Helena
Helena
aprì gli occhi lentamente, ritrovandosi completamente al buio. Strano.
La
giovane tentò di alzarsi ma scoprì con orrore che non poteva, era in uno spazio
angusto ed oscuro, dove aleggiava un nauseabondo olezzo di umidità, chiuso e
muffa.
“Oh
mio Dio, no!” Esclamò la fanciulla, comprendendo l’accaduto: probabilmente la
febbre che l’assillava da giorni l’aveva indebolita al punto che il medico del
paese l’aveva ritenuta morta. L’avevano sepolta viva!
Helena
cominciò a urlare, disperata, nella vana speranza di richiamare qualcuno. Tentò
di spostare il coperchio della bara e, fortunatamente, vi riuscì. Non appena
uscì dal suo macabro giaciglio e si abituò alla fioca luce dell’unica torcia
che illuminava l’ambiente, capì che si trovava nella cripta della chiesa del
suo paese.
Helena
rabbrividì, rendendosi conto di quanto fosse stata fortunata nella sua sventura
dato che, se la sua tomba fosse stata inserita nel loculo, le sarebbe stato
impossibile fuggire. Solo dopo qualche istante la fanciulla comprese che la sua
situazione non era comunque delle più felici: sarebbe rimasta intrappolata
insieme a numerose bare fino all’alba, se non fosse riuscita ad attirare
l’attenzione del custode notturno.
Come
se non bastasse la giovane era assetata come non lo era mai stata in vita sua,
la sua gola bruciava così tanto che pareva aver preso fuoco. La giovane
continuò a invocare aiuto, tempestando di pugni la porta della piccola cripta e
sperando con tutto il cuore che il sagrestano potesse udirla.
Cristian,
l’anziano sagrestano, stava controllando un’ultima volta la chiesa prima di
godersi il suo meritato riposo. Era ormai mezzanotte e l’uomo non desiderava
altro che coricarsi accanto alla sua anziana consorte, desiderio prontamente
deluso da un imprevisto: dalla cripta provenivano dei cupi e potenti rimbombi,
come se un essere gigantesco stesse picchiando i suoi pugni possenti contro la
porta del sotterraneo.
Preoccupato,
il sagrestano rimase in ascolto per qualche istante, udendo anche la voce di
una fanciulla che invocava disperatamente soccorso. Che stava accadendo?
Resistendo
all’impulso di fuggire, Cristian si diresse verso i sotterranei, deciso a
scoprire la fonte di quel trambusto infernale.
Helena
si accasciò contro il portone della cripta, disperata. Non c’era modo di uscire
dalla cripta, la chiesa era deserta e nessuno sarebbe venuto in suo soccorso:
sarebbe morta, ne era certa. La sete non le dava tregua e avvertiva le forze
venirle meno.
Improvvisamente
avvertì un rumore di passi che scendevano le scale che conducevano alla cripta.
I passi si fermarono dinanzi al portone ed Helena udì chiaramente il tintinnio
di un pesante mazzo di chiavi.
“Aiuto!
Vi prego, aiutatemi!” Urlò Helena, alzandosi rapidamente.
“Non
preoccuparti, ti libero subito!” Rispose Cristian, poco prima di aprire il
portone. Helena sospirò sollevata, abbracciando il suo salvatore.
“Povera
creatura, che ti è successo? Cosa ci fai quaggiù?” Domandò il sagrestano,
tentando di tranquillizzare la fanciulla.
Helena
rispose, tentando d’ignorare il dolore alla gola, acuito dallo sforzo che aveva
fatto per urlare: “Mi hanno creduta morta, mi avevano già rinchiusa nella
bara…”.
Cristian
annuì, notando il pallore della giovane: doveva aver sofferto molto, la cosa
migliore da fare era riaccompagnarla a casa per permetterle di riprendersi.
Stava per proporre la sua idea ad Helena, quando si accorse che la giovane lo
guardava in modo strano.
“Ho
tanta sete.” Mormorò Helena, avvicinandosi al sagrestano. All’uomo parve che il
color cielo degli occhi della giovane avesse lasciato posto a una tonalità
sanguigna, ma subito si diede del folle.
“Ora
ti riaccompagno a casa, così potrai bere qualcosa e riprenderti da questa
brutta avventura.” Disse Cristian porgendo la mano ad Helena. La ragazza si
avventò contro il braccio del sagrestano, conficcando i suoi lunghi canini
nelle arterie dell’uomo.
Cristian
urlò terrorizzato e tentò di fuggire, ma non riuscì a liberarsi dalla stretta
potentissima della giovane. Sentiva il suo sangue che veniva risucchiato dalla
fauci fameliche di quella che, fino a qualche istante prima, sembrava un angelo
del paradiso.
L’ultima
frase che il sagrestano riuscì a mormorare, prima di morire dissanguato,
fu:”Padre, nelle tue mani affido la mia anima!”.
