NOTE
INIZIALI:
Ebbene sì, shippo
Mick/Tommy. E’ una coppia priva di senso (non è
vero, in The Dirt c’erano
decine di riferimenti al loro amore devastante),
ma io li adoro lo stesso. Presto diventeranno il mio OTP. E anche
quello di
VickyDepp, quindi le dedico la fic.
*svolazza
via*
Con
amore
K.E.
The
other side of us
-
Aaah, il diluvio universale! – ululò Nikki.
Sollevò la bottiglia di Jack
Daniel’s e la rovesciò senza troppi complimenti
sulla testa di Mick, per poi
schizzare le ultime gocce addosso ad Emi.
Sghignazzai,
affibbiandogli una gomitata e ricadendo sul divanetto della hall
dell’hotel.
Ero
strafatto, decisamente.
-
Oddio, arriva una seconda ondata! – sghignazzò il
mio Gemello Terribile prima
di afferrare un bicchiere colmo di vodka e lanciarlo addosso ai due
piccioncini
senza preoccuparsi minimamente del fatto che i cocci di vetro avrebbero
potuto
ferirli.
Ma
sì, che importanza aveva, in fin dei conti?
Lanciai
occhiate in giro in cerca di qualcosa per poter emulare Nikki. Il
flacone di
lacca per capelli che si trovava sul tavolo davanti a Vince –
troppo ubriaco
per rendersi conto di ciò che gli succedeva attorno
– mi parve un’ottima arma
per sconfiggere gli acerrimi nemici miei e del mio bassista,
così la arraffai e
feci per tirarla a Emi, ma Mick le fece letteralmente scudo con il suo
corpo,
si beccò un colpo di Schwarzkopf su una tempia, mi rivolse
uno sguardo carico
di rancore, si alzò di scatto e se ne andò,
trascinando con sé una Emi
infuriata e così devota al Signore da pregare per la
salvezza delle nostre
anime corrotte.
-
Coglioni. – sbuffò Nikki, agitando una mano
davanti agli occhi vacui di Vince
per controllare di avere ancora un cantante.
Continuai
a ridere più o meno immotivatamente perché la mia
mente non era abbastanza
attiva da permettermi di fare altro.
-
Ce ne andiamo in qualche strip club a far baldoria? –
Nikki
si alzò, barcollò verso Vince, lo spinse sul
pavimento e, deluso dalla sua
totale mancanza di reazioni, si diresse verso la porta. Neanche a
dirlo, gli
ero dietro.
A
dir la verità non avevo una gran voglia di uscire: mi girava
la testa e, per
una qualche ragione a me sconosciuta, il concerto di poche ore prima
era stato
parecchio stancante, quindi mi sarei volentieri ritirato in camera mia
con
qualche striscia di coca, ma non si poteva dir di no a Nikki Sixx.
Così
caracollammo fino al locale più vicino, sequestrammo un
tavolino proprio sotto
il palco su cui le spogliarelliste facevano il loro eccitante
spettacolo e tirammo
fuori l’occorrente per sniffare un po’ di roba.
-
Come credi se la passi Mick? – domandai a bruciapelo, senza
nemmeno sapere
perché.
Nikki
alzò la testa dal tavolo e mi rivolse un’occhiata
truce. – Come uno che non ha
capito che fighe uguale guai. – biascicò,
ributtandosi sulle righe bianche
artisticamente disposte sul piano di marmo.
Sospirai.
Non era il caso d’immergersi nei ricordi anche quella sera.
Ero già al limite.
-
Se fighe uguali guai, cazzi uguale cosa? – chiesi, incapace
di trattenermi.
Il
mio bassista iniziava a non sopportarmi più:
sollevò nuovamente il capo dalle
strisce di coca e mi affibbiò uno scappellotto sulla nuca.
– T-Bone, mi stai
diventando frocio? Fatti un tiro! – esclamò,
spingendomi il viso contro il
tavolo.
Tornammo
all’hotel, non so nemmeno come.
