Quitt Week
RenoCorner
Hello dear people :3 Non sto
facendo giorno per giorno, quindi ciò mi fa pensare che
probabilmente, alla fine della settimana, vi ritroverete un oceano di
cose tutte insieme xD Vorrei andare in maniera lineare ma ho
ManuKaikan, strifylover, BloodyRose, JoySlash e, la mia amata, Forwood,
sul divano di casa mia che mangiano pop corn e fanno casino.
Quindi le riletture procedono molto a rilento
perché, diciamoci la verità, immaginate come
debba essere per Edy rileggere e betarsi con queste vocine assordanti
#explosion.
Vi lascio questa shot per la Quitt Week, sperando che possa piacervi
*w* Stiamo lavorando ad un miliardo di cose in realtà,
quindi spero di potervele lanciare tutto appena possibile :3
Grazie mille a tutti quelli che mi seguo, chi deciderà di
leggere e questa storia e, soprattutto, i dolci e cari che perdono un
po' di tempo per recensirmi e chiacchierare con me <3
Grazie anche a ManuKaikan per aver betato questa storia di mattina
appena svegliatasi xD
A presto,
xoxo RenoLover
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When We Were Young
Quitt Week, Day 2: Kid!Quitt
Quella volta in
cui
Quinn Fabray ha perso la testa per Brittany e non ha potuto fare a meno
di
ricordare tutti i momenti più significativi della loro
infanzia ed adolescenza
insieme.
Quinn Fabray ricordava esattamente quando era successo la prima volta.
Non lo
avrebbe mai dimenticato, anche perché era successo nel
periodo più brutto della
sua vita, probabilmente.
Ricordava
esattamente come si sentiva: tutti la trattavano bene. Non sarebbe
stato un
male se non fosse stato falso.
E
sapeva che era falso.
Non
c’era nulla di vero in quelle gentilezze: derivavano
semplicemente dal fatto
che buona parte del genere umano provava compassione nel vedere
l’ex capitano
delle Cheerios su di una sedia a rotelle.
Ma in fondo sapeva che buona parte di quelle persone che
si mostravano
gentili, dolci, disponibili, sensibili, con lei, stavano soltanto
fingendo
oppure tentando di fare una bella figura davanti a Dio per aprirsi le
porte al
Paradiso. Ma
lei non era così stupida: “the
road to hell is payed with good intentions”. E,
soprattutto, non aveva senso rivolgerle attenzioni, trattarla bene, per
poi
sparlarle alle spalle nei bagni o agli angoli dei corridoi. Come se fosse diventata
anche sorda.
Il
periodo in cui era accaduto, aveva una strana ossessione.
Quell’ossessione
aveva un nome: Rachel Berry. Non conosceva
l’entità di quella fissa, a cosa
fosse dovuta, se si trattasse di una semplice amicizia nuova e strana.
Ma
forse, l’unica cosa che sapeva davvero era che non avrebbe
mai potuto essere
altro che un’amicizia. Rachel era totalmente presa da Finn,
per altro il suo ex
ragazzo, parlavano di matrimonio, di andare insieme a New York e tutte
quelle
cose assurde per dei ragazzi della loro età. E alle volte
Quinn tentava di
convincersi del fatto che quello fosse il motivo per il quale non
sopportava
quell’idea di matrimonio, nonostante avesse deciso di andarci
per farla felice
per poi schiantarsi contro un pickup. Ma la verità, per
quanto fosse difficile
ammetterlo, era che non poteva sopportare quell’idea per
interesse personale.
Non ne conosceva l’entità precisa ma sicuramente
c’era quell’interesse.
E
se non era quello il momento peggiore per lei: su di una sedia a
rotelle,
incerta sul futuro delle proprie gambe, forse innamorata di una ragazza
che
aveva sempre pensato di odiare e corteggiata soltanto da un ragazzo del
primo
anno. Il suo umore era a pezzi, il suo cuore ancora di più,
la sua vanità era
ad un livello bassissimo , come non lo era stata mai.
E
proprio quando pensava che le cose non potessero migliorare, che non ci
fosse
speranza, era improvvisamente cambiato tutto.
Era
seduta – che ironia pensarlo, non poteva essere altro che
seduta – sulla sua
sedia a rotelle in quell’aula ormai vuota. Stava contemplando
le mappe sulla
parete senza un motivo in particolare, più che altro non
voleva pensare. Aveva
semplicemente bisogno di un momento di silenzio e solitudine per
isolare la
mente da qualsiasi cosa e rilassarsi.
Proprio
nel momento in cui aveva chiuso gli occhi e quasi disattivato la mente,
sentì
dei passi alle sue spalle, rumorosi, poco discreti. Aprì
all’istante gli occhi
e fece ruotare la sedia lentamente. Osservò Brittany davanti
a lei: teneva
innocentemente le mani attorno al suo raccoglitore dei Cheerios,
probabilmente
pieno di fogli scarabocchiati con dei pastelli a cera, assomigliando
vagamente
ad una bambina. La guardava sorridendo e stava già facendo
qualche passo in
davanti verso di lei.
“Stai
vedendo tutti i posti dove vuoi andare?” domandò,
sporgendosi sulle punte, in
una maniera adorabile, per guardare le cartine alle sue spalle. Per un
istante
pensò che stesse facendo qualche battutina sul suo stato, ma
Brittany era
innocente, non avrebbe mai detto una cosa così cattiva. Ma
non ebbe il tempo di
pensarci perché la cheerleader – quello che non
era più lei – stava già
continuando. “Con i razzi sotto la sedia!” disse,
indicandola. Probabilmente lo
aveva visto in qualche cartone animato. “Io non so leggere le
cartine.”
Pensò
che probabilmente sapeva leggere a stento, figurarsi sulle cartine. La
vide
avvicinarsi a lei e porgerle le mani.
“Non
puoi alzarti?” le chiese e Quinn sentì
già un groppo alla gola perché la sua
mente le suggeriva di rispondere ‘no, mai
più’. Ma non poteva permetterlo, era
semplicemente un modo per abbattersi ancora di più. Scosse
semplicemente il
capo perché sapeva che, se avesse aperto la bocca, sarebbe
scoppiata a
piangere. E non voleva mostrarsi debole, si era trattenuta dal farlo
fin dal
primo momento.
“Se
vuoi … posso spingerti fino a casa tua” le fece,
innocentemente, mentre
camminava, portandosi alle sue spalle e afferrando lo schienale della
sedia. E
Quinn non aveva pensato al vero motivo di quella chiacchierata:
ricordava che
Brittany sembrava avere una certa passione per lo scarrozzare in giro
la gente.
Lo ricordava da quando stava con Artie. Non si sarebbe stupita del
fatto che
avesse tentato di avvicinarsi a lei semplicemente per il gusto di
poterla
portare in giro. Ma le andava bene. Solitamente si sarebbe fatta
montare sul
bus scolastico, ma una compagnia era decisamente meglio, per non
parlare di una
passeggiata all’aria aperta.
