Wet because of the Rain
Fuori piove per la prima volta da settimane. L’aria è
pesante, umida e calda. Tutto odora di pioggia, ma non è la pioggia
rinfrescante che nutre piante e fiori. Questa pioggia è strana, calda,
opprimente.
Mi sento in apprensione, agitato, confuso. C’è qualcosa nel
mio petto che mi rende difficile respirare e il mio cuore sta battendo così
forte che riesco a sentirlo. Riesco a
sentire il sangue che mi corre nelle vene e la mia pelle mi sembra calda,
sudata, troppo piccola per il mio corpo. Non riesco a smettere di toccarmi la
nuca, la fronte, la guancia destra e il petto. Sento il lampo che lacera il
cielo e non riesco a vederlo con gli occhi, ma riesco a vederlo con le mie
orecchie.
Nascosti dal rimbombo del tuono dei passi si avvicinano,
cauti, timorosi, in un silenzio assordante che mi rintrona in testa, sempre più
forti e violenti. I passi assumono forma, colore, dimensione, e riesco a intravedere delle scarpe, e delle gambe, e un bacino, e un
petto, e delle robuste spalle, e un viso senza espressione, ma che racchiude
nella sua fissità tutte le espressioni del mondo. Un viso che
riconoscerei tra mille e mille altri volti, dallo sguardo metallico e freddo,
dagli zigomi alti e pronunciati, dal mento forte, un viso incorniciato da
capelli lunghi e neri, perennemente arruffati.
Lo vedo avvicinarsi a me. No, sono io ad avvicinarmi a lui,
fremendo, tremando, e quasi lo raggiungo, e quasi lo afferro, un lembo del
mantello lucido, una fibra della tunica scura, una cellula della mano ruvida,
ma la mia mano stringe l’aria, la sua immagine si dissolve e si disperde e si
ricompone alle mie spalle e io mi volto e lo vedo lì, e questa volta accenna un
sorriso provato, triste, ed io di nuovo tento di arrivare da lui e di nuovo mi
sfugge, ed è di nuovo lì, malinconico, e mi guarda, e io lo guardo, e lui muove
le sue labbra arse, e io riesco a capire le parole che sta formando,
accompagnato dalla sua voce, che non odo ma sento. “Non puoi raggiungermi, Remus” mi dice “non è il tuo momento, non è giusto, devi
lasciarmi andare”. E io non voglio, e glielo urlo, Sirius io non posso, non posso lasciarti andare, perché tu,
maledetto, non potevi essere più prudente, e non è
giusto, non è giusto, non è giusto, non è
giusto!!!!!
La sua immagine protende la sua mano verso di me, e io
protendo la mia verso di lui, e insieme ci accarezziamo le guance, ma non ci
riusciamo, Sirius scompare di nuovo, inghiottito dal
tuono che ha squarciato l’aria e sulle dita percepisco qualcosa di bagnato.
Gocce di pioggia? Mi porto l’indice alle labbra. Salato? La pioggia non è
salata. Ma allora…
“Professore, professore!” sento qualcuno che mi scuote. C’è
un certo tono di urgenza nella sua voce, quasi di
terrore. “Professore, mi risponda!”
Chiudo gli occhi, stanco, e li riapro subito, dipingendomi
sul volto un’espressione serena. La mia solita espressione serena.
“Dimmi, Harry”.
Harry è cambiato. Da quel giorno,
è cambiato. Non ride più. Non si adira più.
“Nulla, è che solo…mi sembrava così lontano…ho paura che…” e
si interrompe bruscamente. Non importa che continui.
So. Annuisco con la testa e lui, rasserenato, mi porge un piccolo sorriso.
Un’incurvatura all’insù delle labbra.
“Ora ha bisogno di te” Sirius mi sussurra di nuovo “non puoi seguirmi. Il tuo posto è qui. Harry ha bisogno di te”
“E io di te”
“E io di te” la sua voce limpida mi
fa eco “Ma ora devo lasciarti andare. E devi lasciarmi
andare anche tu”.
So che ha ragione. So che non posso riportarlo da me. So che
non posso lasciarlo andare.
“Devi imparare ad essere bagnato solo per la pioggia”.
Un fulmine.
“Bagnato solo per la pioggia”.
Un lampo.
“Solo per la pioggia”.
E fuori ancora la tempesta infuria.
E ancora trovo difficile respirare.
Fine
Note: Il titolo
della canzone è tratto da Northen Lad
di Tori Amos. Harry Potter
appartiene alla Rowling. È la mia prima fic in questo campo, spero vi sia
piaciuta.