' controvoglia, dopo
uno sguardo insistente dell'islandese, che sospira per l'ennesima
volta.
“Non
mi sembri in grado di farmi visitare il posto. Possiamo mangiare
qui.”
L'olandese
esita, giocherellando con un nuovo filo d'erba. "Sono una
pessima guida." commenta, lanciando il filo ed appoggiandosi al
tronco dell'albero dietro di sé. Sembra pensare a lungo ed
Islanda, che lo vede muoversi solo di sfuggita, essendo tornato a
guardare il cielo, pensa che si sia di nuovo addormentato.
“Conosco
un buon ristorante. Ti va' di andarci stasera?” propone, dal
nulla, facendolo voltare all'indietro quasi di colpo, stupito.
Prima
i fiori e poi... è una specie di appuntamento, quello?
Apre
la bocca per rispondere, rimettendosi seduto decentemente ed
arretrando fino all'albero. Possono condividerlo senza problemi e
senza essere troppo vicini e almeno può evitarsi un torcicollo
epico.
“Se
mi porti fuori stasera rischi di addormentarti nel piatto.”
commenta, leggermente divertito, notando come i suoi occhi fatichino
a stare aperti. Ma quanti anni ha, otto? Ha bisogno di dodici ore di
sonno come i gatti.
“Potrei
dirti qualsiasi cosa, Jan, stai attento.” lo rimprovera con un
sorriso, prima di sospirare e tirare fuori la guida, cercando il
Vondelpark nell'indice ed andando a leggere quello che dice. Niente
di esaltante. Un parco. Le persone vengono a leggere e fissare gli
altri in modo inquietante come la vecchietta che si è messa a
lavorare a maglia su una panchina proprio di fronte a dove sono
seduti ed ogni tanto ridacchia da sola.
Qualsiasi
cosa dica la guida, lo sa, sarebbe mille volte più
interessante se detta dall'uomo che sente a mano a mano appoggiarsi
alla sua spalla e lottare contro il sonno. Ormai nessun posto in
quella città è interessante senza quella guida
particolare.
Sospira
e si mette a cercare posti da visitare senza di lui, posti che magari
potrebbero annoiarlo o non sarebbero visitabili con l'olandese
accanto a metterlo a disagio. Oh, ma ora è perfettamente a
proprio agio, com'è possibile? Forse perché l'altro
dorme?
Mette
un segno al Ketelhuis e scorre ancora per cercare qualcosa da fare.
Forse dovrebbe prendere una bicicletta e perdersi volontariamente in
quel intreccio di vie? Uhm, Dan si lamenta sempre del suo modo di
girare in bicicletta e forse non è il caso. Sarebbe meglio
avere qualcuno a fermare la propria impulsività alla guida.
Ketelhuis
sia, allora. Anche se la guida parla di non specificati film
d'autore. Se li farà bastare, in mancanza di libri in una
lingua comprensibile.
L'olandese
accanto a sé si agita e crolla di lato, ormai addormentato -un
bambino!-, rischiando di cadere sull'erba. Sbuffa -ed è più
una risata soffocata, la propria-, attutendo la caduta, ma
bloccandosi quando l'altro si sistema sulle sue ginocchia, facendo un
sospiro soddisfatto.
“Bastardo.”
sibila, lanciando un'occhiata preoccupata alla vecchietta stalker e
lasciandosi sfuggire un gemito di disapprovazione davanti al suo
discreto e silenzioso applauso.
Il
mondo intero complotta per farlo imbarazzare.
Nonostante
questo, però, sorride quando infila le dita tra i capelli
dell'olandese, approfittando del suo sonno per accarezzarlo.
Il
peggio è che Jan non si stupisce neppure un po' della
posizione in cui si sveglia, uno sguardo di fuoco pronto a
disapprovare il suo lungo pisolino. Islanda ha avuto il tempo per
impararsi tutta la guida a memoria ed è ad un passo da
lanciargliela in testa di taglio, tanto per aggiungere un'altra
cicatrice alla fronte.
Le
due ore di sonno profondo da Biancaneve -ed Eirik nota con profonda
soddisfazione che quel nomignolo riesce ad imbarazzare un uomo di
oltre un metro ed ottanta- sono quasi perdonate dopo che l'olandese
gli fa fare il giro di tutti i chioschi, comprando per ognuno
qualcosa di tipico, ma, in particolare, cinque o sei tipi diversi di
aringa.
Dopo
quello, potrebbe perdonarlo, se non finisse con il guardare l'ora per
l'ennesima volta, decretando di essere in ritardo e doverlo lasciare
alla sua libertà provvisoria.
