When I jerk away from holding hands with you
I know these habits hurt important parts of you
Remember when I was sweet and unexplainable
Nothing like this person, unlovable
(Back in your head, Tegan & Sara)
10 Agosto 2023
Francia,
Normandia, vicino a Le Havre.
Villa
Parkinson.
Le Fresie
quell’anno erano
particolarmente rigogliose.
Violet le guardava tra
l’ammirato e il soddisfatto, mentre opportunamente vestita si
apprestava a
passare in rassegna il giardino della casa materna.
L’estate era ormai
agli
sgoccioli e si stava avvicinando l’ultimo, campale anno
scolastico. Non era
ancora riuscita ad assimilare il fatto che in meno di un anno tutto
sarebbe
finito e lei sarebbe stata finalmente considerata pronta per il mondo
al di là
delle mura bianche di Beaux-Batons.
Era strano, ma supponeva che
vi sarebbe venuta a patti.
Staccò con le
cesoie ben
affilate una rosa, posandola sul cestino che la sua Elfa personale le
stava
allungando sopra la testa bitorzoluta. Sua madre le amava rosse, ed era
sua
premura non farle mai mancare un mazzo di esse al mattino.
Fece un sospiro: i loro
rapporti si erano fatti tesi da quando, a Maggio, aveva rotto il suo
fidanzamento con Mathieu Allard. Visto il motivo – ovvero il
fatto che il porco
avesse tentato di usarle violenza - non poteva rimproverarla, ma non
era
affatto contenta che l’occasione di unirsi ad una delle
più influenti famiglia
di Francia fosse sfumata.
Credo
stia già tramando per farmi conoscere qualcun
altro…
Non le avrebbe dato molta
noia
quel pensiero, dato che non era la prima né
l’ultima Purosangue che si sarebbe
sposata tramite matrimonio combinato, se un paio di cose non fossero
venute
alla luce proprio a causa della rottura del fidanzamento. Prima di
tutte, la
sua intenzione di sposarsi con un ragazzo.
Le piacevano le ragazze, e
reprimere per il resto della sua vita ciò che era o
limitarlo alle porte chiuse
di una stanza … era inevitabile, eppure le dava un senso di
desolazione
profonda.
Inoltre, la sua attrazione
per
esse, aveva preso una tenace e inopportuna direzione; Dominique
Weasley, figlia
d’arte, Capitano e Prefetto della Casa dei Fiordalisi, bella
come il sole e
matta come un cavallo.
A
proposito di quella barbara, incivile …
Inspirò
bruscamente, ignorando
lo sguardo preoccupato dell’Elfa.
…
stupida, selvaggia, idiota.
Non la vedeva
dall’ultimo
giorno di scuola, quando si erano frettolosamente salutate prima che
sua madre arrivasse
a reclamare la sua completa e devota attenzione. L’altra non
era parsa
particolarmente infastidita dal commiato insoddisfacente anche se le
aveva
promesso di venirla a trovare prima dell’inizio della scuola.
Sì.
Certo. Perché l’ho vista. Tutti i giorni. Tutte le
ore.
Tagliò con
ferocia l’ennesima
rosa, gettandola nel paniere di vimini o forse sulla testa
dell’Elfa.
Era arrabbiata. Arrabbiata e
delusa. Certo, sapeva bene che la Weasley passava gran parte delle sue
vacanze
in Romania a rischiare di farsi divorare dai draghi. Sapeva anche che
la riserva
in cui soggiornava era tagliata fuori dal mondo, sia magico che babbano.
Ma
a quest’ora dovrebbe esser tornata.
Era stata
un’ingenua;
conosceva Dominique da sette anni e sapeva quanto fosse svagata nei
rapporti
interpersonali. Si dimenticava puntualmente che c’erano degli
obblighi sociali
da rispettare e soprattutto delle promesse che andavano mantenute con certe categorie di persone.
Tipo
la ragazza che ti sei baciata per un mese prima
che arrivasse l’estate a separarci.
“Porta le rose in
casa,
Silvy.” Sbuffò all’Elfa. “Come
al solito, disponile nel salottino privato di
mia madre.” Guardò il sole e indovinò
ad occhio l’ora. “Dovrebbe alzarsi a
breve.”
“Sì Padroncina Violet! Silvy va subito!”
Squittì Smaterializzandosi con uno
schiocco. Violet a quel punto, si concesse un lungo sospiro prima di
crollare –
seppur graziosamente – su una delle panchine di ferro battuto
che si
alternavano lungo il viale che collegava la casa al ‘giardino
all’inglese’.
Amava il giardino di casa
sua,
l’unico posto di villa Parkinson (fu
Goyle) dove si sentisse a suo agio. Le sue stanze erano sì
belle e luminose – i
quartieri suoi e di sua madre davano al sole quasi tutti i mesi
dell’anno - ma
arredate secondo gusto di quest’ultima, sin troppo opulento.
Inoltre l’intera
struttura era decisamente britannica, in uno stile gotico pesante, che
poco si
armonizzava con la dolcezza franca del paesaggio.
Si sistemò
l’orlo della
leggera veste estiva che prediligeva quando lavorava in giardino; sua
madre non
la approvava, chiamandola ‘la tua sottoveste da
contadina’ ma a lei ricordava
quelle viste nelle illustrazioni di vergognosi libri babbani che Jenny
le aveva
prestato al secondo anno in gran segreto. Non glieli aveva mai ridati.
Orgoglio
e Pregiudizio?
Aveva amato quel libro e
aveva
trovato molte similitudini tra quella vecchia società
babbana e la loro.
Non
credo si comportino più così, i babbani. Ma noi?
Praticamente identici.
Aveva risparmiato quel
discorso alle amiche per paura di turbarle o, ancor peggio, di farle
spettegolare. Ne aveva parlato con Dominique invece, e
l’altra gli aveva
confermato le teorie.
“Sicuro,
sono molto più avanti di noi da quel punto di
vista! Ma se guardi bene, vale anche per i maghi e le streghe che non
sono Purosangue
über
alles come te.”
“Sarebbe a dire?”
“Per
dirti, se ti mettessi a parlare di matrimoni
combinati ai miei cugini, in Inghilterra, ti riderebbero in faccia. Il
mondo
Babbano ci ha sorpassato di dieci leghe da almeno due secoli buoni, ma
anche
quello magico sta entrando nell’ordine di idee che le vesti e
le carrozze non
sono più tanto funzionali. A parte per le feste al
Ministero, nessuno in
Inghilterra si sogna di mettersi più quei tuniconi da monaco
ormai. I miei
cugini indossano i pantaloni, che io sappia.”
“Fanno
parte delle nostre tradizioni però.”
“Bah!
Le tradizioni sono noiose.”
Quel genere di ragionamenti
erano quanto di più lontano le fosse stato insegnato. Non
solo lontano, ma
diametralmente opposto. Ne aveva fatti molti, con Dominique, nel loro
posto
segreto – ovvero la Radura degli Unicorni.
A volte si chiedeva se non
ci
fosse qualcosa di più di
ciò che
toccava con mano nel suo mondo chiuso di Beaux-Batons e in quello
ancora più
esclusivo che la aspettava a casa.
Era questo probabilmente ad
averla attratta tanto di Dominique. Dominique la ribelle, Dominique la
selvaggia. Dominique che era libera come l’aria e forse per
questo non si
sentiva in dovere di farsi sentire con nessuno quando partiva. Neppure
con lei.
Sospirò di nuovo,
alzandosi la
veletta del cappello di paglia, doveroso quando il sole picchiava anche
sulla
coste dell’Alta Normandia¹. Era stata
un’estate calda, insolitamente poco
piovosa.
Voglio
tornare a scuola…
Le mancavano le sue amiche,
l’uniforme azzurra di seta, le chiacchiere divertenti e i
piccoli, succosi
pettegolezzi che le davano il buongiorno al mattino. Le mancava la Sala
Comune,
le belle decorazioni di stucco dorato e il parco incantato in una
perenne
primavera rigogliosa. Morgana, le mancavano persino le lezioni!
E
ti manca lei.
Non che stessero assieme,
certo. Stare assieme avrebbe comportato una serie di domande, risposte
poco
piacevoli e obblighi che Violet non voleva e non poteva
assumere.
Ciononostante la Weasley
aveva
il dovere di mantenere le sue
promesse.
Fu con quello stato
d’animo
che prima di pranzo prese una delle civette della voliera e
spedì una lettera.