La
sera successiva avremmo avuto un altro show nella stessa
città, quindi per
l’indomani non era previsto alcuno spostamento, il che mi
dava diritto ad un
numero illimitato di ore di sonno. Il sonno però, che spesso
nel mio caso era
inversamente proporzionale al mio essere fatto, aveva deciso di
abbandonarmi
del tutto, così mi ritrovavo disteso sul letto, circondato
dai vestiti di
alcune groupie comparse misteriosamente dal nulla e scomparse
altrettanto
misteriosamente con Vince. Mi alzai a fatica e lanciai
un’occhiata allo
specchio appeso sopra la cassettiera – rigorosamente vuota,
visto che nessuno
di noi si sarebbe mai preso la briga di svuotare la valigia, che poi
tanto
valigia non era, considerato che il suo contenuto si limitava ad un
paio di
pantaloni di pelle (sporchi), una maglietta nera (sporca) ed un paio di
mutande
(inutilizzate) – riflettendo sul significato intrinseco della
vita. Giunsi ad
una conclusione: dovevo andare da Mick. E dovevo sperare che Emi fosse
a dormire
da qualsiasi altra parte, altrimenti sarei stato costretto ad esiliarla
dentro
un ascensore o qualcosa del genere.
Scoprii
con immensa soddisfazione che i miei piedi avevano ripreso a seguire
un’ipotetica linea retta e, dopo l’incontro con un
simpatico fattorino in
divisa che mi sorrise con aria amichevole, mi resi conto di avere un
aspetto
quasi decente. Buon per me.
Bussai
alla porta della stanza di Mick. Non avrebbe risposto, lo sapevo, era
abituato
agli scherzi che io e Nikki eravamo soliti fargli, per cui era molto
cauto nel
gestire le visite notturne.
-
Emi, sei lì? – gracchiai, tempestando la porta di
pugni. Ora il simpatico
fattorino non mi avrebbe più sorriso con aria amichevole.
-
Che cazzo vuoi, Tommy? – sbraitò la voce di Mick
dall’interno.
-
Solo parlarti. – risposi nel tono più umile che
avessi mai udito uscire dalla
mia bocca.
La
porta si aprì e io m’infilai nella stanza con
l’aria di un cospiratore in
incognito.
-
Allora? C’è Nikki nascosto da qualche parte che
aspetta una mia qualsiasi mossa
per darmi fuoco al letto o un’altra delle vostre stronzate?
–
Lo
fissai e scoppiai in lacrime, scivolando sul pavimento.
-
Mi dispiace, Mick, mi dispiace. – bisbigliai e presi a
dondolarmi avanti
indietro, continuando a singhiozzare come un bambino.
Non
mi aspettavo che il mio chitarrista avesse una qualche reazione,
proprio no, ma
speravo che provasse a confortarmi, che si sedesse accanto a
me… che facesse
qualcosa, insomma.
Mick
invece rimase immobile in piedi davanti a me, senza dire una parola.
-
A volte mi chiedo se tu sia veramente un essere umano. –
mormorai.
-
Di cosa ti dispiace, Tommy? –
Mi
era sempre piaciuto tanto come pronunciava il mio nome.
-
Di come ti stiamo trattando io e Nikki. Credo. –
Mick
spostò il letto, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore
per lo sforzo, e si
sedette di fronte a me.
-
Di come state trattando me o di come state trattando Emi? –
Alzai
il capo e sostenni il suo sguardo con aria risoluta. – Te.
–
Sorrise
– se non fosse stato un momento intimo e deprimente,
probabilmente avrei
chiamato qualcuno per fargli una foto – e appoggiò
la schiena contro il letto
con un’altra smorfia sofferente.
-
Quindi sei venuto in camera mia strafatto per dirmi che ti dispiace di
come tu
e Nikki mi trattiate, sapendo benissimo che continuerete a comportarvi
nello
stesso modo? –
Lo
odiavo. Avrei voluto sbatterlo per terra e colpirlo fino a quando la
sua
schiena del cazzo non si fosse rotta davvero.
O
forse avrei voluto sbatterlo per terra e basta.
-
Hai idea di quanto sia difficile per me dirlo? – gli urlai
contro. Sembravo
seriamente un bambino capriccioso a cui hanno portato via il giocattolo
preferito. E lui sembrava mio padre, che era più o meno
quello che pensavo
mentre mi scopava per la prima volta.