“Sì”
rispose semplicemente, mentre Brittany cominciava a spingere, prima di
farla
passare attraverso la porta. Nonostante sembrasse soltanto un giochino,
sapeva
che Brittany ci teneva a lei, che erano davvero amiche, fin dal primo
anno di
liceo.
Uscirono
rapidamente dal liceo e tutto quello che ne seguì fu una
discussione contorta
su animaletti strani e orsetti di gelatina. Non sapeva fino a che punto
potesse
far parte di quel mondo che le era sempre sembrato estremamente strano,
ma
voleva provarci. In fondo, si era offerta di accompagnarla, quindi
poteva
approfittarne per riscoprire un briciolo di quella vecchia amicizia che
avevano
perso nell’ultimo anno.
Aveva
realizzato che quella di Brittany era una vera passione, quindi non si
sarebbe
mai aspettata che la cosa potesse prendere la direzione che invece
aveva preso.
Era
ormai una settimana buona che la bionda si divertiva a portarsela in
giro
ovunque, spesso anche in compagnia di Santana o qualcun altro. Quinn
cominciò a
chiedersi se non fosse stata così tanto tempo con Artie
soltanto per quello e
la cosa non l’avrebbe stupita più di tanto: si
trattava pur sempre di Brittany,
non c’era nulla di sensato in quello che faceva. O meglio,
c’era, ma ci voleva
un bel po’ di impegno per riuscire a capirlo. Lei comunque
non sembrava essere
dell’umore giusto, ma sapeva che in fondo, difficilmente la
si poteva
biasimare: con tutto quello che le era accaduto, non aveva molto tempo
da dedicare
ai suoi macchinosi ragionamenti, ma poteva quanto meno stare al gioco.
E
poi era arrivato quel giovedì di Aprile. Quel
giovedì in cui ogni cosa era
cambiata, tutto era diventato diverso, non aveva idea di come o
esattamente
quando le cose avessero cominciato a prendere quella piega. Ma forse
non
l’avevano presa ed era quello il bello.
Non
aveva idea del fatto che sarebbe finito nei giorni più
importanti della sua
vita perché era cominciato come ogni altro giorno, e tutto
era normale.
Brittany
si stava divertendo a portarla per il cortile e, dopo un bel
po’ di metri, si
erano prese la loro solita pausa sotto l’albero
più grande, semplicemente
perché faceva più ombra. Stavano ancora ridendo
per tutti i giri estremi che le
aveva fatto fare Britt, quando improvvisamente si sedette in braccio a
lei.
Quinn non si lamentava certamente del peso perché,
nonostante la fisioterapia,
le gambe non sembrano ancora essere capaci di percepire i contatti. E
la cosa
la angosciava ancora di più perché le faceva
perdere ogni tipo di speranza.
Ma
anche quel balzo l’aveva angosciata perché non era
più abituata a quel tipo di
affetto tra amiche: la persona con la quale aveva legato di
più nell’ultimo
periodo era Rachel, e Rachel non si era mai seduta sulle sue gambe
né quando
erano sensibili, né dopo l’incidente.
Ma
Brittany lo aveva fatto nella naturalezza più totale, quasi
non contasse
niente. E aveva avvolto affettuosamente le braccia attorno alle sue
spalle.
Quinn
le sorrise, addolcita da quella premura, e, nonostante si fosse
riproposta di
restare forte e non mostrarsi abbattuta, una lacrima rigò
rapidamente il suo
volto.
Non
doveva permetterlo. Sapeva che non appena il dolore si fosse fatto
spazio,
sarebbe stato difficile non lasciar fuoriuscire tutto quello che aveva
in corpo
e che aveva trattenuto per tutto quel tempo. Non fece neanche in tempo
a
pensarlo però, che Brittany stava già asciugando
via la sua lacrima, con il
pollice della mano che stava avvolgendo il volto di Quinn con
delicatezza. Gli
occhi verdi dell’ex capo cheerleader – ex,
perché era quasi tornata nei
Cheerios, poi quell’incidente … - incontrarono
l’azzurro cielo dell’altra
ragazza e vi lesse una tristezza quasi iperbolica per una personcina
ingenua
come lei che probabilmente non conosceva i veri mali del mondo.
“Ti
fa male? Devo alzarmi?” chiese, riferendosi alle gambe.
Quinn
pensò che non doveva avere idea del fatto che avesse perso
ogni sensibilità.
Era piuttosto ovvio.
“No,
io-” tentò di precisare, ma non sapeva esattamente
che parole usare per non far
venire fuori qualcosa che potesse sconvolgere il mondo fatato ma sano
di
Brittany. “E’ solo che vorrei camminare.”
Era
piuttosto riduttiva come spiegazione, ma sembrò andare bene
per Brittany che
strinse immediatamente quell’abbraccio.
Quando
stava appena cominciando a rilassarsi per quel contatto amichevole ed
estremamente piacevole, Brittany si sporse a sorpresa verso di lei,
stampandole
un bacio dolce e appena accennato sulle labbra. Il suo primo istinto fu
quello
di chiudere gli occhi, poi però realizzò che
doveva allontanarla. Ma era troppo
tardi: Britt si era già allontanata di sua spontanea
volontà, ma il sorrisetto
sul suo volto faceva capire a Quinn che avevano, come sempre,
un’interpretazione diversa della realtà.
“San
dice che passa ogni male con un bacetto”
Non
poté fare a meno di avvertire un brivido lungo la schiena a
quelle parole:
chiaramente lei aveva trovato piacevole – e doveva ammetterlo
– quel contatto
durato neanche mezzo secondo, ed era stato come approfittarsi del fatto
che Brittany
stesse semplicemente cercando di fare la cosa più dolce e
sensibile nella sua
totale ingenuità infantile: per lei quello non era un bacio,
ma semplicemente
una specie di medicina. Tuttavia, Quinn era sicura del fatto che non lo
facesse
con tutti. Quel trattamento era sicuramente dovuto alla loro triplice
amicizia,
ne era certa.
Tuttavia
non poteva nascondere a se stessa che, dopo il caso Berry,
quell’accenno di
labbra non era altro che la prova del fatto che quella che aveva
cercato di
stabilire con la mora non era semplicemente un’amicizia da
ultimo anno di
liceo.
Era
confusa e sapeva cosa aveva provato Santana a riguardo a quel punto. Le
sembrava strano perché non le erano mai piaciute ragazze
prima e si domandò se
non dovesse dare la colpa dell’accaduto a quel famoso skater
quarantenne del
quale ormai sapevano tutti. Era probabile che quella relazione le
avesse
provocato una specie di disgusto per gli uomini. Ma non la trovava una
spiegazione credibile perché Puck non la disgustava e
neanche i corteggiamenti
del ragazzino nuovo. Semplicemente cominciava ad aprire gli orizzonti
verso
qualcosa di inaspettato, ma le faceva male che fosse Brittany ad
esserne la
causa o il merito. Per quanto si sforzasse di pensare a Santana,
l’unica cosa
che le veniva in mente erano quelle labbra che aveva sfiorato appena.