Un biglietto che neppure firmò. Tanto non serviva.
Quando
pensi di venire a trovarmi? Ti ricordo che hai fatto una promessa.
Erano
solo parole?
Quando lo ebbe
spedì però se
ne pentì. Era forse darle troppa importanza?
Sì,
ma vuoi averla qui, giusto?
Decise di non pensare
più all’intera
faccenda per tutta la giornata. Del resto aveva ben altro da fare. Per
prima
cosa i compiti e poi misurarsi il nuovo guardaroba in vista
dell’anno
scolastico – il sarto era venuto apposta da Le Havre.
Per finire, sua madre; sua
madre che di lì a pochi mesi si sarebbe sposata. Non era una
notizia che
l’aveva colta impreparata. Già dall’anno
prima aveva subodorato qualcosa, date
le frequenti visite di un distinto funzionario del Ministero che era
stato
tacciato di essere ‘un semplice, caro amico’.
Pansy Parkison, vedova Goyle
adesso era incinta. Violet l’aveva appreso al suo arrivo e
aveva dovuto
congratularsi con tutti i crismi e farsi baciare le guance dal
bellimbusto biondiccio
e impomatato in questione.
Proprio
il suo tipo.
C’era un
matrimonio da preparare
e anche se Violet era stata esonerata dai preparativi (‘Devi
pensare alla scuola tesoro, non posso certo oberarti di
questioni così stressanti’) doveva
comunque essere sempre presente per i
mille, piccoli capricci.
Come in quel momento. Seduta
nel
suo salottino privato, le stava leggendo il giornale quotidiano ad alta
voce,
mentre questa era adagiata su una chaise
longue guardando il vuoto assorta. Sospettava che a sua madre
più che le
notizie interessasse darle qualcosa da fare che la tenesse nelle sue
immediate vicinanze.
“Quest’anno,
per celebrare il venticinquennale della Battaglia di
Hogwarts verrà rivisitata l’antica competizione
del Tremaghi, che coinvolgerà
l’Istituto Durmstrang, l’Accademia Beaux-Batons e
l’omonima scuola di magia e
stregoneria scozzese…” Lesse, facendo
subito dopo una piccola smorfia.
“Voglio proprio
sapere chi
sarà l’idiota a competere in un torneo sanguinario
e volgare come quello … È un
vero scandalo che la vostra Preside vi abbia aderito anche se,
immagino, non
avesse poi molta scelta. Senza l’Accademia il Tremaghi non ha
senso di
esistere.” Commentò sua madre con una smorfia
gemella. “Ho assistito
all’ultimo, mia cara, e fu un vero e proprio fallimento dal
principio alla
fine. Te ne ho mai parlato?”
“Sì,
mamma.”
Violet,
dall’atteggiamento
della madre, sapeva
che stava per
arrivare una delle loro amabili chiacchierate, in cui usciva sempre con
presagi
poco simpatici sul suo futuro di strega libera.
“… Ti
ricordi di Scorpius
Hyperion tesoro?” Esordì quando Violet era certa
che ormai si fosse
addormentata al suono volutamente monotono della sua voce.
“Sì, certo.” Posò la piuma
che fungeva da segnalibro tra le pagine. Come
volevasi dimostrare. “Il figlio dei
Malfoy, vero?”
Sua madre la
graziò di un
breve sorriso. “Sì, proprio lui. Giocavate spesso
assieme da bambini.”
Violet si astenne dal farle notare che più che altro si
rotolavano a terra
tirandosi i capelli e mordendosi vicendevolmente, incitati dai di lui
degni
compari, Nott e Zabini. “Mi ricordo.”
“È
diventato proprio un bel
ragazzo. Ho visto una sua foto di recente, me l’ha spedita
Daphne, sua zia.”
Detta anche La Meretrice.
Non avrebbe mai capito i
rapporti interpersonali di sua madre; chiamava tutti amici ma finiva
inevitabilmente per parlar male di uno con un altro. E viceversa.
Certo, anche
nella sua ristretta cerchia di amiche qualche pettegolezzo scappava, ma
mai
troppo cattivo. Dominique la chiamava ‘ottica del
branco’, con suo gran
fastidio.
Però
un po’ ha ragione.
“Davvero?”
Continuò sulla
china della neutralità. Tanto sapeva perfettamente dove
sarebbe andato a finire
il discorso.
“Dovresti
scrivergli e
riprendere i rapporti, Daphne mi dice che è terribilmente
simpatico e a modo…”
Ecco,
appunto.
Guardò verso la
finestra
intrappolando tra le labbra un sospiro esasperato. Inarcò le
sopracciglia
quando vide un puntino apparire nel sole decrescente del pomeriggio. Un
puntino
in mezzo al cielo; non certo un aereo babbano, né tantomeno
una scopa.
“Non lo vedo da
anni mamma … non
saprei cosa scrivergli.” Se non era una scopa o un mezzo di
locomozione aerea
babbana, allora cosa? Qualche animale?
La vedova fece un verso
scocciato, riottenendo la sua attenzione. “Non fare la
sciocca! Alla vostra età
gli argomenti di conversazione si trovano sempre!”
Magari
posso chiedergli se ha ancora l’abitudine di
appiccicare Bolle Bollenti sui vestiti delle ragazze.
“Hai ragione
mamma. Gli
scriverò stasera.” Si spostò verso la
finestra. Da lì aveva una visuale
migliore ed era decisamente un animale quello che solcava il cielo in
direzione
di casa sua.
Un’aquila.
E c’era una sola
persona, in
tutta la scuola, capace di addomesticare un rapace del genere.
Dominique aveva
un’aquila come
Famiglio.
“Se non hai niente
in
contrario vorrei farlo adesso.” Disse precipitosamente.
“Intendo dire, scrivere
la lettera a Scorpius…”
Sua madre sorrise con aria di approvare la sua repentina iniziativa.
“Certo
cara, va’ pure. Lasciami il giornale, vuoi?”
Glielo porse e poi
scappò in
camera. Come si aspettava – come sperava –
l’aquila era fuori dalla sua
finestra con una pergamena arrotolata attorno alla zampa. Intimorita
aprì le
imposte e slegò la lettera mentre il rapace la scrutava con
i grandi occhi cerchiati
d’oro. Dominique l’aveva salvata trovandola nel
bosco, presa in una delle
trappole che il Guardiacaccia della scuola usava per evitare che quelle
della
sua specie facessero massacro dei cerbiatti del bosco. Ne sapeva tanto
perché
l’aveva curata e addestrata proprio nell’ultimo
mese di scuola, con lei
presente.
“Osserva
Piggie, vedi il piumaggio marrone a chiazze
bianche? Ne ha tante, quindi è un esemplare
giovane.”
Era incredibile come il rapace e Dominique avessero instaurato una
connessione
così completa nel giro di una settimana neppure.
L’aquila era stata diffidente i
primi giorni, riducendo le mani dell’altra ad una confusione
di tagli e
beccate, ma questa non si era mai arresa, continuando a parlarle come
se fosse
in grado di capirla. E alla fine l’aveva capita davvero,
perlomeno le sue buone
intenzioni. L’animale l’aveva infatti ricompensata
con una fiducia sconfinata,
a vedere come prendeva cibo dalle sue mani e la seguiva ovunque nel
bosco.
“Come
si chiama?”
“È
un aquila anatraia maggiore, o clanga!”
“Che nome orribile… Scegliene un altro!”
Una risata. “Guarda che è il nome scientifico,
come viene catalogata dagli
esperti.”
“Sì,
ma dalle un nome poverina!”
“Ce
l’ha, l’ho chiamata Vianne. Ti piace?”
“Meglio
di Clanga…”
Un’altra risata.
Non aveva mai capito perché la sua reazione al nome le
avesse scatenato
un’ilarità ancora maggiore.
Chi
capisce quella sciroccata si merita un Ordine di
Merlino Prima Classe.
L’aquila,
raggiunto il suo
scopo, spiccò immediatamente il volo. Violet lesse.
Piggie,
all’entrata del bosco, vicino al cancello della tua
proprietà.
Sono
qui.
Ingoiò
un’esclamazione,
guardandosi allo specchio. I capelli le stavano bene e così
il leggero vestito
azzurro che indossava, uno dei suoi preferiti.
Certo
che per arrancare nel bosco…
Diede un’occhiata
alla pendola
del camino. Aveva ancora una manciata di ore prima che venisse servita
la cena.