Helena
si sedette, sconvolta. Ancora non riusciva a credere a quanto l’era accaduto:
era diventata una vampira, una creatura delle tenebre. Perché proprio lei?
Ricordò
con orrore quegli incubi che aveva avuto prima di morire e che aveva attribuito
ai deliri della febbre: quel gigantesco pipistrello nero che entrava in camera
sua, quella strana nebbia che aleggiava nella sua stanza e un uomo misterioso
dagli occhi di brace…
La
vampira urlò, in preda alla rabbia e al disgusto: aveva ucciso un povero
innocente che voleva soltanto aiutarla, non avrebbe mai conosciuto la pace
dell’anima e aveva perso per sempre Norbert, il suo promesso sposo. Non era né
viva, né morta, tutto ciò che l’attendeva era una lunghissima agonia solitaria,
lontana dalla grazia del Signore.
Helena
sospirò: no, non poteva sopportarlo. Se le leggende che si narravano sui
vampiri erano vere avrebbe dovuto soltanto attendere l’alba, la luce del sole
l’avrebbe incenerita, ponendo fine alla sua infame esistenza di non-morta.
Prima di morire, però, Helena voleva vedere per un’ultima volta il suo amato.
La
neonata vampira riuscì ad introdursi con facilità nella dimora di Norbert: si
trasformò in una sottile foschia e raggiunse facilmente la stanza del suo
amato.
Helena
credeva che il suo promesso sposo fosse profondamente addormentato, invece
stava piangendo “Helena, amore mio.” Mormorò l’uomo, tra le lacrime.
Helena
si commosse: Norbert, per quanto innamorato, non era solito esternare i proprio
sentimenti e vederlo distrutto dal dolore per la sua dipartita l’addolorava
infinitamente.
Sempre
nelle sembianze di nebbia, la vampira raggiunse il suo amato, accoccolandosi
accanto a lui. Norbert rabbrividì e si voltò nella sua direzione ma, non
vedendo nulla, si sdraiò nuovamente. La presenza di Helena, tuttavia, parve
giovargli, dopo qualche minuto l’uomo scivolò in un sonno profondo e la sua
espressione parve rilassarsi. Helena riprese le sue sembianze umane ed
accarezzò delicatamente la guancia di Norbert, sorridendo.
Non
si sarebbe uccisa, non poteva abbandonare un uomo che continuava ad amarla
nonostante la credesse morta. Sarebbe rimasta per vegliare su di lui per l’eternità.
Helena
fece ritornò alla cripta quando mancava circa un’ora all’alba. Spostò il
cadavere del sagrestano al limitare della foresta, sperando che il morso sul
braccio venisse confuso con quello di un lupo o di un’altra fiera, dopodiché si
sdraiò pacificamente nella sua bara. Con un po’ di fortuna nessuno si sarebbe
accorto della sua fuga notturna.
***
Trascorse
quasi un anno prima che Norbert riuscisse a superare la scomparsa della sua
giovane promessa sposa. Helena vegliava sul suo amato ogni singola notte,
accarezzando i suoi capelli corvini e ammirando in silenzio il suo volto. Aveva
notato con gioia che Norbert dormiva sempre più a lungo e che appariva molto
più sereno.
Talvolta
Helena si doveva privare del piacere di trascorrere tutta la notte con il suo
amato perché trascorreva alcune ore a caccia. Generalmente preferiva attaccare
giovani uomini di poco conto, come contadini o cacciatori, quale uomo avrebbe
mai pensato che una giovane dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri
potesse essere una spietata vampira assetata di sangue?
Uccidere
quei poveri stolti richiedeva un impegno minimo e così Helena, dopo essersi
nutrita e aver occultato i loro corpi dissanguati, poteva correre a vegliare
sul suo caro Norbert.
Una
notte, trascorsi circa due anni dalla dipartita di Helena, la vampira percepì
qualcosa di strano mentre entrava nella casa di Norbert, come se ci fosse
qualcosa di nuovo e decisamente sgradevole, un corpo estraneo.
La
giovane scivolò rapida verso la camera del suo amato e, quando vi giunse,
rimase impietrita. Lui era con un’altra donna.
Stava
amando con vigore una sciocca e patetica villanella bruna, una donna qualsiasi.
Una creatura insignificante.
Fuori
di sé dalla rabbia, Helena riprese le sue fattezze umane e urlò: “Perché?!”.
La
giovane bruna scattò a sedere, urlando spaventata, mentre Norbert, dopo essersi
voltato verso Helena, rimase immobile.
“Come
puoi farmi questo Norbert? Come puoi tradirmi con una simile nullità?” Domandò,
furibonda, Helena.
“Tu…
sei morta!” Disse, a fatica, l’uomo. Helena incontrò i suoi occhi color pece e
vi lesse soltanto un’estrema meraviglia: nessun dolore, nessuna vergogna. Nessuna
gioia nel rivederla.