Non
ricordava l’ultima volta che aveva baciato qualcuno senza
scopi riproduttivi o
per riavere Beth. Ed era stano perché lei era fin troppo
bella per poter
restare così tanto tempo con le labbra secche.
Ma
non intendeva quello o forse, non se lo aspettava più che
altro. Da quel giorno
non l’avrebbe vista più allo stesso modo.
I
giorni passavano. Era insopportabile. Non avrebbe mai pensato di poter
sentire
quelle cose per Brittany. Ogni giorno, la choir room diventava sempre
più
deprimente. Era seduta lì, su quella sedia, con lo sguardo
basso. Non poteva
alzarlo. Ogni volta che lo alzava si ritrovava le dita di Santana e
Brittany
intrecciate avanti agli occhi. E non avrebbe mai voluto. Non avrebbe
mai voluto
che facesse così male. Erano sue amiche, entrambe. Stavano
insieme, si amavano.
Lei non poteva mettersi tra loro.
Probabilmente
un tempo, con la sua vecchia personalità, non si sarebbe
fatta molti problemi.
Ma era cambiata e, figurarsi se poteva spezzare in quel
modo l’Unholy Trinity. Santana teneva a Brittany come a
nessuno.
Ma
non era neanche quello a smuoverla. La cosa che la convinceva del fatto
che
doveva smettere di pensarci era il fatto che quel bacio non era stato
nulla:
Brittany aveva semplicemente pensato che fosse un modo per guarirla
magicamente. Non le aveva dato un bacio per passione o amore, lo aveva
fatto
per effetto. Eppure, ogni volta che la ragazza improvvisava una
coreografia
seria con Mike Chang o un balletto divertente con Santana, non riusciva
mai a
smuovere gli occhi dalle sue lunghe gambe scoperte. E non capiva come
facesse
Santana a non notarlo, visto che era sempre così sospettosa
con tutti. Una
volta aveva perfino reagito male a Blaine che si avvicinava troppo a
Brittany.
Insomma, Blaine. Blaine, quello gay. Forse, avrebbe preferito che
Santana se ne
accorgesse, così da impedirle di continuare a …
desiderare la sua ragazza? Era
quello che stava facendo? Non lo sapeva di preciso. L’unica
cosa che sapeva era
che aveva bisogno di un altro bacio, un altro dolce bacio per capire
cosa le
passava esattamente per la mente.
Si
soffermò per un istante sulle labbra di Brittany da lontano,
mentre Joe le
parlava. Non aveva neanche più idea di cosa le stesse
dicendo, perché la sua
attenzione era tutta per quella pelle chiara. La vide sorridere e
avvertì un
brivido che le fece cominciare a pensare che fosse vittima di una grave
cotta
adolescenziale, un capriccio come i tanti che aveva avuto in quei
quattro anni
di liceo.
Quando
lo pensò, si rese conto del fatto che non era il pensiero
più utile: tutti i
ragazzi che aveva voluto, bene o male, se li era presi. E non sapeva se
quella
regola valesse anche per le ragazze, la sua nuova passione. E non
sapeva se
volerlo. Da un lato sperava che quella regola valesse, così
da poterla baciare
ancora una volta, così da poter capire davvero cosa
provasse, se le piaceva, o
era solo una stupida fissa. Dall’altro sapeva che questo
avrebbe significato
togliere a Santana la persona a cui teneva di più al mondo.
E non voleva farlo,
ovviamente.
Ma
era difficile. Era troppo difficile vederle sempre incollate, visto
che, a
differenza di Kurt e Blaine, non si facevano più problemi a
baciarsi in
pubblico, nei corridoi, nei bagni, in palestra. Ovunque Quinn posava lo
sguardo,
l’unica cosa che le si presentava avanti agli occhi erano
Santana e Brittany
che si baciavano, si scambiavano effusioni.
Era
davvero uno spettacolo molto crudele per lei. Poi il tempo era passato.
Anzi
no. Il tempo non era passato, non molto, eppure sembrava una vita.
Quando sentì
la prima fitta profonda al cuore, quella che le fece capire che non si
era
trattato di un capriccio sentimentale, le arrivò dopo poco
tempo. Precisamente
due settimane dopo il suo rientro al liceo, in un momento nel quale si
stava
quasi rassegnando all’idea che, doloroso o meno, doveva
accettarlo, perché le
cose stavano in quel modo. Non avrebbe mai pensato di essere
impreparata ad una
cosa come quella, anzi, neanche sapeva che sarebbe accaduta, che le
avrebbe
fatto così male.
E
soprattutto, non le sembrava che quel breve arco di tempo potesse
sembrare più
un secolo di torture, non l’avrebbe mai previsto. Eppure,
proprio quel giorno
capì che non era cambiato nulla nella sua coscienza dal
primo momento in cui
aveva cominciato a sentire. Dal primo
bacio.
Era
la settimana dedicata a Whitney. Schuester aveva insistito
affinché dicessero
addio a Whitney perché, se non riuscivano a dire addio ad
una cantante, per
quanto speciale e fenomenale fosse, come potevano dire addio ai proprio
compagni
di quattro anni?
E
la cosa poteva starle bene, non aveva nulla da contestare. Il problema
era che,
dopo averlo evitato per tre anni, Santana e Brittany aveva
improvvisamente
deciso di duettare. Brittany voleva trascinarla innocentemente a
ballare con
lei. Aveva toccato le sue mani con le proprie mentre cantava una
canzone che
diceva ‘I wanna dance with somebody
who
loves me’. Doveva essere fin troppo crudele il
mondo, come sempre. E non
poteva neanche dire che era Brittany ad essere crudele,
perché la ragazza non
aveva la benché minima idea di quanto stesse soffrendo o di
cosa pensava. Non
sapeva che quel contatto appena accennato, le aveva fatto fermare il
cuore per
un istante.
Probabilmente
la colpa era anche sua. Forse, se non si fosse allontanata e avesse
continuato
a vivere le cose con normalità, non sarebbe mai accaduto.
Forse starle lontano,
osservarla da una debita distanza non aveva fatto che aumentare il
desiderio
che aveva di lei.
E
non era neanche quella la cosa che le aveva fatto più male.
“E
Quinn … tu balli nei miei sogni, e sai anche volare e
sputare fuoco!”