-
Più o meno quanto è difficile per me camminare
per strada perché so che prima o
poi m’imbatterò in te o in Sixx che mi lanciate
roba addosso? –
No,
non lo odiavo, lo detestavo.
E
avrei solamente voluto addormentarmi abbracciato a lui e mandare a
fanculo Emi,
Heather, Nikki e tutto il resto.
E
odiavo essere un romantico del cazzo.
Sospirai
e mi stesi sul pavimento, giusto perché mi piaceva sentirmi
una di quelle
povere eroine depresse dei film che poi parlano con i passerotti e
sfogano la
loro frustrazione con i cerbiatti.
-
Perché sei qui, Tommy? –
E
quando faceva la Sfinge intenzionata a spiegarti come va il mondo lo
detestavo
ancora di più.
-
Secondo te perché sono qui? –
-
Sensi di colpa post overdose? –
Se
solo non avessi voluto scoparmelo – o farmi scopare, a
seconda dei momenti – mi
sarei alzato e gli avrei spaccato la faccia.
-
A me non è passata, ok? – bisbigliai, fissando il
pavimento con improvviso
interesse. – Cioè, non
l’overdose… non ci sono nemmeno andato in
overdose… beh,
hai capito. –
Mick
sorrise di nuovo.
-
T, lo sai che non sarebbe potuto nascere niente. –
replicò con la sua stupida
voce piatta e seria da trentacinquenne saggio del cazzo.
Sbattei
il cranio contro il pavimento:
se non
potevo far male a lui, tanto valeva far male a me stesso.
-
E poi c’è Heather. –
continuò, fissandomi nel modo in cui ti fissano gli
avvocati quando vogliono convincerti a dichiararti colpevole
perché è la cosa
giusta da fare.
-
Non me ne frega un cazzo. Quando è iniziata non mi avevi
detto che non sarebbe
potuto nascere niente, anzi, eri assolutamente convinto del tuo
“io e te contro
il mondo” e tutto il resto. –
-
Tommy, sono passati due anni. –
Già,
erano passati due anni da quando ero solo un povero ventitreenne
coglione con
tanti progetti per il futuro, pronto a schierarsi contro il resto della
sua
band per continuare a vivere il suo fottuto sogno d’amore
omosessuale.
-
Perché ovviamente tu non ci hai mai pensato… -
borbottai.
Non
era giusto, non lo era per niente. Non aveva senso che io, Tommy Lee,
quello
simpatico e cazzone con la batteria rotante, dovessi passare la mia
vita a
litigare con la mia mogliettina-attrice primadonna, mentre lui, Mick
Mars,
quello silenzioso e immobile, si scopava la corista figa fregandosene
dei
sentimenti del povero cazzone con la batteria rotante.
-
No, non ci ho mai pensato, però, considerato quello che
c’è stato, mi sarebbe
piaciuto mantenere con te un bel rapporto. Sai, niente bicchieri in
testa o
Jack sui vestiti, sostanzialmente. –
Sì,
far sentire in colpa il povero cazzone con la batteria rotante che si
era
presentato alla porta della sua camera con il cuore in mano era davvero
una
tattica efficace.
Ero
patetico.
-
Ti mollerà, Mick, prima o poi ti mollerà.
–
Mi
ricordavo benissimo di quando lo chiamavo ancora Bob e di quando mi
sorrideva
con quell’aria quasi tenera perché ai suoi occhi
ero solo un ragazzino non
ancora ventenne viziato e bisognoso di attenzioni.
E
lo ero sul serio, o forse non avevo mai smesso di esserlo.
Non
avrei mai avuto il coraggio di rivelarlo a Nikki e nemmeno ai miei
genitori,
però Mick era ciò di cui avevo bisogno: io ero un
bambino lagnoso, mentre lui
un adulto responsabile che sapeva stare al mondo perché era
riuscito ad
attraversare tutte le situazioni schifose che la vita gli aveva
sbattuto in
faccia.
