Nigh in Gale
Titolo:
Nigh in Gale (We'll rest here together)
Fandom: One Piece
Tipologia: One-shot [ 2115 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji Black-Leg
Rating: Rosso (Lievissimo, praticamente arancione)
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico
Ideal Good 10&Lode: #05. Guarigione
Avvertimenti: AU, Furry, Yaoi
Nota: Scritta per la quarta tornata del Badwrong
weeks (Week #4; Other Kinks 26 maggio ~ 2 giugno)
ONE PIECE © 1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
Il
picchiettare insistente delle gocce di pioggia fra la cappa di fogliame
sopra di sé gli sembrava la melodia più bella che
avesse mai sentito, in quel momento.
Fuggito dalla propria tana, dal proprio
branco e dai doveri che avrebbe dovuto prendersi in quanto successore
nei confronti delle loro femmine, Sanji si era rintanato nei meandri
della foresta e si era acciambellato all'interno del tronco di un
albero concavo ad ascoltare i rumori del bosco e i suoi abitanti,
cercando al contempo di scaldarsi con la propria coda. Gli si erano
drizzati tutti i peli del dorso a causa degli ultimi rimasugli del
freddo della stagione invernale da poco trascorsa, e, avendo lasciato
il caldo bozzolo della sua famiglia per la prima volta, si sentiva
perduto e spaurito, ma l'idea di ritornare sui propri passi e di
accettare quella condizione che gli era stata imposta lo spaventava
più di quella solitudine che lui stesso si era riservato.
Prendersi cura del branco non gli pesava
per niente e non si vergognava di dire che ne sarebbe stato ben lieto,
però, ed era lì che cadeva il suo cruccio, era
troppo giovane per stare confinato in un singolo luogo senza prima aver
esplorato quanti più posti possibili. Aveva udito dagli
animali della foresta che c'erano luoghi inimmaginabili, natura
incontaminata che si estendeva a perdita d'occhio e che era ben
più vasta della boscaglia in cui si trovavano, animali
così strani che a fatica si comprendeva il loro linguaggio e
costruzioni stratosferiche che arrivavano persino a toccare il cielo,
lasciando sbigottito chiunque si trovasse ad osservarlo anche solo per
sbaglio. E lui, per quanto gli dispiacesse recare tale sofferenza
all'intero branco, voleva vedere almeno una minima parte di tutte
quelle bellezze.
Forse il suo era un sogno stupido,
però, dannazione, persino quella stupida tigre con cui era
cresciuto aveva veduto più cose di lui. Essendo nato in
cattività ed essendo stato parte degli spettacoli di un
circo sin da quando era ancora un cucciolo, guadagnandoci anche un po'
di peluria verde sulla testa a causa della vernice indelebile che gli
era caduta addosso durante uno degli spettacoli, aveva potuto viaggiare
per il mondo e osservare con i propri occhi le meraviglie che esso
celava, immagazzinando ricordi su ricordi che lui aveva invidiato sin
dalla prima volta in cui gliene aveva parlato. Per un periodo l'aveva
persino odiato, minacciandolo di morderlo a sangue se solo avesse osato
avvicinarsi a lui. E quel cucciolo di tigre aveva accusato il colpo e
aveva stranamente capito il suo turbamento, sparendo dalla circolazione
per un periodo di tempo incalcolabile. Quando era ritornato, Sanji non
aveva potuto fare a meno di notare quanto fosse cresciuto, divenendo in
breve una tigre possente dal manto morbido e lucido che avrebbe potuto
attirare più femmine di quanto credesse con l'odore profondo
e caldo che possedeva. Perché se ne fosse accorto? Semplice:
quello stupido aveva avuto la sfrontatezza di ripresentarsi da lui
quando era in calore, mandando in visibilio i suoi sensi sviluppati e
facendo sì che dentro di lui si insinuasse inesorabilmente
il tarlo del dubbio. Perché c'era decisamente qualcosa di
sbagliato nell'avvertire una certa tensione sessuale nei confronti di
una stupida tigre, in special modo se teneva conto che lui era una
volpe che avrebbe dovuto accoppiarsi con le femmine del branco.
A quei suoi stessi pensieri, Sanji
sospirò, e si sarebbe di sicuro attorcigliato meglio la coda
intorno alle zampe se un rumore proveniente da fuori non gli avesse
fatto drizzare le orecchie, mettendolo in allerta; passi veloci si
avvicinavano verso quel tronco e scalpicciavano sul terreno fangoso, e
in un primo momento la volpe temette che si trattasse di un cacciatore.
Con l'umidità nell'aria e l'intenso odore di pioggia
riusciva a sentire unicamente il sentore che aveva ormai inglobato quel
luogo, però non poteva purtroppo dire lo stesso degli odori
che venivano da fuori. Si drizzò sulle zampe posteriori non
appena vide un'ombra stagliarsi davanti all'entrata, e fu pronto a
saltare addosso a quel povero malcapitato quando, con un ruggito
insofferente, quel nuovo venuto si mostrò per ciò
che era: una tigre, in senso più ristretto quella stupida
tigre di nome Zoro. Perfetto. Praticamente perfetto. Proprio l'ultimo
animale che avrebbe voluto vedere in quel momento.