Rimase
senza parole. Non seppe come commentarle. Non era assolutamente ferita
dall’insensibilità della precisazione sulle
condizioni delle sue gambe perché
sapeva che in realtà Brittany stava soltanto cercando di
dire qualcosa di dolce
– amichevole, ma dolce, era
già qualcosa
-, più che altro non poteva credere al fatto che
Brittany avesse quella
visione di lei: una specie di mostro, drago volante che sputava fuoco?
Il suo
primo pensiero fu che fosse una convinzione derivata da qualche
paragone
sbadato di Santana, visto che riportava tutto quello che diceva lei
perché lei, Santana, era la sua ragazza. Sentì un
nodo alla gola e un forte bruciore al
petto e si limitò ad osservarle mentre tornavano ad
abbracciarsi sul palco
dell’auditorium.
Abbassò
lo sguardo perché cominciava a sentire gli occhi di Joe su
di lei e non voleva
che qualcuno se ne accorgesse. Sarebbe soltanto scoppiato
l’ennesimo scandalo
nel Glee, ed era l’ultima cosa della quale avevano bisogno
mentre si
avvicinavano alle Nazionali.
Socchiuse
gli occhi su quelle due figure avvinghiate l’una
all’altra e sospirò: non
sapeva di preciso cosa sarebbe stata disposta a dare, che prezzo
sarebbe stata
disposta a pagare per essere Santana, per essere al suo posto.
Quando
Joe la fermò per il corridoio, cercò
all’istante di evitarlo e sviare la
discussione. Nonostante si sforzasse di sembrare calma, almeno ai suoi
stessi
occhi, era evidente che stava cercando di fuggire perché i
suoi arti superiori
– quelli che potevano – tremavano. Aveva paura.
Quinn aveva davvero paura che
Joe, che era un ragazzo molto, molto sensibile, avesse potuto notare il
suo
comportamento strano ed interpretarlo nel modo giusto. Pensò
subito a Santana,
a sua nonna che non l’aveva accettata per quello che era. E tutto era accaduto per
una frase proprio in
quei corridoi, non voleva che le accadesse la stessa cosa, non lo
voleva, per
nessuna ragione al mondo.
Quindi,
quando il ragazzo le chiese come andava la terapia, Quinn dovette
trattenersi
dal sospirare di sollievo: Joe aveva interpretato la sua espressione
come
un’espressione di dolore dovuta al riferimento che Brittany
aveva fatto alle
sue gambe. Per un istante, desiderò scoppiare a ridere per
allentare la tensione
causata da quel fraintendimento. Non era accaduto niente. Nessuno aveva
notato
che la sua espressione facciale non era dovuta a terapie o ad incidenti
d’auto,
ma semplicemente a sentimenti nuovi che non potevano essere soddisfatti
in
alcun modo. Quando le chiese se poteva accompagnarla, Quinn ci
pensò un
istante, poi accettò. Accettò perché
sapeva che quel ragazzo era sincero,
teneva davvero a lei. L’avrebbe distratta. Le avrebbe fatto
pensare a qualcosa
di diverso dalle labbra di Brittany, ne era sicura, quantomeno il tempo
necessario per diplomarsi, poi non l’avrebbe vista se non
occasionalmente.
Avrebbe rimosso tutto, avrebbe una nuova vita.
Forse.
Le
ultime settimane erano passate fin troppo in fretta. Nonostante fosse
tranquilla sul diploma, non poteva che avvertire un minimo di ansia.
Aveva
provato a risistemare le cose con Rachel – voleva davvero
rimanere in contatto
con lei, nonostante l’ambiguità del loro rapporto
– e con Puck, perché era
sempre stato importante per lei e credeva che lo fosse abbastanza da
distrarla.
Non
aveva funzionato.
Non
era riuscita a togliersi per un istante il sapore delle labbra
– assaggiate
appena - di Brittany, dalla mente. Quando vide Santana abbracciarla
prima di
prendere il diploma, non poté fare a meno di notare che la
bionda era vestita
come lei si vestiva di solito. Sorrise appena, tristemente, non potendo
fare a
meno di pensare che non significasse nulla e che stava cominciando ad
avvertire
i brividi per ogni singola cosa. Aveva aiutato Puck a diplomarsi, aveva
dato il
biglietto a Rachel, tutto stava per cambiare. La sua vita sarebbe stata
nuova
ed era certa del fatto che avrebbe trovato qualcosa di diverso, o
meglio,
qualcuno di nuovo per cui provare tutte quelle cose.
Si
sentiva così positiva perché forse era stata
negativa tutto l’anno. Era giunto
il momento di essere ottimista e nessuno glielo avrebbe portato via.
Forse.
Il
diploma era stato doloroso, felice, ma doloroso, perché
rappresentava il
momento in cui la vita reale cominciava, in cui non ci si poteva
più nascondere
nei desideri e nei sogni adolescenziali, ma bisognava iniziare ad
affrontare le
complicazioni.
Quindi
quel desiderio che aveva della sua compagna fra l'altro impegnata
– e
soprattutto, era una ragazza
– doveva
sparire perché rappresentava semplicemente una di quelle
cotte da liceali che
dovevano assolutamente finire assieme a quell'anno.
Se
non riusciva a superare il vedere Santana con Brittany, come poteva
affrontare
la vita da adulta?
La
cosa la tormentava così tanto che non riuscì
neanche a gioire della cena che
stavano organizzando i ragazzi del Glee per festeggiare il diploma. Si
limitò a
sorridere quando Artie gliene parlò, invitandola come stava
facendo con tutti,
ma dentro sapeva che avrebbe preferito evitare di vederle insieme, ad
abbracciarsi e baciarsi al Bel Grissino. L’ultima volta che
era successo, era
tutto normale, lei cantava per loro, perché era sinceramente
felice del fatto
che avessero trovato l’amore l’una
nell’altra.
Eppure,
in così poco tempo, ogni cosa era cambiata, ogni cosa da
quel primo bacio.
Quinn
si stupiva del fatto che la cosa che più la tormentasse di
tutto quello che
stava accadendo fosse il fatto che conosceva Brittany da sempre. In un
certo
senso, avrebbe dovuto farla sentire a suo agio il fatto che stesse
capitando
con una persona così cara, ma dall’altro sapeva
che era un fattore che rendeva
semplicemente ogni cosa più complicata. E non era piacevole
come situazione.
Si
sedette sull’altalena nel giardino con un cono gelato tra le
mani per celebrare
probabilmente l’inizio dell’estate. Da quando sua
madre aveva cacciato via suo
padre per quella relazione adultera, la casa era stranamente
più tranquilla e
ormai piacevole, perché lei e Judy avevano allontanato ogni
tipo di rimorso e
avevano riacquistato quel rapporto che avevano prima della gravidanza.
