Se devo essere sincera, questa cosa è
stata scritta proprio perché avevo voglia di produrre del SoMa, ma sono fisicamente incapace di scrivere qualche cosa
che abbia senso, e che magari sia anche più lungo di una pagina e mezzo,
in questo momento.
Una volta, Mimi mi ha fatto notare che tutte le ambientazioni delle mie
storie sono piuttosto disastrate, e in effetti
è vero, così, per una volta, qui navighiamo nel lusso, e beh, la
storia è dedicata a lei.
(Neanche a dirlo, è un’AU, una scenetta senza capo ne coda, spero possa comunque intrattenervi un po’.)
Ospiti scalzi
Soul stava sdraiato sul suo
letto, disteso con le cuffie nelle orecchie, intento a cercare di ignorare Black*Star che gli dormiva accanto. A quell’epoca
erano ancora in camera da soli, questo accadeva prima che Kid
si trasferisse nella loro camera e poi ancora si trasferisse in un’altra,
terrorizzato dall’immensa baraonda che si trovava nella parte di stanza
destinata al suo rumoroso coinquilino. Black*Star
aveva poche cose, ma riusciva comunque a tenerle in un livello di disordine
difficilmente concepibile dalla natura umana, e sicuramente non da Kid in particolare. Ma quello,
come già detto, sarebbe successo dopo. All’epoca, Soul aveva
dodici anni e condivideva la camera con Black*Star,
che russava.
Era una creatura piuttosto
bizzarra, non si vedevano spesso tipi come lui in un collegio d’elite
come la Shibousen.
La maggior parte delle persone che studiavano alla scuola erano sfondate di soldi, fatta eccezione per qualche
individuo, come ad esempio Black*Star, che era stato
ammesso in quanto figlio adottivo del vicepreside. Le altre eccezioni erano Liz e Patty, figlie di due scapestrati che avevano vinto
alla lotteria e le avevano iscritte in collegio per liberarsi di loro, per poi
perdere tutto al casinò due giorni dopo. Dopo anni alla scuola, il signor preside, padre di Kid, si
era offerto di adottarle, ma dato che, nel mentre, Kid
e Liz avevano iniziato a fare coppia fissa, la
questione aveva scatenato un gran polverone, che si era risolto con un articolo
sul settimanale della scuola, che diceva che Kid era
incinto. La cosa aveva fatto nascere parecchi dubbi di natura biologica, in particolare, ma dato che dopo nove mesi non c’era
stato nessun parto o simili si era preferito non indagare su chi avesse
lasciato a briglia sciolta la fantasia.
Infine, tra le eccezioni
c’erano Ox e Maka,
ammessi come bambini superdotati. A Ox, una volta
divenuto grande, questa definizione aveva creato qualche fraintendimento, ma
per quanto riguardava Maka, a Soul piaceva che fosse
così.
Soul era la prima persona che
aveva conosciuto, quando la professoressa li aveva messi in banco insieme, il
primo giorno di scuola. Lui si era presentato con un sorrisetto strafottente,
ma lei non si era fatta troppo intimorire, anche se Soul viveva al collegio
già da un anno, e conosceva bene o male tutti, non aveva niente da
invidiargli. Si erano stretti la mano e, quel giorno, Soul aveva stretto un
patto di amicizia col demonio. Da quel momento in poi non gli erano di certo mancate
le librate, che fossero perché non aveva studiato abbastanza o
perché faceva apprezzamenti audaci sulla supplente d’inglese. La
supplente di inglese si chiamava Blair, c’era
chi diceva che fosse una strega e chi diceva che fosse una baldracca, in ogni
caso, Maka impugnava un tomo e martellava Soul.
