Titolo:
Nightmares don’t belong to sleepers
Autrice: Mewsana a.k.a. L.A.D.L.
Summary: […] e la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d’un
tratto, esplode. […]
(A. Baricco, Oceano Mare)
Hermione e Draco si scontrano, una notte. E,
d’improvviso, esplodono.
Pairing: Draco/Hermione
Raiting: PG13
Advises:
One-shot, Dial-fic, OOC
Disclaimers: non posseggo
e non ho creato Harry Potter, che è un universo frutto della fantasia di
J.K.Rowling. Altrimenti Harry sarebbe già morto, e con grandi sofferenze. La ff
non è a scopo di lucro.
Nightmares don’t belong to sleepers
Capitolo Unico
Esplosione
Hogwarts
era un ricettacolo di pazzi furiosi, di animali, di
ladri.
Ma
specialmente, prima di ogni cosa, era un grumo
indistinto di perdenti: non che Hermione Granger si sentisse proprio abituale
di quella categoria, ma a volte vi provava una strana sensazione di
appartenenza.
Guardarsi i piedi con la testa oltremodo ripiegata verso il corpo e le
labbra tese dalla voglia di piangere.
Come in
quel momento.
- Allora,
Granger, pensi di ribattere o preferisci rimanere vergognosamente zitta? –
Draco
Malfoy era nato ricco e borioso, classe Slytherin fino
al midollo. Il prototipo di Salazar Slytherin fatto e finito,
solo un po’ più giovane e un po’ meno rincretinito.
Ma, a
conti fatti, sempre da quelle parti si girava. Anche
adesso che la guardava dalla sua postazione privilegiata, appoggiato ad una
colonna di pietra, vicino all’aula di Pozioni, c’era qualcosa di assolutamente
superiore nel suo sorriso distorto.
- Pensavo avresti detto qualcosa in più. Perseveri nel tuo
silenzio? –
Delle
gocce di condensa cadevano ritmicamente vicino al suo piede destro,
accumulandosi poi in una piccola pozza fra la crepe
del pavimento.
Lei pensò
che doveva guardare quelle e solo quelle. Non doveva
distrarsi perché altrimenti altre gocce sarebbero cadute e
lei
non poteva permetterselo.
- Ti prego vai via. – la sua voce non stava
tremando troppo, si disse, come unica concessione al suo orgoglio
trafitto da spine.
[dov’è il tuo orgoglio da Grifone, Hermione?]
- Vai via.
– un’altra supplica che scivolò sulle sue labbra
secche.
Nessuno
rispose alle sue richieste.
Quando
finalmente lei si decise ad alzare gli occhi, era sola.
Rientrando
nella Sala Comune aveva scorto con un’occhiata Ron e la sua nuova fiamma di Ravenclaw.
Cercò di non pensarci e superò il quadro, velocemente. Un clima estremamente caldo l’accolse, facendola boccheggiare.
- Herm,
meno male! –
Harry le si avvicinò. Aveva indosso solo i pantaloni. – Proprio te cercavo, sai, per quel… -
- Scusami
Harry ma proprio non posso. – in meno di cinque secondi aveva ripreso il buco
del ritratto.
-
…incantesimo da annullare. – la voce del moro si perse nel nulla.
Sospirando,
meditò di togliersi tutto quello che gli era rimasto.
Non aveva
potuto farci niente.
Vedere Harry appena dopo essere stata nuovamente maltrattata da Malfoy
era qualcosa che superava le sue capacità di sopportazione. Detestava mentire ad Harry.
Detestava
mentire a se stessa. Ma non poteva farne a meno.
Dentro di
sé la buffa convinzione di essere forte e coraggiosa
persisteva, forse sostenuta da ricordi baldanzosi ed ormai vecchi.
Guardo
l’orologio. Le due di notte: forse poteva tornare al dormitorio.
Nuovamente
l’accolse quella temperatura calda e secca.