Si cambiò quindi rapidamente con il vestito bianco che usava
per far
giardinaggio. Nessuno avrebbe notato uno strappo o qualche macchia
d’erba.
(Arrossì,
pensando a come se
la sarebbe fatta di lì a poco)
Percorse la strada
più breve,
costeggiando il bosco con il cuore che le risuonava come una grancassa
da
concerto. Vide l’aquila volteggiare e capì che le
stava indicando la direzione.
Mica
sono stupida, questa è casa mia, so dove andare!
La seguì comunque
e si infilò trai
molti Cedri del Libano che avviluppava l’entrata rendendola
quasi invisibile
persino ad occhio magico.
Dominique era lì.
La vide
immediatamente, perché dove era lei l’aria si
faceva stranamente più densa,
quasi concentrata. Doveva essere un atavismo Veela di cui quella
sciroccata non
si rendeva conto.
Ma
io sì.
La ragazza offrì
il braccio al
rapace, coperto da una polsiera di cuoio, e quello vi si
posò con uno stridio
venendo ricompensato da un bocconcino che trangugiò
soddisfatto.
Dominique
Weasley.
Vestita come se dovesse
rotolarsi nel fango – jeans babbani tutti strappati e una
vecchia maglietta di
cui non si leggevano più le scritte. Intravedeva due nuovi
piercing al viso
dall’ultima volta che si erano viste. Dal colore brillante
sulla pelle del
collo era chiaro avesse aggiunto i tatuaggi alla sua collezione di
stranezze.
L’unica cosa
salvata dalla
furia sciattona erano i capelli; dovevano esser passati per le mani di
un
MagiParrucchiere perché avevano una parvenza
d’ordine, lunghi sul davanti e
rasati sulle tempie.
Completamente
fuori dalle righe come al solito…
Quest’ultima parve
accorgersi
della sua presenza perché squadernò il suo
comprovato sorriso strafottente.
“Ehilà Piggie!” Aveva il viso bruciato
da sole e lentiggini ovunque.
Le
stanno bene…
Violet si sentì
la bocca
secca, ma non si lasciò scoraggiare dalla momentanea afasia.
“Ti ho detto centinaia di
volte di non chiamarmi
così. Imparerai mai?” Chiese nel suo tono
più glaciale.
L’altra
ridacchiò. “No, non
credo. Mi piace troppo la faccia che fai!” Ribatté
senza scomporsi. “Ripeto.
Ciao Piggie, come stai?”
Violet sospirò
sentendo che
aveva già voglia di affatturarla. Era sempre così
con Dominique; il suo stato
d’animo oscillava tra l’irritazione,
l’ammirazione e l’inevitabile attrazione.
“Impegnata.” Scrollò le spalle
incrociando le braccia al petto. “Al momento,
molto impegnata. Mia madre si sta per sposare.”
“Ho sentito.” La sorprese. Diede un bacio sul becco
dell’aquila e la lasciò
volare via, slegandosi la polsiera e mettendola poi nel tascapane che
aveva a
tracolla. Aveva scordato come ogni movimento di quella matta esprimesse
sicurezza. Aveva scordato quanto lo trovasse affascinante.
“Come hai saputo
…”
“Del matrimonio di tua madre?” Scrollò
le spalle. “Ne parlavano V
e la mia quando sono uscita.”
Intendeva sua sorella e sua madre. Violet percepì una punta
di fastidio, ma
lasciò correre.
“Come sei arrivata
qui?”
“Con
Arod.” Vedendo che non
ricordava, sbuffò. “Il mio Granian³, un
cavallo alato? Ma tranquilla, è fuori
dalla proprietà con
un incantesimo di
Disillusione. Mi ritirerebbero la patente⁴ se non lo usassi.”
“Quando sei
tornata?” Era
quello che voleva sapere.
Da
quanto sei qui e non sei venuta a trovarmi?
Dominique
sbadigliò,
stiracchiandosi. “Sono tornata in treno stamattina. Detesto le Passaporte
Continentali.” Fece una smorfia significativa
prima di scivolare lungo il tronco del cedro a cui l’aveva
trovata appoggiata.
Nascose un secondo sbadiglio dentro una mano. Apprezzò lo
sforzo anche se vi si
sganasciò dietro.
Selvaggia
…
Aveva una voglia incredibile
di baciarla, ma si astenne. Del resto Dominique non aveva fatto un solo
passo
verso di lei.
Magari
è qui per dirmi che non le interesso più.
La sua annosa e stupida
insicurezza veniva fuori nei momenti meno opportuni. Naturalmente aveva
imparato a reprimerla dietro la favolosa facciata della stronza, ma
spesso non
funzionava. Curiosamente in concomitanza con la presenza della testa
platinata
di fronte a lei.
Mi
sei mancata dannazione. Ma a te non importa niente,
non è vero?
“Beh?”
La riscosse di colpo
quest’ultima. “Mi hai mandato un Gufo.”
Le spiegò alla sua espressione
sorpresa. “Parlava di una promessa…”
“Che tu non ricordi.” Ritorse aspra. “Non
che me lo aspettassi.”
“Non ho detto che
non me la
ricordo.” Si grattò la nuca con un mezzo sorriso.
“Sono qui, no? Sono venuta a
trovarti. Come promesso.”
“È Agosto.”
“Non ho specificato quando!”
Morgana, se la detestava. E la voleva baciare. L’aveva
già detto?
Non potendola battere a
parole
– La Weasley era l’unica persona a disarmarla
verbalmente – fece retrofront, in
direzione della sua casa, della sua stanza, del suo cuscino e di una
crisi di
pianto frustrato.
Dominique si alzò
fluida come
un gatto e l’afferrò per il polso. “Eh,
no!” Inarcò le sopracciglia con un
sorriso divertito. “Mi fai venire qui con ventiquattro ore di
treno all’attivo
e poi te ne vai?”
“Non ti ho chiesto
io di
venire!” Cercò di divincolarsi ma, come al solito,
la presa dell’altra era
salda come un maglio d’acciaio, anche se non altrettanto
dolorosa. “Per quanto
mi riguarda potevi restartene a casa!”
“Non si dicono le bugie, Piggie…” Se ne
stava lì e la guardava come se fosse la
cosa più buffa del mondo. Aveva voglia di affatturarla
malamente, ma finì per
afferrarla per quell’orrore di maglietta e tirarla
giù – era assurdo che una
ragazza fosse così alta! – per un bacio goffo, a
bocca chiusa. La sentì
ridacchiare persino nel bacio, prima di ricambiare. A dovere.
Era
ora, stupida bifolca!
Riusciva ad insultare anche
quando era nel bel mezzo di un momento di tenerezza. Sì,
perché per quanto
Dominique sembrasse il genere di persona che quando si muoveva lo
faceva solo
con il rischio di travolgere qualcosa, quando baciava lei sembrava farci attenzione.
Era un’idea
stupida, ma la
sensazione era quella. E la faceva sentire bene. Speciale.
Poi, perché
ovviamente doveva
rompere l’incanto del momento, la suddetta le
sbadigliò in faccia.
“Metti una mano
davanti alla
bocca!”
“Ho sonno.” Fu la placida replica. “Non
so bene cosa sia il jet-lag, ma credo
di averlo.”
Neanche lei lo sapeva, ma ad una seconda occhiata notò
grosse occhiaie sul viso
dell’altra. “Non hai dormito nella
cuccetta?” Spiò.
“Diciamo che non
mi andava di
chiedere soldi ai miei per un biglietto trans-continentale. Costano un
sacco.”
“Ma hai viaggiato
in treno o
no?”
“Sopra c’ero.”
Violet intuì dove
l’altra
voleva andar a parare con tutta quella evasività. “In che diavolo di modo hai
viaggiato?”
“Mi sono nascosta
nel vagone
merci.” Fu la serenissima ammissione. “Ho
incontrato dei ragazzi ungheresi a
Bucarest che mi han detto che volevano arrivare fino alla Spagna
così e mi sono
accodata, anche se poi son scesa prima. Non è stato male, ho
dormito in posti
peggiori.” Si sedette di nuovo come se trovasse la terra il
più comodo dei
materassi. Dal suo punto di vista forse era così.
“Stamattina mi è toccato
spiegare tutto ai miei però. Sai che divertimento,
c’era pure Vicky…” Borbottò.
