Ciao a tutti =) Mi chiamo rori
mi piace molto scrivere e ho deciso di pubblicare qui parte di una
storia che sto scrivendo. Non so se la continuerò perchè per ora è una
bozza ma volevo comunque provare a pubblicarla per vedere se c'era
almeno una o due persone che fossero interessate a leggerla perchè nel
caso potrei decidere di aggiustarla come si deve e di continuarla, non
vi nascondo che è difficile far leggere qualcosa di proprio agli altri
quando si è insicuri ma chi meglio di voi che scrivete può capirmi =).
Detto questo spero davvero che avrete voglia di darci un occhiata,
buona lettura.
Capitolo 1
-Non permetterò mai che ti venga
fatto del male tu sei tutta la mia vita adesso!!-
Sbuffai tamburellando con le dita sul tavolino pieghevole davanti a me
e che mi stava opprimendo sempre di più a causa del passeggero davanti
a me che, molto gentilmente, aveva deciso di impadronirsi dei suoi
spazi distendendosi con il sedile e infischiandosene della povera
sottoscritta che tra pochi minuti si sarebbe ritrovata con il tavolino
impiantato nell'intestino.
Mi strappai gli auricolari e spazientita iniziai a tirare dei colpetti
al sedile per richiamare l'attenzione del ragazzo davanti.
-Ehi! Ehi! Mi scusi può tirare un po' più su il sedile??-
Non ottenni risposta; forse non era italiano. Sospirai e provai di
nuovo a richiamare la sua attenzione.
-Mi scusi!! Mi sente? Please! Can you...-
Questa volta la risposta la ottenni, un bel dito medio alzato (che fu
per altro la sola cosa che vidi del passeggero davanti a me)
accompagnato da un insulto in qualche lingua a me sconosciuta.
Spazientita tirai uno schiaffo allo schienale del sedile con tutte le
forze che avevo e risprofondai nel mio, cercando di reprimere un grido.
Respirai profondamente e chiusi gli occhi cercando di immaginarmi di
essere in un altro luogo qualsiasi.
Mi stava venendo una leggera nausea e la situazione mi stava
decisamente opprimendo.
Odiavo viaggiare in aereo, l'ansia del decollo, i posti schiacciati in
cui tutto era a un palmo dal tuo naso, il cibo immangiabile e inoltre
lo stress delle valige che venivano lasciate all'andata e solo se eri
abbastanza fortunato le avresti riviste al ritorno.
Mancavano ancora un paio di ore all'arrivo e non so per quanto avrei
resistito lì, sospesa sull'atlantico in una trappola con le ali.
Sbirciai con un occhio il ragazzo con gli occhiali seduto alla mia
destra, stava leggendo, meglio lasciarlo in pace. Avevo intrattenuto
con lui una conversazione di un'ora, poco prima. Con aria saccente mi
aveva descritto lo scopo del suo viaggio di studi mentre io avevo
annuito ritmicamente immaginandomi una musica di sottofondo nella quale
dovevo tener conto di un ritmo immaginario. Sorrisi mentre immaginavo
di fare un onda con le braccia mentre continuavo a muovere il collo e
di dare così inizio ad un balletto da musical.
Non che fossi maleducata ma avevo capito che ogni tentativo di
conversare con quell'individuo era praticamente inutile. Nella mia
classifica personale lo avevo collocato tra gli eccelsi sapienti, ovvero coloro che
sanno e sono esperti in tutto. Ne avevo conosciuti moltissimi nella mia
vita e quello che avevo capito era che ogni tentativo di esprimere la
tua opinione era inutile, poiché qualunque cosa tu avessi fatto loro l'avevano fatta meglio,
qualunque esperienza tu avessi vissuto bella o brutta loro l'avevano già vissuta prima e
in modo più approfondito, se tu eri a conoscenza di qualche novità loro già la sapevano e se per pura
fatalità tu avessi avuto ragione in qualcosa loro lo avevano capito già da
prima. Insomma erano degli eroi!
Ragion per cui avevo poi deciso di infilarmi le cuffiette e di
guardarmi un film qualsiasi ovvero “Twilight”.
Mi strinsi le braccia allo stomaco, il malessere che sentivo in quel
momento dipendeva sopratutto dall'ansia. Continuavo a chiedermi se
quella che stavo prendendo fosse la decisione giusta.
Stavo andando a New York dai miei zii che nel corso della mia vita
avevo visto solamente in fotografia e i cui contatti erano stati
mantenuti solamente via e-mail.
Era stata una decisione molto difficile che avevo preso assieme ai miei
genitori. Avevo infatti 18 anni e da poco mi ero diplomata in un liceo
linguistico. La scarsità delle prospettive che avevo per il mio futuro
e la continua indecisione che caratterizzava ogni mia scelta aveva
convinto i miei a intervenire proponendomi un'alternativa.
Sarei andata ad abitare dai miei zii che tanto erano abituati ad
ospitare studenti e avrei frequentato una scuola di lingue per
approfondire il mio inglese. Parallelamente mi sarei cercata un lavoro
per non gravare ne sui miei zii ne sui miei genitori ed avrei così
provato a “combinare qualcosa di buono” come diceva mio padre.
Sapevo che lo facevano perchè ritenevano che fosse una buona
possibilità per me, ma da un lato avevo sempre sospettato che lo
facessero un po' anche per loro, per ricostruirsi un loro nido.
Naturalmente non doveva essere per sempre, ma per ora avevo solo il
biglietto di andata, il ritorno era ignoto.
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