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A Claire e a Sick, che sanno essere
dolci, amari e idioti.
L’amore colpisce all’improvviso ed è un gran bastardo.
Perché innamorarsi della vicina di casa dopo averle visto spuntare le tette
all’improvviso, il primo anno di liceo, non era una cosa positiva, soprattutto
per Sick che l’aveva sempre chiamata “Sorriso d’argento”.
A quattordici anni Claire si era tolta l’apparecchio
mostrando un sorriso perfetto, e i suoi grandi occhi marroni da cerbiatta erano
passati in secondo piano quando, qualcosa di più grande, era spuntato appena sotto al suo mento, tra le sue
braccia. Era stato quel tre febbraio, durante la solita sbirciatina con i
ragazzi nello spogliatoio femminile dopo la lezione di educazione fisica, che Sick
le aveva notate e aveva deciso che le avrebbe conquistate per tenerle sempre
con sé. Ma per arrivare a loro aveva prima dovuto conquistare Sorriso
d’argento, che si era dimostrata prima titubante, poi sorpresa e alla fine
soddisfatta, in tutti i sensi.
Nessuno dei due avrebbe mai potuto dimenticare le lezioni di
Storia Americana perse per chiudersi in quel ripostiglio delle scope stretto e
umido; lo stesso stanzino che aveva visto e sentito i loro sguardi perdersi e i
sospiri mozzati per non essere scoperti.
Sick scese dalla moto, togliendosi il casco e scuotendo il
capo per scrollarsi la pioggia di dosso; ancora non capiva perché Claire
l’avesse chiamato così sconvolta, perché volesse vederlo, ma soprattutto non
riusciva a capacitarsi della sua presenza lì, a Hunts Point.
«Cazzo» sbottò, facendo schioccare le
nocche della mano sinistra in quel suo tic che proprio Claire aveva scoperto.
Era tutto un casino, sapeva di essere debole, forse non sarebbe nemmeno
riuscito a resisterle e, nonostante tutto, non poteva permettersi una simile
caduta: Claire era sposata con quell’idiota che le aveva assicurato uno stile
di vita sano, o così l’aveva chiamato lei.
Sapevano entrambi però che il motivo per cui lei si era
allontanata era diverso: aveva paura. Paura di perderlo e di non vederlo
tornare; Claire era troppo debole per rimanere lì. Claire non poteva aspettare
Sick ogni sera, senza sapere se sarebbe tornato. Perché non era come Aria o
come Irene; Claire si commuoveva guardando un film romantico e piangeva quando
lo vedeva tornare a casa con uno zigomo rotto. Per questo si era allontanata, per
non soffrire. E a niente erano valse le suppliche di Sick per farla rimanere.
Quello stupido italiano l’aveva conquistata e lui si era chiuso in se stesso,
sfogando i propri istinti con qualsiasi ragazza l’avesse lontanamente trovato
attraente.
Arrivato davanti alla porta della camera d’albergo bussò,
tamburellando con le dita sul legno, in attesa. Qualche istante dopo Claire
aprì la porta accogliendolo con un sorriso; sorriso che subito riportò la
memoria di Sick all’ultima volta che l’aveva visto, quasi cinque anni prima.
Claire aveva deciso di fare l’amore con lui l’ultima volta, giocando come
sempre, poi se ne era andata senza una parola e senza un biglietto. Non l’aveva
chiamato, non aveva nemmeno risposto alle telefonate di Sick; semplicemente aveva
tagliato tutti i ponti con il Bronx. Per questo Sick non riusciva a capire come
avesse scoperto della morte di Aria e Dollar. Chi poteva averla informata? Di
sicuro nessuno dei ragazzi.
«Grazie
per essere venuto, Michael»
mormorò, spostandosi di un passo perché lui potesse entrare nella camera. Forse
non voleva dare spettacolo, in fin dei conti era una donna sposata, anche se il
marito non era lì. Forse non sapeva nemmeno dove fosse Claire. Cosa le aveva
raccontato? Come si era scusata per quell’improvviso viaggio nella sua città
natale?