“ Uno pensa di far loro un favore a non spender
galeoni…”
“Forse non volevano violassi la legge. Forse.”
Ipotizzò sentendo uno strano moto di contentezza animarla
dentro. Aveva avuto
una giornata stancante eppure aveva
trovato il tempo per lei. Le aveva mandato un Gufo e lei era venuta.
Sono
una persona orribile a pensarlo?
“Non sono una tipa
da
fronzoli, Piggie.”
“Se per fronzoli intendi un materasso credo che tu abbia dei
problemi. Il che
non è poi una novità.” La vide
ridacchiare e sorrise anche lei, di rimando. “Forse
dovresti prendere una pozione. Per la tua schiena. Dovrei avere
qualcosa…” Non
si era accorta fosse tanto provata dal viaggio a prima vista.
Forse
perché eri presa a prendertela con lei?
Il senso di colpa
– Morgana,
se odiava quella sensazione – le strisciò addosso.
A diciassette anni sapeva
accorgersi quando le sue azioni potevano esser definite capricci. Che
poi
decidesse di glissare era un altro paio di maniche.
“Niente
pozione.” Scosse la
testa l’altra. “Mi basta una dormita come si
deve.” Si stese tra le radici del
cedro. “Se non ti spiace, approfitto della bella ombra del
tuo giardino.” Non
era una richiesta, era una constatazione. Violet avrebbe dovuto
irritarsi, perché
che visita era, se poi dormiva?
Ma
è qui, no?
Sospirò,
sedendosi accanto a
lei e controllando che fosse in un un posto che non le avrebbe lasciato
macchie
sulla veste. “Per cuscino intendi utilizzare una radice,
Donna delle Foreste?”
Dominique socchiuse gli occhi. “Se hai idee
migliori…”
Violet arrossì;
aveva già
avuto un’esperienza che, per quanto fosse stata fallimentare
dal lato emotivo,
le aveva insegnato come rapportarsi con un’altra ragazza. Ma
Dominique era
diversa da Louise. Da qualsiasi altro essere umano, a dirla tutta. A
volte era
capace di esser beffarda fino a ferire, altre volte le mostrava una
dolcezza insospettabile,
ma spontanea, come prenderla per mano al ritorno dalla radura degli
unicorni o
strofinare il viso contro la curva del suo collo. Era
quell’imprevedibilità nel
suo comportamento a metterla sempre sulla difensiva; non sapeva mai
cosa
aspettarsi.
Tuttavia al momento sembrava
innocua. La prese quindi per una spalla e la fece distendere
cosicché la sua
testa le riposasse in grembo. Finse di non notare l’occhiata
sorpresa
dell’altra.
“Penso di essere
più comoda di
una radice di legno.” Replicò guardando ovunque
tranne che nella sua direzione.
“Sei
morbida.” Fu la
simpaticissima replica. Avrebbe voluto tirarle i capelli o perlomeno un
pizzicotto, ma lasciò perdere.
Non
si è fatta neppure un’ora di sonno nel letto di
casa sua per venire da te.
Sii
carina per una volta. Forse se lo merita.
“Non intendevo
dire che sei grassa, solo che mi
piace questa
posizione. Non fare quella faccia arrabbiata!”
Violet inspirò
racimolando la
poca pazienza di cui i suoi geni l’avevano dotata.
“Grazie per averlo
specificato.” Sbuffò facendola ridacchiare.
Sentì poi la mano dell’altra sulla
sua guancia.
Non.
Arrossire.
“Hai i capelli
sciolti. Finalmente,
poveretti. Tenuta estiva?”
La mano era ruvida sui
polpastrelli ed era piuttosto certa, anche se non aveva
quell’angolo di
visuale, che le unghie fossero rovinate e mangiucchiate.
L’unica
debolezza di Dominique Weasley. Si mangia le
unghie.
“Hai la mano di un
coltivatore
di patate.” Sentì mancare un battito –
avvisaglia di infarto? – quando la mano
scivolò lungo il profilo del viso e poi lungo la curva del
collo. Dominique era
una tipa fisica. Per lei il contatto umano era più o meno
equivalente ad una
lunga conversazione a cuore aperto. Durante l’unico mese che
era stato loro
concesso prima delle vacanze si era ritrovata l’altra
continuamente nel suo
spazio vitale con il risultato di avere foglie nei capelli e un
po’ ovunque
alla fine di ogni loro incontro.
Le aveva dato meno fastidio di quanto pensasse. Meno che niente, in
effetti.
“Lavora per due
mesi con i
draghi e poi dimmi se hai manine da principessa… O se hai
ancora le mani, se è
per questo.”
Violet le prese la mano,
intrecciandola alla sua. Da quella posizione intravedeva, sotto il
cotone liso
della maglietta che il tatuaggio si estendeva fino a metà
avambraccio. “Carino
… cos’è, uno di quegli orrendi
lucertoloni?”
“Trai
vari.” Sogghignò ad
occhi chiusi. “È una specie di rito di passaggio
farsi tatuare qualcosa, alla
riserva. Per chi ci lavora, si intende … a me
l’han fatto perché sono diventata
maggiorenne. E perché tanto finirò a lavorar
là comunque.” Si scostò la
maglietta per fargli vedere il resto della fantasia. C’erano
dei fiori, dei draghi
e altri simboli che Violet ignorava ma dovevano far parte del Segreto
Codice
dei Pazzi Guardiani di Draghi. “Forte, eh? Due settimane per
farmelo!”
“Stupefacente.”
Ironizzò senza
che l’altra si scomponesse di una virgola. Il suo sarcasmo
doveva esser una
reazione positiva in confronto a quella che dovevano aver avuto le
donne della
sua famiglia.
Ce
la vedo Madame Weasley a trillare deliziata di fronte a
tanto orrore. Permanente poi.
“È
opera di un tipo turco che
prima di diventare un Guardiano era un MagiTatuatore. I soggetti
però li ho
scelti io.” Era contenta come una bambina e Violet si
trovò nella stramba
posizione di non poter dire niente per smontare
quell’entusiasmo genuino.
Sospirò ad ogni
buon conto. “Madame Maxime
te li farà Disilludere, lo
sai?”
“Che ci
provi.” Fu l’ovvia
replica. Sbadigliò di nuovo. “Sono distrutta.
Quanto posso rimanere così?
Perché mi piace.”
Quell’ammissione,
così poco da
lei, era indubbiamente una confessione.
Violet sorrise, passandole le dita nei capelli sottilissimi e chiari.
Con vergogna,
si accorse che avrebbe potuto toccarglieli per ore.
“Non ho piani fino
all’ora di
cena.”
Dominique fece un sospiro
contento. Era così naturale nelle sue esternazioni che
Violet la invidiava. Da
quando era nata aveva sempre dovuto star bene attenta a cosa
comunicare, come e
quanto. L’altra evidentemente non doveva mai aver avuto quel
problema.
O
non se l’è proprio posto.
“A proposito di
piani. Tra un
paio di giorni è il compleanno di mia sorella,
m’ero scordata di dirtelo…”
Spalancò di colpo gli occhi e la guardò quel suo
strano modo disagiante. “Sei
invitata.”
Aveva detto forse qualcosa
sulla sua dannata imprevedibilità?
****
15
Agosto 2023
Francia,
Bocche del Rodano²
Villa
Delacour
Dominique pensava fosse del
tutto normale invitare qualcuno al compleanno di sua sorella.
Per intendersi, quando
gliel’aveva
chiesto, l’altra aveva replicato che non c’erano
problemi anche se l’aveva detto
un po’ perplessa.
In ogni caso, ai compleanni
di
sua sorella c’era talmente tanta gente che una persona in
più, o una in meno
era percepita più o meno come la rotazione terrestre.
Non
percepibile, appunto.
Non aveva pensato
granché alle
motivazioni per cui, di punto in bianco, aveva voluto che Violet
venisse.
Mentre riposava con la testa sulle sue ginocchia aveva pensato che di
sicuro
sarebbe stato difficile vederla un’altra volta prima
dell’inizio della scuola.
Quella
stronza di sua madre la tiene reclusa in casa da
quando non ha più Allard che la accompagna in giro, a
sentire Mael.
“Dom!”
Si sentì chiamare dal
piano di sotto. Era proprio Mael, uno dei primi ad arrivare a quel
genere di
feste e uno degli ultimi ad andarsene. Non ricordava il nome del
ragazzo con
cui si stava frequentando al momento. Basile? Bastien?
