Ash? Noi gli faremo il culo, vero? di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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recklessly desensitized
Note dell'autrice:
Non ho idea di quello che abbia potuto passare Ashley alla sua vecchia
scuola prima di arrivare a Cincinnati, quindi niente di quello che
è scritto qui è da prendere sul serio. Oh, e
Murdo vuol dire grande in gaelico. c:
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«Andyyy! Ti muoviii?» la mia voce rimbomba fin
troppo nel corridoio semi-deserto, e riesco perfettamente a sentire lo
scalpiccio dei suoi passi che si avvicina sempre di più,
insieme al suo respiro affannato e stanco.
Come al solito si è fermato lungo la strada, e come al
solito rischiamo di arrivare in ritardo e beccarci una nota.
«Diosanto, c'hai messo un casino di tempo ad arrivare. Si
può sapere dove diavolo ti eri cacciato?» gli
domando, esasperato.
«Scusa Ash, mi si era slacciata una scarpa» ansima,
piegandosi in avanti e appoggiandosi stancamente alle ginocchia.
«Siamo
ancora in tempo?» domanda, guardandomi dal basso.
Controllo l'orologio, alzo lo sguardo al cielo socchiudendo gli occhi
ed espiro scocciatamente. La campanella comincia a suonare ancor prima
che Andy si risponda da solo, e il tintinnio gli chiude definitivamente
la bocca.
«Comincia a correre, magari evitiamo la redenzione questa
volta» gli intimo, sistemandomi lo zaino sulle spalle e
riprendendo a sfrecciare verso l'aula 24 il più velocemente
possibile. Dopo cinque minuti sono lì, ma la porta
è chiusa e l'insegnante non ha la minima intenzione di
riaprirla per noi due.
Oh be', dovremo passare un altro pomeriggio insieme. Che sfortuna.
Io e Andy siamo amici da quando ho memoria.
Be', okay, forse da un po' di meno, ma mi piacerebbe poter dire che
siamo cresciuti insieme e che abbiamo cominciato a frequentarci
quand'eravamo ancora in fasce perché i nostri genitori erano
amici e s'incontravano ogni tanto; ma per mia sfortuna mi sono
trasferito a Cincinnati solo una decina di mesi fa, quindi il nostro
rapporto è ancora agli inizi.
Sono arrivato in questa scuola da relativamente poco, e vengo da un
istituto più grande e aperto dove avevo molti amici. Be', molti, diciamo che
non ero esattamente un isolato che tutti odiavano e si divertivano a
prendere per i fondelli. Più o meno.
In effetti, tutta la mia vita è stata segnata dal bullismo,
dalle scortesie e dagli insulti degli altri, ma la cosa non mi ha mai
toccato davvero; voglio dire, sì, ci sto male, e
sì, mi dispiace molto, ma non credo che le cose rimarranno
così per sempre, anzi. Penso che alla fine di questo tunnel
di dolore ci sia un posto bellissimo, pieno di felicità e
periodi di luce, e che il buio non possa durare per sempre,
perché al mondo non ci sono solo coglioni e insensibili. O
sbaglio?
Sento sempre più gente dire che l'essere adulti è
uguale all'essere adolescenti, che le scuole superiori sono identiche
al mondo del lavoro, che non c'è niente che migliora, che fa
tutto schifo, che semplicemente la vita è una merda e dietro
ogni angolo si nasconde una serpe pronta ad azzannarti la caviglia
quando meno te lo aspetti, se può tornarle utile; ma io non
ci credo.
Voglio dire, chi vorrebbe crederci? Chi rinuncerebbe mai a sperare in
un periodo di piacevolezza, di cambiamento, di semplice cessazione del
dolore e delle prese in giro? Chi smetterebbe di sperare che
andrà tutto bene, se non chi si è già
arreso?
Io non mi sono arreso. Non voglio neanche farlo e non progetto di
gettare la spugna in tempi prossimi. Anzi. Da quando ho messo piede in
questo quartiere e da quando ho conosciuto Andy in particolare, ho
cominciato a guardare e pensare alla mia vita con una prospettiva
diversa, provando a immedesimarmi anche in chi mi picchiava alla
vecchia scuola, e ne ho tratto diversi fattori positivi, come per
esempio la certezza di sapere che, in qualunque modo mi fossi
comportato, alla festa di fine anno mi avrebbero infilato in quel
bidone in ogni caso, e che Charlene avrebbe comunque rifiutato il mio
invito a ballare.
Quando vieni a contatto con una realtà fredda e
ostile che vuole solo schiacciarti e rigirarti fra le sue mani, l'unica
cosa che puoi fare è trovare rifugio nelle piccole cose e
lasciar perdere tutto ciò che può diventare una
convenienza per gli altri, un punto debole in cui colpirti, o un
qualcosa di comunque scomodo per te e la tua salute.