E un
pensiero le passò per la mente.
[Non ho annullato l’incantesimo del
fuoco permanente. Oggi era una giornata calda e io non l’ho bloccato]
Poi un
altro pensiero vigliacco, che aveva aspettato giorni per riesplodere
dentro la sua testa.
[- Herm, perché non usciamo? –
- Dopo Ron, devo
studiare. -]
Harry
aveva cercato di farle togliere l’incantesimo.
Ron aveva
cercato di coinvolgerla nella loro – supposta – relazione.
E lei,
dov’era?
Forse per
il caldo un conato di vomito le avvolse lo stomaco e
la costrinse a scappare nuovamente da quella che lei non considerava più la sua
casa.
Il
silenzio pesante e grave della biblioteca l’accolse nelle sue braccia nel modo
che gli era consono – senza dire nulla quando voleva
dire molto, troppo – ed Hermione fu grata per quel temporaneo stacco dalla
realtà quotidiana.
Ma dopo
soli due minuti, per quanto si sforzasse
disperatamente di non sentire quel eco pressante che l’assenza di suoni
richiamava in lei fu costretta ad alzarsi e a camminare, nel disperato e vano
tentativo di distrarsi.
Inutile:
la voce chiara e distinta di Draco Malfoy, per quanto sempre monocromatica, le
risuonava costantemente in testa con l’accento sgradevole cui lei era solita
attribuirle.
Non che avesse mai prestato particolare attenzione al tono di quella
voce ma l’aveva subito catalogata, con la solita arroganza che i bambini di 11
anni sono soliti mostrare, raschiante e sgradevole.
Ma era
abbastanza intuitivo che, quando si detesta qualcuno, non c’è
nulla di più facile che trasformarlo nel mostro cattivo con vizi e difetti.
Così i capelli biondi di Malfoy erano ispidi e secchi, i suoi occhi volgare
acqua sciacquata, la piega delle sue labbra irrilevante.
Hermione,
ogni volta che lo incontrava, non lo osservava veramente: badava all’immagine
che la sua stessa mente aveva costruito ad opera d’arte per ingannarla.
Sbatté la
testa contro una mensola eccessivamente bassa e questo fu
sufficiente per farle riprendere possesso dei suoi pensieri. Toccò la costola
di un vecchio libro, saggiandone la consistenza.
Ruvida, la
carta si raggrinzì al passaggio delle sue dita e si distese subito dopo, docile
e mansueta. La Gryffindor
sospirò, avvilita. Prese il libro in mano, quasi crollando sotto il suo peso, e
lo fece quindi precipitare su un tavolo lì vicino. La copertina in pelle unta aveva un che di magico, tanto forte era il suo
richiamo.
La ragazza
scosse la testa.
I libri
erano quelli che l’avevano tenuta lontana dai suoi amici e dal suo ragazzo.
Ma la
verità, quella che lei credeva di tacere ad Harry, era
in realtà molto più misera: i libri, al contrario degli umani, non giudicavano.
I libri non deridevano, come era invece uso di Malfoy.
- Granger…
-
La voce
era flautata e calda e Hermione subito si voltò al suo richiamo, abbandonando
il libro a sé stesso, una pagina gialla chiusa fra le
dita, come un legame ancora da recidere.
[Se i suoi occhi sono acqua
sciacquata, voglio bere quel acqua]
I due si
fissarono silenziosi per qualche istante, poi lei chiuse frettolosamente il
libro, lo ripose sulla mensola e sorpassandolo velocemente, sibilò a mo di
saluto – Malfoy. –
- Granger,
quanta fretta. – il suo bracco intorno alla vita la trattenne. Contro la sua
volontà, ma la trattenne. Lei non si arrischiò ad alzare gli occhi dal livello
del suolo, per paura di vedere ancora quel sorriso di scherno che troppo spesso
gli solcava le labbra.
Non dopo quel pensiero, non dopo averlo visto, affaticata dal sonno.
