Storia di venti minuti

di LalezionedellaWoolf
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Le mie guance si colorano di rosso. Il tuo volto graffia il mio ogni volta che mi baci con la tua barba di due giorni. Mi piacciono i nostri baci dolorosi, e anche quelli teneri, studiati, per non farmi male di nuovo, per evitare un altro graffio sul mento.

Giochi con i bicchieri ed i coltelli in cucina, ti rimprovero e propongo qualcosa da mangiare per cena. Perché non ci vediamo mai a pranzo, la mattina o il pomeriggio. Ognuno ha la sua vita e mi piace così.

Ci affettiamo un pomodoro a testa.

Chiedi a me di farlo perché ti piace il mio modo di sistemarlo sul piatto, così, come una stella o un esagono, ed un pezzetto rotondo di mozzarella, tagliato con cura, posato rigoroso nel centro. Dici che tu non lo sai fare. O forse sei solo pigro, ma non mi importa. È così facile volerti stare accanto, toglierti quel coltello dalle mani, minacciarti con il presentimento che ti taglierai un dito, prima o poi. E non sono mai arrabbiata con te, mai seriamente.

Con la coda dell'occhio ti vedo osservarmi mentre mangio, una risata trattenuta, quella tua risata così stupida. Una delle tante.

Alzo gli occhi dal mio piatto per vedere la tv, mi distrai con un paio di smorfie da cretino e butti qualche mollica di pane nel mio bicchiere pieno d'acqua. Mi sottrai quel pomodoro rosso rosso, e te lo infili tutto in bocca, veloce, rischiando di strozzarti. Ridi di nuovo, la bocca piena, fiero di te e delle tue prodezze.

Ed io rimango a fissarti, lo sguardo torvo, cercando improperi abbastanza offensivi da rivolgerti, perché se c'è una cosa che proprio non sopporto, sono le molliche di pane nel bicchiere.





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