La
vampira si accorse che la giovane bruna, recuperati i vestiti, stava tentando
di darsi alla fuga. “Io non proverei a fuggire, se fossi in te.” disse Helena,
con tono calmo. La giovane rimase immobile, mentre Helena le si avvicinava con
esasperante lentezza.
“Come
ti chiami?” Domandò Helena, fissandola con disprezzo. “C-c- Cristiana”. Rispose
la giovane, abbassando lo sguardo.
“Helena,
come fai ad essere qui?” Domandò Norbert, riavendosi in parte dallo stupore.
“Taci,
miserabile!” Tuonò Helena, mentre afferrava il polso sinistro di Cristiana.
“Questa
notte, Cristiana, hai commesso il più grave errore della tua patetica esistenza
mortale.” Disse poi, con tono solenne, la vampira.
In
un attimo piegò con forza il braccio di Cristiana, spezzandolo. La giovane urlò
dal dolore, tentando di sottrarsi alla presa di Helena, inutilmente.
Norbert
tentò di scagliarsi contro la vampira ma venne prontamente respinto. Helena
spezzò con facilità anche il braccio destro della povera Cristiana, che
continuava ad urlare e piangere, disperata.
“Taci,
le tue urla sono uno strazio!” Ordinò la vampira, premendo con forza una mano
sulla bocca della povera giovane. Norbert tentò di fuggire per chiamare aiuto,
ma venne prontamente colpito da un calcio di Helena.
La
vampira fissò Cristiana e, per la prima volta, notò il terrore folle che
compariva negli occhi delle sue vittime. Aveva sempre ucciso per necessità ma,
quella notte, scoprì che poteva essere anche un divertimento. Un divertimento
sublime.
“Hai
paura?” Domandò Helena, con tono falsamente gentile. Cristiana annuì, mentre
abbondanti lacrime cadevano dai suoi occhi castani.
“Mi
dispiace tanto, poniamo fine a tutto questo terrore.” Si scusò la vampira,
mantenendo il suo tono zuccheroso. Lasciò la bocca di Cristiana, che sospirò
sollevata. Fu l’ultima cosa che fece prima che Helena, con una movimento delle
mani, le torcesse il collo, uccidendola.
Norbert
urlò e corse incontro alla sua amante, mentre Helena lo fissava con disprezzo:
era solo un uomo, uno come tanti. Debole, traditore, bugiardo, mortale. Come
aveva potuto amarlo?
Come
aveva anche solo potuto credere all’amore?
Si
avvicinò a Norbert, ora chino sul cadavere di Cristiana, e s’inginocchiò
accanto a lui.
“Sai,
da quando sono morta ho vegliato su di te ogni singola notte. Mi mancavi, mi
mancavi terribilmente ma non ti ho reso un vampiro perché non volevo
condannarti ad un’esistenza tanto oscura. Ora sono soltanto felice di non
averti reso il mio compagno immortale.” Disse Helena, con freddezza.
Norbert
si girò verso di lei: “Non potevo vivere amando soltanto il tuo ricordo, ho
soltanto tentato di andare avanti con la mia vita”.
Helena
lo abbracciò, sorridendo. “Ti ho amato e ti giuro che non soffrirai quanto
lei.” Disse la vampira, prima di affondare con forza i suoi canini nella
giugulare dell’uomo.
Norbert
tentò di urlare, ma l’elegante mano di Helena si posò con forza sulle sue
labbra, impedendoglielo. Helena succhiò ogni singola goccia di sangue di
Norbert, non c’era null’altro che poteva avere da lui, era tutto ciò che
quell’inetto poteva offrirle.
Una
volta compiuta la sua vendetta, Helena prese una delle torce che illuminava la
sala da pranzo e la utilizzò per dare fuoco alla casa di Norbert.
Sperava
che il fuoco avrebbe cancellato ogni traccia di quell’utopia che era stato il
suo amore. Rimpiangeva soltanto una cosa: doveva lasciare la cripta dove aveva
iniziato la sua nuova vita, dove si era nutrita la prima volta e dove aveva
dormito serenamente durante il giorno. L’olezzo della cripta, che tanto l’aveva
disgustata non appena si era trasformata, le sarebbe mancato quanto l’aria di
casa.
Ma
doveva andarsene, era l’unico modo per dimenticare definitivamente il suo
passato da umana.
Quel
giorno, per Helena, era un nuovo inizio.
L’angolo dell’autrice
Finalmente
anche la sottoscritta si è decisa a riemergere dalla sua personalissima cripta
e tornare a disseminare un po’ di fantasie malate qua e là.
Questo
racconto, Missing Moment della mia serie “Sanguis meus tibi non iam perbibendus
est”, più precisamente del racconto “Angel Face”, ha partecipato al contest “Il
morso del vampiro” indetto sul forum di Efp e si è classificato terzo (su tre
XD). Ringrazio Nihila per aver indetto il contest e Lady Eloise per averla
sostituita in qualità di giudice.
Detto
ciò, torno a far finta di studiare.
A
presto,
Carmilla Lilith.
|