Cominciò
a dondolare, ma quasi subito il suo sguardo fu catturato
dall’erba – sempre
curata e tagliata con precisione – e subito si
soffermò su quel prato
familiare. Le ci volle qualche secondo prima di riuscire a mettere a
fuoco cosa
stesse succedendo nella sua mente: per quanto tentasse di imporsi di
fare il
contrario, il suo cervello non riusciva a fare altro che collegare
rapidamente
ogni singolo elemento che la circondava a Brittany e, doveva ammetterlo
a se
stessa, quel collegamento apparentemente bizzarro non era neanche
troppo
immotivato. Negli ultimi giorni aveva collegato a lei – al
pensiero di perderla
per sempre, visto che il liceo era finito – qualsiasi cosa la
circondasse:
penne che le aveva prestato, trucco che aveva usato per prepararla,
vestiti che
si erano scambiate, tazze che aveva usato quando aveva fatto colazione
da lei.
Invece, dovette ammetterlo, quello era diverso. Per la prima volta dal
diploma,
stava veramente ricordando qualcosa di sensato, non di forzato,
qualcosa di
naturale.
Un
sorriso nacque spontaneamente sul suo volto mentre un lontano ricordo
si faceva
spazio nella sua mente, che stava già cominciando a
riprodurre delle figure su
quel prato, sotto un cielo poco diverso da quello di quella giornata di
Giugno.
Era come se avesse assistito a quella scena, anche se in
realtà l’aveva vissuta
in prima persona, per come le si stava sviluppando davanti agli occhi.
Per
quanto le facesse male ammetterlo doveva rendersi conto del fatto che
non
avrebbe mai potuto dimenticarla finché sua madre non avesse
cambiato casa:
certo, sarebbe stata a New Haven per la maggior parte del tempo, ma non
poteva
negare che ogni volta che sarebbe tornata a casa avrebbe pensato
inevitabilmente a lei, passando per quel prato per raggiungere di
ingresso, o per
uscire di casa, o per
mangiare un gelato, o per andare incontro al ragazzo delle pizze.
Chiuse
gli occhi e le sembrò di riuscire a vedere ogni cosa, di
riuscire a vivere quel
giorno di nuovo. Le sue palpebre si spalancarono di nuovo e quel
secondo di
rapidissimi flashback le permise di ricordare ogni singolo dettaglio. E
seppe
che, come non lo aveva fatto dopo tutti quegli anni, non sarebbe mai
stata
capace di dimenticare il giorno in cui aveva conosciuto Brittany S.
Pierce.
“Lucy!”
la chiamò sua madre, ma lei era troppo
presa a giocare con la sua barbie sul prato per prestarle attenzione.
“Lucy,
vieni qui!”
Il tutto
dovette
ripetersi ancora per una dozzina di volte prima che la bionda potesse
convincersi ad alzarsi, darsi una sistemata al vestitino estivo,
afferrare la
propria bambola, e scattare verso sua madre, che era ancora intenta a
parlare
con quelle persone strane che lei non aveva mai visto.
Si
avvicinò ai fianchi
di sua madre, che avvolse immediatamente le sue tempie con le mani,
accarezzandole dolcemente. Notò immediatamente di non essere
l’unica bambina:
una bimba bionda con gli occhi chiarissimi era di fronte a lei. Con lo
sguardo,
seguì la sua figura fino a quello che aveva tra le mani: un
unicorno rosa.
“Lucy,
lei è Brittany”
le fece sua madre indicandola. Lucy si nascose timidamente dietro sua
madre che
però la invitò con un gesto della mano ad
avanzare. Lei la guardò per un
istante, poi decise di fidarsi, perché era la sua mamma.
Avanzò e porse la mano
all’altra bimba, ma questa non la prese.
“E’
un gioco?” le
chiese con un accento strano. Lei batté le palpebre e
piegò la testa sul lato,
confusa. “Perché devi spiegarmi le regole,
altrimenti non posso giocare”
“Va
bene” fece Lucy,
senza capire a cosa si riferisse: era solo una stretta di mano. Ma
decise che
voleva essere amichevole con lei “te le insegno, se
vuoi”
La vide
titubare un
istante, esitante, mentre giocava nervosamente con l’unicorno
tra le sue mani.
“Va
bene!” esclamò ad
un certo punto, prima che potesse vedere Lucy scattare verso
l’altalena.
Brittany attese un cenno di permesso da sua madre e, non appena
arrivò, scattò,
rincorrendola per tutto il prato.
Quel
ricordo, il loro primo incontro da bambine, era tanto dolce quanto
doloroso. E
sapeva di non poterci far nulla. Aveva sprecato l’ultimo
periodo del liceo a
sopravvivere con l’idea che l’avrebbe dimenticata
appena tutto sarebbe finito.
Invece, la cosa divertente – e deprimente, ma si sforzava di
non definirla così
– era che Quinn era seduta su quella panchina, in piena
estate, e, invece di
pensare allo svago prima del college, non faceva altro che ricordare
tutti i
bei momenti che aveva vissuto con Brittany. Sì, era messa
davvero male e aveva
fallito decisamente tutti i piani. Ma ci avrebbe riprovato. Ci avrebbe
riprovato perché non esisteva soluzione alternativa al
dimenticarsi di lei, era
la cosa più giusta. Anche se non era semplicemente
considerato tutti i ricordi
che avevano insieme.
Lucy non
avrebbe mai
pensato di vedere la propria barbie a cavallo di un Unicorno, ma doveva
ammettere che le sembrava piuttosto felice di quel nuovo mezzo di
trasporto. E
l’unicorno di Brittany non sembrava infastidito da quel
gioco. Benché dovesse
ammettere che era un giocattolo curioso e particolare, non
poté fare a meno di
trattenere la propria curiosità.
“Perché
non giochi con
una bambola?” chiese, mentre stavano accovacciate sul prato a
giocare. Brittany
alzò la testa, guardandola quasi come se fosse pazza, e Lucy
si chiese cosa
aveva dovuto dire di male per provocare quell’espressione.
“Perché?”
chiese,
battendo le palpebre confusamente. Non sapeva se Brittany aveva davvero
capito
la sua domanda da come stava reagendo. In fondo, era una bambina molto
strana.
“Perché le bambole le hanno tutti” fece,
dopo qualche secondo di esitazione,
prima di muovere le spalle “A me non piacciono le cose che
hanno tutti. Un
unicorno è magico, è speciale.”
Lucy
ascoltò
attentamente tutto il suo discorso, tutte le sue spiegazioni
fantastiche e
allusive sugli unicorni e la confondevano molto. Non era certa di
capire tutto
alla perfezione, ma qualcosa le diceva che, semplicemente, non poteva
capire
tutto alle perfezione, le cose non sarebbero andare in quel modo. Ma,
quando il
discorso fu terminato, era quantomeno certa di una cosa: Brittany
sarebbe
sempre stata particolare – non sapeva se nel bene o nel male
– e avrebbe
osservato l’universo in un modo che loro non avrebbero potuto
neanche
ipotizzare invece. In quel momento si sentì piccola rispetto
alla visione che
la sua nuova amichetta le aveva dato del mondo e pensò che
probabilmente quella
teoria l’avrebbe portata ad essere considerata una specie di
genio in un futuro
lontano. A differenza sua, lei giocava semplicemente con le bambole.