A
nulla valgono le proteste mentali del ragazzo. Nessuno le sente, in
ogni caso.
Passa
l'intero pomeriggio a non capire nulla di quello che succede sullo
schermo, convinto com'era che non fosse poi così traumatico il
passaggio da una lingua all'altra.
Bé,
si sbagliava. E le sei ore che lo separano da quell'appuntamento -non
si può definire in altro modo, soprattutto quando Jan gli
invia un messaggio che usa proprio quel termine- sembrano
interminabili.
Continua
a camminare di fronte al palazzo, nervoso, le mani in tasca e
qualcosa che gli pizzica orribilmente la schiena.
Si
porta la mano dietro, sbarrando gli occhi quando incontra l'etichetta
della camicia, staccandola e voltandosi di nuovo verso l'entrata.
Ritrovandosi, di fatto, a dieci centimetri dall'olandese.
Quasi
grida per la sorpresa, sventolando il cartoncino e cercando di
infilarlo in tasca, facendola invece cadere.
“Non
volevo spaventarti.” si scusa Jan, raccogliendolo e buttandolo
nella spazzatura, avvicinandoglisi per spezzare il pezzettino di
plastica con i denti.
Certa
di trattenere un brivido nel sentirlo respirare sulla nuca, ma è
già tanto non andare in iperventilazione. Per fortuna quella
vicinanza non dura troppo e può riprendere a respirare
normalmente dopo pochissimo.
“Cos'hai
fatto senza il vecchio tra i piedi?” chiede l'olandese,
guidandolo verso -spera- una fermata del tram. La camminata avanti ed
indietro l'ha ucciso. Forse anche emotivamente, troppo nervosismo in
così poco tempo.
“Sono
andato in un cineclub a guardarmi la programmazione della giornata.”
risponde, vergognandosi, improvvisamente, perché ha
l'impressione di essersi rovinato la giornata. Ma per lui non è
stato un pomeriggio libero da Jan... è stato un pomeriggio in
solitudine quando non ne aveva assolutamente bisogno.
“Avresti
dovuto dirmelo, ti avrei accompagnato un altro giorno ed avrei
tradotto.”
“Sì,
certo, sussurrandomi all'orecchio per tutte le cinque ore.”
ribatte, sarcastico. Gli basta una rapida occhiata all'olandese per
rendersi conto che è dannatamente serio. “...che tram
dobbiamo prendere?” chiede, senza sapere esattamente cosa stia
dicendo e controllando nelle tasche di avere il telefono.
Oh,
perfetto, l'ha dimenticato. E non ha avvertito. Come minimo Dan
chiamerà la NASA.
“Il
quarantotto... tutto bene?”
Annuisce,
odiandosi per aver dimenticato in quel modo qualcosa di così
vitale.
“Ho
lasciato il telefono in camera.”
“Ne
avrai bisogno?”
“Per
il taxi, forse...” azzarda, cercando di guardarlo negli occhi
il meno possibile.
“Ti
accompagno fino all'albergo, non preoccuparti.”
No,
Jan, non capisci, ora mi sto preoccupando.
Il
ristorante è... non sa che cosa pensare per prima. Sì,
forse che il ristorante è una nave. Oppure che il posto sembra
deserto, all'esterno, con solo il rumore dell'acqua. O ancora che è
una diavolo di nave che galleggia sull'acqua ed è un
ristorante.
È
il ristorante più figo che abbia mai visto. Gli importa poco
che non ne abbia visti poi tanti o cose del genere. Già da
subito, nonostante il viaggio silenzioso, lo adora ed è grato
a Jan per averlo portato in un posto del genere.
Figurarsi
quando scopre che sono in uno dei posti migliori, da cui possono
ammirare le luci della città da una parte e del porto
dall'altra.
Il
menu non è dei migliori e di sicuro non è tipicamente
olandese, ma è decisamente troppo impegnato a guardarsi
intorno per notarlo.
Jan
gli lascia il tempo di abituarsi a quella meraviglia, senza parlare,
ordinando solo per entrambi come hanno pattuito durante il viaggio ed
osservandolo per il resto del tempo.
Ci
mette un po' ad accorgersene, ma, stranamente, si sente abbastanza a
proprio agio da non nascondersi o rispondergli male. Lo guarda a
propria volta, cercando di ignorare la candela accesa tra loro -è
solo per far luce- e facendo un sorriso timido.
“Grazie.
