Salve
a tutti! Ho letto per molto tempo così tanti dei vostri
meravigliosi lavori che mi avete ispirata
e ho partorito questa storia! Non l'ho fatto di
proprosito, è venuta fuori da sola, tutta insieme..!
Ne ho ancora tanta di strada da fare, ma per il momento ho pensato
comunque di provare a condividerla,
perché ottenere qualche suggerimento, critica
positiva o negativa che sia, da voi,
che intrattenete così spesso le mie serate con i vostri
racconti, è quanto di meglio possa sperare.
Sulla
trama non c'è molto da dire. Bisogna avere la pazienza,
immagino, di aspettare
che le cose si rivelino da sole a poco a poco. I fatti si
svolgono ai giorni nostri e i personaggi sono tutti reali,
anche se, ovviamente, ogni azione, dialogo e pensiero è
frutto della mia fantasia
e non conosco nessuna delle persone coinvolte, il loro carattere e le
loro preferenze sessuali.
Il
titolo si rifà al film del 1973 "The way we were" ("Come
eravamo", in italiano),
che, se non avete visto, vi consiglio assolutamente.
Che
aggiungere?! E' il mio primo tentativo, mi auguro che possa piacere e
coinvolgere, almeno un pochino!
E lo dedico a voi, splendide autrici Farrelleto...
1.
Il caldo di Los Angeles in quei giorni era impressionante. Nemmeno le
verdi colline hollywoodiane potevano nulla per salvarti.
Sono notoriamente un tipo freddoloso; mi si può trovare
tranquillamente ritratto in foto scattate nel bel mezzo
dell’estate, al mare, circondato da folle di nudisti, ma io
avrò sempre i miei jeans, la maglia di cotone e la felpa
legata ai fianchi, non si sa mai.
Però quell’afa era troppo anche per me. Steso sul
bordo della piscina, con la schiena schiacciata contro il marmo ormai
tiepido e il polpaccio destro immerso nell’acqua, mi godevo
un raro momento di pace.
L’intera ciurma si trovava momentaneamente riunita alla festa
per i 25 anni della migliore amica della sorella di Emma o della
sorella della migliore amica di Emma, non ne ero sicuro. Per quella
sera avevo passato e, caso più unico che raro, ero solo.
Beh, c’era Shannon in sala d’incisione, ma in
pratica ero solo, a godermi le zanzare della mia piscina, nel mio Lab.
Ero solo ed ero stanco, pur non avendo fatto quasi niente per tutto il
giorno. Avevo riascoltato un paio di canzoni, cambiato qualche nota ad
uno spartito e deciso di escludere un pezzo dal nuovo album; di fatto,
non si può dire che avessi dato fondo alle mie risorse
energetiche. Eppure mi sentivo sfinito.
Doveva essere l’ansia, doveva essere Colin. Il suo prossimo
film sarebbe uscito entro un paio di settimane e si sentiva addosso il
peso di un progetto importante. Erano anni che non si buttava in
qualcosa di tanto impegnativo, dai tempi di Alexander. Non mi stupiva
potergli leggere negli occhi la trepidazione, quasi la paura di vedersi
di nuovo tirato in ballo in questa giungla di critiche, sussurri,
pettegolezzi, cattiverie. Maledetti critici, stupidi, incapaci,
ignoranti parassiti, non hanno idea di cosa voglia dire mettere il
cuore in qualcosa.
Con l’avvicinarsi della premiere, Colin aveva chiesto alla
sua famiglia di venire a passare un po’ di tempo con lui; il
rinomato supporto in stile irlandese parrebbe alla fine non essere una
leggenda metropolitana. E così, il giorno prima, a Claudine
si era aggiunta mamma Farrell, con tanto di Catherine ed Eamon a
seguito. Ciò che non sapevano era che Colin voleva sfruttare
quell’occasione per qualcos’altro; o meglio, aveva
fondamentalmente organizzato il tutto per qualcos’altro.
L’approvazione e la vicinanza della sua famiglia erano sempre
stati il suo sostegno, tutto ciò di cui gli importasse
veramente.
Smisi di dondolare la gamba nell’acqua e sistemai meglio le
braccia conserte dietro la testa, chiudendo gli occhi. Dio, ancora non
ci credevo. Avevamo deciso di prendere in mano le nostre vite, di
finirla di nasconderci dietro a futili pretesti e cominciare a goderci
ciò che indubbiamente, dopo tanti anni e tante sofferenze,
meritavamo. Avevamo deciso di vivere insieme, di rilasciare una
dichiarazione congiunta e poi starcene un po’ in disparte
finché le acque non si fossero almeno parzialmente calmate.