«Non sono
venuto. Non ancora almeno».
Quel loro gioco di parole che ogni volta la faceva sorridere, provocandole
quella mezza fossetta sulla guancia destra. Era sicuro che lei avesse usato
quelle parole per provocarlo, per ricordargli quanto fossero stati complici, in
passato.
«Sai che
cosa voglio dire» spiegò,
chiudendo la porta non appena lo vide appoggiarsi con la schiena al muro dietro
di lei. «Michael, voglio
riuscire a parlare con te. Non mi pento di essere scappata, ma sono stata una
codarda, dovevo dirtelo e lasciarti il tempo di capire quello che sarebbe
successo. Voglio rimanere tua amica, ti voglio bene, tengo a te». Ci teneva davvero; per quei
cinque lunghi anni aveva pensato a come se ne era andata, senza farsi sentire.
Però aveva sempre la situazione sotto controllo, da chi li osservava da vicino
–Aria –o da lontano –Irene. Perché quelle due ragazze speciali avevano capito
che non era fuggita per paura, ma solo per proteggere il suo cuore.
«Voi donne
avete sempre questa fottuta idea dell’uomo che deve rimanervi amico che non
riesco a capire. O ci scopi o non ha senso parlare». Sick non voleva essere amico di Claire. Sapeva che il suo
cuore se l’era portato via lei, cinque anni prima. Era quasi sicuro che
qualsiasi cosa gli avesse chiesto l’avrebbe fatta. Per questo mascherava il suo
cuore spezzato facendo battute stupide e trombando con la prima donna a
disposizione; sapeva che il suo cuore si sarebbe sanato solo con quella ragazza
che l’aveva preso dentro a quello sgabuzzino del liceo.
«Michael
per favore, non sto dicendo questo. Voglio ritornare a sentirti, una chiamata
ogni tanto, per sapere che stai bene».
Tentare non avrebbe ferito nessuno –non avrebbe ferito nessuno più di quanto fossero
già feriti. Perché Claire era sempre stata brava a mascherare la tristezza,
abbandonandosi alle lacrime solo dopo essere esplosa da sola. Sick lo sapeva,
lo sapevano entrambi.
«Vuoi
tornare a sentirmi e poi scopi con lui. Grazie per il pensiero, sarebbe stato
peggio sapere che mi avresti chiamato mentre lo scopavi». Ironia spicciola. Ironia volgare. Perché sapeva quanto lei
la odiasse; sapeva che non sopportava quelle battute sempre rivolte al sesso.
Eppure non riusciva a farne a meno, perché stuzzicarla gli ricordava i vecchi tempi,
quando lei era solo sua, sempre e comunque.
«Perché
devi sempre pensare al sesso? Non sei cambiato Michael». L’accusa arrivò esattamente dove Claire voleva: lì, al
centro del petto di Sick, che accusò il colpo con un breve silenzio, prima di
alzare gli occhi al cielo esasperato. Fece un passo verso di lei che si trovò
imprigionata tra lui e il letto, senza via di scampo. Si trattava di fare una
scelta, lo sapevano entrambi.
«Perché tu
sei cambiata? Non godi più come facevi con me? O è semplicemente lui che non sa
farlo?» sibilò, portando una
mano sui fianchi di lei in modo possessivo. Claire mugolò involontariamente,
socchiudendo gli occhi per rimanere lucida –cosa difficile, quando Sick usava
tutte le armi a sua disposizione. Stavano cedendo, e lo sapevano entrambi.
«Non
offenderlo. È mio marito e lo amo, l’ho sposato per questo». Una piccola bugia bianca che
serviva solamente per lenire la sofferenza di entrambi. Lo sapeva Claire, che
aveva pronunciato quella frase a voce bassa –quasi come se si vergognasse –e lo
sapeva Sick, che aveva mascherato la delusione per quella frase dietro a una
risata sarcastica.
