Capitolo Uno.
Le tipiche feste inglesi, erano per lei pane di tutti i giorni. Si
destreggiava ad ogni festa di chiunque fosse. Passava il suo tempo
settimanale a studiare mentre il fine settimana partecipava alle feste
più disparate in qualsiasi quartiere potesse arrivare,
l'importante era avere un passaggio. La sua vita era perfetta ai suoi
occhi. May non aveva mai dato a sapere niente di lei, eppure la gente -
come sempre - si ostinava a dividerla nella più disparate
categorie della scala sociale. C'era chi la inseriva tra le sfigate - e
a lei andava bene, dato che odiava chi la guardava troppo. -, chi
invece la sistemava tra le più appetibili - e a lei
continuava ad andare bene, perché così dimostrava
solo quanto fosse inattaccabile la sua figura: nessuno la conosceva
bene, per quanto dicesse. - . May Sommers era una ragazza che tutti di
vista conoscevano, ma che nessuno - appunto, conosceva per davvero. Su
di lei tanti pareri, tante belle cose; ma nessuno per davvero aveva
conosciuto il vero carattere della ragazza.
May non voleva che
nessuno la conoscesse troppo bene, non poteva permettere che qualcuno
le facesse notare quanto in effetti fosse sola, voleva solo che le
persone parlassero con lei per quello che si mostrava e forse era
sbagliato - e lei lo sapeva bene - ma le andava bene così.
Odiava parlare, lo faceva a stento. Quando una persona parla poco, ci
si aspetta sempre che sia una buona ascoltatrice ma lei non era nemmeno
quello. Odiava ascoltare la gente, odiava quando le persone andavano a
sbandierare i propri problemi alla luce del sole. Anche lei aveva i
suoi problemi eppure non andava a dirlo in giro, c'erano cose che si
potevano raccontare ed altre che non si potevano raccontare e anche se
le sue non le raccontava comunque, si aspettava che anche gli altri
facessero questo tipo di distinzioni. I problemi erano realmente
problemi se ti corrodevano da dentro, erano problemi seri se quelli non
avevi nemmeno la forza di raccontarli e i suoi erano così.
May, spesso e volentieri, quando la gente parlava si distraeva, pensava
ad altro, magari a cosa avrebbe voluto mangiare a cena o a che colore
avrebbe avuto nei capelli se avesse potuto tingerli: peccato fosse
allergica alle tinte. Ma c'era una cosa che odiava più di
altre, o quasi. Odiava quando la gente la obbligava a parlare, quando
veniva obbligata a raccontarsi. Si poneva spesso delle domande verso
queste persone, si chiedeva perché volessero sempre sapere
così tanto di lei che in fondo non era nulla di speciale.
May aveva un problema di fondo: aveva paura di risultare troppo noiosa,
per quello non raccontava niente, aveva paura soprattutto che la gente
facesse come lei, ovvero distrarsi al suono delle sue parole. Per
questo May non raccontava, non parlava con nessuno, nemmeno da sola.
May aveva paura, soprattutto.
Per quello si dava
alle feste più disparate. Alle feste non c'era bisogno di
parlare. Alle feste ci si divertiva, ballava e beveva. Nessuno ti ferma
per chiederti di che segno zodiacale sei, o qual'è il tuo
colore preferito. Era l'habitat preferito della ragazza questo. Stava
bene così, senza che nessuno le si interessasse. Aveva i
suoi genitori che lo facevano, ogni tanto, quando tornavano dal lavoro
e bastavano e avanzavano. Non c'era bisogno di altre domande. May stava
bene, stava bene come quando inizi a togliere il giacchetto a Maggio
perché ormai non fa più troppo freddo, stava bene
come quando suo padre le diceva che a cena c'era la pizza e non il
solito minestrone. Sorrideva perché nessuno mai l'aveva
spezzata, perché nessuno alla fine la conosceva bene,
nessuno sapeva come poterla spezzare.
Ed era
felice. E non aveva bisogno di niente, se non di se stessa e quelle
feste che facevano in giro.