Non dopo
averlo trovato
[Lui è bello]
attraente,
in una qual perversa maniera.
- Scappi
dal sonno, Granger? – la voce era tornata stridula, pallida eco di quel
richiamo flautato che aveva creduto di udire.
- No. –
Fremito nel suo corpo, come una piccola risata. – Scappi dagli incubi, allora. –
Lei si
divincolò dalla sua stretta, schiaffeggiandolo per sbaglio sul labbro. Spalancò
gli occhi scuri. – Scusami. –
Passò
qualche secondo, un tempo che ad Hermione parve
dilatarsi fino a raggiungere l’eternità di un secolo.
Malfoy non
diceva nulla. Il braccio gli era scivolato lungo la
linea naturale del corpo, il labbro offeso era stato lasciato lì, a penzolare
come un moncherino stagnante e i suoi occhi vagavano distrattamente da Hermione
alla biblioteca dietro di lei.
- Malfoy?
–
- Mi… -
La Gryffindor alzò gli occhi al cielo. – Ti ho
schiaffeggiato Malfoy, oltretutto per sbaglio.
Pensi di poter sopravvivere al contatto? –
- Non…
perché… -
- Ho
sbagliato, volevo solo che ti togliessi di torno.
Scusa tanto. – ribadì secca, scostandosi nuovamente da
lui. Le pareva un cucciolo, abbandonato lì a farfugliare da solo, una pallida
immagine dell’arrogante che lui conosceva.
Quella
visione, sebbene si rifiutasse di ammetterlo, l’aveva scossa: qualcosa non
combaciava con la sua immagine di
Draco Malfoy, che aveva pazientemente costruito in sette anni di soprusi.
Alzò le
spalle e si diresse verso l’uscita. Di problemi ne aveva
già abbastanza senza accollarsi anche quelli dello Slytherin.
Fu solo quando la porta secondaria le si fu quasi chiusa dietro
alle spalle che sentì di nuovo quella voce strana richiamarla, facendola
fermare. Gettò un’occhiata dentro al salone
principale, un sopracciglio cortesemente inclinato come un invito a proseguire.
- Granger
tu… mi hai chiesto scusa. –
Un’altra pausa, tempo che l’eco della frase precedente andasse
spegnendosi.
- Perché l’hai fatto? –
Di nuovo quegli occhi troppo grigi e quei capelli troppo morbidi.
Hermione
gridò e, strattonando la porta con forza per chiuderla, cominciò a correre nel
corridoio.
Le due e
quaranta della notte.
Dopo
minuti di corsa sfrenata in cui non sapeva come avesse evitato di essere
scoperta dalla gatta di Gazza, la mora trovò il coraggio di fermarsi per
riprendere fiato. Il cuore saltellava ancora per il petto con indecorosa
autosufficienza, lasciando la povera ragazza inebetita e stranamente confusa.
Senza
badare troppo ai convenevoli si lasciò andare contro il muro di pietra. Gemette quando sentì gli spigoli vivi della roccia premerle
contro la schiena, ma troppo esausta per fare altro, continuò a scivolare nella
sua rovinosa caduta.
Non poteva
crederci.
Era corsa
via urlando.
Probabilmente
il biondastro ne avrebbe tratto materiale sufficiente
per tutto il prossimo quadrimestre.
La codarda
paura di nuove e sempre più crudeli prese in giro le fece salire le lacrime
agli occhi, senza che lei potesse fare nulla per controllarsi.
Il suo
orgoglio, rinchiuso in chissà quale gabbia lontana, ruggiva come un micio
intirizzito, sempre con minore convinzione.
Non voleva
tornare al dormitorio ma aveva bisogno di un posto
dove sedersi.
Fortuna o
sfortuna che fosse, l’arazzo di Barnaba sventolò
davanti a lei, mosso da un impercettibile alito di vento. Lei sospirò
sollevata: la Stanza
delle Necessità.