«Lo ami,
l’hai sposato per questo o perché semplicemente aveva una villa e non usciva
ogni sera con una pistola nei pantaloni? Una vera, con i proiettili di ferro». Perché nonostante tutto non
poteva smettere di punzecchiarla nemmeno mentre litigavano, nemmeno quando
vedeva il baratro della loro storia avvicinarsi inesorabilmente.
«Sei
cattivo Michael. Non dovresti dire queste cose». La voce le tremò appena ed entrambi sentirono il suo guscio
tremare, come se potesse scoppiare da un momento all’altro. Per questo si
allontanò da lui, andando ad appoggiare le mani su un mobile dall’altra parte
della piccola stanza di quello squallido albergo. Non voleva guardarlo, non
voleva più immergersi in quegli occhi color cioccolato. Gli stessi occhi che
aveva visto brillare di gioia e di tristezza.
«Vuoi
punirmi? Usi ancora i vecchi metodi anche con lui? Chi ha le redini del gioco?
Non dirmi che ti sei fatta sottomettere perché non ci credo» sogghignò, schernendola. Era un
modo malato per sapere qualcosa in più su di lei, per capire se fosse rimasta
la stessa ragazza di sempre, quella che lo legava al letto, impedendogli di
sfiorarla solo perché sapeva che lui sarebbe impazzito. Era un continuo
rincorrersi fino all’arrivo. Quel ricordo –i loro corpi sudati che sfregavano
l’uno contro l’altro su un letto –li colpì entrambi nello stesso momento,
facendo incrinare di nuovo la sicurezza di lei e rendendo più forte lui. «Godi ancora come facevi una volta?
Mordi ancora e stringi la mano destra a pugno?» soffiò sul collo di Claire, facendo aderire il suo petto
contro la schiena di lei che sussultò per quel contatto improvviso. Non si era
nemmeno accorta di quanto si fosse avvicinato.
«Michael,
smettila. Sono sposata».
Claire si finse indignata. Una bugia che ancora una volta serviva per non far
soffrire; entrambi sapevano però che non serviva fingere, perché i loro cuori
avevano la risposta a tutto. Quella risposta che si trovava nei loro respiri
accelerati, nei brividi che avevano e nei battiti dei loro cuori che sembravano
parlarsi. Lì, in quella stanza d’albergo esattamente come più di dieci anni
prima, in quel piccolo ripostiglio per scope.
«Potresti
guardarmi. Tutti questi chilometri per un funerale e nemmeno mi guardi» soffiò di nuovo, sfiorandole il
collo con la punta del naso. Un piccolo passo verso di lei e un nuovo colpo
contro al suo guscio protettivo. Stava cedendo, lo sapevano entrambi.
E poi, all’improvviso, Claire fece un gesto che riuscì a
stupire entrambi. Un gesto dettato da quel cuore ferito che voleva avvicinarsi
all’altro, solo per guarirsi, momentaneamente. Quando i loro sguardi si
incontrarono, si udì un tonfo sordo; il rumore delle barriere di entrambi che
cadeva. Il rumore di due sguardi che si conoscono e si amano che si rincontra.
Il rumore dell’amore.
«Michael
io… non posso. Sono sposata, lo amo e non è giusto, anche se non verrà mai a
saperlo. Non posso fare l’amore con te…».
Quelle parole erano sufficienti per ricordargli quanto lo amasse. Nonostante la
lontananza, nonostante fossero passati più di cinque anni. Perché non poteva
fare l’amore con lui. Forse però…
Allungò la mano fino ad accarezzarle la guancia, per sentire
di nuovo la sua pelle a contatto con i polpastrelli; il pollice si fermò su
quella fossetta che amava e ricercava in ogni ragazza, senza mai trovarla.
