Mi sento ispirata in questi
giorni, e sono felice di essere riuscita a concludere questa storia.
L'avevo stesa un po' di tempo fa, ma poi tra impegni vari e mancanza di
ispirazione l'avevo abbandonata. Ora, finalmente, sono riuscita a
concluderla e spero vi possa piacere. E' semplice e senza troppe
pretese :)
Vi ringrazio per
l'attenzione, e buona lettura!
hibou.
Dinosauro
Il piede tamburellava a ritmo di musica risultando attutito contro
il materasso. Ad occhi chiusi sorrideva e canticchiava, agitando la
testa
sorretta dalle braccia in un balletto stentato, accompagnato dal suono
ovattato
e incalzante che prorompeva dalle grandi cuffie che gli adornavano il
capo.
Fu così che
lo vide la bambina che, aperta la porta con
delicatezza, sbirciava all’interno della stanza coprendosi la
bocca con le mani
per trattenere le risa. Un acuto del ragazzo la fecero vacillare
all’indietro e
fu sul punto di ritirarsi, ma quel divertimento gratuito era troppo
spassoso e
impossibile da rinunciarci. Si avvicinò furtivamente e si
tappò le orecchie all’ennesimo
canto lamentoso e, con rapidità e forza, sfilò il
cuscino da sotto la testa del
ragazzo, costringendolo ad aprire gli occhi disturbato e comprimere le
labbra
in una smorfia contrariata. Non fece tempo a dare aria al suo fastidio
che si
ritrovò a dover lottare e respirare contro il guanciale che
inaspettatamente gli
era piombato sul viso. Riuscì a liberarsene poco dopo con un
ringhio,
riapparendo con i capelli scompigliati e le cuffie mezze calate sul
collo.
Individuò
l’importunato individuo che se la rideva di gusto e,
strinse un pugno assottigliando gli occhi.
“Pan!”
gridò allungando una mano e cercando di afferrarla, al che
la bimba scivolò di lato scappando dalla sua ira.
Ne seguì un
piccolo inseguimento che si concluse con la sfinita
sconfitta del ragazzo che, abbandonata la speranza di allontanarla
dalla stanza
e continuare il proprio momento ristoratore, si stese spossato sul
letto,
guardando la nipote di sottecchi.
La bimba lo guardava
sorridente seduta in ginocchio a terra, con
il busto alto e le braccia incrociate poggiate sul materasso al fianco
di lui.
“Che
vuoi?” chiese spazientito dal suo sguardo penetrante,
voltandosi di lato e guardandola dritta negli occhi. Un sorriso gli
sfuggì
dalle labbra nel fissare quello della bambina: non gli riusciva proprio
ad
arrabbiarsi con lei.
“Zio Goten
ti va di giocare con me?” chiese inclinando la testina
da un lato.
Il ragazzo
sospirò: “E a cosa vorresti giocare?”
La bambina
poggiò un ditino pensante sulle labbra, arricciandole
in una smorfia buffa.
“Tu che
giochi hai?”
Goten
ridacchiò, scompigliandole i capelli arruffati e mettendosi
a sedere al centro del letto.
“Non ho
più giocattoli in camera, sono troppo grande per queste
cose.”
Pan
incrociò le braccia in petto, seccata. Si guardò
attorno
attentamente e di colpo avvistò sopra una mensola un oggetto
che le fece
aggrottare le sopracciglia e assumere un cipiglio indignato.
“Sei un
bugiardo!” urlò al giovane zio, che la
guardò confuso; “Se
non volevi giocare con me dovevi dirlo subito!”
“Ma che stai
dicendo?” chiese il giovane puntando i gomiti.
La bimba si
alzò in piedi e si arrampicò sopra la scrivania
in
fondo alla stanza, afferrando poi dalla mensola ciò che
aveva catturato la sua
attenzione.
Scese e si sedette al
centro del letto, allungando le braccia e
mostrandogli ciò che aveva trovato: “E dimmi
questo cos’è?”
Goten fissò
il pupazzo apparso davanti a se e sorrise, prendendolo
tra le proprie mani.
“E’
un giocattolo! Vedi? Mi hai mentito!” continuò il
suo
sproloquio la bambina, offesa.
“Mi ero
dimenticato di averlo” mormorò piano Goten,
rigirandolo e
osservandolo da tutte le angolazioni. Il colore era leggermente
sbiadito e il
pelo più ispido; erano passati tanti anni, e la povera
creatura aveva perso
persino un occhio.
“Questo non
è un giocattolo, Pan” sussurrò con gli
occhi accessi
dall’emozione. La nipote gli rivolse la propria attenzione e
lo fissò scettica.
“E cosa
sarebbe allora?”
“È
un premio”
Completamente
immerso nel baule, Goten estraeva ed esaminava con attenzione ogni
giocattolo
che gli capitava a tiro, lanciando poi incurante alle sue spalle. Il
padrone di
casa fissava la scena steso sul letto con fare annoiato, le gambe
incrociate e
le mani a reggergli il capo.