Tornò
alla realtà, ancora una volta e decise che doveva
allontanarsi da quel prato
perché non sarebbe stata capace di superare tutto
ciò che stava accadendo nella
sua mente. Tornò in casa e sua madre era lì ad
aspettarla, pronta per una cena
sobria tra donne di famiglia.
Passarono
la sera a parlare dei programmi per il college, di tutto ciò
che aspettava
Quinn, e, soprattutto, con suo grande stupore, parlarono di ragazzi.
Sua madre
le fece presente che era già successo una volta che le
capitasse di essere
vittima dei desideri ormonali degli uomini – nonostante
Quinn, da femminista,
gli avesse reso presente il fatto che lei non era stata da meno
– quindi doveva
stare molto attenta a come si creava la sua nuova vita. Quinn
evitò di parlarle
di tutto quello che stava accadendo dentro di lei: sua madre era
profondamente
religiosa e non voleva rischiare di essere cacciata dalla casa, un
po’ come
Santana con sua nonna. Avrebbe voluto dirle che, per come vedeva le
cose in
quel periodo, non c’erano molte possibilità di
gravidanza. Non aveva molto
interesse negli uomini quindi non sarebbe stato un problema. Si tenne
quella
spiegazione per sé e tentò di sembrare
semplicemente una ragazza pentita dei
propri errori.
Dopo
cena, tornò in camera sua, quella camera che non avrebbe
più usato a lungo, e
si concesse un po’ di tempo al computer perché non
aveva fatto programmi per
quella sera, sfortunatamente.
Effettuò
l’accesso a Facebook e notò all’istante
che era stata aggiunta ad un gruppo di
conversazione. Sorrise non appena lesse tutte le sciocchezze che
stavano
scrivendo.
Kurt
Hummel: non ti camminerò dietro
portandoti il caffè.
Rachel
Barbra Berry: chi ha detto che devi? Non
abbandonarmi, ti prego!
Kurt
Hummel: mi limiterò
all’officina.
Mercedes
Jones: potreste parlarne in privato? Non
è a questo che serve il gruppo!
Mike
Change:
*mangia pop corn*
Artur
Solid
Snake Abrams: *ruba pop corn*
Rachel
Barbra Berry: Mercedes, ti pregherei di
capire, Kurt non vuole seguirmi.
Mercedes
Jones: Chi vorrebbe seguirti, Rachel?
Quinn
era sicura del fatto che le facesse ancora uno strano effetto leggere
il nome
di Rachel. Non era chiaramente come leggere tutti gli altri nomi, aveva
qualcosa di diverso, lo sapeva. Era speciale.
Blaine
Anderson: Io gli ho detto che dovrebbe,
sono con te. Forse.
S.
Lo: i por favor ! Potreste smettere di
intasarmi la chat con tutte le vostre inutili e smielate conversazioni
da
amiconi del cuore?
Leggere
quel nome
le fece ancora più male, anche se non era
scritto per intero. Non poteva credere di essersi spostata dal prato
per non
pensare a Brittany e di essersi ritrovata Santana e Rachel su Facebook.
Sembrava quasi che l’universo ce l’avesse con lei.
L’unica sua consolazione era
che la bionda non sapesse usare la chat, quindi quantomeno avrebbe
evitato di
parlare con lei.
S.
Lo: almeno dite qualcosa di utile!
Perché
non organizziamo un’ultima cena tutti insieme con musica,
lacrime e tutte
quelle cose pallose che piacciono a voi sdolcinati!
Decise
che doveva uscire all’istante da quella conversazione. Chiuse
il social e
spense il computer a velocità della luce. E non che non
volesse andarci per
qualcosa, ma se doveva chiudere quel capitolo doloroso, non poteva
soffrirne
ancora. O forse – pensò – sarebbe stata
l’occasione giusta per dire
definitivamente addio alla sua vita liceale e mettersi in pace
l’anima. In
effetti, non era proprio la peggiore delle idee: certo, avrebbe fatto
male, ma
l’avrebbe aiutata a capire che, dopo mesi e mesi, non era
cambiato nulla e lei
continuava a non avere speranze. Sì, decise che avrebbe
controllato quei messaggi
per informarsi, ma, in quel preciso istante, l’unico
desiderio che aveva era
quello di infilarsi sotto le coperte e riposare la mente, fin troppo
stremata
dai pensieri sull’infanzia.
Ma
era tutto un’illusione perché, non appena si mise
sotto le lenzuola e poggiò la
testa sul cuscino, chiudendo gli occhi, un’altra riproduzione
quasi
cinematografica partì. E non appena quel ricordo si fece
spazio nel suo
cervello, si rese conto del fatto che sarebbe stato probabilmente molto
più
doloroso degli altri, che comunque non erano proprio il massimo.
Tentò di
scacciarlo via, battendo le palpebre, ma alla fine, quando i suoi occhi
si
chiusero stanchi, non poté fare a meno di perdersi in quel
ricordo.
Quella sera, i
genitori di Brittany avevano qualcosa da festeggiare – un
‘anniversario’ le
aveva detto sua madre, e lei non sapeva di preciso cosa fosse
– quindi sua
madre si era preoccupata di tenere Brittany e sua sorella come ospiti.
Suo
padre era fin troppo impegnato con chissà quale lavoro
impegnativo, e la sorellina
di Brittany era troppo piccola per voler davvero giocare con loro,
quindi sua
madre si impegnava a tenerla occupata al piano inferiore con i cartoni,
visto
che avrebbe potuto passare ore a bocca aperta a contemplare quelle
figure
colorate in movimento.
Lucy e Brittany
salirono al piano di sopra, già prontamente in pigiama, -
pigiamoni pesanti per
quella sera d’inverno – rincorrendosi per le scale,
stando comunque attente a
non cadere. Raggiunsero la camera di Lucy e si tuffarono sul letto:
nonostante
sua madre avesse insistito affinché Brittany potesse avere
tutta la stanza
degli ospiti a disposizione per sé, era ovvio che avrebbe
dormito insieme,
piuttosto.
“Che
facciamo?”
domandò Lucy, sedendosi a Buddha e portando le manine sulle
ginocchia. Brittany
si mise un indice sulle labbra, pensierosa.
“Non
lo so,” le
rispose, prima di far ruotare gli occhi, poi sembrò
illuminarsi, “perché non mi
racconti una storia?”
Lucy
arricciò le
labbra, poi sbuffò rumorosamente, non perché non
le piacesse l’idea ovviamente.