«A che ora
posso rientrare? Ho il passaggio, non c'è bisogno che
papà venga a prendermi.» Esordì la
ragazza, entrando in cucina mentre sua madre lavava i piatti, in
maniera stanca. Come se fosse - o forse lo era per davvero - la solita
routine. Se non avesse tanta fretta si sarebbe anche offerta di
aiutarla, ma davvero, era in ritardo. La sua "amica" sarebbe passata a
prenderla a breve e sapeva quanto Jennifer odiasse aspettare e per non
perdere il passaggio doveva fare da brava.
«Non lo so,
tesoro.» Rispose, la signora Sommers girandosi verso sua
figlia e sorridendole apprezzando il suo vestitino. Non era troppo
corto, May non aveva mai dato di questo problemi. Sapeva alla
perfezione come vestirsi. «Passa Jennifer?» Chiese
ancora, scrutando in viso la figlia, che sorrideva a sua volta.
«Sì.
A brevissimo, quindi devi darmi una risposta al volo, mamma.»
«Fai tu,
tesoro. Quando la festa finisce... torna. »
Risposte strategiche
di una madre che si fida a tal punto di te da non darti il coprifuoco.
In momenti come questi, May, amava la sua personalità calma
e tranquilla. Non aveva dato problemi ed ora eccola lì,
senza coprifuoco. Okay, era anche quasi maggiorenne, ma quasi. Erano
pur sempre soddisfazioni, queste. Le migliori. Si avvicinò
alla donna che l'aveva messa al mondo, della quale aveva un po' troppo
per i suoi gusti e le lasciò un bacio sulla guancia e per un
momento la sua poca voglia di parlare si riconobbe.
Era una festa
tipicamente inglese in cui l'unico motto che vigeva era: porta chi
vuoi, e alcool se puoi. E infatti, lei e la sua Jennifer si erano
occupate di passare al supermercato per portare qualcosa. Non era stata
una grande spesa, facevi contenti i partecipanti anche solo con una
bottiglia. Nel migliore dei casi, se ubriachi, non distinguevano
nemmeno il succo alla pesca dalla vodka. "Sempre vodka alla pesca
è." Aveva constatato un ragazzo, prima di vomitare tutto
compresa l'anima. In genere May non beveva molto, o meglio, tendeva a
non esagerare in modo tale che poi potesse ricordare con
lucidità tutto quello che diceva o faceva e soprattutto con
chi si appartava. In genere scappava prima che le cose si facessero
troppo complicate da gestire, ma ogni tanto beccava qualche ragazzo che
le piaceva. Andare a quelle feste, era come andare in discoteca, solo
che la maggior parte delle volte era una cosa all'aperto e dunque si
respirava. Decisamente meglio che una discoteca. E poi la musica
tendeva ad essere migliore, era senza dubbio migliore.
Non appena mise piede
dentro l'enorme villa che ospitava la festa, si rese effettivamente
conto di quanto l'odore di alcool fosse pesante. Lei non avrebbe
bevuto, se lo ripromise proprio. Si guardò attorno, cercando
qualcuno che conoscesse o magari anche solo il viso di Jennifer che
l'aveva lasciata che non erano nemmeno arrivate. Jenny era come lei,
solo più espansiva e i suoi sorrisi erano spesso e
volentieri più finti dei suoi. Un altro punto a favore di
May era che se non voleva sorridere non lo faceva e basta. E si stava
meglio così. Non sapeva cosa fare, perché non
c'era il solito gruppo ad attenderla, ma solo una vasta dispensa
d'alcool e non le piaceva molto, ma si avvicinò comunque,
prendendo un bicchierino rosso di carta e versandoci dentro un liquido
trasparente, molto simile a qualcosa che aveva recentemente assaggiato,
ma di cui al momento il nome non le usciva. Comunque era buono.
«Sommers,
non bere!» La avvisò di passaggio Luke, mentre
passava tenendo per mano la sua nuova ragazza. Luke e May stavano
assieme un periodo prima, era stato il suo primo ragazzo anche se lei
non si era mai sentita di amarlo come doveva. Comunque, sta di fatto
che ad una festa la ragazza bevette un po' troppo e fece praticamente
un casino. Il cellulare di Luke iniziò a registrare messaggi
con scritto "sei una merda"
o "non ti ho mai amato"
o "lo so che
te la fai con Jil" lasciando il ragazzo di sasso,
quest'ultimo aspettò che la sua ragazza tornò
lucida e il giorno dopo la lasciò, così senza
nemmeno troppi giri di parole, era vero che se la faceva con Jil, ma
non era affatto giusto per lui - e solo per lui - che venisse trattato
così. Il fatto di non averlo mai amato veramente,
consentì alla ragazza bionda appena lasciata di non stare
troppo male, ma da quel momento non ebbe più nessuna
relazione.