Si alzò e
barcollò fino alla porta.
[E se c’è qualcuno dentro, lo faccio
scappare minacciando punizioni. Sono una Caposcuola, dopotutto]
Effettivamente
la stanza era occupata.
Ma di
certo, quella era l’ultima persona che si aspettava di incontrare.
“Scappi dagli incubi, allora.”
[Sei tu, il mio incubo. Chiudi gli
occhi e non aprirli. Sono loro, il
mio incubo.]
- Malfoy?
–
Pareva essersi ripreso dal momentaneo attacco di smarrimento, pensò lei. Per fortuna, si ritrovò a
commentare, sempre mentalmente, qualche attimo dopo.
Non
credeva che avrebbe retto un istante di più alla visione di Malfoy ridotto ad
un fantoccio.
Lui tirò
un sorrisino di scherno e mosse la testa a mo di saluto. –
Chi si rivede Granger. Non riesci a dormire? Da quel
che mi hanno raccontato, Weasel la notte russa parecchio.
-
Hermione
sentì l’antica collera premerle dentro le vene e colorarle le guance. – Come ti
permetti? Io non sono la ragazza di Ronald! –
Il biondo
fece spallucce. – Non più, per lo meno. –
Lei
sfoderò la bacchetta, puntandola dritta verso la sua testa. Non capiva più
niente. Era stanca, infreddolita e estremamente
suscettibile. L’ultima di Malfoy, poi, era stata la famosa goccia che faceva
traboccare il vaso.
Con un
movimento fermo del polso spianò l’aria davanti a lei. – Bada,
Malfoy, non sono particolarmente incline al riso, questa sera. –
L’altro
parve ignorare la bacchetta e i suoi movimenti. Guardava fisso davanti a lui,
le spalle cadenti e alcune ciocche davanti agli occhi. – Troppi incubi, per
dormire? –
- Non sono
affari tuoi. –
- Granger…
-
Lei alzò
gli occhi, ritirando la bacchetta. – Si. –
- Perché mi hai chiesto scusa, prima? –
- Perché ti avevo colpito. E quando si fa del male ad una
persona, di solito si chiede scusa. Nulla a che vedere con te e il tuo modo di
comportarti, mi pare. –
Malfoy
alzò gli occhi su di lei, di nuovo perso in chissà quale angolo della sua
mente. – Però mi hai chiesto scusa. Anche
se mi odi. –
L’ultima
parola le parve risuonare eccessivamente violenta nell’aria, ma dovette
ricredersi e pensare al fatto che, effettivamente, era proprio così: Hermione
Granger odiava Draco Malfoy.
Non aveva
mai avuto motivo d’amarlo, d’altro canto.
- Ti ho
chiesto scusa per averti colpito. Non ti ho chiesto scusa per essere una lurida
mudblood, o per la Casa
a cui appartengo. –
- Mi
sembra logico. –
Il
silenzio che era solito cadere tra due troppo carichi di pensieri
li cullò per qualche istante, caldo.
- Però, Granger, non è che abbia molto senso. –
Hermione
sbuffò avvilita, chinando il capo verso il basso. Inarcò un sopracciglio. –
Malfoy, dimmi cosa vuoi e sparisci. –
- Voglio
capire perché… -
Scosse
anche lui la testa.
- Senti
Granger, o mi rispondi o te ne vai. Se
devi solo fare domande, sparisci! –
Lei sentì
scioccamente una piccola delusione formarsi in mezzo alla sua gola. Non che ci
tenesse particolarmente ad instaurare un legame di amicizia
con Malfoy, beninteso, ma quella situazione le era parsa così strana da
sembrare quasi divertente, per certi versi.
Ma era
chiaro che era solo un’illusione.
Girò
nuovamente i tacchi e uscì dalla Stanza.
[La stanza era piena di foto vuote. Perché Malfoy voleva delle foto bianche…?]
Di nuovo
l’impulso di correre.