«Perché diavolo ti
sei rintanato qui dentro, tu?», gli domandò Sanji
con fare irritato, e lui sollevò semplicemente le grosse
spalle possenti prima di scrollarsi di dosso l'acqua in eccesso,
gonfiando il pelo umido intorno al suo collo.
«Per il tuo stesso
motivo», rispose poi, leccandosi via dalla zampa qualche
altra goccia d'acqua e fango. «Pioggia. Stupidissima
pioggia», spiegò con un basso ringhio
scocciato, frustando l'aria con la coda lunga e sottile.
«Noi felini odiamo la pioggia».
In un primo momento non
riuscì a capire il perché, però,
nell'osservare i movimenti di Zoro e il suo placido accoccolarsi sul
terreno, il modo in cui aveva poggiato le grosse zampe una sopra
l'altra e spalancato le fauci per dar vita ad un sonoro sbadiglio,
Sanji sentì un brivido lungo la spina dorsale.
«Non mi interessa. Cercati un altro posto, questo tronco
è mio», borbottò, così da
provare al tempo stesso a scacciare quella strana sensazione che si era
impossessata di lui. «Non voglio la tua stupida puzza di
tigre bagnata in questo posto. E' soffocante».
Zoro gli lanciò una rapida
occhiata, fissandolo con i suoi occhi dorati e predatori.
«Nemmeno io sto facendo i salti di gioia per il tuo tanfo
pestinenziale, ma non mi sembra che te lo stia facendo
pesare», ironizzò, divenendo serio in un lampo
qualche istante dopo. «Che cos'hai?» gli chiese,
lasciando Sanji spiazzato. E adesso che cosa stava dicendo, quella
tigre idiota?
«Non ho niente, che cosa
dovrei avere?»
domandò di rimando, e le spalle massicce di Zoro si
sollevarono
appena.
«Questo dovresti dirmelo
tu», replicò in tono schietto, senza staccargli
gli occhi di dosso. «Sei lontano dal branco, solo e bagnato
come un cucciolo, rintanato nel tronco di un albero e con un muso lungo
che sembra urlare ai quattro venti “La mia vita fa
schifo”. Quindi, aye, credo proprio che tu abbia qualcosa,
stupida volpe dalla coda a ricciolo».
Sanji a quelle parole rimase spiazzato,
guardando Zoro con gli occhi ingigantiti dalla confusione prima di
nascondersi un lato del viso con il dorso di una zampa, abbassando le
orecchie con fare afflitto. Quel brutto... idiota. Aveva
sempre odiato quella sua perspicacia e quel suo riuscire a leggergli
dentro, giacché molto spesso nessuno, nemmeno i componenti
del suo stesso branco o Zeff, suo nonno e membro degli anziani,
comprendevano appieno le sue emozioni o i sentimenti che lo muovevano e
che gli facevano fare determinate cose. Cose che di primo acchito
sembravano stupide e per niente degne di nota, ma che per lui
significavano più di quanto non volesse ammettere nemmeno a
se stesso. Capire dunque che Zoro riusciva laddove molti altri
sbagliavano lo lasciava rimescolato dentro e per niente certo di quali
fossero realmente i punti significativi della sua vita, come se
ciò che aveva fatto fino a quel momento fosse terribilmente
sbagliato.
«È solo
che...» decise finalmente di spiegarsi, per quanto avesse
ancora la stess espressione che si sarebbe potuta vedere su un cane
bastonato. Si era persino attorcigliato la coda intorno alle zampe
posteriori e abbandonato quelle anteriori sul terreno smosso e umido,
poggiandovi sopra il lungo muso peloso. «Si aspettano troppo
da me», borbottò a mezza voce, facendo fremere i
baffi in maniera incontrollata. «Vogliono che prenda il
comando del branco, però... io non mi sento ancora pronto.
Ho ancora troppe cose da vedere, troppe esperienze da fare, e i tuoi
racconti su cosa c'è fuori da questo sputo di foresta non
aiutano, brutto idiota».
Zoro, a quelle confessioni, non
poté fare a meno di
accigliarsi. «Vorresti dire che adesso è colpa
mia?»
«Non voglio dire questo, tigre
di merda, ma che con il tuo
cianciare mi hai fatto mettere strane idee in testa».
«Quindi è colpa
mia», insistette
Zoro con fare sarcastico, rimediandoci una rapida occhiata.
«Piantala»,
ringhiò di rimando
Sanji. «È già tanto se ti ho risposto e
ti ho
confessato il mio cruccio, non tirare troppo la corda».
«Altrimenti che cosa
fai?»