«Lasciami in
pace! E non tradire Jil.» Rispose lei a tono, guardando il
ragazzo andare via con una ragazza che di sicuro non era Jil Hudson.
Iniziava a sentire la testa che girava, e per un momento
appoggiò il bicchiere, riprendendo a guardarsi intorno,
notando solo ora che il giardino si era riempito di bei ragazzi, che di
sicuro attiravano la sua attenzione. Le piaceva quell'ambiente. Quando
era brilla o ad una festa, perdeva completamente il suo essere buona e
calma, anche se per un po' conservava questo status.
«Bevi da
sola?» Chiese un ragazzo, piazzandosi davanti a lei. Era
brutto, ma brutto davvero.
«Non sono
ancora ubriaca, smamma.» Fece, sorridendo e muovendo la
manina con un gesto poco carino. Il ragazzo di tutta risposta,
abbassò le spalle e se la lasciò dietro, non
perdendosi d'animo però e riprovandoci con un'altra ragazza,
la quale a quanto parve ci stette e lo seguì.
May
continuò a bere, sorseggiando ciò che era
presente nel bicchiere. Tequila, ecco come si chiamava. Non doveva, se
l'era ripromesso, ma al momento era tutto quello che sapeva fare, un
po' perché si stava annoiando un po' perché ne
aveva bisogno. Perché non poteva mai essere come tutte le
altre ragazze? Perché non poteva essere circondata da
persone che le volevano bene per quello che era? Anche se era una
stralunata col malumore o il ciclo continuo, perché nessuno
le voleva bene? Perché non sapeva tenere le conversazioni e
le sue si bloccavano solo ad un misero 'come stai?' si sentiva
stupidamente da schifo. Prese il suo bicchiere, dopo averlo riempito e
si spostò dal tavolo andando ad appoggiarsi ad un muretto.
Si sedette con le spalle contro il muro, lasciando che il liquido
trasparente scivolasse nella gola, procurando un po' di fastidio mentre
il mondo ai suoi occhi appariva un po' più sfuocato ogni
qualvolta che ingoiava.
«Secondo te
il bagno dov'è?» Chiese un ragazzo con i capelli
corti e gli occhi chiari, mentre la guardava dall'alto. Aveva il suo
stesso bicchiere in mano, solo che il suo era giallo. Lo voleva lei
quel bicchiere. Il giallo era il suo colore preferito, non del ragazzo
che aveva davanti, chiunque esso fosse.
«Dentro casa
a meno che tu non voglia fare la pipì all'aria
aperta.» Rispose May, stringendosi nelle spalle.
«Non ti
darebbe fastidio?» Continuò lui, attirando
l'attenzione della ragazza che alzò lo sguardo per
incontrare gli occhi azzurri del ragazzo.
«Non mi
interesserebbe, in realtà. Anzi, prometto di girarmi! Solo
vedi di non far puzzare la tua pipì. Non voglio
vomitare.» Ecco, questa era una di quelle cose che da sobria
non avrebbe mai detto e per un momento di maledisse per non essersi
ascoltata. Dannazione, si era ripromessa di non bere e invece. Sperava
solo di non fare la stessa fine della festa passata, dove ancora stava
con Luke.
«Uh. - fece
il ragazzo scoppiando a ridere e guardandola. Tirò
giù la zip, osservando se la ragazza si fosse realmente
girata e poi fece pipì, così come le aveva
già preannunciato. - Fatto.» Disse, infine.
Scavalcò il muretto e si sedette sopra. «Ho una
pipì velocissima, ti conviene salire anche a te,
così non ti sporcherai e non puzzerai.»
«Giustissimo.»
Disse lei, balzando in piedi e porgendo una mano al ragazzo per farsi
aiutare a salire. Una volta che si sedette, rimase così con
le gambe a penzoloni.
«Io mi
chiamo Tom.» Fece il ragazzo, girandosi a guardare la
ragazza. «E non ti porgo la mano, perché sai cosa
ho appena toccato.»