È veramente un bel posto, Jan. ”
Olanda
annuisce e all'islandese sembra, all'improvviso, che sia lui quello
in imbarazzo.
“Uhm.
Oggi ho visto una locandina. Un posto che si chiama...” si
ferma a pensare, cercando di visualizzare l'entrata del cineclub.
“Sì, ecco, Bimhuis! Lo conosci? Pensavo che potremmo
andarci, fanno musica jazz e visto che ti piace... bé, voglio
ricambiare!” esclama, mentre il sorriso timido scompare.
Jan
ha un'espressione indecifrabile sul volto. Non sa se può
essere tradotta con rabbia o stupore o qualcosa di più
positivo, ma è abbastanza per farlo tacere.
Resta
in silenzio, inquieto. Ha detto qualcosa di sbagliato? L'ha offeso?
Non ha capito quello che gli piace o ha frainteso?
“Che
c'è?” sbotta, sembrando, involontariamente, stizzito.
L'olandese
sembra rendersi conto del silenzio calato su entrambi e si riscuote.
“Pensavo...
sei molto più complesso di quello che pensassi. Alle riunioni
sei sempre così composto ed imperscrutabile da sembrare un
clone di tuo fratello.” spiega, giocherellando con il
bicchiere.
Un
commento del genere dovrebbe, di norma, non piacergli molto. Con gli
sforzi che fa per somigliargli, quell'affermazione dovrebbe
irritarlo. Invece gli fa piacere.
“Siete
profondamente diversi.” aggiunge Jan, con un sorriso
compiaciuto. “Mi aspettavo una settimana di tortura, dalla
quale mi sarei dovuto riprendere con un mese di terapia.”
“Mio
fratello non è così pessimo. È solo
particolare.”
“Particolarmente
bravo ad uccidere l'autostima degli altri.”
“Ehy!
Non è affatto vero!” protesta, nonostante sappia che
l'olandese ha perfettamente ragione.
“Vuoi
dire che non si divertirebbe a demolire ogni minima cosa?”
Si
ferma, prima di rispondere, scoppiando a ridere ed ammettendo la
sconfitta.
“Assolutamente.
Però dentro di sé farebbe un sacco di complimenti...
finirebbe anche per comprare libri pieni di foto di Amsterdam perché
sarebbe troppo orgoglioso per scattarle lui stesso ed ammettere che
la città lo interessa.” gli spiega, con un sorriso.
Jan
sbatte più volte le palpebre, chiedendosi probabilmente come
diavolo funzioni Nor, poi scuote la testa, prende il bicchiere e lo
fa tintinnare contro il suo.
“Per
fortuna hai una personalità più interessante e
comprensibile.”
Parlano
in continuazione, al ritorno. Forse per l'alcol, forse perché
sono finalmente in confidenza, hanno finalmente trovato quel qualcosa
che li sbloccasse, è come se si conoscessero da secoli.
A
più riprese ha voglia di prendergli la mano e tenerla
semplicemente, stupendosi del gesto, ma è abbastanza lucido da
dirsi che non è il caso.
Questo,
ovviamente, prima che l'olandese gli passi un braccio intorno alle
spalle, avvicinandoselo con tutta la naturalezza del mondo.
Il
distacco è imbarazzante come l'incontro della mattina. Quasi.
L'alcol aiuta, ma resta sempre la sensazione di essere bloccati l'uno
di fronte all'altro da venti minuti, tirando fuori argomenti fuori
dal mondo per trattenersi a vicenda.
È
una sensazione che lo scalda a livello del viso e del petto in modi
diversi, ma per nulla spiacevoli.
“È
stata... una bella serata, Jan.” riesce a balbettare,
strappandogli un sorriso.
“Grazie.”
mormora l'olandese, apparentemente nelle sue stesse condizioni.
Si
allontana di un passo, ma l'altro lo segue, aprendo la bocca per dire
qualcos'altro, ma ripensandoci quasi subito.
Ha
il cuore nelle orecchie. O nella gola.
Lo
sente in quindici punti diversi, è normale? È così
che si sentono gli eroi di Hyrule? A che diavolo sta pensando?
Più
a nulla, all'improvviso. Ecco, perché Jan decide di fare
l'unica cosa possibile. Un bacio, diverso dal cliché, sulla
fronte, ma Islanda si considera soddisfatto per quel lungo bacio
tenero.
E
scoprire che gli basta davvero, per coronare una serata perfetta, lo
fa sorridere a lungo, mentre saluta con la mano Olanda e corre in
albergo.