Nella
mia presunzione ero convinto di essere la persona adatta a lui: ero il
suo
opposto, sapevo farlo sorridere – qualche volta anche ridere,
e gli sarei
rimasto accanto finché non mi avesse scacciato.
Solo
che l’aveva già fatto.
Mick
scrollò le spalle e abbozzò un sorriso
accondiscendente.
-
Lo so benissimo, corro il rischio. –
Spalancai
la bocca e agitai le braccia, demotivato.
-
Con me però non valeva la pena di correre il rischio, vero?
–
Si
sporse verso di me e mi accarezzò una guancia. Avrei voluto
azzannargli la
mano.
-
Tommy, lo sai che ti voglio bene, ma hai idea dei casini che ci
sarebbero
stati? Guardaci, abbiamo i nostri problemi, ma siamo
all’apice del successo!
Non era anche il tuo sogno quello di arrivare fin qui? – mi
disse guardandomi
fisso negli occhi.
Ero
senza parole. Rimpiangevo di essere uscito con Nikki e di aver lasciato
che
Vince scopasse con un numero indefinito di ragazze nella mia stanza, di
essermi
alzato dal letto e di aver ricambiato il sorriso di quello stupido
fattorino.
Perché diavolo ero andato da Mick?
-
Quindi tu rinunci a tutto perché il tuo sogno è
quello di suonare in una
fottuta rock band? – gli urlai contro, completamente fuori
controllo.
Mi
alzai e mi piantai le unghie nei palmi delle mani per evitare di fare
stronzate.
-
La musica per me è al primo posto, lo sai. –
Lo
disse in tono calmo, come faceva sempre, guardandomi negli occhi con la
piena
convinzione delle sue parole.
La
musica per lui era al primo posto, Emi al secondo e io ero solamente
uno con
cui avrebbe voluto mantenere un buon rapporto.
-
Fanculo. – sibilai tra i denti prima di uscire sbattendo la
porta.
Che
crepasse, con la sua spondilite anchilosante, il suo tono serio, i suoi
modi da
tappezzeria e la sua conoscenza delle sofferenze della vita.
Non
c’era da meravigliarsi che l’avessero abbandonato
tutti, era solo uno stupido
parassita inutile.
Tornai
in camera mia, pregando di non incontrare nessun simpatico fattorino e,
soprattutto, di non imbattermi nei ragazzi.
Volevo
solo dormire fino all’inizio del concerto.
Vince
urlò qualcosa d’incomprensibile e si
versò il contenuto del bicchierino da shot
direttamente in gola.
-
Voi perché cazzo siete ancora qui? –
sbraitò Nikki, puntando l’indice destro
contro Emi e Mick, che si bisbigliavano cose due sedili più
avanti di noi.
-
Sono qui perché siamo su un fottuto jet! – urlai,
ridendo a più non posso
perché mi sembrava la situazione più comica del
mondo – Falli scendere, Sixx,
chi cazzo li vuole? –
Nikki,
profondamente colpito dalle mie parole, annuì come in trance
e si alzò dalla
sua poltroncina mentre una hostess terrorizzata si precipitava verso di
lui
gridando qualcosa sul dover restare seduti perché eravamo in
fase di decollo.
-
No, non possiamo decollare! – esclamò lui,
spalancando le braccia.
-
C… come? – balbettò la ragazza. Si
voltò verso Doug in cerca di spiegazioni, ma
lui si limitò a sospirare e ad appoggiare il capo allo
schienale del sedile.
-
Non possiamo partire! – ripeté Nikki con estrema
convinzione – dobbiamo far
scendere Giona e la balena! –
-
Sì, Sixx, buttali giù, cazzo! –
rincarai la dose, agitando le braccia e
colpendo la bottiglia di Jack che Vince si stava scolando in silenzio.
-
Signor Sixx, per favore, si sieda. – lo supplicò
la hostess. Nikki ridacchiò e
si lasciò cadere sulla poltroncina, facendosi cadere addosso
la povera ragazza
e iniziando a palparla senza pietà, completamente dimentico
di Mick e della sua
corista.
Mi
girai verso i due e colsi uno sguardo rassegnato da parte del mio chitarrista. Fanculo.
Avevo
scelto da che parte stare.
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