Per la
seconda volta in un’ora, la ragazza fuggì via.
Sempre più
veloce, sempre più lontano.
Quando si
decise ad entrare nell’aula di Pozioni erano le tre e
venti del mattino e lei era più sveglia di quando aveva cominciato a vagare.
Appoggiò tutto il suo peso sul primo bancone alla sua destra, quasi come il
corpo non fosse veramente suo, ma solo un addobbo
attaccato alla mente.
Poche ore
prima aveva riso sfacciatamente di fronte allo scoppio del calderone di Pansy Parkinson e alla sua faccia seminata di grossi
bubboni in rapida via d’espansione.
Ma
quando poi Theodore Nott aveva gioito dell’esplosione di quello di Neville, lei
si era sentita improvvisamente schiacciare dal peso di quella risata. Chissà
come si era sentita faccia di Carlino dopo la sua ghignata Gryffindor.
Era stata
una risata cattiva.
Esattamente
come si sentiva lei ogni qual volta che Malfoy rideva dopo aver sparato
l’ennesimo insulto gratuito, pensò lei.
Un secondo
dopo si era resa conto del fatto che erano tutti incatenati in un gioco di
ruolo più grande di loro, con regole vecchie di anni,
dettate da persone lontane e d’immagini sbiadite.
E lei,
che ostentava tutto quel bagaglio Gryffindor, si era lasciata trasportare, come
una qualsiasi.
Combattersi come cani aizzati da padroni dai visi scuri ed
indistinguibili, mordersi alla gola per rancori dettati da parole, scontrarsi
per fatti
ammuffiti e sepolti nelle memorie.
Uccidersi
per delle scelte che loro non avevano mai fatto.
Ecco
perché aveva chiesto scusa a Malfoy.
Ecco perché
avrebbe continuato a farlo.
Non per il
gesto, quanto per il significato che stava dietro di esso.
Scusami,
perché non sono io che agisco. Non sono io che ti picchio.
Non sono
io.
Sono loro.
Mossa da
una furia quasi improvvisa e sorda, si alzò di scatto dal bancone e si gettò in
avanti.
Doveva
tornare alla Stanza delle Necessità. Doveva urlargli quello che aveva pensato.
Quando
però aperse la porta, fu costretta a bloccarsi per non scontrarsi contro quel
corpo che più di una volta aveva desiderato di vedere dilaniato dalle fauci di
un Ippogrifo.
- Malfoy!
– urlò sorpresa.
Lui, come
se nulla fosse successo, portò lo sguardo dai banchi a lei, sempre assente. –
Granger, diamine… troppi incubi, suppongo. –
Lei storse
il naso. Pareva che il biondo avesse un’ossessione per i suoi sogni, in
particolar modo per quelli funesti.
- Malfoy,
non sei stato tu a prendermi in giro, per tutti questi anni. –
Lui la
guardò stralunato. Finalmente pareva prestare attenzione al discorso. – Ah no?
–
- No! –
disse lei saltellando. – Non capisci, sono loro che ci comandano! È per questo che dovremmo chiedere scusa! Perché non abbiamo
abbastanza forza per liberarci da quello che ci è
stato costruito intorno. –
Lui lasciò
che il suo labbro superiore si stringesse in una piccola smorfia. – Io non ti
chiederò mai scusa. –
Hermione
annuì, apparentemente certa di quel dettaglio. – Questo lo so.
Ma io non avrò mai più paura di te, Malfoy, capisci?!
Non avrò paura di te perché non è di te,
che devo aver paura! –
- Granger…
e di chi diamine, allora? –
- Ma di loro! Dei fondatori, di quelli che
hanno creato il mondo intorno a noi. Sono solo ricordi, Draco! –
Quel
silenzio ormai abituale cadde di nuovo fra di loro.
Hermione si lasciò andare contro un banco, sfinita, grondante di sudore per quel
pensiero che pareva averla elettrizzata. Sorrise.