Sanji gli scoccò un'altra
occhiataccia e fece per rispondergli, drizzando immediatamente le
orecchie e mezzo busto nel rendersi conto che c'era qualcosa che non
quadrava, negli atteggiamenti di quell'idiota. Di solito non perdeva
nemmeno un'occasione per prenderlo in giro o punzecchiarlo, magari
dandogli qualche zampata sul capo per rompergli le scatole come si
conveniva; in quel momento, però, Zoro appariva quasi...
fiacco, privo di vita, come se fosse annoiato o addirittura senza la
benché minima energia. E così davvero che cosa
avesse quando alle narici, fino a quel momento ovattato dal sentore
dell'erba e dall'umidità, gli giunse un odore fin troppo
inconfondibilie. «Ohi». Annusò bene
l'aria intorno a lui, arricciando il naso quando si rese conto che quel
profumo che sentiva non proveniva da qualche animale che aveva ucciso
per cibarsene, bensì dalla sua stessa pelliccia.
«Odori di sangue. Sei ferito?» chiese, ma Zoro,
anziché rispondergli, si limitò a sferzare il
terreno con la coda per allontanarlo da sé, poggiandosi
meglio sul terreno.
«Non è
niente», borbottò poi, nascondendo in fretta la
zampa destra sotto il grosso muso sotto il suo sguardo attento; Sanji
non si fece di certo abbindolare, sollevandosi per darsi una spinta
sulle zampe posteriori e raggiungero, scansandogli la testa con la
propria.
«Fammi vedere,
idiota», rimbeccò, ignorando il basso ringhio
proveniente dal fondo della gola di Zoro quando, abbassando il capo,
fece guizzare fuori la lingua e cominciò a lappare piano la
ferita, sentendo il sapore del sangue nel palato.
«Ti ho detto che non
è niente, lascia stare».
«E io ti ho detto di farmi
vedere».
Zoro stavolta ringhiò
più forte e, con un colpo di coda, si issò sulle
zampe e colpì Sanji al petto, atterrandolo con un tonfo
soffocato; gli si sistemò sopra e lo osservò da
quella posizione, digrignando i denti. «Non farmelo ripetere
una terza volta, volpe del cazzo», sbottò,
premendo i cuscinetti contro il suo dorso per tenerlo a terra, visto il
suo continuo divincolarsi sotto di lui. Difatti
provò a voltare il muso da quella posizione,
mostrandogli a sua volta le zanne.
«Si può sapere che
diavolo ti prende?! Uno cerca di aiutarti e tu lo tratti
così?!» berciò nervoso, accigliandosi
quando vide gli occhi dorati di Zoro ingigantirsi dalla confusione fino
a socchiudersi appena, come se il loro proprietario si fosse appena
reso conto di ciò che aveva fatto; si accasciò
poi con tutto il peso addosso a lui, affondando il muso fra i peli del
suo dorso, annusando fino in fondo.
«Scusa»,
borbottò sottovoce. «Si sta avvicinando la
stagione degli amori».
Oh. Adesso sì che si
spiegavano tutti gli strani comportamenti che quello scemo aveva avuto
fino a quel momento. Avrebbe dovuto immaginarlo. L'unica cosa che non
si spiegava, però, era perché quell'idiota di una
tigre si stesse strusciando contro di lui e avesse cominciato a premere
in modo inopportuno contro la sua coda con il suo pene. Nay, proprio
non si spiegava. «Zoro», sussurrò,
sentendo il proprio corpo fremere sconquassato e cedere del tutto a
quella frenesia che si provava durante l'accoppiamento. Si
sollevò sulle zampe anteriori e mostrò tutto se
stesso al compagno, arricciando il naso nell'avvertire la sua lingua
ruvida intorno all'anello di muscoli, inumidendolo; sentì
poi la sua carne cedere per lasciar spazio al pene della tigre, che
cominciò a muoversi dentro di lui fino all'eiaculazione
completa di entrambi.
Sanji aveva tenuto gli occhi chiusi per
tutto il tempo e si era concentrato sulla possente presenza di Zoro
dietro e dentro di sé, sul suo sommesso ringhiare e i suoi
brontolii, sulla consistenza del terreno smosso sotto di lui che aveva
artigliato fra le zampe, spalancando le fauci e unendosi al ruggito che
scappò dalla gola di Zoro. Il sangue scorreva
adesso frenetico nelle sue vene e sentiva ancora nell'aria l'odore
dell'accoppiamento, quell'odore che avrebbe dovuto sentire in compagnia
di una femmina della sua specie, non con quella tigre che ancora gli
stava addosso.
Avrebbe dovuto capire il guaio in cui si
era cacciato e rivoltarsi, magari morderlo a sangue e ringhiargli
contro fino a cacciarlo da quel tronco e cercare di non riflettere su
quanto era successo, però, nonostante tutto, rimase
acquattato sul terreno e non si mosse fino a quando non fu Zoro stesso
a spostarsi, sdraiandosi al suo fianco a pancia in giù con
un basso grugnito. Stava quasi per chiedersi che cosa gli fosse preso,
ma si ritrovò invece ad accigliarsi nel sentire la sua lunga
coda sottile attorcigliarsi intorno alla sua, come se volesse esortarlo
a farsi più vicino.
Sanji sorrise e, sollevandosi sulle
zampe anteriori, si accoccolò contro di lui e
strofinò il viso nella sua pelliccia calda, lasciandosi
cullare dal suo respiro e dal battito rassicurante del suo cuore.
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