Potete benissimo immaginarvi la situazione che ne vien fuori quando ti
rifiuti di rifugiarti in un mondo tutto tuo, quando urli in faccia a
qualcuno più grosso di te che no, non gli darai il tuo
pranzo, quando in qualche modo riesci a tirare un pugno a quel qualcuno
più grande, più forte e più amato di
te che ti ha usato come punching ball per tutta la vita e che
finalmente hai avuto il coraggio di affrontare, dopo anni di soprusi
passivi e taciuti.
Potete benissimo immaginarvi le consequenze, le urla, le botte; e
potete benissimo immaginare come tutti prendano la sua parte e
s'inventino migliaia di versioni assurde e non combacianti, che
però hanno una cosa in comune: la tua colpevolezza.
Potete quindi immaginarvi benissimo le decisioni del Consiglio Docenti,
e potete benissimo vedervi davanti agli occhi la figura di un ragazzino
magro e fin troppo pallido mentre esce dall'ufficio del preside insieme
ai suoi genitori, circondato da un silenzio gelido e schernito
tacitamente da ogni altra persona che incontra per strada.
E' per questo che sono venuto qui. O almeno, è quello che mi
hanno detto i miei genitori.
In realtà credo che si fossero resi perfettamente conto di
quanto stessi male e di quanto soffrissi, nonostante mi ostinassi a
tenermi tutto dentro, e che questo fosse l'unico altro posto alla loro
portata, visti i loro stipendi ridotti.
In un certo senso gli sono grato, perché nonostante tutti i
problemi che abbiamo hanno pensato a me, ma dall'altra mi sento come se
non fosse cambiato niente e tutto fosse rimasto uguale. O meglio, mi
sentivo.
Dieci mesi fa, quasi per caso, ho appunto incontrato Andy. Un ragazzino
magro, pallido, non troppo alto per la sua età; con dei
profondi occhi marroni che faticavano a reggere un confronto e un viso
scarno che diceva fin troppo sulla sua sofferenza.
Non ho avuto bisogno di guardare oltre per capire che era esattamente
come me, così l'ho abbracciato.
All'inizio era titubante, ha sobbalzato e si è irrigidito,
poi si è rilassato e ha contraccambiato l'abbraccio, un po'
stranito.
Gli ho spostato il ciuffo nero dagli occhi, sistemandoglielo dietro
l'orecchio, gli ho sorriso e gli ho detto: «Mi chiamo
Ashley».
Ha
esitato ancora un attimo, squadrandomi, poi ha abbassato gli occhi e ha
sussurrato: «Andy,
piacere.»
«Andy...
bel nome» ho annuito, ripetendolo sottovoce un paio di volte.
L'ho visto sorridere e ho seguito il suo esempio.
«Hai
anche un cognome, Andy?» gli ho chiesto quindi, sperando di
non forzare troppo la mano.
«Sì,
Biersack. Sì, lo so, fa piuttosto schifo, puoi anche
risparmiarti le battutine» ha esclamato spostando il volto,
amareggiato.
«Non
fa schifo
per niente invece. E' originale; mi piace. Il mio è Purdy,
ma di carino non ho molto» ho riso.
«Mi
piacerebbe che diventassimo amici»
«Amici?
E perché?». Era stupito, ma comunque sulla
difensiva.
«Perché
so cosa nascondi dietro quell'aria stanca, e perché anch'io
non ho mai avuto una vita facile. E poi due è sempre meglio
di uno, no? Specialmente coi bulli e con quelli che ti fregano i soldi
giù al distributore»
E' rimasto un attimo di stucco, lo devo ammettere.
«Io..
Chi te l'ha detto?» ha balbettato, deglutendo e sgranando gli
occhi.
«Il
tuo sguardo. I tuoi gesti. Il fatto che non mi guardi in faccia quando
parlo. Non è normale avere paura degli altri a
quest'età, e solo chi ha passato un'adolescenza schifia di
solito lo fa. Quindi ti chiedo, ti va di essere in due a
combattere?»
Gli ho porso la mano, ho accennato un sorriso e ho aspettato. La scelta
era sua.
Non so perché, ma qualcosa di me gli ha ispirato fiducia,
sicurezza, così me l'ha stretta. E siamo diventati amici.
«Ash,
hai provato a bussare?» mi domanda, cercando d'intravedere
qualcosa attraverso il buco della serratura.
«Aha,
ma mi hanno ignorato alla grande. Forse è ora di smetterla
di arrivare sempre all'ultimo, che dici?»
Mi guarda un attimo, elaborando l'idea, poi scrolla le spalle con un
sonoro 'naaah'. Anche volendo, non ci riusciremmo mai.
«A
proposito, hai parlato a tua mamma per stasera?»