- Non mi
chiami mai per nome. –
La ragazza
boccheggiò.
- Ciò non
toglie, Granger, che io ti offenda lo stesso. Forse
non sarò io, ma è quello che sono. –
Trattenne
il fiato.
- E, in definitiva, non cambia nulla. –
Hermione
lo fissò con occhi sgomenti e terrorizzati,
boccheggiando affranta. – Io… -
Di nuovo,
un senso di terrore la prese.
Hermione
fuggì via.
Scappava
da un destino che, bene o male, non avrebbe mai rinunciato ad inseguirla.
Cinque
minuti dopo, abbandonata su una tavolata – forse quella Ravenclaw – della Sala
Grande, aveva già trovato un intoppo al pensiero che tanto l’aveva presa in
precedenza.
Se era
vero che dietro alle manovre meschine di ogni persona
stava un’immagine riflessa, un’ideale imposto, che ruolo giocava la mente del
singolo? E lei, avrebbe potuto mai passare la vita a
perdonare persone che uccidevano, convinta della loro celata buonafede?
No, aveva
ragione Malfoy. Ognuno aveva una parte di responsabilità in quello che faceva.
Pensò alle
giornate passate nel suo studio, rinchiusa tra muri di carta che l’isolavano
dal mondo con la stessa tenacia di quelli di piombo, e che forse erano solo
l’ultima definitiva barriera che la sua mente – troppo fragile, troppo emotiva
– aveva cercato di porre a difesa dei suoi sentimenti.
Hermione
non avrebbe mai voluto avere un ragazzo.
Ma le
sue amiche volevano che lei lo avesse.
E
così, si era affezionata a Ronald, per poi venir solamente delusa.
Da lui. E da se stessa.
La storia
era sempre inquietantemente la stessa: lei non voleva, le altre insistevano,
lei sbuffava, metteva tutta se stessa nell’impresa e poi ne era
inevitabilmente delusa.
Hermione
pensava, ma non pensava per sé. Ed
era stanca.
Ed era
una cosa sciocca, banale, priva di senso. Avrebbe voluto
rimanere estranea a quel che faceva ma inevitabilmente non vi riusciva.
Avrebbe
voluto non vedere gli occhi di Malfoy così scuri e tristi, quella sera, ma non aveva potuto farne a meno. Non aveva potuto fare a meno di
quello sguardo che in un istante aveva saputo identificare come il suo.
- Ti ho detto che da piccolo, sognavo il momento dello Smistamento?
–
Non disse
una parola. Non sapeva quando fosse arrivato. Il
ragazzo non la guardava, e avanzava impettito nel corridoio centrale, il naso
piantato verso il soffitto coperto di nubi.
- Pensavo:
se finisco a Gryffindor tutti mi ameranno, ma mio padre mi odierà. Se invece finisco in quella casa di perdenti con la Sprite, tutti rideranno di
me.
Se mi capita di essere un Ravenclaw, mio padre penserà che sono
una persona intelligente, ad ogni modo, lo penseranno tutti, e in qualche maniera
saprò come conquistare la sua fiducia. –
Davanti al
tavolo degli insegnanti, lui strinse la mano a pugno e si fermò, immobile.
- L’unica
cosa che riuscivo ad immaginare, nel mio futuro a
Slytherin… - si volse e la fissò, gli occhi freddi e impassibili - …era lo
sguardo liscio di mio padre che sussurrava “ben fatto”, e nulla di più. Nessuna
impresa, nessun divertimento, nessun riscatto. Solo,
qualcosa che si sapeva sarebbe successo. –
Hermione
deglutì, nervosa.
- E io non volevo essere un progetto. –
La Gryffindor chiuse gli occhi, ancorata
saldamente alla panca che le permetteva di non lasciarsi cadere a terra
lentamente, come fosse stata senza vita.
Perché
raccontare a lei, tutte quelle cose?