«Ew,
Tom.» Disse lei solamente. Beh, ogni tanto si dimenticava le
buone maniere da ubriaca, come presentarsi.
«Tu?»
Chiese appunto, il ragazzo senza smettere di guardarla. Anche lei
ricambiò lo sguardo, cercando di ricordarsi di cosa stessero
parlando. Lui se ne accorse e rise, contagiando anche lei.
«Il tuo nome.»
«Scusa. Io
sono May. May Sommers. Il mio nome non è un'abbreviazione di
niente.»
«Quanto hai
bevuto May?» Chiese lui, guardandola.
«Un pochino.
Perché?»
«Non so,
così per chiedere... Cosa, con esattezza?» Chiese
ancora guardandola. May non capiva assolutamente dove lui volesse
andare a parare, si guardò intorno e poi, per un momento
capì.
«Mio padre
ha una pistola. Non puoi farmi del male, ti verrà a cercare
e la metà di questa gente mi conosce, quindi non puoi
stuprarmi.» Disse lei, saltando giù dal muretto,
mentre cercava qualche posto dove tenersi, perché
improvvisamente tutto girava, maledetto alcool, l'aveva già
pensato, per caso?
«Anche io ho
una pistola, vuoi vederla?» Chiese lui, ridendo.
«Ed è bella grossa.»
«Tom!»
Lo ammonì lei, ubriaca sì, ma questa l'aveva
capita.
«Non ti
voglio stuprare. Ho una vita davanti, sei pazza, per caso?»
Chiese, saltando giù anche lui dal muretto e raggiungendola.
Le poggiò una mano sulla spalla per tenerla, vedendola in
difficoltà.
«Un po'
ubriaca, forse... Ma non pazza, Tom senza cognome.»
«Parker. Tom
Parker.» La ragazza annuì, prendendo nota del
cognome del ragazzo, mentalmente, ovvio. Anche se ora non si ricordava
nemmeno cosa avesse mangiato prima di uscire. Perché aveva
mangiato prima di uscire, vero?
«Tom
Parker?» Lo richiamò lei, vedendo che si era
distratto. Non si sapeva perché ma al momento era bisognosa
d'attenzioni e poi quel Tom Parker era molto carino, le piaceva il suo
modo di fare e poi non era da tutti fare pipì in mezzo alla
gente. L'aveva persino salvata dalla sua velocissima pipì,
come l'aveva chiamata lui.
«May
Sommers?» Fece il ragazzo, girandosi nuovamente verso la
ragazza, la quale senza aspettare mezzo secondo lo baciò
sulle labbra. E fu tutto dire che il ragazzo non aspettava altro. Solo
che May non si chiese che anche lui fosse ubriaco come lo era lei e se
quella era solo una scusa per stare assieme, per un momento, la ragazza
abbassò tutte le barriere che in diciassette - quasi
diciotto anni aveva alzato. E le aveva abbassate per Tom Parker, che
conosceva più o meno da cinque minuti esagerando.
Martina(?)
Allora, non ho idea di
cosa sia questa. E' solo una cosa a cui ho lavorato per un po' di
tempo, uno degli scritti a cui tengo di più. Un po'
perché è il mio primo vero tentativo sullo
scrivere sui the wanted, un po' perché ci sono
particolarmente affezionata. L'idea nasce nel momento in cui mia cugina
si sente male e per farle compagnia, ho mezzo inventato una storia;
dunque mi sono messa a scriverla e questo è quello che ne
è uscito. Io sono già al capitolo tre, sto
scrivendo il quattro. E' una seccatura perché sono capitoli
molto lunghi, perché mi perdo spesso e volentieri nei
sentimenti di May che, essendo come è, sono molto accentuati.
Dedico l'intera storia a Francesca. Ha sempre, sempre, sempre creduto
in me, e mi ha supportato. Ti voglio bene.
May è una parte di me.
Non so cos'altro dire, trolol. Nel caso voi non vogliate leggere,
è okay, ma prima di giudicare in negativo, se mai la doveste
aprire, leggetela tutta, non so se ne vale la pena, ma è...
mh, non so, qualcosa a cui tengo.
Grazie per
l'attenzione. :)
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