“Non
sono brava a
raccontare le storie” le rispose, quasi dispiaciuta,
“tu sei più brava!” le
fece presente visto che aveva una fantasia smisurata.
“Ma
io non voglio
raccontare una storia,” fece Brittany portando le braccia al
petto, “voglio
sentire una storia, prima di andare a dormire.”
Lucy
abbassò lo
sguardo, cercando di farsi venire in mente qualcosa: dal tono che aveva
usato
era certa del fatto che Brittany non si sarebbe addormentare senza
sentire la
sua storiella.
“Va
bene,” le fece,
cominciando a sedersi con la schiena contro il cuscino, Brittany si
stese con
la pancia sul materasso e le mani sotto il mento, in attesa della sua
storiella, “c’era una volta, …”
Alla fine non
poteva
dire di essere soddisfatta della storiella che le aveva raccontato, ma
non era
quello l’importante: l’importante era che piacesse
a Brittany e sembrava che le
piacesse sul serio perché un istante dopo aveva gattonato
verso di lei, alzando
le coperte.
“Ora
possiamo andare a
nanna!” fece, battendo le mani e infilandosi rapidamente
sotto le coperte. Lucy
la guardò confusa.
“Non
mi racconti la
tua storia?” domandò, imitandola però
all’istante. In effetti, cominciava a
sentire la stanchezza.
“Non
oggi,” le fece
Brittany, poggiando già la testa sul cuscino, e socchiudendo
gli occhi, “un
giorno forse.”
E dopo quelle
parole
si addormentarono entrambe. E Lucy non aveva idea di cosa significasse
quel ‘
non oggi’.
Quinn
dovette riaprire gli occhi e non seppe se era per la leggera fitta che
stava
provando al cuore o per quella improvvisa realizzazione: alla fine, non
aveva
mai sentito quella storia e, accortasene, probabilmente stava
già cominciando a
desiderare che gliela raccontasse. Ma non poteva perché
l’unica cosa che voleva
evitare era proprio quella: vederla, sentire la sua voce e tutti i
sentimenti
che ne conseguivano. Eppure era in evidente contraddizione col fatto
che aveva
deciso di chiudere quella questione una volta per tutte. Si
sforzò di prendere
una decisione definitiva ma aveva come l’impressione che quel
momento non
sarebbe mai arrivato. Passò una buona mezz’ora a
contemplare rischi e perché di
una scelta e dell’altra, ripetendoseli, analizzandoli con
cura. E comunque le
sembrava di essere troppo superficiale. Era una scelta così
complessa che i
suoi pensieri sfociavano continuamente in fase intermedia tra veglia e
sonno.
Quando
si rese conto del fatto che si stava lentamente addormentando decise
che doveva
giungere ad una conclusione, sbagliata o corretta che fosse. Se ne
sarebbe
assunta successivamente la responsabilità, pagandone le
eventuali conseguenze.
La cosa più importante per lei era prendere una strada, una
strada qualsiasi,
ma prenderla con decisione. Non aveva la lucidità necessaria
per pensarci
quindi si doveva semplicemente buttare in una di quelle due direzioni.
Cominciò
a battere le palpebre, rendendosi conto del fatto che ormai il sono la
stava
prendendo. La buttò lì, si concesse per
l’ultima volta quella domanda: ‘vado o
non vado?’
E
la risposta fu sì.
Era
visibilmente tesa, davanti a quello specchio. E nel momento stesso in
cui si
rese conto del fatto che era nervosa. Aveva passato un bel
po’ di tempo a
scegliere cosa mettersi, come farsi i capelli, e quello non era affatto
un buon
inizio. Ma si era ripromessa di prendere una decisione e di
affrontarne, in
ogni caso, le conseguenze. E Quinn Fabray non ritornava mai sui propri
passi.
Inconsciamente
aveva finito per indossare quel vestito bianco e rosa di San Valentino
e si era
resa conto del fatto che forse il suo inconscio lo aveva fatto per
ricordarsi
di Brittany e Santana. Insieme.
Probabilmente,
la sua mente l’aveva costretta ad indossare quello
perché voleva ricordarle
quanto ci aveva tenuto a cantare per loro a San Valentino, quanto ci
teneva che
le sue amiche fossero davvero felici, e che non doveva mettersi tra
loro. Per
quanto potesse far male, doveva guardare le loro scenette dolci col
sorriso
sulle labbra.
Se
lo impose.
Ma
non funzionò. Nel momento in cui mise piede nel BelGrissino,
si ritrovò Santana
e Brittany sedute al loro tavolo. Santana stava mantenendo le ciliegie
in mano
e la bionda si sporgeva in avanti per mangiarle. Era una scena
così dolce e la
costrinse a bloccarsi all’ingresso, con Mercedes e Sam che le
passavano
accanto, superandola.
Ma
era bloccata. Era bloccata perché stava rivivendo un altro
di quei momenti,
leggermente più recente.
“Quinn?”
domandò Brittany, sorpresa nel
vederla entrare in camera sua, ma felice. Scattò dal letto
verso di lei per
abbracciarla, entrambe con l’uniforme dei Cheerios addosso.
“Sono
venuta perché
tua madre mi ha detto che avevi bisogno di una mano con la
matematica,” le
fece, passandole accanto e sedendosi alla scrivania. Osservò
il piattino con la
frutta, accanto a lei.
“Solitamente
mi aiuta
Santana, ma ultimamente è sempre con Puck” rispose
Brittany, indicando le
ciliegie, notando che le stava osservando, “volevo usarle
nella puntata di
Fondue For Two per una nuova ricetta comprendente la fonduta e la
macedonia, ma
non ho trovato altra frutta nella piantina nel salotto, quindi
…”
Quinn
inarcò le
sopracciglia perché non era ancora abituata a tutto quello
che continuava a
dire. Da bambine forse, aveva senso. In fondo, avevano più o
meno la stessa
visione del mondo. Ma, in teoria, erano cresciute, quindi …
suonava un po’
strano, ed era dir poco.
“Beh,
credo che
dovremmo cominciare.”
Provò
a motivarla, ma
Brittany era già seduta accanto a lei e stava prendendo una
ciliegia. La
osservò attentamente mentre la sollevava da quel piattino
per portarla alle
labbra e staccarla dal grappolo. Distolse lo sguardo – a quei
tempi non sapeva
perché di preciso – e tornò alla
scrivania, prima di aprire uno di quei
cassetti che conosceva bene e tirarne fuori un quaderno.
Ma con la coda
dell’occhio, non poté fare a meno di notare che
Brittany stava buttando giù una
ciliegia dopo l’altra.
“Brittany,
credo che
dovremmo studiare,” le fece presente, voltandosi verso di
lei, “sai che se non
passi il test di matematica verrai bocciata, vero?”
Brittany fece
semplicemente spallucce, “non sono comunque abbastanza
intelligente per il
college, quindi non ha molto senso finire il liceo.”