Perché
mostrarsi così vulnerabile, proprio in quel momento?
- Chiudi
gli occhi? Non hai paura degli incubi? –
Sussultò a
disagio. Il cielo sopra la sua testa andava schiarendosi,
fino a mostrare una luna tonda e immacolata, priva di qualsiasi macchia.
Se solo fosse stato più buio, se solo fosse riuscita a
non vedere i suoi occhi.
- Non hai
degli incubi, Granger? –
Prese
fiato annuendo. – Ne ho troppi, Malfoy. –
- Già,
anche io. –
- Cosa ti succede, Malfoy? –
Lui
sussultò. – La notte non riesco a dormire, così prendo un paio di sonniferi ma… non sempre funzionano. –
Hermione
annuì. Ecco perché le sembrava così strano: era semplicemente
intontito dalle pastiglie. – Ed è da tanto che
non dormi, Malfoy? –
-
Abbastanza. –
Le parve
di non poter più sostenere quel sottile filo di tensione che si era andato
creando fra loro, sempre più forte e pesante. Deglutì. – Però
adesso… credo che andrò a letto. –
Draco
Malfoy non rispose, di nuovo apparentemente assorto nella contemplazione di
chissà quale arazzo sulle mura della Sala. Lei gli diede le spalle e chiuse la
porta dietro di sè. Fu solo quando
mise il primo piede sulle scale che la sua voce – di nuovo melodia in quelle
note – la fece fermare.
- Granger.
–
- Perché
mi hai seguita, Malfoy? Vuoi tormentarmi ancora? –
Esitò un secondo, quindi lo vide mordersi le labbra, indeciso. – Volevo sapere se
anche i tuoi incubi sono qui, nel mondo reale. –
Hermione
trovò finalmente il coraggio per fissarlo negli occhi.
Riconobbe
due statuine usurate dal tempo e troppo manipolate dai ricordi – ricordi che
non erano loro – per essere capaci di tornare di nuovo
alla vita.
- Si. –
Il mago
sospirò. - Ogni volta che entro nella Stanza delle Necessità, penso sempre che
vorrei trovarvi qualche ricordo felice. Ma le foto
sono sempre bianche. –
Sguainò la
bacchetta e nel farlo alzò le spalle, come avesse appena
notato di aver detto qualcosa di personale. – Poi ho capito: non ho
ricordi che meritino di essere mostrati. –
Hermione
seguì l’arco elegante del suo polso, e con esso anche
quello della bacchetta. – Non… Malfoy, tutto questo non ha senso. –
Lui si
limitò ad annuire, - Già. – disse. E poi – Oblivium. –
L’ultima
cosa che la strega vide di stramazzare al suolo come una bambola inerte furono i suoi occhi: quasi piangenti.
E
svegli, in cui non si trovava l’ombra di pastiglie per dormire.
Quando
si svegliò, la mattina dopo, nel suo letto, con le membra indolenzite, notò che
c’era ancora troppo caldo.
Quando
alle otto di mattina Draco Malfoy alzò gli occhi dalla
sua colazione, gli parve che niente fosse cambiato, dopo quella notte.
Niente che
si potesse vedere.
Ma gli
occhi della Granger, miopi e arrossati, vagavano incerti – troppo incerti, troppo troppo
– lungo il perimetro della Sala. Sorrise e quel sorriso si perse forse su un
arazzo dietro a Draco, o forse, proprio davanti a lui.
Il biondo
pensò che nulla era cambiato, dopo quella notte.
Nulla che
si potesse vedere.
E il
sorriso della Granger si sentiva.
Uscendo
dalla Sala Grande, la
Gryffindor pensò a quel acqua sciacquata
e a quanto potesse apparirle fresca, ora.
Chissà
perché, non vedeva l’ora di tornare a dormire.
Fine.
Mi è costata una fatica immonda, devo ammettere. Però ne sono stata ripagata, prima al concorso. Evvai!