Bah,
tanto lo cambierà prima della fine dell’estate.
Si affacciò dalla
bocca delle
scale. Se poteva evitare di mischiarsi alla folla colorata e
completamente
scema degli amici di sua sorella fino all’ultimo era meglio.
“Che c’è?”
“È
arrivata la
Parkinson-Goyle.” Le fece cenno dietro di sé.
“Vienitela a prendere prima che
cominci a far la stronza.”
Dominique sbuffò; era consapevole del fatto che
l’altra si comportasse in modo
abbastanza orrendo con l’intero creato a parte le amiche e
sua madre, della
quale era terrorizzata. Quello che non riusciva a capire era come tutti
potessero prendere le sue esternazioni come offese vere.
È
un po’ come un gatto che soffia perché non ti
conosce. Non è che lo fa perché ti voglia
graffiare sul serio, la maggior parte
delle volte lo fa perché non sa che fare.
Scese le scale a due a due e
si trovò in un batter d’occhio
all’ingresso. Violet era lì, con il leggero
mantello estivo che portavano tutte le Purosangue a rischio di
schiattar di
caldo, e un vestito lungo fin sotto le ginocchia che, indosso a lei, si
sarebbero disintegrato nel giro di un nanosecondo. Ma aveva i capelli
sciolti.
Dominique sorrise.
Sorrise e poi smise di farlo
quando si accorse che Violet non
stava
sorridendo a lei, ma a sua sorella che da brava festeggiata era andata
ad
accoglierla, ringraziandola per il regalo che già teneva tra
le mani.
“Grazie mille
Violet, non
dovevi!”
“Figuriamoci, mi
sembra il minimo
visto l’invito…” Sorrideva. Piggie. Che
mediamente di fronte alle altre ragazze
aveva la smorfia di chi stava contemplando qualcosa di disgustoso.
Ha
gusti difficili. Peccato che Vic rientri nei gusti
di chiunque abbia un paio d’occhi.
Violet era, come molti prima
di lei, totalmente rimbecillita dall’aria luminosa che sua
sorella emanava
dalla sua nobilissima ed elegantissima persona. Era talmente palese che
se
avesse avuto un cartello al collo con su scritto ‘Sto sbavando su Victoire Weasley’
sarebbe passata inosservata, a
confronto.
“Ora che non sta
più con quell’animale
di Allard con chi sta?” Le chiese Mael. “Frequenta
qualcuno?”
Forse non era
così palese. Lo
era per lei però, e provò il confuso desiderio di
far Evanescere sua sorella.
Ugh.
“Piggie!”
Esclamò facendola
quasi sobbalzare, e inevitabilmente arrossire. Trovava adorabile il
modo in cui
diventava paonazza e gonfiava le guance quando era indignata. Come le
aveva
detto secoli prima, sembrava un buffo porcellino d’india. E
quell’espressione la
faceva solo con lei.
“Ah, eccoti
qua!” Sbuffò
Victoire alzando gli occhi al cielo. “Mostra alla tua amica
dove posare il
mantello invece di nasconderti in camera.”
“Non mi stavo
nascondendo, mi
stavo volutamente isolando dal tuo mondo scintillante.”
Ribatté mentre Violet
guardava dall’una all’altra. Sicuro si doveva
chiedere come potessero esser
sorelle, al di là dei colori simili. La afferrò
per un polso. “Andiamo Piggie!”
Quella le scoccò
un’occhiata
che prometteva una morte lenta e dolorosa. Si frenò
dall’insultarla e tirarle
un calcio probabilmente solo perché in presenza di altre
persone.
Tra
cui la Perfetta Vic.
Quando furono in camera
però
smise di trattenersi – c’era riuscita un sacco
visto il carattere che si
ritrovava. Era ammirevole.
“Sei
scema?!” Sbottò tirandole
una spinta. “Che bisogno c’era di portarmi su come
una specie di sacco di
patate? È il compleanno di tua sorella, che ti salta in
mente…”
Dominique aveva scoperto che
poteva farla stare zitta semplicemente baciandola. Non che utilizzasse
spesso
quel metodo, per quanto soddisfacente fosse. In realtà la
divertiva da matti
sentirla borbottare come un vecchio calderone. Quasi sempre.
Violet soffocò
un’esclamazione, ma ricambiò il bacio. Su quello
si poteva star sicuri, a
Piggie piaceva baciarla quanto piaceva a lei. Poi si staccò
puntandole le mani
sulle spalle.
Sembrava confusa, anche se
meno infuriata. “Si può sapere che diavolo ti
prende?”
Dominique non aveva ben
chiaro
lei stessa cosa le fosse preso. In effetti normalmente
l’avrebbe lasciata in
balia del suo imbarazzo nei confronti della sua famiglia prima di
trarla in
salvo.
Sarebbe
stato divertente, ma…
“Volevo farti
vedere camera
mia!” Si risolse a dire stringendosi nelle spalle.
“E c’era
bisogno di farlo come
se ne andasse della tua vita?” Alzò gli occhi al
cielo guardandosi
poi intorno. Dall’espressione era
piuttosto chiaro cosa ne pensasse.
“Carina…” Inarcò le
sopracciglia. “C’è
esploso dentro qualcosa?”
Dominique
ridacchiò,
sentendosi meglio. Il che era piuttosto bizzarro.
Il loro rapporto, a dirla
tutta, lo era; era ormai venuta a patti con il fatto che la ragazza
minuta e collerica
che si trovava di fronte le piacesse. Violet era una ragazza
intelligente,
molto meno impostata sui Sacri Dettami Purosangue di quanto non
mostrasse al
mondo intero. Le piacevano i fiori e le cose carine, come i cuccioli di
unicorno. Era morbida e sempre profumata, e le piaceva toccarla e
baciarla
anche se di sesso non ne avevano proprio parlato, dato che Violet si
era
rifiutata di ‘concedersi’ – parola da lei
usata – in mezzo ad un bosco.
Nonostante tutti i suoi
capricci le piaceva. Di controcanto, sapeva che dietro tutti gli
insulti che le
rivolgeva, Violet era affezionata a lei. O perlomeno attratta.
Quello che sapeva di loro
finiva lì e a dirla tutta, non che si fosse fatta tante
domande in merito.
A scuola i pettegolezzi su
di
loro erano ovviamente scoppiati dopo che si era sparsa la notizia del
suo
salvataggio ai danni di Allard. Erano scoppiati, espansi e poi spariti,
come
capitava quando si sceglieva oculatamente di non alimentarli. Ormai
neppure Mael
trovava materiale per sparlar di loro, si limitava a guardarle con
l’aria di
chi la sapeva lunga.
Violet non voleva che
facessero
niente in pubblico e a lei stava bene. Non era tipa da vivere in
simbiosi con
un’altra persona e trovava un po’ idiote le coppie
che sembravano vivere l’uno nella
bocca dell’altro.
Però
in realtà mi sa che sono io a non capirci niente,
altro che Mael.
Aveva finito per parlarne
con
suo zio Charlie: aveva eletto quel parente tanto simile a lei a
consigliere
personale sin dalla veneranda età di tre anni, quando le
aveva portato un libro
illustrato sui draghi guadagnandosi il suo amore imperituro.
“A
te piace questa ragazza Domi?”
“Sì,
te l’ho detto. È … buffa. Non
è come le altre, non
è mai noiosa.”
“E tu piaci a lei. Ma non state assieme.”
“No, perché …”
“Perché?”
“Eh,
boh. Che ne so. Il sogno di sua madre è vederla
sposata ad un Bel Purosangue di razza con un mucchio di Galeoni in
banca. Credo
che non abbia tutta ‘sta voglia di deluderla, ecco.”
Suo zio lì per
lì non le aveva
detto niente e dopo aver riflettuto un paio di giorni – non
era tipo da sparare
la prima cosa che gli veniva in mente tanto per farsi grosso di fronte
ai
nipoti, lei specialmente
– le aveva
consigliato di farsi la seguente domanda e rispondersi da sola.
Cosa
vuoi da Violet?
Cosa voleva. Piggie le
piaceva, si divertiva con lei. Victoire due anni prima le aveva detto
nero su
bianco di lasciarla perdere, ancor prima che il loro rapporto
tramutasse in
quello che avevano adesso. Ma non aveva senso. Si lasciava perdere
qualcosa che
non ti piaceva fare. Non qualcuno con cui ti piaceva stare.