Gli si rabbuia un attimo il viso mentre cerca di ricordare con
precisione, poi mi sorride sornionamente.
«Mhm,
ha detto che non ci sono problemi e che si fida di te»
risponde.
«E' contenta che abbia un amico, dopo tutto questo
tempo» mi confida, scuotendo leggermente la testa.
«Ancora
non si è abituata?» rido, arcuando le labbra in un
sorriso.
«Figurati.
Ogni tanto mi controlla ancora le braccia per vedere se c'è
qualcosa di nuovo» ribatte con un sospiro divertito, come se
non ce ne fosse motivo e il suo passato non appartenesse davvero a lui.
Come se si parlasse del dolore di qualcun'altro.
«Ma
ora hai smesso, e hai detto che non ricomincerai» dico. Lui
annuisce, e so che è sollevato.
«Già.
Ora a lottare siamo in due» sorride, alzando lo sguardo verso
di me. Ricambio il sorriso e gli do una pacca sulla schiena.
«Così
si parla, ragazzo mio!».
Una delle poche cose che non mi piacciono di lui è che si
tagliava.
Gli voglio troppo bene per accettarlo, mi sento male solo a pensarci, e
quando vedo le cicatrici mi riempio di dolore.
Dov'ero mentre lui si feriva? In quale cassonetto mi avevano rinchiuso?
Che cazzo stavo facendo?
Sarei dovuto arrivare prima. Non avrebbe mai dovuto soffrire
così tanto. Mai.
«Sai
Ash, ho come la sensazione che oggi accadrà qualcosa
d'importante» mi confida dopo un po'.
«Tipo?»
domando. Scrolla le spalle e increspa le labbra.
«Non
ne ho idea, però succederà» si limita a
rispondere. Io lancio la testa all'indietro, verso il muro, e annuisco.
«Allora
dovremo stare attenti» mormoro. Su queste cose c'azzecca
sempre, è peggio di un sensitivo.
«Già.
Hai mai pensato al futuro? A quello che farai una volta fuori di
qui?»
Il futuro. E' una cosa a cui penso spesso, e a volte mi terrorizza
l'idea di non sapere cosa potrà succedermi quando
lascerò il grembo materno e mi lancerò nella vita
frenetica delle città, ma allo stesso tempo la cosa mi
attira morbosamente.
«Mi
piacerebbe formare una band, suonare. Girare il mondo a bordo di un bus
insieme ai miei migliori amici. E tu?»
«Anch'io
comincerei una band, solo che non so suonare niente per il
momento» sorride, malinconico.
«Potresti
fare il cantante» propongo.
«Il
cantante?» ripete, voltandosi verso di me con aria dubbiosa.
«Massì,
hai una voce particolare, molto profonda; scommetto che sarebbe
perfetta per un gruppo» continuo.
«Tu
dici?» mormora. Sembra come sollevato.
«Eccome
se lo dico!» esclamo.
«Anzi,
sai che facciamo? La cominciamo noi una band, e la cominciamo
ora» aggiungo.
«Wowowo,
piano coi trip mentali. Ammesso che io sappia cantare, ci servono altri
membri e io non conosco nessuno a scuola che sappia suonare un
qualsiasi strumento che non sia il flauto dolce» mi frena,
invitandomi a pensarci più attentamente.
«E
chissene importa, mettiamo un annuncio e li troviamo!»
ribatto. Sto cominciando a fomentarmi.
«Credi
davvero che sia una buona idea? E
se rispondono dei tizi solo per prenderci in giro e
sputtanarci?» insiste.
«Semplice,
non li ammettiamo nella band». Ride alla mia risposta, e
socchiude gli occhi.
Sento che sta cominciando a cedere alla mia euforia. Vai
così, Ashley!
«Dico
davvero, ascoltami un attimo. Abbiamo ancora un po' di tempo prima
dell'inizio della seconda ora, scriviamo un annuncio e andiamo ad
appenderlo giù in bacheca, poi quel che verrà
verrà. Forse è questa la cosa importante di
prima, no?»
Ci pensa su un attimo e mi lascia sulle spine, la mia mano sul suo
ginocchio e il mio sguardo premuto contro i suoi occhi.
«E
va bene - si arrende, - andiamo a fare 'st'annuncio. Mal che vada, ci
prenderanno in giro fino al diploma».
Lo ringrazio con gli occhi e scatto in piedi, dirigendomi verso la
hall. Che cazzo di figata!
Ecco, un'altra cosa che amo di lui è il fatto che non mi
tratta mai come un completo imbecille.
Sa che sono impulsivo e sa che tasti toccare per farmi calmare e
riflettere un attimo, e sa anche come fare per farmi cambiare idea se
sono impuntato su una stronzata. Sa come farmi ridere, sa come farmi
piangere, sa come farmi gioire e sa come farmi rilassare quando ho uno
dei miei momenti
odio-tutto-e-tutti-e-voglio-solo-imbottirmi-di-dolci-fino-a-vomitare.