Il ragazzino sbuffò e si
tirò il lenzuolo fin sopra la testa, come per proteggersi dal prepotente
russare dell’amico. Anni dopo lo avrebbe fatto
per nascondersi, durante la sua prima volta con Maka,
per non farsi sentire da Black*Star, mentre lei
sospirava dolorante con gli occhi lucidi e lui non sapeva cosa fare, diviso tra
il voler urlare o piangere a sua volta. Black*Star
non ebbe la stessa premura quando toccò a lui, entrando in camera
urlando “Sto per fare sesso e voglio che tutti lo sappiano!”. Per lo meno Soul aveva così avuto il tempo di scappare nell’aula
di musica, ma, in quel momento, era solo nel suo letto, con la musica nelle
orecchie, abbastanza alta da coprire i rantoli notturni di Black*Star,
ma non abbastanza da allontanarlo del tutto dal mondo. Fu allora che lo
sentì, il bussare
alla porta che aspettava. Si alzò dal letto con un balzo, lasciando il
lenzuolo bianco attorcigliato in un angolo. Percepì in calore del
tappeto sotto ai piedi e poi il fastidioso spazio tra
un listello di parquet e un altro.
Aprì la porta di legno
lentamente, se faceva così, l’uscio non emetteva nemmeno un
cigolio, la manutenzione di quel posto era impeccabile.
Allungò il collo per
vedere chi lo aspettava nel corridoio buio, anche se già lo sapeva. Maka, a piedi nudi, con la schiena un po’ piegata in
avanti, con in mano una tazza di latte, lo
squadrò nell’oscurità.
“Ci hai messo tanto”
commentò con un sibilo Soul, togliendosi distrattamente le cuffie, che
gli rimasero appese al collo.
“Delle ragazze mi hanno
fermato nei bagni, ho dovuto fare il giro passando per il quinto piano, ed
è stata lunga” brontolò entrando in camera a passo felpato.
Black*Star continuava a russare imperterrito. Soul,
chiudendo la porta dietro di lei, notò che la maglietta del pigiama era
bagnata e i codini pure, ma non disse niente, lei non ne aveva parlato, e
probabilmente non ne aveva voglia. La seguì con gli occhi mentre andava
a infilarsi nel suo letto, lasciando la tazza di latte sul comodino di legno
lucido. Soul rifece il percorso a ritroso e salì sul letto a sua volta
con un ginocchio e poi con l’altro scavalcandola. Non era ancora arrivato
a quel periodo della sua vita nel quale anche solo sfiorarla gli faceva venire i brividi. Appoggiò la testa al cuscino
e appoggiò le cuffie sul comodino, accanto al
latte di Maka.
“Che ti hanno detto
oggi?” domandò, guardando la schiena fradicia dell’amica.
“Chi?
il tuo fan club?” domandò lei, un po’ acida. “Non
è il mio fan club” si schermì lui, Maka
tossicchiò, lo era, e lei l’aveva scoperto a sue spese.
“Che tu sei mio amico solo
perché ti faccio copiare i compiti…e che
non mi bacerai mai.”
“Ma tu non mi hai mai fatto
copiare i compiti e cosa c’entrano i baci?!”
brontolò lui indignato, sempre parlando con la schiena della ragazza.
“Lo so. Non sono
preoccupata e di certo non voglio che mi baci. Vengo qui
perché la tua camera è più grande”
“Lo so” rispose lui,
di nuovo calmo, sentendo le palpebre pesanti. Ci fu un attimo di silenzio, poi Maka scrollò le spalle, prima di dire “Ho freddo”.
Soul fece aderire il suo petto
alla schiena di lei, sentendosi gelare allo stesso
modo, ma non si mosse, e tirò il lenzuolo a coprirli, fino alla testa. A
quel punto la camera piombò di nuovo nel silenzio, fatta eccezione per
il fastidioso russare di Black*Star.
“Non ti ci vuole niente, a
te, per fare il culo a quelle” commentò Soul, pacato, con il viso tra le codine bionde della
ragazza.
“Lo so” rispose lei
con un sorriso soddisfatto e gli occhi chiusi, e le sembrava di avere
già meno freddo.