Quinn si
voltò
totalmente verso di lei, anche con il corpo.
“Certo
che lo sei,
Brittany,” la corresse all’istante, guardandola
negli occhi, “sei fantasiosa,
non stupida.”
Brittany
spostò la
testa sul lato, incuriosita.
“Quindi
non verrò
bocciata? Ci tengo a fare il terzo anno con voi …”
mormorò, un po’ dispiaciuta
già al pensiero di non farcela.
“Lo
farai. Faremo il
terzo anno insieme. Dobbiamo soltanto deciderci ad aprire questo
libro” le
disse, indicandoglielo. Brittany sorrise e allungò il
braccio, raggiungendolo.
Lo tirò giù sulla scrivania e lo aprì.
E Quinn dedusse
che
stavano cominciando davvero male, perché dovette distendere
il braccio per
girare il libro, visto che lo aveva aperto sottosopra. Ebbe
all’instante la
sensazione che si sarebbe trattato di una missione, ma dovevano
farcela. Ce
l’avrebbero fatta. Non esisteva che osassero bocciare
Brittany. Prima di tutto,
era nei Cheerios, e la coach Sylvester non lo avrebbe mai permesso.
“Cominciamo?”
domandò
sorridendole, anche se, in fondo, sapeva che sarebbe stato un compito
poco
felice e rilassante. Una guerra.
Ma
alla fine ce l’avevano fatta. Ed era decisamente triste di
non poter dire la
stessa cosa di quell’ultimo anno. Non aveva idea del
perché Brittany non avesse
chiesto nessun tipo di aiuto per il senior year, ma di certo le
dispiaceva che
fosse stata bocciata. Ed era lì con Santana e presto, almeno
fisicamente, si
sarebbero separate.
Quinn
non esitò ulteriormente, perché le
sembrò di star bloccando già abbastanza
l’ingresso. Camminò fermamente, fingendo che tutto
andasse bene, fingendo come
era abituata a fare da un bel po’ in realtà. Si
avvicinò a loro, col sorriso
sulle labbra. E Brittany le rivolse subito un sorriso dolce che la
uccise.
“Hey!”
fece Santana, indicandole il posto a sedere accanto a lei. Per un
istante,
Quinn pensò che fosse troppo, pensò che non
poteva stare seduta di fronte a
loro. Poi si ricordò cosa si era ripromessa e non voleva in
alcun modo essere
debole o magari fargli pensare che potesse esserci qualcosa che non
andava.
Quindi sorrise semplicemente e si fece spazio, sedendosi accanto a
Santana e di
fronte a Brittany. Un istante dopo, la ragazza di Santana fu affianca
da Sugar.
Sì, doveva ammettere che era un tavolo piuttosto bizzarro.
“Non
sei al tavolo con l’elfo dei boschi?”
domandò Santana, un po’ pungente, ma
Sugar non sembrò darle molto corda.
“Non
pensavo fosse una serata per coppiette,” si
affrettò a rispondere comunque,
“pensavo dovessimo stare tutti insieme!”
Santana
fece una smorfia, quasi prendendolo come un riferimento personale al
fatto che
lei e Brittany si stavano tenendo per mano sulla tavola. Ma non lo era,
in
realtà.
“Pensavo
ci fossero i clown, Santana mi ha detto che c’è il
migliore dei pagliacci
esistenti!” si lamentò Brittany, e Sugar e Quinn
guardarono confuse l’ispanica
che però si voltò verso la porta che si stava
aprendo.
“Eccolo,
infatti,” fece, puntando l’indice in maniera
neanche poco discreta in direzione
di Blaine, che però filò dritto verso il tavolo
di Rachel, Puck e Finn,
fingendo di non notare che lo stava indicando.
Sì,
perché avevano notato tutti che da quando lui e Kurt non
stavano più insieme,
Santana aveva smesso di essere gentile con lui e aveva tirato fuori
tutti gli
insulti che si era segnata nei mesi precedenti.
“Volevo
un pagliaccio vero!” si lamentò Brittany,
arricciando le labbra in maniera
tenera. E Quinn avrebbe voluto morire a quella visione
perché sapeva che non
avrebbe avuto più possibilità di toccare quelle
labbra. Non poteva fare a meno
di soffrire alla visione di quel rosa morbido che si espandeva sul suo
volto
con naturalezza. Poteva soltanto contemplarlo da lontano.
“Allora,
Quinn,” fece Santana, voltandosi verso di lei ed
interrompendo quell’afflusso
gravoso di pensieri che era un bene interrompere. Anche se, il fatto
che fosse
proprio la voce di Santana a farlo non era molto d’aiuto. Per
un istante si
chiese se non fosse la sua coscienza ad aver assunto improvvisamente il
tono
dell’ispanica, “come te la passi?”
Guardò
le tre ragazze che aspettava una risposta curiosa e seppe che aveva
scritto in
volto che non era felice. Ma non poteva essere felice perché
aveva seduta di
fronte a lei la ragazza che desiderava che voleva sapere se andava
tutto bene e
lei non poteva dirle che non andava tutto bene a causa sua e di quello
che
aveva paura di provare per lei.
Deglutì
lentamente, pensando che non esisteva nessuna buona ragione al mondo
per
lasciarsi andare alla vera risposta a quella domanda.
“Sto
bene” ed era la più grande bugia del mondo
perché ogni singola particella del
suo corpo ancora più confuso dopo quella serata, stava
tentando di dirle che
non avrebbe sopportato ancora a lungo quella tortura,
“è solo un po’ di
stanchezza, sto preparando i seminari e sono un vero stress.”
Sentì
che doveva giustificarsi perché il suo pessimo umore
purtroppo aveva preso la
meglio. Non poteva nasconderlo, ma al massimo mascherarlo e confonderlo
con la
stanchezza.
“I
seminari sono i binari che imboccano i semi?”
domandò improvvisamente Brittany,
strappandole un sorriso immediato perché non riusciva a
cambiare mai, perché
non riusciva ad essere nulla di diverso da quello che era sempre stata.
E
Quinn ricordava esattamente quella passione che aveva quando era
bambina,
quella passione per i semi di girasole.
Con
la coda dell’occhio fu certa di aver scorto Santana guardarla
in modo strano.
Perché a Santana Lopez non sfuggiva nulla, soprattutto se
riguardava Brittany,
figurarsi quel sorrisetto ad occhi sognanti. Non che importasse molto,
in
fondo, perché Brittany apparteneva inevitabilmente a lei, e
non esisteva alcuna
possibilità che le cose cambiassero.
RenoCorner
Okay, ho fatto una cosa un po'
più triste e meno ship, ma è un po' come il primo
giorno della Faberry Week, non volevo farle tutte con gli stessi
finali. Spero voi abbiate gradito lo stesso <3
Grazie mille <3
xoxo RenoLover <3
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