“Dovremo
scendere.” La
riscosse l’altra, con le braccia incrociate al petto. Aveva
ancora le guance
rosse e i capelli scompigliati dal bacio. La fermò con una
mano quando tentò di
avvicinarsi di nuovo. “Dico sul serio, Nicky!” Se
la chiamava in quel modo le
passava la voglia di non darle retta. Curioso. “Sono venuta
alla festa di tua
sorella … non posso sparire per tutto il tempo!”
“Perché
no? Io lo faccio
sempre! Non è che mia sorella si strappi i capelli o che
… È letteralmente assalita
dalla gente che la festeggia, non
se ne accorgerà neanche!”
“Non è questo il punto, non è
così che si comporta un’ospite!” Ritorse
spazientita.
“Non puoi invitarmi alla festa e farmi stare nella tua
stanza. Le persone
potrebbero parlare … e ce ne sono decisamente di pericolose,
a quanto ho potuto
vedere.”
A
me però non frega niente di queste pericolosissime persone.
Si sentiva innervosita, e
questo non le piaceva. Forse era ancora il jet-lag o roba simile. Di
sicuro.
Doveva dormire di più, in quei giorni tra il sistemarsi,
recuperare familiarità
con Arod e star dietro al bisogno di Louis di averla di nuovo accanto
aveva
tralasciato di frequentare il suo letto. Fece una smorfia.
“Come ti pare. Se
vuoi andare, vai.”
“Come vai?” Sgranò gli
occhi. “Tu non vieni?”
“Non mi piacciono
gli amici di
V … e ora che lei e Teddy
si sono
mollati stare con loro è ancora più
palloso.” Si strinse nelle spalle e si
buttò sul letto sfatto. Doveva dargli una sistemata da mesi,
secondo sua madre.
“Vai pure, io resto qui.”
Violet sembrava aver la
faccia
di una che aveva una fattura sulla punta della bacchetta.
Aprì la bocca per
dire qualcosa, ma subito la richiuse. “Sei
impossibile!” Gridò prima di
lasciare la stanza e sbattersi la porta dietro.
Dominique
sospirò.
Che
casino che fa … Volevo solo passare un po’ di
tempo
con lei.
Si accorse in quel momento
che
era quello il motivo per cui aveva
invitato Violet, non ce n’erano altri.
Si ficcò il
cuscino sotto la
nuca e si impose di dormire, visto che quel jet-lag proprio non voleva
saperne
di passare. Del resto, si sentiva di cattivo umore come non mai.
****
Violet aveva voglia di dar
fuoco all’intera proprietà degli Weasley-Delacour.
Sì,
perché si sentiva
profondamente a disagio e un falò le avrebbe proprio calmato
i nervi.
A parte gli scherzi, a
disagio
si sentiva sul serio; dalla festeggiata era stata fornita di cocktail
con
ombrellino che lanciava piccole scintille magiche, ma il loro rapporto
si era
interrotto lì dato che Victoire era stata in seguito
trascinata via dalla moltitudine
di invitati che rideva, parlava, ballava e genericamente sembrava
spassarsela
un mondo.
Non conosceva nessuna di
quelle persone, per quanto alcune le avesse incrociate per anni in
Costa
Azzurra, dove aveva trascorso le vacanze durante il suo fidanzamento
con Allard.
Ma era il genere di gente che non andava a genio a sua madre
– nuovi ricchi o parvenu,
come amava chiamarli. Vide tra
di loro anche star del Quidditch e attori di teatro.
Gentaglia,
tesoro, gentaglia…
A Violet in
realtà sembravano
tutto fuorché quello; gli amici della sorella di Dominique
sembravano semplicemente
persone capaci di godersi la vita senza farsi troppo fisime.
Sicuramente
non sono Purosangue.
Si sentì dare un
colpetto sul
fianco e si voltò pronta ad incenerire il villano che aveva
osato toccarla in
un punto così poco decoroso.
Si trovò di
fronte il sorriso
bianchissimo del fratellino di Dominique, Louis. Aveva persino
più lentiggini
della sorella e i capelli rossi come se fossero stati infilati nella
lava.
L’espressione beffarda però era tutta di
Dominique, anche se declinata in una
monelleria che dovevano avergli detto fosse irresistibile a giudicare
dalla
sicurezza con cui la ostentava.
“Ciao
Violet!” Esclamò dandole
del tu come se si parlassero da anni. “Come mai stai da
sola?” La domanda
esprimeva tutta l’ingenuità dei suoi dodici anni e
non se la sentì di esser sarcastica.
“Non conosco
nessuno.” Fece
spallucce come se non ci fosse una moltitudine di gente attorno a lei a
cui si
poteva presentare tranquillamente.
“Dov’è
Domi?” Nervo scoperto.
Violet serrò le labbra e il ragazzino, stranamente, parve
capire l’antifona.
“Ah, ti ha lasciata sola, eh? Ma non te la prendere, a volte
fa così, le feste
di Vicky non le piacciono.” Dal nulla tirò fuori
una singolare aria da uomo di
mondo. “Ti faccio compagnia io, bellezza!”
Bellezza?
Violet non poté
fare a meno di
mettersi a ridere. Non con cattiveria però,
perché chiunque avesse detto a quel
nanetto che aveva un faccino irresistibile aveva avuto ragione in
pieno.
Registrò il fatto
che, come Dominique,
non sembrava particolarmente turbato dalla sua ilarità.
Quegli Weasley avevano
una faccia di bronzo invidiabile.
“Ti rivolgi
così a tutte le
amiche di tua sorella?”
“Nah, solo a
quelle carine!”
Ghignò con aria saputa. “Tu sei la più
carina, lo dice anche lei!”
Violet arrossì a quel complimento indiretto, anche se non
riusciva ad
immaginare Dominique che le faceva un apprezzamento del genere, nemmeno
sotto i
fumi del Veritaserum.
“E che altro dice
di me?”
Louis si strinse le spalle,
ficcandosi in bocca una tartina appellata dal vassoio di un cameriere
vicino.
“Non tanto, non è che sia una chiacchierona, se
non si tratta di parlare di qualche
bestia strana.” La guardò da sotto in su.
“Ti va di essere la mia dama stasera?
Io sono bello, tu sei bella. Saremo una coppia perfetta!”
Però,
a sfacciataggine è un campione.
Violet non si sentiva
particolarmente irritata però. La verità era che
star sola ad una festa di
estranei era una delle cose più mortificanti al mondo, e
persino quel ragazzino
impertinente poteva trasformarsi in un’ancora di salvezza.
E
poi pare che Dominique con lui parli.
Gli sorrise prendendogli la
mano che gli porgeva fiducioso. O sicuro di sé. Con gli
Weasley-Delacour il
confine era molto sottile, l’aveva imparato per esperienza.
“Con molto
piacere.”
Parlare con Louis, un
dodicenne che si credeva un piccolo dio sceso in terra, era stato
più
divertente del previsto. Il piccoletto era un intrattenitore nato, ed
esser
nato con due sorelle doveva averlo temprato agli atteggiamenti
femminili.
Violet si era lasciata rifornire di tartine e cocktail e aveva
ascoltato il suo
fiume di chiacchiere, metà in francese e metà in
un inglese del tutto
approssimativo.
“Sei sicura che
non vuoi
essere la mia ragazza?” La apostrofò per forse la
decima volta. “Ti tratterei
bene!”
“Ne sono certa.” Bevve un sorso dal suo Melatini.
Era un cocktail babbano –
cos’altro poteva esser servito ad una festa a maggioranza
Mezzosangue? – ma anche
maledettamente delizioso. “Hai dodici anni.”
“Ma crescerò!” Fu la rapida risposta,
mentre si dondolava sulla staccionata a
cui era appoggiati i tavoli di cibarie. “Se è
l’età un problema puoi sempre
aspettarmi!”
“E non
crescere?”
“Aspettare che
cresca io!”
Fece un sorriso furbo. “Sarò ancora meglio tra un
paio d’anni!”
Violet ridacchiò.
Tutti quei
cocktail le avevano fatto un po’ girare la testa, ma essendo
abituata a dover
gestire i molti drink offerti alle serate in cui sua madre la
trascinava
riusciva comunque a mantenere un contegno decoroso.