Ma prima di dare il via a tutto questo, Colin voleva informare la sua
famiglia, in particolar modo prepararla all’assalto che
avremmo tutti quanti ricevuto.
Non che sarebbe stato un problema per loro, tutt’altro.
Claudine aveva a che fare con noi ormai quotidianamente ed Eamon si era
dimostrato nostro fervente sostenitore fin dagli inizi, non mancando di
strigliare il tanto amato fratellino in svariate occasioni. Catherine
era sempre stata disponibile con me e Rita, come ogni mamma che si
rispetti, desiderava soltanto la felicità di suo figlio,
tanto che più volte nel corso del tempo ci aveva esortati a
sistemarci. Suo padre era un uomo di poche parole ma, ormai forgiato
dall’esperienza del figlio maggiore, non aveva mai espresso a
Colin un parere negativo riguardo la nostra relazione e affrontava
l’argomento con il serafico e distaccato atteggiamento che
riservava a tutte le cose. Se avevo capito bene, interpretando quella
loro astrusa parlata irlandese, molte parole della quale ancora mi
risultavano oscure, sarebbe atterrato in suolo americano la settimana
seguente.
Dal canto mio, dovevo ancora parlarne con mia madre, e Shannon,
quell’animale barbuto dalla sensibilità di un
rinoceronte, alla mia entusiastica rivelazione, aveva risposto con un
“Come ti pare” frammisto ad una smorfia e un
grugnito. Per fortuna almeno Tomo mi aveva dato un po’ di
soddisfazione, stappando una bottiglia di buon vino francese che teneva
da parte: non ne bevvi nemmeno un sorso, ma almeno mi fece sentire
appagato.
Aprii gli occhi, scacciando una zanzara dall’orecchio
sinistro, e soffiai fuori dell’aria che non mi ero accorto di
star trattenendo. A pensarci bene, sembrava una follia. Io, con quel
mio stile di vita e quelle abitudini, lui, con quella sua reputazione e
quei trascorsi. Fin dal principio, non ci avrebbe scommesso nessuno, su
noi due. E ce n’erano stati di momenti che avevano messo a
dura prova persino la mia incrollabile sicurezza; momenti in cui non
avrei mai voluto averlo conosciuto o, perlomeno, avrei voluto poterlo
dimenticare.
Ma poi, in un modo o nell’altro, eravamo arrivati a quel
punto impensabile. Era stata una decisione maturata col tempo, in
accordo, avvertita da entrambi come ormai necessaria ed inevitabile,
supportata da una serie di eventi che ci avevano rivelato ormai
insostenibile continuare come avevamo fatto fino ad allora. Correvamo
dei rischi, è vero, ma a guardarli bene, ci parevano
decisamente più piccoli di quanto avevamo sempre temuto.
Insomma, per quanto incredibile, eravamo ad un passo dal cambiare le
nostre vite.
Ero felice e me ne andavo in giro con un sorriso da ebete stampato
sulla faccia. Ogni tanto faceva capolino quell’ansia di
sapere che per qualche tempo, almeno, ci avrebbero dato del filo da
torcere, e allora, come in quel preciso istante, mi concedevo qualche
minuto per godermi un po’ di tranquillità,
finché ero ancora in tempo.
Faceva davvero troppo caldo. Stavo considerando di rotolare per quei
pochi centimetri che mi dividevano dall’acqua, quando il
blackberry cominciò a squillare. No, non avrei risposto a
nessuno scocciatore in quel momento, niente mi avrebbe allontanato
dalla mia pace. E di certo non era Colin a chiamare, non era il tono
che gli avevo assegnato quello che risuonava. Non lo vedevo dalla sera
prima e non l’avrei rivisto fino al giorno seguente, ma mi
aveva dato qualcosa da ricordare, prima che arrivassero i suoi. Eccolo
lì, il sorrisino da ebete che mi spuntava tra le guance
maliziosamente arrossate.
Non resistendo allo squillare imperterrito del blackberry, mi arresi e,
tirandolo fuori dalla tasca, guardai il display: Eamon. Corrucciai la
fronte. Eamon? Mi sembrava presto perché Colin gli avesse
già parlato…Beh, meglio prima che poi.
- Eamon! Ehi! - risposi gioviale.
- Jared, dove sei? - il tono di voce incrinato.
- Sono al Lab, che succede? –
Mi misi a sedere, improvvisamente colto da una brutta sensazione.
Silenzio.
- Eamon? –
Senza accorgermene strinsi con più forza il cellulare, il
cuore in gola.
- Colin ha avuto un incidente con la macchina. Tra cinque minuti sono
da te, l’ospedale è quello vicino a casa tua.
Dobbiamo fare presto. -
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