Quando sono giù fa di tutto per riportarmi alla
felicità e non c'è niente che non sia disposto a
fare pur di ricambiare almeno un po' le attenzioni che mi riserva
giorno dopo giorno, qualunque sia il suo umore. Mi sento come benedetto
ad averlo attorno tutti i giorni, e non è totalmente falso
dire che sono così fomentato per la cosa della band solo per
il fatto che così dovremo passare ancora più
tempo insieme, provando e riprovando pezzi scritti da noi e aprendoci
ancora di più l'uno verso l'altro.
Sembra una cosa un po' patetica, me ne rendo conto, ma posso
affermare con certezza che lui è il mio primo, vero amico; e
non lascerò che niente ci separi mai. Niente. Tengo a lui
più di quanto tenga a me stesso, e sinceramente non me ne
vergogno neanche un po'. E' normale per me, mi affido più a
lui che al mio stesso istinto. E so che ne rimarrò fregato,
ma che importa?
Sono felice così, e lo sarò a lungo. Basta che
lui ci sia e andrà tutto bene. Tutto.
«Eeehi,
mammoleeeettee», il grido rimbomba fino alle nostre orecchie.
Dio, non girarti Ashley, non girarti. Continua a camminare, continua a
camminare, continua a camminare. Tieni la testa bassa e ignoralo,
fregatene di ciò che dice, l'importante è
superarlo senza dargli alcuna soddisfazione.
«Cosa
c'è? Oggi non mi salutate neanche?»
Riesco a vederlo avvicinarsi con la coda dell'occhio e accelero il
passo.
«Guardate
che è maleducazione non rispondere ai saluti»
intigna, facendo un balzo in avanti.
E' sempre più vicino. Dannati quaterback e dannati
allenamenti speciali, ma soprattutto, dannato lui.
«Ehi,
mi sentite quando vi parlo o siete sordi?» sibila divertito,
sbattendo Andy contro il muro dopo uno scatto veloce.
«Oplà,
ti ho preso - ride. - E ora che fai?»
Andy abbassa lo sguardo e deglutisce, il cuore che gli batte
all'impazzata. Si potrebbe dire che quel ragazzo è il suo
bullo personale, lo segue da qualcosa come due anni e non lo lascia in
pace neanche un giorno. M'ispira un odio terribile ma purtroppo
è più grande di tutti e due e non possiamo
ribellarci più di tanto se non vogliamo trovarci prima
all'ospedale e poi dal preside.
Lo guardo e stringo i pugni, come riflesso. Mi nota, ghigna e lascia
andare Andy, avvicinandomisi.
«Che
c'è signorina, preferisci che me la prenda con
te?» mi chiede.
«Sì;
sì preferisco» ribatto, guardandolo negli occhi.
Sogghigna ancora e mi afferra per la maglietta, tirandomi verso l'alto.
«Va
bene, non c'è problema. E non dite che non sono
comprensivo!»
Comincia a mancarmi un po' il respiro, ma ci sono abituato.
«Immagino
sappiate cosa voglio» ci sollecita.
«Immagino
saprai che non te lo daremo» ribatto, sfidandolo con lo
sguardo.
«Ah
sì?» dice, alzandomi ancora.
Ok, ora sta diventando un problema.
Mugolo un sì e lui mi tira ancora più su,
aiutandosi con l'altra mano. Andy lo distrae un attimo e io mi sfilo la
maglietta, atterrando sonoramente per terra. Scuoto un attimo la testa
e tossisco per qualche secondo, poi suona la campanella.
Andy sembra sollevato e Murdo è costretto a lasciarci
perdere e rientrare in classe, se non vuole passare anche lui dei guai,
così rimaniamo di nuovo soli; io che mi strozzo e lui che
guarda il bullo allontanarsi.
Trema, riesco a vederlo perfettamente, ma non si accascia e non si
piega: rimane dritto, fiero, e lo guarda.
«Ashley?»
mi chiama.
«Sì?»
balbetto, cercando di riprendere controllo del mio respiro.
«Noi
gli faremo il culo, vero?»
Il suo tono mi lascia stupito. E' deciso, serio, come non l'ho mai
sentito prima. Annuisco.
«Ci
puoi giurare. E il primo passo sarà formare questa cazzo di
band.»
Mi offre una mano, la stringo e lui mi tira su.
«Per
oggi le lezioni possono anche fottersi. Vieni, andiamo a preparare
l'annuncio.»
Ci allontaniamo in silenzio, lui davanti e io dietro, e sento che la
cosa importante è già successa.
Andy gli ha dichiarato guerra. E non sarà una guerra da
niente.
When your life feels
lost,
fight against all odds.
Never give in,
never back down.
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