Certo
che non è proprio il massimo esser brilla e farti
tener compagnia da un dodicenne ad una festa di sconosciuti a
maggioranza Nati
Babbani e Mezzosangue … Cosa penserebbe tua madre? Cosa
penserebbero Jenny e le
altre?
Fece una piccola smorfia,
affogandola nel sapore dolce del suo calice.
È
colpa di quella bifolca. Se fosse stata qui…
“Stai bene,
Violet?” Le chiese
il ragazzino con aria preoccupata. Non si era accorta di aver
atteggiato il
viso alla sua classica smorfia infastidita.
“Sì,
certo.” Tentò un sorriso,
vedendo Mael Delacour guardarla da lontano e parlottare a bassa voce
con altri
tipi.
Come
se non mi accorgessi quando qualcuno sparla di me…
Principianti.
“Vuoi Domi,
vero?” Louis fece
un lungo sospiro teatrale. “È ovvio che la mia
dama non pensa a me!”
Violet presa da uno strano
moto di tenerezza – non era mica di pietra come vociferano
quelli come Mael! –
gli arruffò i capelli fulvi. “Sono qui e non con
altri ragazzi, no?”
Louis fece un gran sorriso.
“Vero!” Guardò verso casa sua e, ad
occhio e croce, verso la stanza della
Bifolca. “Non so che le sia preso … Di solito poi
scende, anche solo per far
piacere a Vicky.” Borbottò.
Violet sorrise.
“Ti piace tua
sorella, eh?”
Louis annuì con
entusiasmo
genuino, dimostrando che dietro tutte quelle maniere da piccolo
Casanova
rimaneva un dodicenne come tanti. “Sì,
è la migliore sorella del mondo!” Le
assicurò. “Le voglio tanto bene!”
Violet pensò improvvisamente al bambino in arrivo a casa
sua; sarebbe riuscito
ad amarlo con la semplicità con cui i fratelli Weasley si
volevano bene?
Dubitava. Avrebbe voluto, ma le mancava il requisito principale per
essere una
buona sorella maggiore.
La
mancanza di invidia? Che diciamocelo, Violet, è
decisamente il tuo peccato capitale.
L’invidia era il
motore ultimo
di molto di ciò che provava. E non poteva dire di non
provarla anche per quella
famiglia perfetta.
Altro
che la mia. Una vedova che sta sposarsi già
incita e una figlia a cui piacciono le donne.
“Sarà
ancora stanca per il
viaggio, scenderà.” Lo consolò poco
convinta mentre una fitta di ansia le
contorse lo stomaco. Della Weasley si potevano dire molte cose, ma non
che
fosse viziata. Aveva un buon carattere. Eppure quel giorno si era
comportata in
modo scortese, brusco e sopratutto menefreghista.
Che
diamine le è preso?
Non poteva mettersi a
decifrare anche i malumori di Dominique, oltre quelli di sua madre. Era
troppo.
“Non è
il viaggio…” Scosse la
testa il ragazzino. “Cioè forse, anche, ma secondo
me è quell’altra
cosa…”
Violet batté le palpebre. Che altro si era inventata quella
testa platinata?
“Quale altra
cosa?”
Il ragazzino la
guardò
stupito, quasi non si aspettasse di vederla completamente ignara.
Non le piacque. Affatto.
“Beh, ma che Domi
si candida
al Torneo Tremaghi quest’anno, no?”
La porta della sua camera si
aprì di schianto. Dominique, immersa nel dormiveglia,
scattò a sedere sul materasso
pronta a qualsiasi evenienza, da sua sorella pronta a trascinarla per i
capelli
alla festa alla fine del mondo.
Che
è più o meno la stessa cosa.
Certo non si sarebbe
immaginata di trovarsi di fronte Violet che la guardava come se volesse
darle
fuoco con un Incendio. Ed era
diversa
dalle solite occhiate che le lanciava. Stavolta sembrava infuriata sul
serio.
E
ora che ho fatto? Dormivo!
“Quando avevi
intenzione di dirmelo?”
Le sbraitò contro senza darle il tempo di emettere un suono,
o tantomeno una
domanda.
“Eh?” Le
uscì poco
intelligentemente. Ma non era colpa sua se l’altra parlava
per enigmi. “Di che
parli?”
“Sai benissimo di
che sto
parlando!”
“No?” Batté le palpebre confusa. Per lei
le ragazze erano davvero uno strano
mondo. Sapeva di appartenervi, naturalmente, e per alcuni versi
preferiva di
gran lunga il suo sesso a quel caos rumoroso e poco sveglio che era
l’universo
maschile. In alcune cose si sentiva irrimediabilmente donna. Ma il
sottointeso
– arte muliebre secondo sua sorella – le sfuggiva.
O forse era proprio Piggie
che
non capiva.
“Il
Tremaghi!” Sbottò. “Il
dannatissimo Tremaghi che è stato rimesso in piedi
quest’anno! Quel Torneo con
tre prove, tre maghi, tre scuole e il trecento per cento di
possibilità di
essere ammazzati!”
“Ah,
quello.” Capì finalmente.
Sospirò, perché a lei era sembrato talmente
naturale pensare ad iscriversi che
aveva deciso nel giro di una giornata.
Dopotutto
mamma è stata una Campionessa.
Non aveva la certezza
matematica che sarebbe stata scelta per concorrervi, di più.
Era la migliore
della sua scuola, i Galeoni in premio erano tanti e già
sapeva come li avrebbe
spesi.
I
miei primi soldi, senza che peschi da cassaforte dei
miei.
“Perché
sei arrabbiata?” Si
strinse nelle spalle. “Comincerà tutto a Ottobre,
anche se le selezioni…”
“Dovevi dirmelo!” Ripeté come se fosse
quello il punto focale dell’intera
faccenda. Forse lo era. Anzi, a giudicare dall’espressione
dell’altra lo era di
sicuro. “Sono venuta a saperlo da tuo fratello!”
“Beh,
bene.” Replicò cauta. Le
sembrava di maneggiare un uovo di drago di fronte a Mamma Drago. Un
passo falso
e sarebbe stata divorata. “Senti, ma che te lo dicessi oggi o
tra un mese,
quando inizierà la scuola e sarà tutto
più concreto, mi dici cosa cambia? Forse
è meglio dopo, no?”
“Dovevo essere la
prima a
saperlo!”
“Perché?”
Violet alla sua domanda
ammutolì di colpo, boccheggiando. Chiaro come il sole che
non sapesse quale
Snaso avesse l’oro⁵. Aveva però anche
un’aria ferita, da come si mordeva il
labbro e si fissava le scarpe.
“Perché
… perché … beh,
pensavo ci tenessi a me!” Si risolse a dire con tono
rabbioso.
Dominique sapeva di dover
fare
qualcosa di fisico, che le riusciva
meglio esprimersi in quel modo che mettersi a fare lunghi discorsi
sentimentali. Complice però l’irritazione che
continuava a sobbollirle dentro
come un brutto, brutto magma, non si mosse dal letto.
“Ci tengo a
te.” Disse invece.
“Ma non capisco questo cosa c’entri nel dirlo prima
a te o qualcun altro. Ne ho
parlato alla mia famiglia solo perché volevo evitare che a
mia madre o a Vì
prendesse un infarto … e poi volevo il loro
appoggio.”
“E non vuoi il mio?”
Cosa
vuoi da Violet?
La voce di suo zio Charlie
le
si conficcò nelle sinapsi, pacata e piena di una
verità che non riusciva ad
afferrare. Dominique si sentì improvvisamente sopraffatta,
ed era la prima
volta che provava quella sensazione di soffocamento. Non le piaceva.
Non capiva cosa avesse
voluto
intendere suo zio, non capiva le occhiate preoccupate di sua sorella
né quando
Mael le chiedeva ansioso se fosse proprio sicura di voler avere a che
fare con
la Parkinson-Goyle, quella stronza.
Per finire, non capiva
Violet.
Voleva i suoi baci, le sue carezze, ma poi, uscite dalla radura degli
unicorni
o dalla sicurezza di un posto con nessuno attorno, la respingeva.
Voleva delle
cose da lei, ma poi non sapeva spiegarle perché le volesse.
Che
diavolo.
Era tutto troppo stancante,
e
rimpiangeva quando la cosa più complicata a cui doveva
pensare erano i compiti
Aritmazia.
Tuttavia c’era una
parte di sé
che non voleva che Violet avesse quell’espressione ferita.