Quando
torna in camera, butta giacca e scarpe alla rinfusa, sdraiandosi poi
sul letto, esausto ma felice.
Nel
buio della stanza il telefono emette una luce bianca, facendogli
ricordare che l'ha dimenticato e prendendolo. Trenta chiamate senza
risposta.
“Crederà
che Jan mi abbia venduto al mercato nero.” sussurra, ad occhi
sbarrati, dando una rapida occhiata all'orologio che segna le due e
trenta.
Decide
che è meglio chiamare, ben conscio che Den non stia dormendo,
perennemente preoccupato com'è del proprio figlioletto
adorato.
Come
volevasi dimostrare: basta un solo squillo per sentire la sua voce
preoccupata che pronuncia il suo nome.
“Non
sono stato venduto.” taglia subito, con un minuscolo sorriso.
“Non
avevo nessuna intenzione di vendere tuo fratello per ricomprarti.”
ribatte il danese, stizzito e, probabilmente, anche molto offeso. Di
sicuro deve essersi preoccupato a morte.
“Figurati.
Come se non sapessi che saresti venuto a prendermi con l'ascia tra i
denti, due mitra nelle mani ed una fascia a tenerti quei capelli
stupidi.” lancia, con un sorrisetto, immaginando la scena.
“Tu
frequenti troppo Peter.” borbotta il danese ed Eirik se lo
immagina benissimo incrociare le braccia, imbronciato. “E i
miei capelli non sono stupidi, Norge Secondo. Sei invidioso perché
i tuoi non sono belli come i miei.”
Ridacchia,
rendendosi conto che, sì, a volte gli viene naturale assumere
in modo esagerato gesti e modi di comportarsi del fratello, non è
solo imitazione.
“Sono
andato a cena fuori e poi mi ha...” no, cosa stai dicendo? Devi
parlare di un'ipotetica lei, giustificarti con lei! “L'ho
accompagnata a casa.” si corregge.
Come
la chiama, ora? Non è bravo a mentire, non si ricorda mai
quello che racconta.
“Che
principe!” lo punzecchia Dan, divertito, facendolo arrossire.
Principe? Ancora con questa storia? “E poi? Non racconti
nient'altro? C'è stato qualcosa?”
Ok,
il lato comare del danese gli mancava. Certo, ne avrebbe fatto
volentieri a meno, ma tant'è.
Cerca
di non morire soffocato per la domanda, ricordandosi la scena del
bacio -sulla fronte, poi! Perché si agita tanto?!- da trenta
angolazioni diverse. Fosse uno scontro frontale tra due automobili lo
capirebbe anche, ma un bacio?
“Mi
ha detto che vorrebbe venire a trovarmi e che l'Islanda gl... le
sembra meravigliosa, una terra magica.” balbetta, tentando
inutilmente per non considerarli complimenti personali.
“Vuol
dire che continuerete a vedervi dopo, è una buona cosa.”
ribatte il danese e lo sente chiaramente più rilassato,
sinceramente contento.
Non
osa immaginare la sua faccia, se solo sapesse la verità.
“Ha
detto che assaggerebbe l'hákarl.” aggiunge, entusiasta.
Un
momento di pausa, poi il suono distinto del danese che deglutisce.
“Le
hai detto che cos'è?”
“Ovvio.”
Questa
volta non c'è nessuna pausa ed il tono è dannatamente
serio.
“Sposala.
È perdutamente innamorata.”
Scoppia
a ridere, nonostante l'imbarazzo di quella bugia. Non pensa che Dan
sarebbe tanto entusiasta, sapendo di chi si tratta.
“Pabbi?”
Silenzio.
Da parte propria, solo il battito furioso del cuore, come dieci
minuti prima. Di paura o di emozione? Non riesce a capirlo. Ma è
un notevole passo in avanti e lascia al danese un momento per
riprendersi.
“Tu
credi nelle relazioni a distanza?” aggiunge, tremendamente
serio.
“Ne
ho una che dorme nel mio letto. E spero lo faccia per altri cento
anni, almeno.”
Note
dell'autrice
Dopo
questa, ci vediamo tra due mesi <3
Vado
all'estero fino (spero) metà settembre e mi sarà quasi
impossibile aggiornare. Se ho tempo, però, non escludo un
nuovo capitolo la settimana prossima o quelle successive, ma è
ancora troppo presto per dirlo, quindi, per sicurezza, sono in hiatus
fino al mio ritorno!
Grazie
per le recensioni, mi fanno davvero piacere, anche se non rispondo a
tutti subito, a volte sono poco ispirata :3
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