Arrivò a sfiorarle la nuca, stringendo lievemente i capelli tra le dita e
tirando appena. Sentì il respiro di Claire fermarsi e avvicinò il viso a quello
di lei; occhi negli occhi, come se aspettasse un solo gesto per fermarsi. Un
solo gesto per smettere di sfiorarle il naso con il suo, perché lei era
sposata.
Una tortura per entrambi che stava facendo sanguinare i loro
cuori feriti, ma che allo stesso tempo permetteva ai loro polmoni di respirare
di nuovo, sentendo il profumo di casa in quella fragranza di pelle, sale, sole
e pesca, in quella miscela di vestiti impregnati di fumo, sudore e sesso. Un
centimetro in meno tra le loro labbra e l’attesa che rischiava di ucciderli
entrambi; Sick la sentiva, sentiva l’elettricità diventare sempre più potente,
l’elettricità del bacio che si aspetta e che quando arriva sai non ti deluderà.
Riuscì a percepire anche la scintilla che si scatenò quando,
dopo aver sfiorato le labbra di Claire con le sue in un gesto quasi pudico
quanto erotico, il cellulare suonò, interrompendo la magia di quel momento.
Il suono di uno strappo definitivo, come se entrambi
sapessero che non avrebbero più parlato; perché quella situazione non era
destinata a trovare una soluzione. Succedeva sempre così quando due persone si
amavano, dando però un significato diverso a quella parola.
«Che c’è?» sibilò contro il ricevitore,
chiedendosi perché cazzo fosse proprio Brandon a chiamarlo e non Ryan. Vide
Claire indietreggiare confusa, portandosi le mani tra i capelli. La conosceva a
sufficienza da sapere che in quel momento si stava maledicendo perché aveva
quasi tradito suo marito. Ma tutto passò in secondo piano, una volta udite le
parole di Brandon. «Arrivo». Chiuse così la chiamata, nascondendo
il cellulare in tasca della giacca di pelle e dimenticando tutto quello che era
successo, come se sul suo corpo non ci fossero ancora i segni. «Devo andare. Ryan sta combinando
un casino». Non si voltò
nemmeno a salutarla, perché quel saluto avrebbe fatto male a entrambi.
Claire lo sapeva e non riuscì a nascondere un sorriso amaro
che le incurvò le labbra in una strana smorfia. Sick la amava, ma gli Eagles
erano il suo vero amore. Non se l’era sentita di rimanergli di fianco, sapendo
che non sarebbe mai stata la prima scelta. Ne aveva la prova anche in quel
momento, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle. «Ti amo». Un
respiro che si perse in quella piccola camera d’albergo, un segreto che quelle
quattro mura avrebbero custodito. Una verità condivisa tra loro e il suo cuore.
Lo
so, non ha senso.
Però
Sick urlava nella mia testa perché voleva rimediare un po’ questa situazione e
io l’ho incasinata. È triste, vero? Eppure non sono riuscita a renderla in modo
diverso e ammetto che questa OS dolceamaraidiota ha un qualcosa che mi fa amare
questo pazzo personaggio ancora di più.
Il
titolo deriva dal nome americano dello stanzino delle scope e i volti del
banner sono volutamente “liceali” per ricordare quei Sick e Claire, quelli che
si intrufolavano negli sgabuzzini per limonare e non solo. Non è betata e mi
scuso per gli errori e orrori, ma volevo pubblicarla ORA per un preciso motivo.
Niente,
i personaggi sono tutti presenti in YSM e questa OS si colloca più o meno alla
fine del capitolo 17, quindi è altamente spoiler per chi non ha letto la
storia.
Come
sempre se qualcuno fosse interessato NERDS’ CORNER è il
mio gruppo spoiler.
Se
qualcuno riuscirà a rimanere vivo dopo questa cosa… lo ringrazio
anticipatamente e mi scuso davvero per quello che ne è uscito.
Rob.
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