Quando stava con lei
sentiva che doveva proteggerla. Da cosa non ne aveva idea ora che
Allard era solo
un brutto ricordo, ma quella sensazione era lì e non se
n’era più andata.
Manco
adesso.
“Se vuoi darmi il
tuo
appoggio…” Tentò.
“… non è che mi spiace, ecco.”
Non era la risposta giusta, lo capì subito da come
l’altra fece una smorfia.
“Così
non va.” Disse a bassa
voce. “Dominique, non … non funziona.”
Cosa?
Batté le palpebre
senza sapere
cosa rispondere. Forse sua sorella l’avrebbe saputo, forse
Mael. Lei proprio
no.
“Te ne vai per
più di due
mesi, non mi mandi neanche una lettera e poi … non mi fai
sapere niente delle
tue decisioni! Questa è una cosa importante, un torneo
interscolastico, fuori
dalla Francia! Starai via tutto l’anno se verrai messa nella
delegazione dei
Campioni, lo sai?” Stinse la stoffa di quel bel vestito tra
le dita,
spiegazzandolo. Non pareva le importasse. “Non
funziona.” Ripeté.
“Ma
cosa?”
“Noi due!”
Sbottò di colpo. Ispirò
bruscamente e le vide qualcosa tremare e luccicare sulle sue lunghe
ciglia
nere. Non le piaceva vederla piangere, la faceva sentire
un’idiota incapace. Il
che era semplicemente intollerabile dal suo punto di vista.
“Siamo noi due che
non
funzioniamo… Non riusciamo a stare dieci minuti senza
litigare, siamo troppo
diverse. E poi, anche volendo, non…”
A me piace litigare con te.
Però forse quella
non era cosa
da dire. Processò l’ultima frase, e
ricordò cosa avesse detto a suo zio
Charlie. “E poi non potremo stare assieme sul
serio?” Le suggerì. “Questo non
dipende da me o dalla mia famiglia. Ma dalla tua.” Ritorse e
percepì una vaga
nota soddisfatta nella sua voce. Tutte quelle sensazioni la facevano
sentire
come se qualcuno la stesse scrollando tenendola per i piedi.
Rimpiangeva la solitudine
dei
Carpazi. Lì non c’era niente che la facesse
sentire così incasinata dentro.
Negli occhi di Violet
passò un
lampo cupo. “Grazie per avermelo ricordato.”
“Non c’è di che.”
Replicò. “Allora, beh. Se non funzioniamo
pazienza. Ci
vediamo a scuola.”
Stavolta l’altra
impallidì
talmente tanto che credeva sarebbe svenuta. Di nuovo quella fitta di
dispiacere
e desiderio di mettere le cose apposto.
A
posto cosa, poi?
Violet le voltò
le spalle e
corse via, senza neanche premurarsi di chiudere la porta.
Sentì poi lo schiocco
di una Smaterializzazione al piano inferiore. Se n’era andata.
Quindi
è così che si mollano le persone …
Dopo un tempo che le parve
piuttosto lungo, tanto che il sole era tramontato dietro le colline,
vide sua
sorella stagliarsi contro lo stipite della porta.
“Dov’è
la tua amica?” Le
chiese. La guardò bene in viso e dovette notare qualcosa
perché se la trovò immediatamente
seduta sul ciglio del letto. “Cos’è
successo?” Le chiese con singolare tono
d’urgenza nella voce.
“Abbiamo deciso
che non
andava.” Riassunse, dato che non era mai stata brava nei
racconti.
Dovette bastare
perché
Victoire si morse le labbra. “Ma stavate assieme
allora?”
“No.”
Era la verità, ma non le
piaceva dirla, il che era bizzarro perché la
verità non le aveva mai fatto
niente di male. Fino a quel momento.
Sua sorella si sporse per
toccarle il braccio. Lo ritrasse. “Ne vuoi parlare?”
“No.”
V non era una
stupida. Quando era ad Hogwarts era stata smistata a Corvonero, la casa
dei
cervelloni per eccellenza. Era una tipa dritta, dietro tutte quelle
moine e
sfarfallii di ciglia. Ma
soprattutto,
sapeva quando starsene zitta. Si chinò per darle un bacio
sulla tempia, come
ormai nemmeno la loro comune madre si azzardava a fare.
Trovò quindi giusto
punirla buttandola quasi a terra per abbracciarle la vita e seppellirci
il
viso: la seta del suo vestito all’ultima moda profumava del
suo costosissimo
profumo da cento galeoni a goccia, ma di fondo c’era
l’odore di sua sorella,
familiare e quindi tranquillizzante. Victoire non protestò.
“Domi…”
Sospirò invece accarezzandole
le spalle. Non si abbracciavano da quando erano bambine, ma Dominique
scoprì
che non era cambiato niente. “ … Andrà
meglio, te lo prometto. Fidati, che di
relazioni fallimentari ne so più io che tu con i tuoi
lucertoloni.”
“Questo proprio
no, sorella.
Mi sento insultata.”
“Ad ognuno il suo
campo,
sorellina. Sta’ zitta e fatti consolare.”
Dominique stavolta non trovò nulla da ribattere.
****
Note:
No, ma si comincia bene! :D
A parte gli scherzi, abbiate fiducia, siamo solo all’inizio,
e chi ha letto
Ab
Umbra Lumen sa come va’ a finire quindi
… Godetevi il viaggio! Il favoloso banner, mi preme dirlo, è stato realizzato dalla favolosa Daphne Kerouac, la stessa che ha curato il banner della mia pagina autore. Grazie girl!
Qualche precisazione: questa
storia può essere letta solo come seguito di Dom
is not a boy’s name che fa parte a sua
volte della Doppelgaenger’s
Saga, nome altisonante per designare la mia grave
forma di
grafomania.
Per la canzone qui.
1. Alta
Normandia: regione della Francia settentrionale. Il suo
capoluogo è Rouen, altra città importanti sono Le
Havre e Evreux. Le coste a
Nord sono bagnate dal Canale della Manica.
Ho pensato che molto
probabilmente i Goyle, se hanno mai avuto proprietà in
Francia, le abbiano
avute quanto più possibile vicino all’amata
Inghilterra. E alla stessa Madame
Pansy non sarà dispiaciuto vedere
le coste di Albione dalle finestre di camera sua. ;)
2. Bocche
del Rodano: dipartimento (in italiano sarebbe provincia)
della regione
Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Tecnicamente la Provenza a cui si
riferiscono
spesso Teddy e gli altri non esiste più, in quanto ai nostri
giorni la Francia
è divisa (dai babbani!) in tutt’altro modo. Come
ben si sa, i maghi rimangono
sempre un po’ indietro rispetto ai cambiamenti geo-politici
dei babbani.
Per maggiori informazioni
sulle mie pippe mentali in merito
qui una comoda mappina data da quella cosa
meravigliosa che è Google
Maps. Ho abbozzato anche dove potrebbe essere Beaux Batons e la Riserva
dei
Draghi, ma non fateci troppo affidamento.
3. Granian
(o Granio): razza di cavalli alati della stessa taglia dei
loro cugini in uso trai babbani. L’unica differenza, a parte
le ali, è la
velocità che possono raggiungere in volo, molto elevata. Il
colore del mantello
è grigio, e Dom ne possiede un esemplare, maschio da quando
ha dodici anni.
4. Patente:
si riferisce alla Patente che deve essere richiesta per la
detenzione del suddetto all’Ufficio Creature Magiche del
Ministero di
riferimento, in questo caso francese. La patente è
necessaria per poter tenere
varie razze di animali magici, dal Crup all’Ippogrifo e viene
rilasciata dopo
che il mago o la strega ha dimostrato di sapersene prendere cura e,
soprattutto, di saperlo occultare agli occhi dei Babbani con un
Incantesimo di
Disillusione, da applicare quotidianamente.
Probabile che Dominique
l’abbia ottenuta più tardi dei suoi dodici anni, e
prima fosse affidato ai
genitori. (Info su ‘Gli animali
fantastici: dove trovarli’)
5. Non
sapeva quale Snaso avesse l’oro: versione magica
(da me
inventata) di ‘non sapeva che pesci prendere’.
Questa invece è
l’aquila che ha come famiglio. Questa
particolare razza di aquile è famosa per essere adatta alla
falconeria e per la
sua fedeltà al padrone.
Per il nome del pennuto
invece
dovrete ancora aspettare, perché sì, ha un
significato. ;)
(No, non c’entra
niente
l’omonima città.)
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