Sbuffò
nel
vedere l’ennesimo giocattolo essere scartato e volare contro
il muro alle
spalle dell’amico, mentre un cipiglio infastidito gli
ombrò il viso.
“Insomma
Goten, vuoi darti una mossa?” chiese spazientito.
Il
piccolo
Son rivelò la testolina arruffata, addolcendo gli occhi e
svelando un sorriso
imbarazzato: “Scusami Trunks, ma hai talmente tanti giochi
che non so davvero
decidermi!”
Il
primogenito Brief alzò gli occhi al cielo, maledicendo la
promessa fatta
durante il torneo Tenkaichi di regalare un proprio giocattolo
all’amico.
Goten,
svuotato il baule, camminò al centro della stanza,
guardandosi attentamente
intorno, mentre Trunks, stufo, sbuffava e chiudeva gli occhi voltando
il viso
di lato.
Possibile
che l’amico non sapesse decidersi?
Passò
qualche secondo di silenzio, ognuno concentrato nella propria ricerca e
nei
propri pensieri, quando un’esclamazione di gioia
indispettirono Trunks costringendolo
a svelare l’azzurro del suo sguardo e girarsi verso
l’altro bimbo.
Goten
si
era avvicinato, le braccia tese in avanti a reggere un dinosauro
pupazzo:
“Voglio questo!”
“No!”
esclamò di getto l’amico, mettendosi a sedere e
puntando le braccia al
materasso.
Vedendo
il
faccino contrariato del suo interlocutore, deglutì e si
affrettò a spiegare:
“Si, cioè, Goten... ci sono tanti altri giocattoli
molto più tecnologici di
questo e che, sono sicuro, possono piacerti di più rispetto
a...”
“Voglio
questo!” esclamò il secondogenito Son,
rivolgendogli uno sguardo accigliato e fissando
quello perplesso dell’altro; “Trunks, avevi
promesso che avrei potuto prendere
quello che volevo!” ne risentì.
Il
giovane
Brief sbuffò, fissando attentamente l’amico e
quello che era il proprio
giocattolo preferito, prendendolo tra le mani e rigirandolo tra
sé. Glielo
aveva regalato suo nonno quando ancora era in fasce e da allora non se
ne era
più separato.
Intercettando
lo scetticismo di Trunks, Goten puntò i gomiti stringendo i
pugni: “Insomma hai
tutto i giocattoli che vuoi, hai vinto il torneo di arti marziali! Cosa
te ne
fai di questo vecchio dinosauro?” frignò,
stringendosi tra le spalle; “se
proprio non vuoi darmelo, la prossima volta non prendere più
impegni che non
puoi mantenere”
Il
ragazzino chinò la testa e sembrò rifletterci su;
alla fine, con
determinazione, incrociò il proprio sguardo cristallino con
quello buio e dolce
dell’inseparabile compagno di avventure e gli porse il
pupazzo.
“Tieni”
mormorò, sorridente.
Il
piccolo
Son sbatté gli occhi sorpreso e si aprì, poi, in
un largo sorriso.
“Questo
è
il tuo premio”
“Il
mio
premio?” chiese confuso.
Trunks
annuì: “Se non avessi imbrogliato, a
quest’ora saresti potuto essere tu il
vincitore del torneo. Ti aspetta un trofeo”
Si
guardarono negli occhi, emozionati e felici. Goten afferrò
il dinosauro
impacciato e timido, ringraziandolo.
“Sarà
come
se fossi sempre con me” sorrise il bambino.
Trunks
annuì e abbassò lo sguardo imbarazzato. Ben
presto, però, tornò a guardarlo con
ritrovata determinazione, accigliandosi e fissandolo con
severità.
“Guai
a
te, Goten, se lo tratti male! Se scopro che ne hai rotto solo un pezzo
vengo a
cercarti e te ne do di santa ragione!”
Pan ascoltò
il racconto con la boccuccia aperta, pendendo dalle
labbra dello zio.
“Tutto
qua” finì Goten, giocherellando con la cucitura
che, ora,
sostituiva il buco che una volta era occupato dall’occhio del
dinosauro.
La bambina
seguì i suoi movimenti con lo sguardo e si perse nei
propri pensieri. Alla fine, riprese il pupazzo tra le mani e,
sorridendo
furbescamente, un dito davanti le labbra inducendo al silenzio,
mormorò: “Meglio
non dire a zio Trunks che, alla
fine,
hai rotto il suo pupazzo. Non voglio vederti perdere
nuovamente!”
E, scoppiando a ridere,
scappò dalle mani e dai richiami del
ragazzo che, falsamente indignato, scattò ad afferrarla,
iniziando una nuova
rincorsa che, probabilmente, non lo avrebbe visto vincitore per
l’ennesima
volta.
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